UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
LE INDAGINI DIFENSIVE
Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Valentina Bonini Candidata:
Alice Cesarali
LE INDAGINI DIFENSIVE
INDICE
Pag. Considerazioni introduttive ... IVCapitolo I
LE FONTI ISPIRATRICI E REGOLATRICI DELLA
MATERIA
1. Premessa ... 1 2. Le fonti di carattere sovranazionale ... 1 3. Le fonti di carattere nazionale: il diritto di difesa e l’importanza del
contraddittorio nella Costituzione ... 4 4. La collocazione dei codici deontologici nel sistema delle fonti delle indagini difensive ... 7
Capitolo II
IL LENTO CAMMINO NORMATIVO VERSO UNA
DISCIPLINA ORGANICA
1. Premessa ... 10
2. I limiti posti all’attività d’indagine del difensore nel sistema processuale inquisitorio del 1930 ... 10
3. Il Congresso Nazionale Forense del 1947: il diritto di difendersi investigando ... 14
4. La disciplina delle indagini difensive nell’impianto originario del Codice di rito del 1988 ... 15
5. Le parziali aperture giurisprudenziali introdotte con la novella del 1995 .... 22
6. Le modifiche apportate dalla “Legge Carotti” ... 24
7. Verso la tipizzazione del quadro normativo: la legge 7 dicembre 2000, n. 397 e la codificazione deontologica dell’Unione delle Camere Penali Italiane ... 26
Capitolo III
LA RINNOVATA DISCIPLINA DELLE
INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
1. Premessa ... 302. I soggetti legittimati al compimento di atti d’investigazione ... 31
3. I limiti soggettivi in relazione alle fonti dichiarative ... 40
3.1. Le formalità propedeutiche all’acquisizione di notizie ... 48
3.2. Le modalità di acquisizione della prova ed i relativi limiti ... 53
4. Il regime di inutilizzabilità delle dichiarazioni ricevute e delle informazioni assunte ... 57
6. L’assunzione della prova a mezzo di incidente probatorio ... 65
7. Il potere di segregazione del pubblico ministero ... 71
8. L’attività investigativa preventiva... 74
9. L’accesso ai luoghi e le relative attività espletabili ... 80
10. Il fascicolo del difensore ed il regime di utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva ... 87
11. (cenni) L’utilizzabilità delle risultanze delle investigazioni difensive all’interno del rito abbreviato ... 96
CONCLUSIONI ... 99
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
La presente tesi affronta il tema delle indagini difensive, introdotte con legge 7 dicembre 2000, n. 397 e ne analizza la relativa disciplina codicistica, tenendo altresì conto di quelli che sono stati gli interventi interpretativi non solo da parte della giurisprudenza e della dottrina ma anche sul versante deontologico.
La prima parte introduce il tema delle indagini difensive volgendo uno sguardo alle fonti di diritto sovranazionale e comunitario, nonché a quelle di diritto interno, che contemplano e/o sanciscono il diritto di difesa e di cui la disciplina delle indagini difensive ne rappresenta una estrinsecazione.
Sul piano delle fonti di diritto internazionale, viene richiamata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948 e la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, firmata a Parigi il 20 marzo 1952 dagli Stati aderenti al Consiglio d’Europa e resa esecutiva in Italia con la legge n. 848/1955. In tema di fonti di origine comunitaria, si fa riferimento agli artt. 107 e 108 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione – contenuti nella parte seconda della Costituzione europea precisamente al titolo VI in tema di giustizia -, i quali sanciscono il diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale, il principio di presunzione di innocenza e i diritti della difesa.
Con riguardo alle fonti di diritto interno, interno viene analizzata l’ampia tutela costituzionale riconosciuta al diritto di difesa dall’art. 24 Cost. secondo cui “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e
dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n 2 che ha introdotto nostra Carta costituzionale i principi del “giusto processo”.
La seconda parte della tesi affronta il tema delle indagini difensive - sia dal lato del diritto positivo in senso stretto che da quello strettamente deontologico – ripercorrendone la turbolenta evoluzione storica a partire dal codice di rito del 1930 per arrivare a quello dell’1988 - dove la materia in esame, seppur timidamente riconosciuta, venne confinata al di fuori del corpus codicistico ovvero nelle disposizioni attuative, precisamente all’art. 38 -, passando poi per la legge 8 agosto 1995, n. 332, recante “Modifiche al codice di
procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa” e la legge 16 dicembre 1999, n.
479, conosciuta come “legge Carotti” recante “Modifiche alle
disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense”,
fino a giungere alla legge 7 dicembre 2000, n. 397.
La terza parte della tesi è interamente dedicata all’analisi del rinnovato quadro normativo delle indagini difensive, così come introdotto dalla legge 397/2000 - precisamente gli artt. 391 bis, ter, quater quinquies,
sexies, septies, octies, nonies e decies -, anche in relazione alle “Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive” elaborate dall’Unione delle camere penali italiane
definitivamente approvate dal Consiglio dell’unione stessa il 14 luglio 2001.
studio dottrinario e giurisprudenziale, quelli che sono i punti a favore del difensore apportati dalla riforma sulle indagini difensive e quelli che ancora oggi segnano uno squilibro normativo tra il soggetto dell’accusa e quello della difesa, nonché le lacune e le criticità normative che emergono dalla lettura di alcune norme non sempre cristalline nella loro formulazione. Vedremo anche come l’interpretazione della disciplina in esame, per via di alcune importanti lacune e dei pochi orientamenti giurisprudenziali, debba spesso far ricorso alle regole deontologiche per fornire alcune soluzioni in grado di rendere operative le norme sulle indagini difensive, norme deontologiche che svolgono un ruolo talvolta suppletivo e talvolta integrativo allorquando non sia possibile (o non si voglia) arrivare ad una interpretazione logico-sistematica costituzionalmente orientata.
Capitolo I
LE FONTI ISPIRATRICI E REGOLATRICI DELLA
MATERIA
SOMMARIO – 1. Premessa - 2. Le fonti di carattere sovranazionale - 3. Le fonti di carattere nazionale: il diritto di difesa e l‟importanza del principio del contradditorio nella Costituzione – 4. La collocazione dei codici deontologici nel sistema delle fonti delle indagini difensive
1. Premessa
Lo studio delle norme che regolano l‟agire del difensore sul piano delle investigazioni difensive non può prescindere da una ricognizione delle fonti che regolano tale materia.
Lo scenario normativo di riferimento è costituito non solo da disposizioni di diritto interno, ma anche di origine internazionale e comunitaria.
A riguardo possono dirsi, in senso lato, fonti delle indagini difensive tutte quelle disposizioni che sanciscono e/o esplicano il diritto di difesa, di cui la materia in oggetto costituisce indubbia estrinsecazione.
2. Le fonti di carattere sovranazionale
Per quanto riguarda la normativa di carattere internazionale, è possibile fare riferimento alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell‟Uomo, approvata dall‟Assemblea Generale dell‟ONU il 10 dicembre 1948 ed alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà Fondamentali, firmata a Parigi il 20 marzo
1952 dagli Stati aderenti al Consiglio d‟Europa e resa esecutiva in Italia con la legge n. 848/19551.
