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Il Prefetto tra istanze centrali e istanze locali

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INDICE

Introduzione ... 4

Capitolo Primo: Inquadramento storiografico …... 7

1.1 Introduzione: genesi dell’istituto prefettizio... 7

1.2 I precursori del Prefetto nell’antica Roma... 8

1.3 I precursori del Prefetto in Italia... 12

1.4 I precursori del Prefetto in Francia... 24

1.5 Il Prefetto in età napoleonica ... 31

1.6 Il Prefetto nell’Italia unita ... 40

1.7 Il Prefetto durante il Ventennio ... 53

1.8 Prefetto e Partito Nazionale Fascista... 61

1.9 Il Prefetto nella Repubblica Sociale Italiana... 64

1.10 Il decentramento regionale ... 68

Capitolo Secondo: Prefetto ed enti locali ... 69

2.1 Le trasformazioni dell’istituto prefettizio dal secondo dopoguerra al nuovo millennio ... 69

2.2 La funzione di amministrazione generale... 77

2.3 Il Prefetto come manager ... 80

2.4 Il principio di leale collaborazione e il Rappresentante dello Stato ... 81

2.5 Il ruolo prefettizio nel controllo sugli enti locali ... 87

2.6 Le Conferenze permanenti ... 90

2.7 Il potere sostitutivo del Prefetto ... 94

2.8 La vigilanza sull’attività del Sindaco in qualità di ufficiale del governo ... 98

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2.10 Prefetto e marketing territoriale ... 104

Capitolo Terzo: Il Prefetto nel sistema della sicurezza pubblica ... 107

3.1 Il Prefetto Autorità provinciale di pubblica sicurezza ... 107

3.2 Poteri propri e delegati ... 109

3.3 Le ordinanze prefettizie in materia di sicurezza pubblica ... 113

3.4 Il rapporto tra il Prefetto e il Ministro dell’Interno, il Capo della Polizia e il Questore ... 115

3.5 Il coordinamento delle forze di polizia ... 117

3.6 I protocolli di intese ... 123

3.7 Il ruolo prefettizio nello scioglimento ex art. 143 T.U.E.L... 125

3.8 Prefetto e protezione civile ... 135

3.9 Prefetto e sciopero ... 137

3.10 Prefetto e territorio ... 139

3.11 Il Prefetto nella gestione dei flussi migratori ... 141

3.12 La potestà sanzionatoria ... 142

3.13 Le funzioni prefettizie non codificate e quelle di recente introduzione ... 144

3.14 Uno spunto di riflessione: il Prefetto francese ... 145

Capitolo Quarto: Le prospettive future in attesa della riforma costituzionale ... 149

4.1 La riorganizzazione dell’amministrazione provinciale dello stato: il decreto “spending review” ... 149

4.2 La legge n. 124 del 2015 ... 153

4.3 Uno sguardo al futuro: la fine del radicamento provinciale della Prefettura? ... 157

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Bibliografia... 170 Sitografia ... 183 Ringraziamenti ... 185

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INTRODUZIONE

Figura di antiche origini, il Prefetto ha attraversato secoli di storia italiana. Dalla sua introduzione in epoca romana sino ai giorni nostri, l’istituzione prefettizia ha sempre ricoperto un importante ruolo nel mantenimento della pubblica sicurezza. A questo primo, risalente nucleo di funzioni sono state progressivamente aggregate ulteriori ed eterogenee attribuzioni, che permettono oggi di

apprezzare la vocazione di ufficio generalista a competenza diffusa delle Prefetture.

Posto che, come sancito già dall’art. 19 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1934, il Prefetto rappresenta l’esecutivo e quindi lo Stato in ambito provinciale, ripercorrere le vicende normative del primo significa anche ricostruire gli sviluppi

dell’azione amministrativa statale in periferia. L’analisi del percorso evolutivo del funzionario prefettizio ci fornisce pertanto una preziosa occasione per riflettere sulle trasformazioni dell’intera Pubblica Amministrazione italiana. I cambiamenti nella concezione della funzione del Prefetto, così come della sua posizione nel tessuto ordinamentale, costituiscono infatti il portato ultimo del mutare degli orientamenti dominanti circa il rapporto tra centro e periferia. Nelle congiunture storiche in cui a prevalere sono state le spinte centralistiche si è spesso assistito a un’accentuazione dei poteri e del rilievo delle Prefetture, in funzione di un ferreo e puntuale controllo del territorio: prova ne sia il recupero in età napoleonica della stessa istituzione prefettizia, affidata a

“imperatori dai piccoli piedi” -secondo la celebre definizione del Bonaparte- chiamati proprio ad assicurare una solida presenza dello Stato in provincia. Stagioni di imperante decentramento hanno invece condotto a un depotenziamento del corpo prefettizio; estremamente interessanti in tal senso sono le veementi

contestazioni rivolte contro tale istituzione da Luigi Einaudi - sotto il nom de plume “Junius”- nel celebre articolo “Via il Prefetto!”. Un proficuo approccio a una così complessa tematica, pertanto, non può che essere multidisciplinare: per addivenire a una visione di insieme occorre cioè impiegare tanto gli strumenti del giurista quanto quelli dello storico. L’obbiettivo del presente lavoro è dunque quello di illustrare il dipanarsi della disciplina relativa al Prefetto nel suo plurisecolare sviluppo. Non si tratta di un percorso

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5 lineare, bensì estremamente accidentato, fatto di improvvise

accelerazioni e repentini cambi di direzione, ora nel senso dell’accentramento amministrativo, ora in quello del

decentramento. All’esito di questa ricognizione sarà forse possibile prospettare gli scenari futuri, in vista dell’ormai imminente riforma di cui la legge numero 124 del 2015 rappresenta l’incipit. L’ulteriore proponimento è quello di mostrare come la autorità prefettizia abbia sempre rappresentato il terreno di scontro fra le istanze centrali e quelle locali, dovendo spesso adoperarsi per giungere a una mediazione tra di esse all’interno della singola realtà locale. Più diffusamente, il primo capitolo sarà dedicato agli albori

dell’esperienza prefettizia, coprendo un arco di tempo che procede dall’età romana e si conclude con l’avvento della Costituzione. Verranno dunque passati in rassegna i progenitori del Prefetto, non solo in epoca romana ma anche nell’Italia preunitaria e nella

Francia rivoluzionaria prima e napoleonica poi. L’attenzione si sposterà in seguito alla fase post-unitaria, con particolare riferimento al periodo crispino e giolittiano. Si darà conto del dibattito intorno all’autorità prefettizia durante il Ventennio, nonché del suo coinvolgimento nella svolta autoritaria che interessò il nostro Paese. Preme sottolineare già ora il notevole contributo offerto dai Prefetti alla affermazione dell’unità nazionale e alla coesione sociale, in uno Stato giovane e pertanto fragile. Il secondo capitolo conclude la ricognizione storiografica,

illustrando le numerose variazioni, sia nella denominazione sia nelle funzioni, che hanno riguardato le Prefetture dal secondo

dopoguerra al nuovo millennio. Modifiche, queste, coronate dalla previsione contenuta in seno alla già citata l. n.124/2015 degli Uffici territoriali dello Stato, quali strutture a guida prefettizia di raccordo tra governo e cittadino, destinate a raccogliere l’eredità delle Prefetture e in cui confluiranno tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato. Compito di questo capitolo è anche quello di descrivere il rapporto che corre tra il Prefetto e gli enti locali. Saranno pertanto esaminati la funzione di

amministrazione generale che pertiene al funzionario prefettizio in qualità di rappresentante dello Stato in provincia e il principio di leale collaborazione, stella polare nella delicata relazione tra centro e periferia. Oggetto di riflessione costituiranno inoltre sia la recente connotazione manageriale del Prefetto, sia l’attività di quest’ultimo in seno alle Conferenze permanenti, sia quella di controllo nei

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6 riguardi degli enti locali e del Sindaco ove agisca in veste di ufficiale del governo.

Il tema affrontato nel terzo capitolo è rappresentato dalle

attribuzioni prefettizie nell’ambito del sistema di pubblica sicurezza. Verranno pertanto assunti in considerazione i poteri del Prefetto in tale campo, unitamente al rapporto che lo lega al Ministro

dell’Interno, al Questore e al Capo della Polizia; le ordinanze prefettizie in tema di sicurezza pubblica e l’attività di

coordinamento delle Forze di Polizia. Un’indagine del legame che intercede fra Prefetti ed enti locali non può prescindere poi dall’osservazione dei moduli e degli strumenti attraverso i quali si sostanzia il coinvolgimento del primo nel mantenimento dell’ordine all’interno dei secondi: dalla gestione dei flussi migratori al

contrasto alla penetrazione mafiosa, passando per le questioni concernenti il sistema di protezione civile. Da ultimo, si sottoporrà ad analisi il Prefetto francese, quale antesignano della nostrana istituzione.

Nel quarto e ultimo capitolo verranno invece prospettate alcune possibili linee evolutive della Prefettura, in attesa dell’intervento del legislatore. In particolare sarà oggetto di riflessione una delle

possibili implicazioni della legge n.124/2015: la rottura del

radicamento provinciale del Prefetto, a fronte di impellenti esigenze di spending review che impongono drastiche razionalizzazioni

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CAPITOLO PRIMO: INQUADRAMENTO

STORIOGRAFICO

Sommario: Introduzione - 1. I precursori del Prefetto:

nell’antica Roma; in Italia; in Francia. - 2. Il Prefetto in

età napoleonica. – 3. Il Prefetto nell’Italia unita. - 4. Il

Prefetto durante il Ventennio. – 5. Prefetto e Partito

Nazionale Fascista. – 6. Il Prefetto nella Repubblica

Sociale Italiana e nel secondo dopoguerra. – 7. Il

decentramento regionale.

Introduzione

Genesi del moderno istituto prefettizio

Il 10 maggio 1805 si tiene la prima seduta del Consiglio di Stato del Regno Italico. Tra i temi all’ordine del giorno figura anche quello dell’amministrazione statale periferica; in particolare, si discute “se, trattandosi di stabilire le Autorità amministrative dipartimentali sia meglio conservare le amministrazioni di Dipartimento, ovvero, abolendo queste, mettere la somma dell’Amministrazione in mano ai Prefetti”1.

A intervenire è Napoleone Bonaparte, che solo sedici giorni più tardi verrà incoronato Re d’Italia nel Duomo di Milano. Le parole del futuro portatore della Corona di ferro longobarda

rappresentano la sintesi del ruolo riservato al funzionario prefettizio nei decenni che seguiranno: “in Francia sono stati preferiti i prefetti. L’amministrare è l’affare di uno solo, come il giudicare è l’affare di più. In mano di uno solo l’amministrazione ha unità di vedute, e celerità esecutiva”2.

È d’uopo precisare già ora che nel 1805 la figura del Prefetto non è affatto inedita nel panorama istituzionale italiano: introdotta il 19 aprile del 1801 in Piemonte e negli altri stati sabaudi annessi alla Repubblica francese in quello stesso anno, viene poi recepita nell’ordinamento della Repubblica Italiana. Oggetto di discussione in seno al Consiglio non è perciò l’opportunità della sua istituzione,

1 L. Rava, Napoleone I nel Consiglio di Stato nel Regno Italico (Milano 1805), citato in

Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, volume I, Roma, 1932.

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8 quanto piuttosto la posizione che essa dovrà ricoprire nell’apparato amministrativo. Non stupisce, quindi, che Napoleone abbia

guardato proprio all’organo prefettizio quale strumento funzionale a una maggiore centralizzazione amministrativa, in luogo del principio di decentramento caro ai Girondini3. La trasformazione

costituzionale data dal passaggio dalla Repubblica all’Impero francese offre infatti il destro per una svolta autoritaria.

L’affermazione del Prefetto sugli ormai residuali organi collegiali di governo locale appare dunque un portato di tale avvicendamento: l’accentramento del potere passa anche attraverso la valorizzazione di quello che già Bonaparte, nel parlare di “celerità esecutiva”, mostra di concepire come un problem shooter (“risolutore di problemi”), secondo la felice definizione coniata da Sabino Cassese4.

Nasce così il Prefetto moderno, investito di “un ruolo effettivo di prima autorità del dipartimento e unico tramite del potere centrale a livello periferico e locale”5. Prima di ripercorrerne la successiva

evoluzione, occorre però portare l’attenzione sulle origini di tale organo.

1. I precursori del Prefetto

Nell’antica Roma

La carica prefettizia affonda le proprie radici nell’epoca regia di Roma: secondo quanto riportato da Tacito6, è Romolo a creare

primo Praefectus urbi Denter Romulius. Originariamente chiamato ad amministrare la giustizia e fronteggiare gli imprevisti nei periodi di assenza del sovrano, il prefetto ben presto acquista altri e più eterogenei compiti. Se infatti Cesare, trovatosi nel 46 a.C. privo di altri magistrati, nomina sei od otto prefetti per aiutare il magister

3 A. M. Voci, Agli albori dell’istituto prefettizio in Italia, in Instrumenta, Rivista di

cultura professionale, SSAI, numero 18, anno 2002, pp. 1074-1095.

4 S. Cassese, Il prefetto come autorità amministrativa generale, in Le Regioni, 1992,

p.337.

5 Così G. Arancani, L’organizzazione amministrativa periferica e locale della Repubblica

Italiana (1802-1805), citato in Studi in memoria di Mario E. Viora, Roma, 1990

(Biblioteca della Rivista di Storia del Diritto Italiano, 30), pp. 11-28; p.28.

6 Tacito, Annales 6.11: “namque antea, profectis domo regibus ac mox

magistratibus, ne urbs sine imperio foret, in tempus deligebatur qui ius redderet ac subitis mederetur; feruntque ab Romulo Dentrem Romulium, post ab Tullo Hostilio Numam Marcium et ab Tarquinio Superbo Spurium Lucretium impositos”.

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equitum Marco Emilio Lepido nel governo della città7, in età

repubblicana una prassi consolidata vede il pretore istituire praefecti

de iure dicundo, deputati all’amministrazione della giustizia in un

ambito territoriale denominato “praefectura”: è il caso della Campania, segnatamente a Capua e Cuma.8 Le prefetture dell’età

repubblicana comprendono municipi con piena cittadinanza e colonie di cittadini romani; il ricorso ai prefetti è frequente in contesti in cui le istituzioni municipali sono scarsamente sviluppate ovvero si rende necessario un più capillare controllo del territorio. I poteri del praefecti ulteriori rispetto alla iurisdictio si atteggiano variamente, in base al grado di autonomia di cui godono le comunità residenti nei territori loro devoluti.9

Sotto Augusto la rilevanza accordata al prefetto cresce

notevolmente. Perseguendo quella che Arangio-Ruiz ha chiamato una “conservazione formale e una correzione sostanziale”10 delle

precedenti istituzioni, Ottaviano si richiama formalmente alla

praefectura della repubblica, ma muta radicalmente i caratteri

identificativi del praefectus urbi sino a renderlo un istituto così lontano dal primigenio paradigma da spingere Svetonio a presentarlo come un novum ufficium11. La novità ravvisata dallo

storico risiede nelle più ampie possibilità di nomina, non più strettamente vincolata all’assenza dei consoli o dei supremi magistrati. Compito dell’originale praefectus urbi è infatti quello di provvedere alla città e all’ager Romanus; da qui, la sua investitura in forza di una delega di poteri da parte dell’ultimo magistrato cum

7 Cfr. A. Masi, La praefectura urbi da Lucio Munazio Planco e l’iscrizione del mausoleo di

Gaeta, in Studi in onore di E. Volterra, V, Milano, 1971, pp.239 e ss., nonché ID., Praefectus in Enciclopedia del Diritto cit., p.948.

8 Cfr. F. Sartori, Praefecti Capuam Cumas, in Appendice a Problemi di storia costituzionale

italiota, Roma, 1953, pp. 165 e ss.

9 B. Strati, Il prefetto nell’esperienza giuridica romana, in Instrumenta, Rivista di cultura

professionale, SSAI, numero 10, 2000, pp. 176-207, riporta una citazione del

grammatico Festo contenente l’elenco delle prime prefetture:“praefecturae eae appellantur in Italia, in quibus et ius dicebatur et nundinae agebantur; et erat quaedam earum r(es) p(ublica), neque tamen magistratos suos habebant, in (qua his) (quas) legibus prefecti mittebantur quotannis qui ius dicerent. Quorum genera fuerunt duo: alterum, in quas solebant ire praefecti quattuor e viginti sex virum numero populi suffragio creati erant in haec oppida: Capuam, cumas Casilinum, Volturnum, Liternum, Puteolos, Acerraa, Suessulam, Atellam, Privernum, Anagniam, Frusinonem,Reate, Saturniam, Nursiam, Arpinum, aliaque Complura.”

10 V. Arangio- Ruiz, Storia del diritto romano, Napoli, 1960, pp. 215 e ss. 11 Svetonio, De vita Caesarum (Aug. 37), Biblioteca Universale Rizzoli, Milano,

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imperio presente nell’ager, venendo altresì in rilievo una prassi

costituzionale che impone di non lasciare il distretto di Roma sprovvisto di autorità abilitate all’esercizio dell’imperium. Al contrario, la figura prefettizia che emerge all’esito delle riforme augustee è quella di un funzionario designato direttamente dal principe, da cui trae i propri poteri in veste di suo rappresentante12.