Entrambi i testi, benché non richiamino espressamente le investigazioni difensive, hanno notevole rilevanza nello scenario delle fonti che regolano questa materia, in quanto ci offrono una lettura attiva e dinamica del diritto di difesa2.
Per quanto riguarda la citata Dichiarazione Universale dei Diritti dell‟Uomo, trattasi di un documento di alto rilievo politico-ideologico che, nonostante il suo aspetto meramente programmatico, è stato capace di incidere profondamente sull‟evoluzione culturale e normativa della società moderna.
In particolare, tra i diritti fondamentali tutelati e garantiti dalla Dichiarazione, è ricompreso proprio il diritto di difesa3.
È l‟art. 11 che contempla il diritto di difesa, il quale recita che “ogni
individuo accusato di reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso”.
1
Legge 4 agosto 1995, n. 848 - “Ratifica ede esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà Fondamentali”, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952” -, pubblicata in Gazzetta Ufficiale – Serie Generale, n. 221 del 24 agosto 1955.
2
A. DI MAIO, Le indagini difensive, CEDAM, 2001, pag. 3 e ss.
3
In particolare, il diritto di difesa viene preso in considerazione dagli artt. 8, 9, 10 e 11 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell‟Uomo.
La Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà Fondamentali rappresenta invece una prima e concreta forma di attuazione della Dichiarazione dei Diritti dell‟Uomo, con valore vincolante in quanto appositamente ratificata.
L‟art. 6, comma 4, delinea analiticamente il contenuto del diritto di difesa: “ogni accusato ha diritto soprattutto a:
a) essere informato, nel più breve tempo, in una lingua che
comprende ed in maniera dettagliata, del contenuto dell‟accusa elevata contro di lui;
b) disporre del tempo e della possibilità necessari a preparare la
difesa;
c) difendersi personalmente o con l‟assistenza di un difensore di sua
scelta e, se non ha mezzi di pagare un difensore, per poter essere assistito gratuitamente da un avvocato di ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
d) di interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la
citazione e l‟interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico;
e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o
non parla la lingua estera in udienza”.
Il diritto di difesa trova tutela anche all‟interno della Costituzione Europea4, precisamente nella sua parte II contenente la Carta dei Diritti Fondamentali dell‟Unione Europea, dove, nel titolo VI, in tema di giustizia, troviamo l‟art. 107 che garantisce il diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale: “ogni persona i cui diritti
4
Con l‟espressione “Costituzione Europea” si suole indicare il Trattato che adotta una Costituzione per l‟Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e pubblicato in Gazzetta
Ufficiale dell‟Unione Europea – C 310, del 16 dicembre 2004 (reperibile su
e le cui libertà garantiti dal diritto dell‟Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste dal presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.
Ai fini della presente indagine assume particolare rilevanza l‟art. 108, rubricato “Presunzione di innocenza e diritti della difesa”, secondo il quale “ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua
colpevolezza non sia stata legalmente provata. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato”.
3. Le fonti di carattere nazionale: il diritto di difesa e
l’importanza del principio del contradditorio nella
Costituzione
Passando alle fonti di diritto interno, rileva innanzitutto l‟ampia tutela accordata al diritto di difesa dalla nostra Carta Costituzionale.
La disposizione cardine è rappresentata dall‟art. 24, comma 2 Cost., secondo cui ”la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del
procedimento”.
Per comprendere la ratio delle investigazioni difensive è opportuno fare un analisi del valore che assume il diritto di difesa nel sistema processuale vigente, in quanto – sebbene osteggiato e svilito dal
pregiudizio -, il diritto di difendersi investigando ritrae la manifestazione più individualista del diritto di difesa.
Quest‟ultimo rappresenta in primis un diritto individuale, ovvero risponde alla moderna concezione penalistica che un soggetto accusato abbia diritto di difendersi, almeno il linea di principio, su un piano paritetico rispetto a chi ha interesse all‟applicazione di una pena.
In secondo luogo, tale diritto svolge una funzione di garanzia del corretto accertamento giudiziale.
Una garanzia, quella inscritta all‟art. 24 Cost., che senza alcuna ombra di dubbio ha portato il legislatore del 1988 all‟adesione di un modello processuale tendenzialmente accusatorio, denso dei principi del giusto processo ed in coerenza con le istanze di tutela dell‟indagato.
In merito a quanto appena accennato va ricordato che il processo non è un mezzo di ricerca di verità materiali, perché come sappiamo il fatto umano è imperfetto e la metodologia propria di ogni accertamento processuale è un‟ indagine ex post, e dunque inidonea a fornire conoscenze assolute ed incontestabili.
Il giudice, quindi, formerà il proprio convincimento su affermazioni probatorie e tali fatti saranno processualmente veri nella misura in cui risulteranno dimostrati sulla base delle risultanze emerse nel contraddittorio tra le parti.
In questo senso si può affermare che la prova non dia alcuna certezza in ordine all‟esistenza di un fatto, ma fornisce al giudice il motivo per considerare credibile l‟affermazione di una parte in ordine alla sua esistenza o inesistenza.
Ecco quindi che, in un sistema strutturalmente inidoneo a provare la verità, il principio del contradditorio rappresenta il metodo di
conoscenza ritenuto dal legislatore come il più consono ad assumere l‟accertamento dei fatti nel modo più corretto possibile, e solo fornendo anche alla difesa la possibilità di attingere al materiale probatorio con le stesse condizioni in cui ciò è riconosciuto all‟accusa, è possibile realizzare una vera parità ed un vero contraddittorio.
La parità tra accusa e difesa nella formazione della prova è di natura sostanziale e non meramente formale.
Ciò comporta che questa si realizza effettivamente allorquando le parti abbiano parità di accesso alle fonti di prova ovvero a quegli elementi che, reperiti o conosciuti in sede di indagini preliminari, diventano elementi conoscibili dal giudice in sede di giudizio, attraverso i meccanismi dell‟acquisizione della prova.
Di qui l‟osservanza di tale principio quale garanzia di un giusto processo.
Ed in tal senso è facile intuire che la norma costituzionale che rileva maggiormente rispetto alla materia delle indagini difensive è senza dubbio l‟art. 111 Cost., così come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 25, che ha introdotto nella nostra Carta costituzionale i principi del “giusto processo”.
Il nuovo art. 111 Cost. sancisce il principio del contraddittorio nella formazione della prova, e prevede che ogni processo debba svolgersi “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a
giudice terzo e imparziale”.
Il nuovo dettato costituzionale garantisce all‟accusato di un reato il diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa, oltre che il diritto di ottenere la convocazione
5
Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 – “Inserimento dei principi del giusto processo nell‟art. 111 della Costituzione” -, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 1999.
e l‟interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell‟accusa e l‟acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Tale riforma ha dato un forte impulso all‟approvazione di una disciplina organica dell‟attività investigativa compiuta dal difensore, sebbene la materia, in realtà, è stata oggetto di numerosi interventi legislativi succedutisi nel tempo e conclusisi con la legge 7 dicembre 2000, n. 3976.
Attualmente la disciplina delle investigazioni difensive trova la sua sede all‟interno del Codice di Procedura Penale agli artt. 391 bis e seguenti7.
Le norme sulle investigazioni difensive e la riforma dell‟ art 111 cost. hanno rappresentato una grande rivoluzione rispetto al sistema delineato in precedenza, consentendo al difensore - almeno in linea di principio - di attingere al materiale probatorio con le stesse facoltà e gli stessi limiti del pubblico ministero, salvo valutare le disponibilità di mezzi, non ultimo quelli economici.