L’ufficio della praefectura urbi conquista una stabile collocazione fra gli organi permanenti dello Stato nel 13 a.C, quando la carica viene affidata a L. Carbone Pisone. Senatore e fedelissimo di Ottaviano, Pisone manterrà la funzione per quindici anni in quanto

riconfermato anche da Tiberio13. Il praefectus urbi augusteo,

selezionato attingendo all’ordo senatorio, è il custode della città14; ai

fini dell’esercizio dei suoi compiti di polizia comanda quattro coorti urbane, attraverso le quali garantisce la quies popularium: vale a dire, la tranquillità della popolazione. Preziosa fonte di informazioni è il

liber singularis de officio praefectus urbi di Ulipiano, contenuto in

Digesto 1.12.1 e seguenti. Secondo il testo ulpianeo, al praefectus urbi spettano, oltre al mantenimento della tranquillità dei cittadini15, la

sorveglianza dei luoghi pubblici, degli spettacoli, il controllo dei nummularii (cambiavalute16), la cura carnis (la vigilanza sui prezzi

delle carni17), l’ispezione nei mercati, la competenza a procedere

contro le associazioni proibite (illicita collegia18) nell’ambito di una

più generale attività di supervisione dei fenomeni associativi. In stretta correlazione con tali mansioni è poi la titolarità da parte del

12 A. Von Premerstein, Vom Werdern und Wesen des prinzipats, in Abhandlungen der

bayerischen Akad. Der Wissenschaften, volume XV,1937, secondo cui il potere del praefectus urbi sarebbe da ricondurre a una rappresentanza nella cura urbis, intesa

come parte della più ampia cura et tutela rei publicae universa.

13 Tacito, Annales 6.11: “dein Piso quindecim per annos pariter probatus,

publico funere ex decreto senatus celebratus est”.

14 B. Strati, Il prefetto nell’esperienza giuridica romana, in Instrumenta, Rivista di cultura

professionale, SSAI, numero 10, 2000, pp. 176-207.

15 Digesto 1.12.1.12: “quies quoque popularium et disciplina spectaculorum ad

praefecti urbi curam pertinere videtur: et sane debet etiam dispositos milites stationarios habere ad tuendam popularium quietem et ad referendum sibi quid ubi agatur”.

16 Digesto 1.12.1.9: “praeterea curare debebit praefectus urbi, ut nummularii

probe se agant circa omne negotium suum et temperent his, quae sunt prohibita”.

17 Digesto 1.1.2.1.11: “cura carnis omnis ut iusto pretio praebeatur ad curam

praefecturae pertinet, ed ideo et forum suarium sub ipsius cura est: sed et ceterorum pecorum sive armentorum quae ad huiusmodi praebitionem spectant ad ipsius curam pertinent”.

18 Digesto 1.12.1.14:”Divus Severus rescripsit eos etiam, qui illicitum collegium

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11 prefetto di una giurisdizione tanto penale che civile, esercitata con

cognitio extra ordinem in qualità di delegato dell’imperatore19. Il

praefectus urbi può disporre la condanna alla relegatio e alla deportatio in insulam, in metallum; le sue statuizioni sono appellabili dinanzi al princeps. La sua competenza in ambito civile non è puntualmente

definita, spaziando dalle liti relative a rapporti di tutela alle

controversie tra padroni e schiavi20. In origine un giudice ordinario

di prima istanza per i reati più gravi, il preaefectus urbi diviene in seguito anche competente a conoscere dell’appello promosso contro i decreti dei funzionari di rango inferiore e del pretore urbano. Gli uffici generali del praefectus urbi si compongono di scrinia (archivi), un secretarium e aule in cui si celebrano i giudizi (tribunalia). Durante il basso impero si assiste invece a una contrazione dei poteri del praefectus urbi, fino alla sostituzione dell’organo con il

praetor plebis: quest’ultimo, di concerto con il quaesitor, gode soltanto

di attribuzioni in materia di polizia.

Complice la duttilità del lemma – da praeficio, letteralmente “mettere a capo”- esso sarà utilizzato per designare diverse altre tipologie di funzionario. Nel primo secolo dopo Cristo, fra gli altri funzionari denominati “prefetti”. Troviamo poi il praefectus annonae, incaricato di provvedere all'approvvigionamento della città; il praefectus vigilum, responsabile della vigilanza notturna e del corpo dei pompieri e infine il praefectus praetorio, capo dello stato maggiore del principe e comandante delle cohortes praetoriae, nonché titolare di una generica competenza giurisdizionale, penale e civile. Interessante notare come il prefetto del pretorio sia abilitato all’emanazione di formae, norme generali gerarchicamente subordinate alle leges e alle

constitutiones: prova ne è una costituzione di Alessandro Severo

contenuta in Codex 1.26.221. Sotto Diocleziano i prefetti del

pretorio diventano quattro, uno per ogni Cesare e altrettanti per i due Augusti; ripartito l’Impero in quattro prefetture, esse sono a loro volta suddivise in diocesi, rette da vicari del praefectus. Molti i personaggi illustri che hanno rivestito l’incarico prefettizio in epoca

19 Sulla funzione giurisdizionale del prefetto si veda F.M.De Robertis, Sulla

origine della giurisdizione criminale esercitata dal “praefectus urbi”, Foggia, 1935.

20 Cfr. D. 1. 12. 2.5 – 9.

21 “Formam a praefecto praetorio datam, et si generalis sit, minime legibus vel

constitutionibus contrariam, si nihil postea ex auctoritate mea innovatum est, servari aequum est”.

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12 romana; a titolo di esempio sarà possibile citare l’insigne

giureconsulto Papiniano.

In Italia

A lungo abbandonata, tale carica conosce una rinnovata

importanza quando, nel 1560, il duca Emanuele Filiberto pone un prefetto a capo di ciascuna delle sette provincie in cui ha

riorganizzato i territori sabaudi cisalpini. Il prefetto sabaudo dell’Ancien Régime è un remoto antenato di quello attuale, in quanto detentore di un potere di “mero e misto imperio”, ovvero della giurisdizione civile e penale. Definito da M. Mingrone un terminale “dell’apparato giudiziario dipendente dal Senato”22 (la

suprema corte di giustizia dello Stato”, esso rappresenta difatti il giudice d’appello contro le sentenze dei podestà). Questa funzione giurisdizionale è poi corredata da più disomogenee competenze in ambito fiscale, specie per quanto concerne la riscossione delle imposte. Vittorio Amedeo II di Savoia, artefice del Regno di Sardegna, nel 1724 recupera il modello romano del praefectus urbi conferendo al prefetto di Torino anche le mansioni del

sovrintendente e del vicario. Risultato di tale sovrapposizione è quindi la configurazione dell’organo prefettizio quale supremo responsabile dell’ordine pubblico nella capitale del regno e nel suo distretto, in una certa misura anticipando le riforme dell’età

napoleonica. I tumulti che scuotono il regno sabaudo negli ultimi anni del Settecento saranno gestiti dalla monarchia proprio attraverso un’accentuazione dei poteri del prefetto in materia di mantenimento dell’ordine pubblico. Una siffatta commistione di funzioni giurisdizionali, amministrative ed esecutive in capo al prefetto del regno di Sardegna e delle precedenti entità statuali ci fa dunque capire come esso sia un tipico esempio di funzionario dell’Antico Regime, periodo in cui il principio di separazione dei poteri non trova accoglimento.

La dominazione austriaca della Lombardia segna, a metà del 700, la nascita di un’altra figura che si fregia dell’appellativo di “prefetto”: il prefetto del patrimonio. Esso viene selezionato fra i notabili benestanti che compongono il consiglio generale – una sorta di giunta locale- e preposto al disbrigo degli affari quotidiani dell’ente

22 M. Mingrone, Ricerche sui referendari del Piemonte sabaudo, in Archivi e Storia,

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13 di cui è espressione. Come sottolineato da Anna Maria Voci23, il

prefetto del patrimonio si inserisce pertanto nel progetto asburgico di informare il governo periferico ai principi di partecipazione e democrazia diretta su base censitaria, secondo un disegno che verrà compiutamente espresso nella Riforma al Governo e amministrazione

delle Comunità del 30 dicembre 1755. Una riforma, questa, capace di

meritare in seguito il plauso di Cattaneo e Salvemini, che ne loderanno la modernità2425.

Al netto della comunanza nominalistica, una letteratura storica pressoché unanime nega tanto al prefetto sabaudo quanto a quello lombardo il ruolo di antesignano della moderna figura prefettizia, introdotta in Piemonte nel 1801 e l’anno seguente nella Repubblica Italiana su precisa volontà di Napoleone. Il prefetto di matrice napoleonica è invece usualmente presentato come evoluzione dell’intendente. Tale funzionario fa la sua comparsa intorno alla metà del XVI secolo, introdotto dal già menzionato duca Emanuele Filiberto. Come quelle del prefetto, anche le competenze

dell’intendente sabaudo sono miste, sia di giustizia – specie in ambito tributario- sia di amministrazione. L’incarico principale cui è inizialmente preposto consiste tuttavia nella tutela dei beni ducali, assicurando la riscossione e la conservazione delle rendite spettanti al duca. In una prima fase la figura dell’intendente presenta un rilievo marginale rispetto a quella del referendario, che pure soppianterà gradualmente. Il compito di controllo sulle monete accomuna curiosamente il referendario al praefectus urbi romano. Il referendario vanta poteri giurisdizionali tesi a reprimere gli “abusi commessi dai sudditi nell’utilizzazione dei beni del demanio26”; è

altresì competente a dirimere le controversie relative alla manutenzione e fruizione di questi ultimi. Di nomina ducale, i referendari dipendono dagli organi centrali di governo e sono gravati dall’obbligo di risiedere nel capoluogo di provincia. Queste funzioni giurisdizionali saranno tolte al referendario in molte provincie nel 1713, per essere devolute proprio ai prefetti su

23 A. M. Voci, Agli albori dell’istituto prefettizio in Italia, in Instrumenta, Rivista di

cultura professionale, SSAI, numero 18, 2002, pp. 1074-1095.

24 E. Rotelli cita il giudizio di Salvemini, secondo cui “l’ordinamento

amministrativo lombardo, avanzo della libera organizzazione del Medio Evo, era forse il più perfetto d’Europa” in Gli ordinamenti locali della Lombardia

preunitaria (1755-1859), in Archivio Storico Lombardo, 100, 1975, pp. 171-234.

25 Cfr. anche B. Strati, Le origini dell’istituto prefettizio, in Instrumenta, Rivista di

cultura professionale, SSAI, numero 32, anno 2007, pp.598-680.

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14 decisione di Vittorio Amedeo II. Nella prima metà del XVIII

secolo si consuma il trapasso dal referendario all’intendente, figura che acquista tanta parte delle competenze di gestione e controllo finanziario su base provinciale esercitate in origine della prima. Come vedremo, la casa dei Savoia mutua l’istituto dell’intendente dall’esperienza francese. Nonostante esso si radichi stabilmente nell’apparato amministrativo sabaudo già nella seconda metà del Seicento, è solo con le lettere patenti di Vittorio Amedeo II del 12 maggio 1696 che le attribuzioni dell’intendente vengono fissate per iscritto: le competenze finanziarie e amministrative, dunque il profilo esecutivo, sono preminenti rispetto all’attività

giurisdizionale. L’ascesa dell’intendente costituisce dunque il suggello di un profondo mutamento che interessa il controllo del governo centrale sul territorio; minore attenzione viene ora riservata agli aspetti più strettamente giurisdizionali e fiscali, in favore di un’attività di carattere latamente amministrativo, che si configura come una tutela generale esercitata su ogni aspetto della vita e dell’operato delle amministrazioni locali. Crescono i fini e le attività dello Stato, le esigenze che il pubblico ufficiale deve

soddisfare non si esauriscono più nell’esercizio della giurisdizione e nella riscossione delle tasse, ma richiedono piuttosto un’azione amministrativa generale del territorio sotto l’egida del potere centrale. “Promotori e conservatori dell’interesse del demanio, amministratori delle provincie, tutori dei comuni, gli intendenti reggono (…) quasi tutti i rami della pubblica amministrazione”: così li definisce a metà Ottocento F.A. Duboin27. L’intendente è

innanzitutto chiamato ad assicurare l’afflusso verso la tesoreria generale torinese dei diritti e delle rendite ducali prima, regie poi; unitamente a tale incombenza, esso controlla i registri catastali e la composizione dei consigli comunali, potendo escludere i membri di questi ultimi mancanti dei necessari requisiti. Le Leggi e Costituzioni

di Sua Maestà del 1770 sanciscono il duplice ruolo dell’intendente,

ad un tempo principale strumento del re ai fini del governo del territorio e tutore del Comune, specie in ambito fiscale. La sorveglianza sull’operato dei consigli comunali e dei loro

componenti si estende alla facoltà di accrescerne o diminuirne il numero; l’intendente espleta inoltre attività giurisdizionale in

27 F.A. Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti, manifesti, ecc. pubblicati dal

principio dell’anno 1681 sino all’otto dicembre 1798 sotto il felicissimo dominio della Real Casa di Savoia, volume IX, Torino, 1833, p.1.

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15 campo fiscale e amministrativo. Sotto Carlo Emanuele III

l’intendente è impiegato per rafforzare ulteriormente la presa regia sulle comunità locali, mediante l’attribuzione a tale organo di una serie di prerogative fra cui il potere di ratifica della nomina dei segretari delle stesse, di fissazione degli stipendi dei sindaci e la gestione sia dei registri dello stato civile che della materia catastale. Da ultimo, il Regolamento per le amministrazioni de’ pubblici nelle città,

borghi e luoghi de’ Regi stati in terraferma di qua da’ Monti del 1775 è

spesso evocato dagli studiosi come il provvedimento che più di ogni altro mostra il rapporto di colleganza, se non di filiazione, che corre fra l’intendente subalpino e il prefetto francese. Tale atto, infatti, subordina all’approvazione dell’intendente la validità delle deliberazioni dei consigli delle città e delle comunità locali. Carlo Ghisalberti vede dunque nel Regolamento la conferma della “visione dell’intendente come il più idoneo strumento dell’azione del governo nelle provincie e come l’indispensabile mezzo

dell’accentramento burocratico-amministrativo”, nonché “capo supremo della gerarchia amministrativa locale e agente delegato del governo centrale28”. A partire dal Secolo dei Lumi, peraltro, le

attività degli intendenti si concentreranno progressivamente sulla vigilanza e lo sviluppo dell’agricoltura, della manifattura e del commercio.

La letteratura storica prevalente non ravvisa, come detto poc’anzi, alcuna soluzione di continuità nella successione fra intendente e prefetto napoleonico. Tale, ad esempio, è l’opinione dello stesso Ghisalberti, secondo il quale la comunanza delle due figure deriva dal fatto di essere entrambe rappresentanti del potere centrale in periferia, titolari di ampi poteri e suscettibili di rimozione, oltre che di nomina, a discrezione dell’autorità centrale29. Contro tale

indirizzo, che sottovaluta la diversa cornice istituzionale dietro all’intendente sabaudo e al prefetto francese, si è invece schierato Livio Antonielli. Questo autore sottolinea come il sistema di governo locale della Francia prerivoluzionaria possa essere

compreso appieno solo se collocato nella prospettiva del rapporto, spesso burrascoso, fra la monarchia e l’aristocrazia: da qui “gli scontri tra gli intendenti, principali rappresentanti dell’autorità

28 C. Ghisalberti, Contributi alla storia delle amministrazioni preunitarie, Milano, 1963

(Ricerche sull’Italia moderna. Collezione di studi storici diretta da A. Caracciolo), p.16.

29 Cfr. anche R.C. Fried, The italian Prefect, New Haven- London, 1963 (trad.ital.: Il

prefetto in Italia, Milano 1967); A. Porro, Il prefetto e l’amministrazione periferica in Italia. Dall’intendente subalpino al prefetto italiano (1842-1871), Milano, 1972.

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16 regia, e i parlamenti, espressione più alta del potere locale30”. In una

fase in cui necessita di risorse finanziarie sempre più ingenti, la corona moltiplica funzionari di propria fiducia come gli intendenti, che sovrappone alle istituzioni locali e attraverso i quali realizza una più attenta gestione delle provincie. Al tempo stesso, però, questo accentramento non comporta affatto la soppressione, ma al più una progressiva attenuazione, del complesso di garanzie e privilegi su cui si fonda quella “società di ordini” che solo la ventata

rivoluzionaria saprà abbattere: il monarca, al contrario, non ha la forza e forse neppure la volontà di farlo. Il sistema amministrativo che sorgerà dalle ceneri dell’Ancien Régime sarà invece accentrato in un’accezione più simile a quella attuale, in quanto caratterizzato da un controllo diretto del centro sulle diramazioni periferiche dell’apparato amministrativo.