4. La collocazione dei codici deontologici nel sistema delle fonti delle indagini difensive
All‟interno del contesto delle fonti appena delineato, è importante capire quale sia la collocazione e la funzione dei Codici Deontologici relativi ai soggetti legittimati allo svolgimento delle indagini difensive.
6
Legge 7 dicembre 2000, n. 397 – “Disposizioni in materia di indagini difensive” -, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2001.
7
Il contenuto delle singole disposizioni introdotte dalla legge verrà analizzato nel III capitolo. La materia delle indagini difensive trova, seppure indirettamente, regolamentazione anche in fonti ordinarie diverse dal codice di rito: si ricordi il r.d. 18 giugno 1931, n. 773, disciplinante l‟attività di investigazione privata e il relativo regolamento di esecuzione approvato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635.
È opportuno precisare che questi si pongono su di un piano diverso da quello delle fonti normative in senso proprio. Essi non costituiscono fonte del diritto, in quanto non possiedono la forza cogente tipica degli atti normativi e pertanto non sono in grado di innovare l‟ordinamento giuridico. Le norme deontologiche, infatti, si risolvono in canoni di natura etica, idonei ad orientare il comportamento professionale e l‟attività dei soggetti destinatari, ma la loro trasgressione rileva esclusivamente in sede disciplinare.
Tuttavia, attesa la delicatezza della materia e nonostante la loro inidoneità a creare diritto, i Codici Deontologici hanno un rilievo notevole e questo in ragione del fatto che il legislatore, in materia di facoltà investigative del difensore, ha sempre adottato interventi normativi a singhiozzo, con l‟effetto di lasciare, nel tempo, numerosi spazi ed interrogativi aperti all‟etica del professionista.
Ed è proprio a causa di un percorso storico-giuridico turbolento che le norme deontologiche svolgono, in materia di investigazioni difensive, la importantissima funzione di costituire dei punti di riferimento imprescindibili.
La necessità per l‟avvocato penalista di affiancarsi a parametri comportamentali ben precisi nel compimento dell‟attività di indagine, deriva dalla delicatezza della materia, in quanto svolgere investigazioni nell‟interesse del proprio assistito può ritenersi non solo legittimo, ma in alcuni casi addirittura doveroso nell‟ambito di una diligente esecuzione del mandato.
Nel nostro sistema processuale penale, le norme disciplinanti le facoltà del difensore si sono delineate solo a partire dal 1988, attraverso un percorso lento ed osteggiato ed è stata soprattutto la classe forense a dimostrarsi “molto sensibile al tema, concordando
sulla necessità di un‟individuazione precisa, in forma scritta, delle regole del penalista”8.
L‟analisi delle norme deontologiche che reggono l‟attività del difensore nell‟ambito dello svolgimento delle indagini difensive, non può prescindere dallo studio delle relative norme contenute nel codice di procedura penale, realizzando così un rapporto biunivoco di comunicazione tra i due sistemi, ancorché autonomi fra loro e differenti sul piano della portata precettiva.
Così ragionando, in queste sede, le norme deontologiche non assolvono solo ad una funzione meramente accessoria sul piano etico- professionale della disciplina dettata a livello codicistico, ma assumono invece una peculiarità tale da aver talvolta anticipato il contenuto dei successivi interventi del legislatore.
La comunicazione tra i due sistemi è dunque un dato imprescindibile per mettere in evidenza la funzione esplicativa ed integrativa assunta dalle norme deontologiche rispetto al dato codicistico.9
8
E. RANDAZZO, Deontologia e tecnica del penalista, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 11.
9
In tal senso, S. CERVETTO, La deontologia del difensore nell‟ambito delle
investigazioni difensive (parte prima), in Convegno di Deontologia, reperibile su
Capitolo II
IL LENTO CAMMINO NORMATIVO VERSO UNA
DISCIPLINA ORGANICA
SOMMARIO – 1. Premessa - 2. I limiti posti all’attività di indagine del difensore nel sistema processuale inquisitorio del 1930 - 3. Il Congresso Nazionale Forense del 1947: il diritto di difendersi investigando – 4. La disciplina delle indagini difensive nell’impianto originario del Codice di rito del 1988 - 5. La parziali aperture giurisprudenziali introdotte con la novella del 1995 – 6. Le modifiche apportate dalla “Legge Carotti” - 7. Verso la tipizzazione del quadro normativo: la legge 7 dicembre 2000, n. 397 e la codificazione deontologica dell’Unione delle Camere Penali Italiane
1. Premessa
Lo studio delle investigazioni difensive non può prescindere da un preliminare excursus storico finalizzato ad evidenziare e comprendere il tortuoso percorso normativo e giurisprudenziale che ha spinto il legislatore ad intervenire con la legge 7 dicembre 2000, n. 397.
L‟analisi della normativa in esame si articolerà mettendo al centro il diritto di difesa, punto cardine della disciplina delle indagini difensive, e la contemporanea evoluzione normativa delle regole deontologiche.
2. I limiti posti all’attività di indagine del difensore nel sistema processuale inquisitorio del 1930
Prima del Codice di Procedura Penale “Pisapia – Vassalli” del 198810, l‟investigazione e la prova erano oggetto di un ferreo ed assoluto monopolio pubblico.
10
Il Codice di Procedura Penale del 1988 venne redatto da una Commissione, nominata dal Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e presieduta dal Prof. Gian Domenico
Ed anche il Codice Penale “Rocco” del 193011, seppur formalmente ispirato ad un sistema misto, evidenziava, soprattutto nella fase predibattimentale, molti dei caratteri tipici del processo inquisitorio. L‟articolazione processuale si dispiegava in due fasi distinte: la fase istruttoria, caratterizzata dalla segretezza, diretta a raccogliere gli elementi necessari all‟accertamento della verità, e la fase di giudizio destinata invece all‟assunzione delle prove orali e in contradditorio. In un tale contesto, la formazione della prova aveva natura essenzialmente pubblicistica ed era principalmente legata al ruolo delle tre figure pubbliche: il pubblico ministero, il giudice istruttore e il giudice del dibattimento.
(i) Pubblico Ministero:
parte processuale ed al contempo organo pubblico deputato all‟istruzione sommaria, riuniva, insieme al potere di assumere le prove e di adottare misure restrittive della libertà dell‟imputato, un ulteriore potere di archiviazione diretto e cioè non più condizionato all‟autorizzazione del giudice, come già era previsto nel Codice del 1913.
(ii) Giudice Istruttore:
procedeva d‟ufficio alla ricerca delle prove, che assumeva in segreto, e decideva altresì per il rinvio a giudizio dell‟imputato.
(iii) Giudice del Dibattimento:
si avvaleva di tutti i verbali degli elementi probatori raccolti in segreto nella fase anteriore. Ciò comportava che la fase dibattimentale si
Pisapia. Il testo venne approvato con d.p.r. 22 settembre 1988, n. 447, pubblicato in
Gazzetta Ufficiale n. 250 – Suppl. Ordin. n. 92 del 24 ottobre 1988.