Antonielli, pertanto, non rinviene alcuna continuità fra l’intendente cisalpino e il prefetto francese, figure che reputa accomunate soltanto dal fatto di essere entrambe il portato e lo strumento di un generico processo amministrativo. Nel negare la genesi

intendentizia del prefetto, dunque, Antonielli vuole evidenziare il contributo di dirompente innovatività di Napoleone alla

razionalizzazione amministrativa italiana, fondamentale spinta verso una burocrazia moderna fondata su criteri di professionalità, autonomia e spersonalizzazione dei funzionari. Le armate

napoleoniche avrebbero pertanto, sviluppando tali premesse, impresso una decisiva accelerazione a quel processo di

ammodernamento dell’apparato amministrativo che aveva già mosso i suoi primi, timidi, passi nel Piemonte dei Savoia e nella Lombardia austriaca e sarebbe testimoniato proprio da intendenti e referendari; si addiviene così alla scissione tra ufficio e funzionario, quest’ultimo reclutato in ragione della sua preparazione

specializzata e chiamato a svolgere la propria attività come

occupazione a tempo pieno, nel rispetto dei rapporti gerarchici e di regolamenti scritti che definiscono i suoi diritti e doveri. Come rilevato da Galasso 31, si fa strada, come corollario di tale processo

di razionalizzazione catalizzato dall’epopea napoleonica, l’idea che il funzionario debba essere animato da un senso di fedeltà nei confronti dello Stato e quindi del sovrano, in qualità di

30 L. Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica. Repubblica e Regno d’Italia, Bologna, 1983, p.9 31 G. Galasso, Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dell’Impero romano a oggi, Giappichelli,

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17 personificazione del primo. Risultato ultimo di tali trasformazioni è la omogeneizzazione delle istituzioni amministrative periferiche unitamente alla perdita da parte delle oligarchie della base

istituzionale del loro potere; ma soprattutto, per quel che qui più interessa, la ripartizione del territorio in provincie e comuni, di cui il prefetto costituisce il guardiano.

Sviluppando tali premesse, Antonielli giunge pertanto a identificare come precursore del prefetto la figura del commissario, istituito da Napoleone quale rappresentante del governo centrale presso i dipartimenti. Atto di nascita del commissario è la Costituzione dell’anno III, promulgata il 5 fruttidoro (22 agosto 1795) e successivamente imposta alla Repubblica Cisalpina, quest’ultima proclamata il 29 giugno del 1797. La costituzione d’Oltralpe divide il territorio in dipartimenti, ripartiti a loro volta in distretti; a capo di ogni dipartimento viene collocata un’amministrazione centrale, replicata a livello municipale in ambito distrettuale. Il modello francese è presto trapiantato in Italia: il 29 messidoro anno V (17 luglio 1797) viene adottata la legge sull’organizzazione delle municipalità, quale seguito ideale della Costituzione della

Repubblica cisalpina dell’otto luglio dello stesso anno. Con tale provvedimento, infatti, viene esteso al territorio della neonata Repubblica l’ordinamento della Francia retta dal Direttorio,

segnatamente: un direttorio esecutivo di cinque membri, affiancato da un corpo legislativo articolato su due assemblee. Utilizzando denominazioni geografiche, per lo più fiumi o laghi come Lario o Po, l’area della Repubblica è frazionata in cinque dipartimenti, divisi in distretti suddivisi in comunità. Ogni dipartimento è governato dalle amministrazioni centrali, che constano di cinque membri designati da un’assemblea dipartimentale su base censitaria. Le amministrazioni centrali sono organi con competenze inerenti alla gestione amministrativa, come: la fissazione delle circoscrizioni di distretti e comuni, la vigilanza sulle municipalità, l’esame dei reclami contro le decisioni delle amministrazioni e la repressione degli abusi di questi ultimi. Sulle amministrazioni centrali vigilano i commissari governativi di nomina direttoriale, chiamati altresì a controllare, oltre agli amministratori locali, anche la polizia e la guardia nazionale. Il commissario è selezionato dal direttorio tra i cittadini domiciliati da almeno un anno nel dipartimento; è dotato inoltre di poteri di verifica e impulso nell’esecuzione delle leggi,

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18 oltre che chiamato a preservare lo “spirito pubblico”32.

L’istituzione di tale figura è tesa a predisporre una forma di controllo politico sull’operato delle amministrazioni centrali tanto municipali che dipartimentali, in un momento in cui le modalità di selezione dei loro membri non danno garanzie circa la piena adesione agli indirizzi del potere esecutivo, stante l’assenza di una struttura burocratica accentrata.

Da questi sommaria ricostruzione, dunque, è facile notare come il commissario governativo, quale braccio del potere esecutivo, presenti aspetti di spiccata consonanza con il prefetto, sebbene i due organi siano espressione di altrettanti antitetici principi. Se il commissario ha in primo luogo compiti di ispezione politica sulla gestione del territorio da parte dell’assemblea elettiva ed è,

pertanto, estrinsecazione di un moderato decentramento, il prefetto come configurato dalla Costituzione francese del 1799 è

l’imprescindibile strumento di un rigido accentramento che si traduce nell’affidamento del governo locale a un solo funzionario. Più controllore il commissario, più amministratore il prefetto; un importante passo in avanti nella professionalizzazione del primo si compie nel 1799, quando è fatto divieto di scegliere il commissario fra i cittadini del dipartimento, ponendo le basi di quella che si consoliderà fino a divenire una prassi consueta. Antonielli ricollega la limitata competenza del commissario cisalpino alla necessità del Direttorio di mantenere moderate forme

democratico-rappresentative a livello locale.

Vincitore a Marengo il 14 giugno 1800, Napoleone può dichiarare la seconda Repubblica Cisalpina. Si tratta di un’entità statale che nei progetti del Bonaparte è destinata ad aver vita breve, come

testimonia il fatto che a essa non sarà applicata, sebbene

antecedente alla sua istituzione, la modifica del sistema direttoriale disposta dalla Costituzione del 22 frimale anno VIII (13 dicembre 1799). I comizi di Lione che si chiudono il 26 gennaio segneranno la formazione della Repubblica Italiana, che raccoglierà il manto della Cisalpina. La presidenza è assunta da Napoleone,

vicepresidente è invece il conte milanese Francesco Melzi d’Eril. In quella stesa occasione trova approvazione un nuovo testo

costituzionale che riecheggia la Costituzione francese del 1799. È questo un testo volutamente redatto in maniera oscura, tacendo

32 Cfr. L. Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica. Repubblica e Regno d’Italia, Bologna,

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19 soprattutto la “concreta conformazione dei molteplici istituti, soprattutto periferici, designati a garantire l’efficienza dell’intero meccanismo statale”33. Pur in assenza di una precisa statuizione in

materia, appare subito chiaro che gli istituti periferici di cui alla legge francese del 17 febbraio 1800, istitutiva degli ordinamenti locali e delle prefetture in Francia, siano destinati a trovare

applicazione anche in Italia. Già il decreto del 12 brumale anno IX (3 novembre 1800) aveva peraltro condotto a un sostanziale avvicinamento del commissario al futuro prefetto, mediante la soppressione delle amministrazioni centrali e la devoluzione dei compiti amministrativi di questi ultimi a commissari straordinari. Napoleone intende replicare nella Repubblica Italiana lo spirito della sopracitata legge, in ossequio alla quale le prefetture devono essere “espressione a livello dipartimentale dell’autorità

governativa, punto di riferimento obbligato per qualsiasi organismo amministrativo periferico, efficienti e pronte in ogni intervento, assolutamente fedeli nei confronti del governo (…), l’insostituibile e principale strumento per un rigido accentramento amministrativo e per un capillare controllo politico su tutto il paese”34. Nell’istituire

il prefetto, la legislazione napoleonica compie quindi un enorme salto di qualità rispetto all’intendente sabaudo: dalle competenze del funzionario piemontese, collocate in una visione

prevalentemente economica e fiscale dell’amministrazione civile, si passa ora a una figura, quella prefettizia, inserita in un quadro politico e concepita come unica titolare della pubblica autorità nell’ambito locale, rispondendo direttamente al solo governo centrale, da cui è nominato.