11
Il Codice in materia penale venne emanato in sostituzione di quello del 1889 (Codice “Zanardelli”). Realizzato in pieno regime Fascista da una Commissione dei più illustri giuristi dell‟epoca - presieduta dall‟allora Ministro Alfredo Rocco, di cui prese il nome -, venne promulgato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, pubblicato in Gazzetta Ufficiale –
riducesse ad una analisi, seppur argomentata, delle prove raccolte durante la fase istruttoria, realizzando così una finzione di procedimento accusatorio. La fase decisionale, pertanto, era fortemente condizionata dalla precedente fase istruttoria.
In un contesto del genere, l‟attività del difensore era di natura meramente confutativa: la difesa era considerata un‟attività di controdeduzione logica delle risultanze accusatorie del pubblico ministero, che nella fase dibattimentale si realizzava essenzialmente in una contestazione dialettica mirata alla censura di eventuali irregolarità procedimentali o relative agli elementi acquisiti agli atti, atti che - si ricordi bene - erano il frutto di indagini svolte nella massima segretezza dai soggetti preposti a controllare la fondatezza della notizia di reato.
Il Codice “Rocco”, tuttavia, non prevedeva alcuna norma diretta ad ostacolare l‟attività di ricerca di elementi di prova da parte del difensore.
Questa, però, era tacitamente esclusa da una giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense, arroccata intorno ad ideali ormai desueti. Basti ricordare l‟istituto della testimonianza, rispetto al quale veniva considerato comportamento deontologicamente scorretto e suscettibile di dar luogo a responsabilità penale, il contatto tra difensore ed il teste su fatti di causa prima dell‟audizione da parte dell‟autorità giudiziaria12
, anche se a favore del proprio cliente13.
12
E. RANDAZZO, Deontologia e tecnica del penalista, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 78, definisce tale atteggiamento da parte degli ordini professionali come una “sorta di incomprensibile autoflagellazione”.
13
Comportamento ritenuto contrario ai principi di correttezza e lealtà, e quindi lesivo della dignità e del decoro professionale14.
Ai fini della qualificazione dell‟illecito, era sufficiente il semplice colloquio con il difensore (e non anche l‟essere influenzati attivamente dal professionista) quale condizione oggettiva capace di dar luogo a ”suggestioni e turbamenti dell‟animo” dei testimoni, idonei a limitarne “la libertà, la sincerità e la obiettività”15.
La materia presentava caratteri illogici, dal momento che da una parte il Codice di rito permetteva alle parti private la facoltà di richiedere al giudice istruttore o a quello del dibattimento l‟ammissione dei testimoni, dall‟altra le regole deontologiche precludevano il colloquio con questi ultimi, ovvero il controllo sulle loro dichiarazioni, così che un eventuale teste a discarico poteva trasformarsi in un potenziale teste a carico16.
Tuttavia, sull‟altro versante, la dottrina aveva sostenuto la tesi favorevole alla libertà di investigazione difensiva, ritenendo doverosa la sua esplicazione da parte del difensore17.
14
Trattasi di principi richiamati dalla legge professionale: cfr. artt. 12, commi 1 e 38, r.d. 27 novembre 1933, n. 1578 – ”Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore” -, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 281 del 5 dicembre 1933.
15
Così, Cons. Naz. For., 8 gennaio 1976, Avv. A.D., in Rass. forense, 1978, pag. 149.
16
Atteggiamento che trova la sua giustificazione nella natura inquisitoria del rito penale del tempo, dove l‟attività del difensore si concentrava essenzialmente nella discussione finale e non nella fase istruttoria.
17
Per un approfondimento della posizione dottrinale favorevole alle investigazioni difensive, si rimanda a V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, 6° ed., a cura di G. CONSO e G.D. PISAPIA, vol. II, UTET, Torino, 1968, pag. 552 e ss.
3. Il Congresso Nazionale Forense del 1947: il diritto di difendersi investigando
Storicamente, la problematica delle investigazioni difensive nasce in seno al Congresso Nazionale Giuridico Forense tenutosi a Firenze nel 1947.
In quella sede Giovanni Leone 18, spinto da uno spirito innovatore in linea con quello dei nostri Padri Costituenti, evidenziò come fossero oramai maturi i tempi per una rivisitazione del modo di concepire la funzione difensiva, intesa non più come attività statica di confutazione delle risultanze descritte e dimostrate dal pubblico ministero, ma come esercizio autonomo e dinamico del diritto di difesa.
La proposta fu quella di introdurre l‟avviso di procedimento19 , in quanto solo la conoscenza di un procedimento mosso a carico di un soggetto avrebbe consentito a questi di garantirgli un tempestivo esercizio del diritto di difesa che l‟art. 24 della Costituzione20 considera inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Procedimento e non processo!
Ciò stava a significare che tale diritto, secondo l‟intenzione dei nostri Padri Costituenti, andava garantito sin dalla fase introduttiva attraverso un‟autonoma ricerca della prova: la conoscenza di un addebito è di fatti il primo momento utili per potersi difendere.
Tuttavia, il timore che un esercizio del diritto di difesa in una fase prodromica a quella del dibattimento collidesse con l‟attività investigativa della magistratura inquirente - che ben poco condivideva l‟idea di spartire con altri l‟esercizio delle attività poste all‟indagine -,
18
Giovanni Leone (Napoli, 3 novembre 1908 – Roma, 9 novembre 2001) politico, avvocato, giurista italiano e sesto Presidente della Repubblica italiana (1971-1978).
19
Strumento processuale che avrebbe consentito all‟imputato di esercitare tempestivamente il diritto di difesa in modo effettivo e non virtuale.
20
costituì un ostacolo significativo all‟introduzione dell‟ avviso di procedimento.
L‟importanza di questo istituto fu definitivamente sancita prima del 1950, anno in cui venne sottoscritta la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà Fondamentali e successivamente, nel 1999, con la riforma costituzionale che ha introdotto il comma 3 dell‟art. 111 Cost.21
.
4. La disciplina delle indagini difensive nell’impianto originario del Codice di rito del 1988
Con l‟entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale del 198822, venne gettato il seme di quelle che oggi sono considerate le attività del difensore. Si trattava pur tuttavia di una disciplina timida, retaggio di una cultura inquisitoria, propria del codice precedente. L‟art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 8123
recante ”Delega
legislativa al Governo della Repubblica per l‟emanazione del nuovo codice di procedura penale”, conteneva direttive volte a realizzare,
nel nuovo codice, i caratteri del sistema accusatorio, quali “la
massima semplificazione nello svolgimento del processo”24,
“l‟adozione del metodo orale”25
e la “partecipazione dell‟accusa e
della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento”26.
21
Vedi capitolo I , paragrafo 3.
22
Vedi supra, nota n. 10.
23
Pubblicata in Gazzetta Ufficiale – Suppl. Ordin. n. 62 del 16 marzo 1987, la legge delega conteneva le direttive a cui il Governo si sarebbe dovuto attenere e che avrebbero caratterizzato l‟impianto del nuovo codice di rito. La delega fu reiterata nelle successive legislature e nella Xª fu adempiuta dal Ministro Giuliano Vassalli.
24
Art. 2, comma 1, punto 1.1. legge delega n. 81/1987.
25
Ibidem.
26
L‟attività investigativa della difesa, a seguito della legge delega, trovò però collocazione normativa al di fuori del corpus codicistico, ovvero all‟interno dell‟art. 38 disp. att. c.p.p.27
rubricato ”Facoltà dei
difensori per l‟esercizio del diritto alla prova”28
e collocata tra le
”Disposizioni relative alle parti private e ai difensori”.
Questa collocazione, però, stante la delicatezza della materia, venne ampliamente criticata dalla dottrina29, che non mancò di sottolineare una certa ostilità, da parte della giurisprudenza, nel veder riconosciuto (ed attuato) il principio della parità delle armi.
In particolare, l‟art. 38 disp. att. c.p.p. conferiva al difensore la facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che potessero dare informazioni. Tuttavia la norma si limitava a sancire questa facoltà investigativa con toni tenui, mancando infatti una vera e propria tipizzazione delle attività che potevano essere svolte, con la conseguenza che l‟art. 38 disp. att. c.p.p. finiva per assumere la veste di una norma più programmatica che precettiva in senso stretto. Si limitava infatti a disporre che ”al fine di esercitare il diritto alla prova
previsto dall‟art. 190 del codice, i difensori, anche a mezzo di sostituti e di consulenti tecnici, hanno facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio
27
Approvate con d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 – “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale” -, pubblicato in Gazzetta Ufficiale – Suppl.
Ordin. n. 182 del 5 agosto 1989.
28
L‟art. 190 c.p.p. ed il principio di parità tra accusa e difesa non trovarono da subito spazio nel tessuto codicistico. Tale articolo, rubricato “Diritto alla prova”, recita: “Le
prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio. I provvedimenti sull‟ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio”.
29
Sul punto vedi P. FERRUA, La formazione delle prove nel nuovo dibattimento: limiti
all‟oralità e al contraddittorio, in P. FERRUA, Studi sul processo penale, Giappichelli,
assistito e di conferire con le persone che possano dare informazioni”, mentre al comma 2 precisava che tale attività ”può essere svolta, su incarico del difensore, da investigatori privati autorizzati”.
Nulla si diceva, ad esempio, in merito alle persone contattabili dal difensore, ai colloqui, alle modalità di acquisizione dei risultati dell‟investigazione, alla loro conservazione e documentazione, nonché in merito alla loro valenza e spendibilità in sede processuale.
La giurisprudenza, pertanto, aveva ampi margini di manovra per depotenziare il contenuto dell‟art. 38 disp. att. c.p.p., soprattutto in termini di spendibilità delle risultanze dell‟attività investigativa in sede processuale.
La Corte di Cassazione giunse ad affermare che tutti gli elementi probatori dovevano essere canalizzati sul pubblico ministero, atteso che questi, durante le indagini preliminari, “non è parte, bensì è
l‟unico organo preposto, nell‟interesse generale, alla raccolta ed al vaglio dei dati positivi e negativi afferenti fatti di possibile rilevanza penale”30, andando così a privare il difensore del potere di assumere autonomamente l‟elemento di prova.
L‟impossibilità di far confluire in dibattimento gli elementi raccolti dalla difesa, la difficoltà di riconoscere ad essi il valore di prove e l‟assenza di previsioni normative sulle forme di documentazione dell‟indagine difensiva, nonché una certa diffidenza nei confronti dell‟avvocato, avvallata anche dall‟ostilità deontologica degli organi disciplinari forensi, imponevano alla difesa di mantenere nuovamente
30
Corte di Cassazione Penale, Sez. Fer., sentenza del 18 agosto 1992. A riguardo, in dottrina, osserva N. TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, Giuffrè, 2002, pag. 53 e ss., che attraverso la c.d. „teoria della canalizzazione‟ (vedi infra nota n. 35) si andava a depotenziare l‟utilizzabilità dei risultati dell‟indagine del difensore.
il tradizionale ruolo passivo, lasciando ancora il “monopolio” di tale attività al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria31, conferendo all‟art. 38 disp. att. c.p.p. quasi il solo scopo di assicurare la liceità deontologica dell‟attività investigativa difensiva32
.
Alla luce di questa nuova disciplina, il divieto deontologico per il difensore di prendere contatto con il potenziale testimone e di svolgere attività parallela al pubblico ministero, perse la sue efficacia.
Lo stesso Consiglio Nazionale Forense si dichiarò favorevole ai contatti tra difensore e testimone ed all‟espletamento dell‟attività investigativa difensiva quale estrinsecazione del diritto alla prova33. Prima della riforma del 1995, in verità, il ceto forense manifestò una maggior sensibilità verso tale materia, suggerendo la possibilità, con opportuni accorgimenti, di utilizzare il dato investigativo al fine di impedire l‟emissione di misure cautelari.
Tuttavia, il pericolo per il difensore di commettere illeciti penali - come il reato di favoreggiamento personale - e la genericità dell‟art. 38 disp. att. c.p.p., fece avvertire in modo forte la necessità di una codificazione precisa delle regole di comportamento del professionista in tema di investigazioni.
I molteplici rischi per il difensore venivano sottolineati anche nella Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia sul nuovo codice di procedura penale, presentata al Parlamento in data 10 ottobre 1990, in cui si legge che “il rapporto con i testimoni, e
l‟indagine su quanto essi sanno, mettono il difensore in una situazione
31
Così come minuziosamente trattata dal Libro V del c.p.p.
32
In tal senso, N. TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, Giuffrè, 2002, pag. 32 e ss.
33
Si veda il parere del Consiglio Nazionale Forense sull‟art. 33 prog. def. disp. att. in G. CONSO - V. GREVI - G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale, vol. VI, t. I, CEDAM, pag. 277 e ss.
nella quale il discrimine tra richiesta di informazioni e suggerimento della risposta desiderata può diventare sottile. Tanto più che, spesso, il contatto con il teste verrà procurato da parenti, amici e, non raramente, da complici dell‟accusato. È auspicabile che vengano a formarsi chiare regole deontologiche soprattutto per le garanzie che il difensore corretto ha il diritto di precostituirsi tanto nei confronti della persona con cui ha preso contatto, quanto nei confronti dello stesso assistito”34.
La giurisprudenza rimase comunque diffidente nei confronti del ruolo dl “difensore-inquirente”, timorosa si potesse generare un turbamento delle attività investigative di matrice pubblica ed espresse le proprie perplessità dando vita alla c.d. „teoria della canalizzazione‟35
degli atti di indagine difensiva, il cui effetto fu quello di porre il difensore nella penalizzante condizione di dover consegnare i propri atti all‟accusa. La canalizzazione degli atti di indagine difensiva nel fascicolo del pubblico ministero era l‟unico filtro - tra l‟altro obbligato - per giungere alla legittima valutazione del giudice, così alimentando una sorta di equivoco per cui il diritto di difesa, in fase di indagine, si riduceva sostanzialmente alla collaborazione con l‟accusa.
Il principio della canalizzazione, tuttavia, era in attrito con le dinamiche del sistema accusatorio, dato che la rappresentazione del processo adversary aveva (ed ha tutt‟ora) una struttura triangolare,
34
L. Violante, “Il nuovo processo penale e la criminalità mafiosa. Relazione della Commissione parlamentare antimafia”, in Cassazione Penale, 1990, pag. 2056 e ss.