L’ufficiale introduzione dell’istituto prefettizio giunge nel 1802, con il decreto vicepresidenziale del 6 maggio. Nonostante Melzi

disponga, quanto meno in teoria, di un ampio mandato ai fini della predisposizione di un impianto amministrativo periferico

imperniato sul prefetto, il vicepresidente della neonata Repubblica è sostanzialmente vincolato alla pedissequa replica dei contenuti della legge francese del 28 piovoso anno VIII, di cui parleremo più avanti. Tale decreto è il risultato della risistemazione della proposta di legge per l’attivazione delle prefetture, di cui aveva fino ad allora trovato pubblicazione solo un breve stralcio in tema di

emolumenti; curioso è poi il fatto che già il 26 aprile del 1802 sia

33 L. Antonielli, I Prefetti, p.43. 34 L. Antonielli, I Prefetti, p.44.

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20 stato pubblicato un altro decreto, con cui si dispone la nomina dei primi cinque prefetti. Quanto al modello transalpino replicato in Italia, esso vede il prefetto come “punto di riferimento obbligato per qualsiasi organismo periferico”35, imprescindibile veicolo per

l’accentramento amministrato e strumento utilissimo di controllo politico del territorio, nonché attore di primo piano nel progetto napoleonico di esportazione nel nostro Paese dei principi

democratici consacrati dalla rivoluzione.

Redatto in fretta, a tratti impreciso e concepito come provvisorio, il decreto vicepresidenziale del 6 maggio 1802 istituisce prefetti e prefetture a capo dei dipartimenti, preponendo ai distretti i vice-prefetti. Sarà invece la legge del 24 luglio 1802 sull’organizzazione delle autorità amministrative a sistemare l’apparato

dell’amministrazione periferica repubblicana. Alle prefetture – e alle vice-prefetture- è attribuita la vigilanza sull’osservanza e

l’esecuzione di leggi e regolamenti; il quindicesimo articolo del decreto determina invece un depotenziamento delle

amministrazioni dipartimentali rispetto all’importanza loro riservata durante la prima Repubblica Cisalpina. Detto articolo stabilisce infatti che esse cessino “dalle ispezioni che esercitano sopra tutto il dipartimento” e conducano solo “quelle che riguardano il comune ove risiedono”: in buona approssimazione, esse sono relegate al rango di semplici amministrazioni municipali e orbate di ogni compito di controllo politico. Di nuova introduzione è invece il consiglio dipartimentale, il cui rilievo è tuttavia modesto in quanto è previsto che si riunisca una volta l’anno, tra l’altro sotto il

controllo prefettizio, onde proporre l’imposta dipartimentale e approvare i bilanci. L’ordinamento italiano si distacca dall’obbligato paradigma francese nella definizione del consiglio di prefettura, organo che Oltralpe si occupa del contenzioso amministrativo, mentre nella Repubblica Italiana deve, con maggiore

indeterminatezza, “coadiuvare il prefetto nelle occorrenti deliberazioni col suo parere consultivo”.

Il 9 maggio 1802 Melzi adotta le Istituzioni provvisorie per le prefetture e viceprefetture. Dal testo esce rafforzata la centralità del prefetto nell’ambito del dipartimento, stante l’ampiezza delle

competenze di cui è investito: controllo delle imposte, sorveglianza degli uffici di finanza, dei corpi militari, dell’esecuzione di opere

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21 pubbliche, poteri di polizia. La legge del 24 luglio dello stesso anno tenta di conciliare la centralizzazione dell’attività amministrativa con certune concessioni al particolarismo locale. Viene infatti ribadita l’autorità del prefetto, definito come “l’organo immediato del governo nel dipartimento” e titolare della “amministrazione di tutte le attività e passività della nazione”, nonché della supervisione sulla polizia, sulle delibere e le spese delle autorità di dipartimento e di municipio. Al tempo stesso, nondimeno, la soppressione dei consigli di prefettura conduce al ripristino dell’amministrazione dipartimentale, creando una dicotomia che sottrae al funzionario prefettizio il monopolo nella gestione amministrativa. Nel definire un assetto così incoerente, il Melzi paga un tributo ai gruppi di potere locali e alle aristocrazie cittadine, specie quelle Lombarde cui appartiene lo stesso vicepresidente: si tratta di porzioni della società ferocemente ostili al prefetto, desiderose di serbare la propria posizione di primazia. Un altro motivo che soggiace al

contraddittorio assetto testé delineato ha però carattere finanziario e non economico; sorge la necessità di abbattere i costi

amministrativi che gravano sulle casse nazionali, per scaricarli su quelle dipartimentali. La riduzione dei compiti prefettizi in favore dei dipartimenti va proprio in questa direzione. Da qui la

devoluzione alle amministrazioni dipartimentali della “gestione di tutti gli affari del dipartimento, e della privativa amministrazione de’ fondi, e spese che la legge ha dichiarate dipartimentali”, insieme al controllo sulle opere pubbliche e la ripartizione fra i Comuni delle imposte. In un ritorno all’antico, e segnatamente al periodo cisalpino, l’amministrazione dipartimentale è indicata come

competente a conoscere in prima istanza i ricorsi del dipartimento, che per il suo tramite sono poi deferiti al prefetto. Al prefetto sono affiancati due luogotenenti e un segretario generale; scarsamente efficace è la scelta di congegnare i vice-prefetti come duplicato delle prefetture, in un’inutile sovrapposizione di funzioni da cui

scaturiranno anche conflitti di competenza. Le vice-prefetture vengono abolite con decreto del 27 marzo 1804, essenzialmente per questioni che oggi chiameremmo di spending review. La

conseguente vacanza nel tessuto ordinamentale è colmata con la previsione di delegazioni di prefettura, organo di modeste competenze e ancor più ridotto organico, dato che impiega solo quattro dipendenti. Napoleone, però, mal digerisce la soppressione delle vice- prefetture: le apprezza in quanto crede che esse siano “un valido trampolino per i giovani che volessero dedicarsi alla

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22 carriera amministrativa”36 , dunque un importante passaggio

formativo nella preparazione professionale dei funzionari statali, cui avrebbe giovato un periodo di apprendistato nei gangli periferici dell’amministrazione.

La contrapposizione fra prefetti e amministrazioni dipartimentali trova composizione nel 1805, quando la transizione dalla

Repubblica Italiana al Regno d’Italia, sull’onda lunga dell’analogo mutamento costituzionale francese, comporta una svolta autoritaria al sistema amministrativo. Il prefetto conquista così “un ruolo effettivo di prima autorità del dipartimento e unico tramite del potere centrale a livello periferico e locale”37. Chiara espressione di

questa politica di accentramento è il decreto del 6 giugno 1805: esso ripartisce il territorio regio in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni. Il prefetto, “incaricato dell’amministrazione” è posto a capo di ogni dipartimento, coadiuvato da un consiglio di prefettura che si occupa del contenzioso amministrativo; torna il

vice-prefetto, “delegato dal Prefetto per l’amministrazione del Distretto”. La modernità del provvedimento si apprezza

soprattutto nella disciplina delle nomine, “un regime di estrema coerenza autoritaria”38. La nomina statale si estende, oltre che per

prefetti, vice-prefetti e consigli generali di dipartimento, è infatti contemplata per i consigli comunali di prima, seconda e terza classe, sindaci e podestà. I comuni vengono suddivisi in base alla popolazione; i sindaci guidano quelli di terza classe, i podestà presiedono alle altre due categorie.

Le ragioni che conducono Bonaparte alla creazione del prefetto sono ben chiarite dalle parole del corso citate in apertura: a livello periferico serve un nuovo strumento istituzionale, fedele

emanazione del governo centrale di cui attua le decisioni a livello periferico. Numerosi autori, tra cui Bruno Strati39, hanno però

descritto i notevoli ostacoli incontrati dai prefetti italiani nel

36 Passo tratto dal verbale della già menzionata seduta del Consiglio di Stato del Regno

Italico del 10 maggio 1805, come citato da L. Antonielli, Criteri di scelta dei Prefetti nei napoleonici Repubblica e Regno d’Italia, in “Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea”, 23/24 (1971-72), pp. 499-519, p. 510.

37 G. Ancarani, L’organizzazione amministrativa periferica e locale della repubblica italiana

(1802-1805), in Studi in memoria di Mario E. Viora, Roma, 1990 (Biblioteca della Rivista di

Storia del Diritto Italiano, 30) pp.11-28, p.28.

38 E. Rotelli, Gli ordinamenti locali della Lombardia preunitaria (1755-1859), in “Archivio

Storico Lombardo”, 100, 1975, pp. 171-234.

39 B. Strati, Le origini dell’istituto prefettizio, in Instrumenta, Rivista di cultura

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23 superare privilegi e particolarismi per imporre il volere dello Stato, specie nelle zone più periferiche. Emblematico delle difficoltà del processo in cui il prefetto si inscrive è il fatto che la visione

accentratrice delle Istituzioni provvisorie per le prefetture e viceprefetture si scontri, già nel testo, con una serie di limitazioni delle competenze prefettizie enunciate in quello stesso documento, in una difficile commistione tra accentramento e particolarismo. “Nato per governare da solo”40, il prefetto repubblicano soffre la

compresenza di altri organi che interferiscono con il suo operato e ne minano l’efficienza. Posto che il prefetto rappresenta gli

interessi dell’autorità centrale e l’amministrazione dipartimentale interpreta i desiderata dei notabili locali, non stupisce che il rapporto tra i due organi sia spesso, soprattutto nella fase iniziale, all’insegna della conflittualità e degli attriti, richiedendo al

funzionario prefettizio una continua opera di mediazione onde poter creare un terreno fertile per quegli ideali di democrazia e identità nazionale che è chiamato a trapiantare.

Prima di analizzare le vicende e il ruolo del prefetto nell’età napoleonica, tuttavia, si rende necessaria a una maggiore comprensione dell’argomento un nuovo salto indietro, per

ripercorrere quell’evoluzione dell’ordinamento francese che avrà fra i suoi massimi risultati proprio la genesi della figura in parola. Per amor di completezza, sottolineiamo in chiusura come il trait d’union fra referendario e intendente sia l’oratore, organo la cui rilevanza è più simbolica che sostanziale, risolvendosi appunto nel ruolo di ideale cerniera fra le prime due figure. Istituiti da Carlo Emanuele I nel 1619 con il compito di vigilare direttamente sulle comunità locali, gli oratori avranno infatti vita breve: saranno soppressi già nel 1623. La loro introduzione è stata letta come il tentativo ducale di “superare le forti resistenze degli antichi particolarismi, ed è degna di nota perché emblematica del continuo avvicendarsi di istituzioni conseguente al lento e convulso processo di

trasformazione che porterà ad una sempre maggior affermazione del centro contro le pretese delle località periferiche. Difatti gli oratori provinciali erano residenti a Torino con l’incarico di rappresentarvi in permanenza le rispettive provincie41”. È dunque

40 Ibidem.

41 Mingrone, Ricerche sui referendari del Piemonte sabaudo, in Archivi e Storia, 15-16, 2000,

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24 significativo che essi siano aboliti perché invisi alle oligarchie

provinciali, spaventate dal pericolo di perdere plurisecolari privilegi. In Francia

Convenzionalmente ritenuta l’atto di nascita del prefetto moderno, la legge del 28 piovoso dell’anno VIII (17 febbraio 1800)

rappresenta il coronamento di un lungo processo evolutivo: ridisegnando il sistema amministrativo locale francese, questo provvedimento ne eleva a cardine la appena istituita figura prefettizia. A dispetto della sua novità, infatti, il prefetto napoleonico è solo l’ultimo anello di una catena di funzionari, variamente denominati, con cui condivide il ruolo di collante e raccordo tra il centro e la periferia. Da sempre il delicato rapporto tra il governo centrale e le comunità locali si è dipanato attraverso il filtro costituito da referenti fiduciari del primo, incaricati di

assicurare la ricezione e l’applicazione delle direttive

politico-amministrative da parte delle seconde. Già sul finire del secolo XII, il re Filippo Augusto si serve dei più leali fra i realisti parigini come rappresentanti provinciali42. Stessa funzione ed estrazione hanno

poi i Governatori della Francia del XVI secolo, tratti dall’alta nobiltà e investiti di penetranti compiti non solo in ambito militare, ma anche di tutela dell’ordine pubblico contro sommosse e

agitazioni, nonché titolari del potere di convocare gli Stati provinciali, i Parlamenti e i corpi municipali cittadini. Numerosi sono inoltre i testi che citano, quali precursori del prefetto, i Commissari regi: designati fra i Consiglieri di Stato, affiancano i governatori e conducono ispezioni sulle imposte, oltre a vigilare sull’osservanza dell’Editto di Nantes e la libertà di culto per gli ugonotti che esso sancisce.

Si arriva dunque al periodo dell’Ancien Régime, in cui una corona francese desiderosa di accrescere il proprio controllo sulle

circoscrizioni territoriali accresce enormemente le fino ad allora modeste funzioni degli intendenti. Quelli che prima erano semplici ispettori regi a livello circoscrizionale diventano così portatori di ampie prerogative giurisdizionali, di polizia e finanza.

Curiosamente, alcuni personaggi italiani hanno esercitato una decisiva influenza nello sviluppo della carica di intendenti. La

42 M. Brunazzo, Cosa ne è del Prefetto francese? La pressione europea sulla Francia della V

Repubblica, in Rivista trimestrale di Scienza dell’Amministrazione. Analisi delle istituzioni e delle politiche pubbliche. Milano, volume II, 2003.

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25 Reggenza Medici (1610-17) si avvale degli Intendants de Justice, Police

et Finances, ufficio che permane anche sotto Luigi XIII; ma è con

Richelieu prima e Mazzarino poi che essi diventano “snodi essenziali della burocrazia periferica francese, al servizio del re”43.

Alle soglie della rivoluzione, l’intendente è l’agente del sovrano in periferia, uno strumento così utile da destare l’accesa ostilità di molti parlamenti locali, che, gelosi della propria autonomia, avanzeranno più di un tentativo di abolizione44. La corrente

storiografica che guarda all’intendente come al progenitore del prefetto napoleonico trova in Tocqueville un autorevole

sostenitore. Il noto storico liberale evidenzia come entrambe le figure godano di una legittimazione esclusiva al disbrigo degli affari amministrativi di competenza statale, terminali unici di tutte le istanze locali45. Tali poteri derivano all’intendente dalla delega del Conseil du Roi, cui risponde in quanto commissarie départi e dal quale

può essere revocato, operando in settori come l’amministrazione tributaria, le opere pubbliche e di quella che oggi chiameremmo, in buona approssimazione, “assistenza sociale”. Non solo:

l’intendente vigila sulle amministrazioni municipali, conosce delle controversie sulla riscossione delle imposte, i lavori e il trasporto pubblico, adottando ordinanze suscettibili di appello solo dinanzi al

Conseil du Roi. Il sesto capitolo della seconda parte dell’opera dello

storico parigino sull’Antico Regime reca una espressione che meglio di ogni altra sintetizza la tesi che afferma la perfetta consequenzialità fra intendenti e prefetti: “chi legge un prefetto, legge un intendente”46. Un così nobile padre, tuttavia, non ha

sottratto questo orientamento alle feroci critiche che gli vengono mosse a partire dagli Anni Ottanta47. Dette obiezioni sono volte

soprattutto a promuovere una riconsiderazione del ruolo dell’intendente, a mente della quale questi, lungi dall’essere un rappresentante del potere centrale, sarebbe da ritenere

sostanzialmente un mediatore fra gli interessi – per lo più fiscali – del sovrano e quelli dei notabili locali. Entrambe le tesi incorrono però nel medesimo errore, eccedendo nella generalizzazione delle

43 Così B. Strati, Il prefetto nell’esperienza giuridica romana, in Instrumenta, Rivista di cultura

professionale, SSAI, numero 10, 2000.

44 A. Petracchi, L’Intendente provinciale nella Francia d’antico regime (1551-1648), Milano,

1971.

45 A. Tocqueville, L’Ancien Régime et la Revolution, traduzione italiana in Scritti politici,

Torino, 1968.

46 A. Tocqueville, L’Ancien Régime et la Revolution, II, XII, p.170

47 F.X. Emmanuelli, L’Intendance de provence à la fin du 17eme siecle. Edition critique de

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26 condotte: è facile immaginare che gli intendenti regi abbiano messo in atto strategie diverse a seconda delle caratteristiche delle varie realtà locali e dei rapporti di forza, ora percorrendo la via della concentrazione del potere decisionale, ora quella di una maggiore contiguità con i ceti dirigenti preesistenti.

Come emerso nel precedente paragrafo, è tuttora maggioritaria la concezione che pone il prefetto in un rapporto di filiazione rispetto all’intendente sabaudo e a quello della Francia dell’Ancien Règime, facendo leva su elementi quali: una diretta dipendenza dall’autorità centrale, artefice di nomine e di revoche; una competenza

generalista cui si accompagna quella di controllo sulle periferie e i loro notabili. Antonielli, lo abbiamo visto, non riconosce alcuna contiguità, poiché ritiene che solo con la ventata rivoluzionaria, abbattuta la palude di privilegi aristocratici sopravvissuti anche all’Ancien Règime, si sia creato il terreno ideale per un vero impianto amministrativo periferico accentrato, in cui il governo centrale tiene saldamente in pugno gli organismi locali. Da qui la genesi del

prefetto dal Commissario di governo, organo del quale parleremo a breve. Fatta tabula rasa delle plurisecolari stratificazioni,

l’amministrazione può finalmente rivolgersi a una società di individui -anzi di cittadini- e non a soggetti intrappolati in un rigido, intoccabile assetto gerarchico; in una nazione unificata è possibile instaurare un’amministrazione razionale, di cui il Commissario e il prefetto saranno i protagonisti.

Nella fase che corre dal 1789 al 1792/93 si assiste a un difficile tentativo di coniugare unità e decentramento. La convenzione raggiunge la prima fondendo le componenti di minori dimensioni nei “Départements”, circoscrizioni amministrative a loro volta articolate in cantoni e distretti; alle istanze democratiche promosse dalla rivoluzione si dà invece risposta con la formazione di

assemblee amministrative locali, i cui componenti sono selezionati tramite elezioni a suffragio universale48. La conduzione del

dipartimento viene demandata a un consiglio generale elettivo, competente in materia tributaria, e a un direttorio ristretto deputato al disbrigo degli affari ordinari. Posizione apicale nel dipartimento è quella ricoperta dal procuratore generale sindaco, direttamente dipendente dal governo, incaricato di accertare la corretta

interpretazione delle leggi da parte degli altri organi amministrativi.

48 Cfr. M. Vovelle, Il ruolo storico del prefetto, in Instrumenta, Rivista di cultura professionale,

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27 La parentesi del decentramento, bollata come “anarchica” dallo storico Aulard durante la Terza Repubblica, ha vita breve. Con la legge del 14 frimale anno II (4 dicembre 1793) la sinistra

montagnarda sostituisce i procuratori generali sindaci con i rappresentanti in missione; l’intento è chiaro: in un momento di forte instabilità politica, la traballante autorità centrale non può permettersi di perdere la presa sulle autonomie locali. Ecco dunque comparire sulla scena istituzionale i rappresentanti in missione, una sorta di prefetti ambulanti di nomina governativa, mentre l’elezione delle assemblee amministrative viene de facto abolita con le

epurazioni. Il rappresentante in missione ha una connotazione squisitamente politica e vigila su ogni organismo finanziario, giurisdizionale e amministrativo presente sul territorio. A un livello inferiore, quello distrettuale, la stessa legge poc’anzi menzionata prevede che l’attività di controllo sia espletata dagli agenti nazionali, nominati direttamente dal rappresentante del governo in missione. Con la costituzione dell’anno III si prosegue sulla via

dell’accentramento. Ancora una volta l’assetto delle

amministrazioni dipartimentali è ridisegnato: ora composte da cinque membri designati dalle assemblee elettorali, esse sono tenute a una pedissequa adesione alle scelte governative e alle disposizioni del direttorio centrale, in una condizione di soggezione resa

evidente dalla passibilità di sospensione in caso di gravi

inadempienze. L’organico dei dipartimenti consta di un segretario generale e un numero variabile di impiegati distribuiti in sezioni distinte per competenza; su tutti veglia un commissario designato dal governo. Questo schema istituzionale sopravvive al colpo di stato del 18 brumaio (9 novembre 1799), che conduce a un notevole rafforzamento dei poteri del primo console e del

direttorio, la cui influenza viene a estendersi all’attività legislativa. Formalmente titolari del potere legislativo, la Camera dei

cinquecento e quella degli anziani vedono insidiata la propria posizione dall’istituzione del Consiglio di Stato, organo di nomina elettiva competente all’adozione di leggi e regolamenti della pubblica amministrazione, sottoposti poi alla discussione del Tribunato e infine approvati dal Corpo legislativo.

Arriviamo così alla legge del 28 piovoso anno VIII (17 febbraio 1800) circa “l’assetto del territorio francese e l’amministrazione” e foriera di mutamenti radicali. Un testo legislativo di enorme importanza, al punto di essere salutato da alcuni come l’avvento

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28 dello Stato ottocentesco. Attraverso questo provvedimento le potenzialità del nuovo esecutivo sono rese concrete, in quanto l’intero apparato amministrativo è ridefinito, potenziato e meglio articolato sul territorio. Cade la struttura bipolare fondata

sull’amministrazione centrale elettiva e il commissario governativo; a ereditarne le funzioni è un funzionario nominato dal governo: il prefetto. Fin dalla sua costituzione il prefetto gode di un rilievo enorme nell’apparato amministrativo francese, in quanto posto a capo del dipartimento. In un momento storico in cui il territorio della Francia si estende anche al Belgio e alla sponda sinistra del Reno, infatti, il dipartimento rappresenta l’unità di riferimento ai fini dell’amministrazione: le 98 unità previste nell’anno VIII diventeranno 130 all’epoca del Grande Impero, in virtù delle

numerose annessioni dirette decise dal Bonaparte. Il dipartimento è ripartito in circoscrizioni di estensione superiore ai vecchi distretti, a loro volta suddivise in cantoni. Per ognuno dei tre livelli, dunque, vi è un corrispondente funzionario dello Stato: al dipartimento è preposto il prefetto, alla circoscrizione il sottoprefetto e infine al comune il sindaco. Ognuno di questi funzionari si avvale di collaboratori e assessori, mentre i consigli deliberanti, espressione del notabilato, offrono un’assistenza sporadica; prova ne sia il lapidario giudizio di J. Bouineau, secondo il quale essi sarebbero ormai meri “paraventi di democrazia”49, innocua concessione alla

memoria delle assemblee locali del periodo rivoluzionario.

Troviamo quindi un consiglio di prefettura a livello dipartimentale, un consiglio circoscrizionale e uno municipale. Parigi serba uno statuto peculiare, con l’istituzione di un prefetto della “Seine” e un prefetto di polizia, entrambe figure competenti in materia di ordine pubblico; nomine, queste, che tradiscono un più o meno velato timore di un’eventuale reiterazione delle turbolenze rivoluzionarie, in una capitale ancora scossa da agitazioni e tumulti.

Come già per il Tribunato, il Senato e il Consolato, Napoleone attinge al patrimonio romanistico per dare un nome alla istituzione prefettizia, fresca di conio. L’appello alla tradizione, ancora una volta, è pertanto funzionale a dotare la nuova figura di un’autorità superiore, ammantandola di un prestigio che è diretta emanazione del fascino dei classici, mai così forte da secoli come in questo momento storico. Grande è la considerazione che il Bonaparte

49 Cfr. M. Vovelle, Il ruolo storico del prefetto, in Instrumenta, Rivista di cultura professionale,

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29 nutre nei confronti della sua creatura istituzionale, nonché della utilità che essa potrà rivestire nel suo disegno politico accentratore. Ancora a Sant’Elena, il grande conquistatore parlerà dei prefetti come di “imperatori dai piccoli piedi”. Il cordone ombelicale che lega il prefetto all’autorità centrale è molto saldo: la nomina spetta infatti al governo, così anche il potere di revoca; lo stesso vale per il suo più stretto collaboratore, il segretario generale. Al prefetto è altresì preclusa, in difetto di un’autorizzazione, la possibilità di allontanarsi dal dipartimento che gli è affidato, di cui deve ispezionare integralmente il territorio a cadenza annuale. Fin da subito quella prefettizia è una figura che gode di largo prestigio: indossa l’uniforme di funzione, fa parte della nuova nobiltà imperiale, percepisce lauti emolumenti. A differenza dei suoi predecessori, non è un semplice supervisore delegato dal governo, ma è responsabile delle operazioni, presiede il Consiglio generale di dipartimento e dirige gli uffici della prefettura. È, in definitiva, il tramite politico-amministrativo fra lo Stato e le rappresentanze locali, chiamato a ricondurre le seconde alla piena obbedienza. Il consiglio di prefettura è invece formato da tre o cinque membri scelti dal governo fra esponenti di spicco delle comunità, incaricati di questioni attinenti al contenzioso ammnistrativo.

La legge del mese Piovoso anno VIII è volutamente laconica nel definire le competenze prefettizie, statuendo soltanto che: “il prefetto è l’unico depositario della gestione amministrativa”. I limiti a tali prerogative sono notevoli, sebbene impliciti: il prefetto è privo di poteri in ambito di giustizia, difesa e finanza pubblica. Amplissime sono invece le prerogative per quanto concerne l’ordine pubblico, settore di cui è a capo in diretto collegamento con il Ministro dell’Interno e della Polizia; un corpo di Consiglieri di Stato provvede alle ispezioni sul suo operato per conto

dell’esecutivo. La prossimità o la lontananza da Parigi della sede di servizio, dunque, comporta un minore o più accentuato margine di manovra.

Il prefetto, del resto, non è solo un funzionario, ma anche un politico. In questa sua seconda veste monitora l’opinione pubblica, blandendo le élite con pensioni e onorificenze accattivandone le simpatie all’esecutivo; mantiene la quiete presso le fasce meno abbienti della popolazione e monitora gli oppositori. Ancora: redige l’elenco dei candidati nei collegi elettorali tanto del dipartimento quanto della circoscrizione, così anche quello dei

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