35
Teoria di elaborazione giurisprudenziale basata sullo schema previsto dall‟art. 38 disp. att. c.p.p. in virtù del quale i risultati delle investigazioni difensive non potevano essere presentati direttamente al Giudice, ma dovevano esser consegnati dalla difesa al Pubblico Ministero, che sulla base di quanto previsto dall‟art. 358 c.p.p., avrebbe analizzato e valorizzato il materiale ritenuto favorevole alla posizione del soggetto sottoposto al procedimento, secondo il suo apprezzamento.
mentre quella delineatasi prefigurava una linea perpendicolare, alla cui base c‟è la difesa ed al vertice il giudice.36
La teoria in esame non venne risparmiata dalle critiche 37, ed è facile intuirne il perché: l‟indagato ed il difensore, oltre a dover rivolgersi al proprio antagonista - il pubblico ministero - non erano neppure sicuri di vedere utilizzato il risultato dell‟attività difensiva svolta, dato che tutto era rimesso al libero apprezzamento dell‟organo inquirente38. Basti pensare che, rispetto al contenuto precettivo dell‟art. 358 c.p.p.39, rubricato “Attività d‟indagine del pubblico ministero”, “la giurisprudenza era (ed è tutt‟ora) univoca nell‟affermare tanto che l‟obbligo (del pubblico ministero) di esperire ogni accertamento favorevole all‟indagato […] sia del tutto sprovvisto di sanzione processuale, quanto che il pubblico ministero è dotato della massima discrezionalità, da cui deriva la possibilità di non rispondere alle richieste e non svolgere gli accertamenti richiesti dalla parte”40.
Data l‟ampiezza dei poteri d‟indagine garantiti dall‟art. 358 c.p.p. al pubblico ministero ed in relazione alla lettura della norma data dalla giurisprudenza, si veniva a configurare una sorta di “ipocrisia normativa”, nel senso che, se da un lato è vero che il pubblico ministero è l‟organo pubblico deputato a raccogliere qualsiasi
36
Sul punto si veda G. GIOSTRA, Problemi irrisolti e nuove prospettive per il diritto di
difesa: dalla registrazione delle notizie di reato alle indagini difensive, in V. GREVI (a
cura di), Misure cautelari e diritto di difesa nella legge 8 agosto 1995, n. 332, Giuffrè, 1996.
37
La dottrina era sostanzialmente unanime nel contrastare la teoria della canalizzazione. Si veda a riguardo F. PERONI, “L‟ art 358c.p.p., tra antinomie codicistiche ed etiche del
contraddittorio”, in Diritto Penale Processuale, 1995, pag. 963 e ss.
38
Pubblico ministero che poteva anche leggere gli elementi di prova forniti dalla difesa in chiave accusatoria e stravolgerli dal loro significato originario.
39
La norma disciplina il contenuto dei poteri del pubblico ministero in ordine all‟indagine, cui viene riconosciuta la possibilità di svolgere tutte quelle attività tipiche o atipiche che, al termine delle indagini preliminari, consentono l‟esercizio dell‟azione penale.
40
elemento in grado di consentire la corretta ricostruzione della verità processuale – ivi compresi circostanze e fatti favorevoli all‟imputato -, dall‟altro la giurisprudenza consentiva a questo organo di disinteressarsi discrezionalmente delle richieste della difesa volte proprio a far emergere elementi a discarico dell‟indagato.
Oltretutto alcuni esponenti della magistratura, a testimonianza della persistenza dell‟ideologia inquisitoria, continuavano a ritenere che il difensore non avesse alcun potere di acquisizione delle prove, dovendo comportarsi semplicemente come un convenuto e resistere alla pretesa punitiva, senza quindi potere contribuire alla ricostruzione dei fatti.
Le innovazioni normative successive comportarono, mano a mano, una maggiore apertura, assegnando quanto meno alle ricostruzioni investigative del difensore un ruolo di secondo piano e ciò soprattutto per via della la carenza di „„fede pubblica‟‟ delle dichiarazioni ricevute dal quest‟ultimo; si era dunque, culturalmente e soprattutto normativamente, lontani dalla partecipazione paritaria di accusa e difesa al procedimento penale, auspicata dalla legge delega.
L‟esperienza di tali vicende giudiziarie suggerì un‟integrazione41 dell‟art. 38 disp. att. c.p.p., che tuttavia non valse ad eliminare gli inconvenienti propri di tale norma.
Oggi il giurista si confronta con una rinnovata disciplina delle indagini difensive , emanata in totale abolizione dell‟ art 38 disp. att. e densa di rilevanti modifiche normative.
41
Con la legge di riforma 8 agosto 1995, n. 332 – “Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione, di misure cautelari e di diritto di difesa” -, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 184 del 8 agosto 1995.
5. La parziali aperture giurisprudenziali introdotte con la novella del 1995
Come già anticipato, i dubbi interpretativi e le incertezze portarono ad un‟integrazione dell‟art. 38 disp. att. c.p.p. da parte del legislatore, realizzatosi con legge 8 agosto1995, n. 332, recante “Modifiche al
codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa”42.
Tale riforma, che come vedremo in concreto comportò una minima portata innovativa, in realtà ebbe il pregio di introdurre nella cultura dei giudici e dei difensori un principio non più legato alla necessaria canalizzazione degli elementi di prova attraverso il pubblico ministero.
Per la prima volta, infatti, si parlò di documentazione dell‟attività d‟indagine difensiva e non come documento in senso stretto, rappresentativo di un fatto che si forma al di fuori del procedimento, ma come un documento che rappresenta l‟atto del procedimento. L‟art. 38 disp. att. c.p.p., venne integrato con l‟aggiunta di due significativi commi, il 2-bis ed il 2-ter.
Al comma 2-bis si stabiliva che ”il difensore della persona sottoposta
alle indagini o della persona offesa può presentare direttamente al giudice elementi che egli reputa rilevanti ai fini della decisione da adottare”, mentre il comma 2–ter sanciva che ”la documentazione presentata al giudice è inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine in originale o in copia, se la persona sottoposta alle indagini ne richiede la restituzione”.
Questo intervento del legislatore, nonostante realizzasse il limpido “[…] obiettivo di svincolare le indagini difensive dal filtro del
42
pubblico ministero, lasciava irrisolti i problemi precedentemente riscontrati, in particolare in ordine al regime di utilizzabilità del materiale raccolto e al valore probatorio dello stesso”43.
Non vi era alcun cenno ad una regolamentazione delle modalità di acquisizione della prova e della sua utilizzabilità processuale e pertanto, nonostante i buoni propositi, la riforma “si rivelò insufficiente a lenire la diffidenza di pubblici ministeri e magistrati nei confronti dell‟attività di indagine svolta dall‟avvocato, tanto è che il difensore, nello svolgere attività di indagine, poteva anche correre il rischio di essere incriminato da parte di un pubblico ministero scrupoloso, per subornazione dei testimoni ex art. 377 c.p., per favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. o addirittura per reati associativi in concorso con l‟assistito”44
.
Al tempo stesso, sul versante deontologico, la necessità impellente di individuare per la classe forense un corpus di regole di comportamento adeguate al tema diede vita allo studio di una codificazione, non solo da parte dell‟organo istituzionale di autogoverno dell‟avvocatura - il Consiglio Nazionale Forense -, ma anche da parte dell‟Unione delle Camere penali italiane, che in passato aveva già avanzato un‟articolata proposta di legge per la disciplina delle investigazioni.
Fu cosi che il 30 marzo 1996, a Catania, il Consiglio dell‟ Unione e la Consulta delle singole camere penali, nella loro seduta comune, approvarono un testo, accogliente 17 articoli45, di cui ben 13 erano dedicati alle indagini difensive.
43
S. CERVETTO, La deontologia del difensore nell‟ambito delle investigazioni difensive (parte prima), in Convegno di Deontologia, reperibile su www.costituzionale.unige.it
44
Ibidem.
45
Per la lettura del testo e per un primo commento, vedi G. FRIGO, “Primi passi del
Le regole deontologiche approvate in quell‟occasione si presentarono dettagliate e rigorose, consentendo loro di svolgere un ruolo di supplenza, in assenza di altrettante chiare disposizioni normative, e rappresentando un vero e proprio vademecum per i professionisti.
6. Le modifiche apportate dalla “Legge Carotti’’
L‟osservanza da parte dei difensori delle norme di comportamento in oggetto finì così per rappresentare un indice di correttezza nella raccolta di elementi probatori. Proprio in virtù dell‟osservanza di tali regole etiche, la giurisprudenza di legittimità iniziò ad ammorbidire il proprio pensiero in tema di inutilizzabilità dei risultati delle indagini difensive.
Successivamente venne approvata la legge 16 dicembre 1999, n. 479, meglio conosciuta come “legge Carotti”, recante ”Modifiche alle
disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all‟ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense”46, il cui contenuto aveva delle ricadute anche in materia di indagini difensive.
Venne novellato l‟art. 415 bis c.p.p., il quale dispone che l‟avviso di conclusione delle indagini preliminari, fatto notificare dal pubblico ministero, qualora non debba formulare richiesta di archiviazione, alla persona sottoposta alle indagini ed al difensore prima della scadenza del termine previsto dall‟art. 405, comma 2 c.p.p., anche se prorogato,
46
deve tra l‟altro contenere l‟avvertimento che l‟indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di ”presentare memorie, produrre
documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore”.
In secondo luogo, l‟art. 431 c.p.p., disciplinante la formazione e il contenuto del fascicolo per il dibattimento, venne modificato attraverso l‟aggiunta, al comma 2, della seguente previsione: ”le parti
possono concordare l‟acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all‟attività di investigazione difensiva”.
Identica previsione venne inserita all‟interno dell‟art. 493, comma 3 c.p.p. in tema di richieste di prova e dell‟art. 555, comma 4 c.p.p. in relazione al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica.
In conclusione, occorre nuovamente ricordare l‟importanza della modifica dell‟art. 111 Cost. attuata con legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, entrata in vigore il 7 gennaio 200047, la quale ha introdotto nella Carta costituzionale i principi del giusto processo.
Tale riforma, rivalutando il principio della formazione della prova nel contradditorio delle parti, ha generato un forte impulso per la definitiva approvazione di una disciplina delle investigazioni difensive, tesa ad eliminare la sperequazione tra accusa e difesa.
47
7. Verso la tipizzazione del quadro normativo: la legge 7 dicembre 2000, n. 397 e la codificazione deontologica dell’Unione delle Camere Penali Italiane
La legge 7 dicembre 2000, n. 397 recante “Disposizioni in materia di
indagini difensive”48
, colma dopo undici anni una delle più evidenti lacune del sistema processuale penale, riguardante quel vuoto legislativo che nel corso degli anni precedenti aveva determinato una grave limitazione dell‟ordinario esplicarsi delle facoltà difensive. La riforma ha preso avvio con due iniziative legislative49: la prima è riferibile alla proposta di legge n. 850 a firma degli On.li Annedda, Neri, Fragalà, Marino e Simeone, e presentata il 14 maggio 1996 alla Presidenza della Camera dei Deputati, avente ad oggetto “Modifiche
al codice di procedura penale ed alle relative norme di attuazione in materia di esercizio della funzione difensiva”50.
Diversamente, la seconda è sorta dall‟impulso dell‟allora Ministro della Giustizia (Giovanni Maria Flick) che il 27 novembre 1996 ha presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge C. 2774, riguardante la “Disciplina delle investigazioni difensive”51.
Oggi, dopo un lungo e tortuoso cammino, la disciplina delle investigazioni difensive trova finalmente collocazione nella sede più naturale, ossia all‟interno del codice di rito, evidenziando così la pari dignità formale e sostanziale rispetto alle indagini della polizia giudiziaria e del pubblico ministero.
48
Vedi supra, nota n. 6.
49
Così L. SURACI, Le indagini difensive, Giappichelli, Torino, 2014.
50
Proposta di legge n. 850 d‟iniziativa dei Deputati On.li Anedda, Neri, Fragalà, Marino e Simeone, XIII Legislatura, presentata alla Camera dei Deputati il 14 maggio 1996.
51
Disegno di legge C. 2774, XIII Legislatura, presentato alla Camera dei Deputati il 27 novembre 1996, annunciato nella seduta pomeridiana n. 105 del 28 novembre 1996, approvato definitivamente dal Parlamento il 16 novembre 2000.
Con la legge 7 dicembre 2000, n. 397 intitolata ”Disposizioni in
materia di indagini difensive”, nel tentativo di dare riconoscimento e
attuazione ad uno dei fondamentali principi del giusto processo - la parità tra accusa e difesa -, il legislatore ha contrapposto ai tradizionali strumenti investigativi a disposizione del magistrato inquirente, finalizzati all‟accertamento della responsabilità penale, la facoltà del difensore di svolgere indagini nell‟interesse del proprio assistito, introducendo una disciplina organica e dettagliata delle investigazioni difensive.
La legge in esame valorizza quell‟aspetto del diritto di difesa che rappresenta il mezzo per realizzare un corretto accertamento giudiziale, attraverso l‟attuazione del principio del contradditorio. Il ruolo del difensore, ora, non è più statico e limitato alla demolizione dell‟atto di indagine dell‟accusa, attraverso la mera confutazione, ma è egli stesso ricercatore della fonte di prova.
Il corpus della legge è costituita da venticinque articoli, distribuiti in tre capi, intitolati rispettivamente: ”Modifiche al codice di procedura
penale”, ”Modifiche al codice penale”52 e ”Norme di attuazione”. La legge n. 397/2000 ha introdotto nel Libro V del codice di rito il nuovo Titolo VI-bis, interamente dedicato alle ”Investigazioni
difensive”53, composto da nove articoli, che forniscono le attività che il difensore può compiere, le modalità di come tale attività debba
52
Sul versante penalistico, la legge n. 397/2000 ha introdotto nuove fattispecie incriminatrici a tutela dell‟attività di indagine difensiva: l‟art. 371 ter c.p. sanziona la condotta del soggetto informato dei fatti che rende dichiarazioni false al difensore, mentre l‟art. 379 bis c.p. sanziona la rivelazione indebita di notizie segrete concernenti un procedimento penale.
53
Come nota N. TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, Milano, 2002, pag. 74, tale collocazione non è evidentemente casuale: il Titolo V-bis è infatti collocato dopo i Titoli IV, V, e VI, rispettivamente dedicati all‟”Attività a iniziativa della polizia giudiziaria”, all‟”Attività del pubblico ministero” e all‟”Arresto in flagranza e fermo”, così da creare un apposito parallelismo tra l‟attività di indagine della polizia giudiziaria e del pubblico ministero e quella del difensore.
essere svolta, la relativa documentazione e l‟utilizzazione processuale degli stessi elementi.
Le nuove disposizioni, muovendo dall‟ art. 327 bis c.p.p.54, permettono al professionista il compimento sia di atti di indagine inerenti ai mezzi di prova di tipo dichiarativo (artt. 391 bis e ter c.p.p.), sia di attività volte alla raccolta di elementi di prova di tipo reale, vale a dire l‟accesso a luoghi, la raccolta di documenti presso la P.A., nonché il compimento di accertamenti tecnici, anche aventi ad oggetto cose o luoghi soggetti a modificazione (artt. 391 quater,
sexies, septies e decies c.p.p.).
Con l‟approvazione della legge n. 397/2000, si rese necessario un intervento anche sul piano deontologico, in quanto incompatibile con il nuovo assetto normativo: la Giunta dell‟Unione delle Camere penali italiane, con delibera adottata in via d‟urgenza il 17 novembre 2000, dopo l‟approvazione definitiva della nuova legge, sospese l‟efficacia delle regole di cui agli artt. 5, 6, 7, 8, 9, comma 2, 10 e 11 delle direttive deontologiche varate nel 1996.
La Giunta delle Camere penali, il 16 gennaio 2001, emanò una delibera urgente, dovuta all‟imminente entrata in vigore della legge n. 397/2000, varando le c.d. “Regole di comportamento del penalista
nelle indagini difensive”, definitivamente approvate dal Consiglio
dell‟Unione delle Camere penali il 14 luglio 200155
, attraverso la quale viene ridisegnata la materia deontologica del 1996.
54
Norma cardine che sancisce il diritto del difensore nominato di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito. Tale norma è collocata tra gli artt.326 e 327 c.p.p., relativi alle indagini preliminari del pubblico ministero, e l‟art. 328 c.p.p., relativo al Giudice delle Indagini Preliminari. Grazie all‟art. 327 bis c.p.p., il difensore diviene attore delle indagini preliminari insieme ai magistrati.
55
Il testo integrale, nella versione aggiornata al 19 gennaio 2007, è reperibile su www.camerepenali.it
Si tratta di un corpo di sedici articoli, che chiariscono e specificano la portata applicativa e interpretativa della novella processuale, suddiviso in quattro parti: ”Regole generali” (artt. 1-7), ”Regole per le indagini
da fonti dichiarative” (artt. 8-13), ”Disposizioni relative agli accessi ai luoghi, alla ispezione di cose e agli accertamenti irripetibili” (artt.
14-15) e ”Disposizioni finali” (art. 16).
Con la legge sulle indagini difensive il legislatore ha voluto creare un riequilibrio fra le indagini svolte dal pubblico ministero e dal difensore, ma, si noti bene, l‟intera disciplina sconta un vizio di fondo. L‟attività dell‟accusa è pur sempre finalizzata a garantire il coretto esercizio dell‟azione penale, che soggiace ad interessi di natura pubblicistica, mentre, per converso, la facoltà del difensore di attivarsi fin dalla fase iniziale del procedimento è contenuta nelle forme e con le finalità stabilite dalla legge ed in particolare quella della ricerca di elementi a favore del proprio assistito. Non a caso si parla di investigazioni difensive condotte dal difensore proprio per distinguerle, anche termino logicamente, dalle indagini preliminari dirette dal pubblico ministero.
Inoltre le investigazioni del difensore rispondono ad una funzione privatistica, che trae origine da un rapporto contrattuale tra cliente e avvocato, il cui ruolo è quello di curarne gli interessi, proprio perché solo le indagini del pubblico ministero assolvono ad una funzione pubblica e comportano, per questo soggetto, di accertare non solo la responsabilità penale dell‟indagato, ma anche di far emergere eventuali elementi a suo discarico.
Capitolo III
LA RINNOVATA DISCIPLINA DELLE
INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
SOMMARIO – 1. Premessa - 2. I soggetti legittimati al compimento di atti d‟investigazione - 3. I limiti soggettivi in relazione alle fonti dichiarative – 3.1 Le formalità propedeutiche all‟acquisizione di notizie – 3.2. Le modalità di acquisizione della prova - 4. Il regime di inutilizzabilità delle dichiarazioni ricevute e delle informazioni assunte – 5. La richiesta di audizione al pubblico ministero – 6. L‟assunzione della prova a mezzo di incidente probatorio – 7. Il potere di segretazione del pubblico ministero - 8. L‟attività investigativa preventiva – 9. L‟accesso ai luoghi e le relative attività espletabili – 10. Il fascicolo del difensore ed il regime di utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva – 11. (cenni) L‟utilizzabilità delle risultanze delle investigazioni difensive all‟interno del rito abbreviato
1. Premessa
Il modello processuale penale accusatorio, per sua stessa natura, comporta il riconoscimento di ruoli paritetici tra i soggetti pubblici e quelli privati. Di conseguenza, sul piano delle indagini, a fianco del potere attribuito a pubblico ministero e polizia giudiziaria, viene riconosciuta analoga facoltà anche all‟imputato, l‟indagato e alla persona offesa dal reato, quale prima espressione del diritto di difendersi provando.
La disciplina attualmente vigente, così come delineata dall‟art. 11 legge 7 dicembre 2000, n. 397, trova la sua sede nel Libro V56 del Codice di procedura penale, precisamente al titolo VI bis 57, il quale,
56
Libro dedicato allo svolgimento delle indagini preliminari e dell‟udienza preliminare.
57
oltre a riconoscere il diritto alla prova, offre una tipizzazione delle attività investigative sia sotto il profilo delle modalità di acquisizione, sia sotto quello dell‟utilizzazione del materiale raccolto, consentendo al difensore di rivestire un ruolo non più statico ma dinamico.
2. I soggetti legittimati al compimento di atti d’investigazione La norma processuale madre in tema di investigazioni difensive è rappresentata dall‟art. 327 bis c.p.p., la quale attribuisce al difensore la facoltà di “ricercare ed individuare elementi di prova a favore del
proprio assistito” e disciplina altresì aspetti generali relativi
all‟esercizio della stessa. La norma assume dunque un ruolo fondamentale e si presenta in particolare sintonia con il dato costituzionale di cui all‟art. 24 Cost., garantendo infatti a ciascuna persona l‟inviolabile diritto di difesa che si estrinseca nella possibilità di compiere, per il tramite del proprio difensore, attività d‟indagine distinte ed autonome rispetto a quelle dei soggetti pubblici.
Difatti, in analogia a quanto recita l‟art. 24, comma 2 Cost., l‟art. 327, comma 2 bis c.p.p. dispone che la facoltà di svolgere indagini difensive “[…] può essere attribuita per l‟esercizio del diritto di
difesa, in ogni stato e grado del procedimento”.
L‟art. 327 bis c.p.p., che nella sua formulazione fa uso del termine “assistito”, consente di compiere un‟estensione soggettiva dei soggetti legittimati al compimento di attività di indagine, riconoscendo così non solo al difensore dell‟indagato e dell‟imputato la possibilità di svolgere attività di investigazione difensiva, ma anche a quello degli altri soggetti e parti private (persona offesa, parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria).