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Manner e Result Verbs: categorie discrete o prototipiche?

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Academic year: 2021

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Contenuti

1. Proprietà semantiche grammaticalmente rilevanti: perché il

significato di un verbo è importante?

2. Due macroclassi verbali: Manner Verbs e Result Verbs

2.1

Verbi

e

Rappresentazione

Lessicale:

teorie

proiezioniste ed approcci decomposizionali

3. Manner/Result Complementarity: stato dell’arte e primi

problemi

4. Verso la formulazione di sistemi diagnostici più rigorosi per

Manner e Result

4.1 La struttura interna di un Result ed il suo ruolo nella

costruzione di test linguistici

4.2 Il concetto di Scala: Result e non solo

4.3 Componenti MANNER: problemi nella formulazione di

test linguistici

5. Oltre la teoria: Manner, Result e lessico verbale italiano

(2)

5.2 Custodire e altri verbi stativi: Verbi di Stato

Esternamente Prolungato?

5.3 Bagnare, Immergere e Inzuppare

5.4 L’apparente semplicità di Curare e Guarire

6. Una nuova prospettiva: verso una rappresentazione

prototipica delle componenti Manner e Result

(3)

1.Proprietà semantiche

grammaticalmente rilevanti: perché il

significato di un verbo è importante?

Ogni lavoro di semantica lessicale che si rispetti non può che iniziare con la citazione, forse abusata nella letteratura specialistica, tratta da Levin (1993):

«This work is guided by the assumption that the behavior of a verb, particularly with respect to the

expression and interpretation of its arguments, is to a large extent determined by its meaning. Thus verb behavior can be used effectively to probe for linguistically relevant pertinent aspects of verb meaning.» (Levin, 1993 : 1)

C’è un modo elegante ed immediato per comprendere la portata di questa ipotesi e consiste nel riflettere sulle conoscenze che un parlante nativo ha del lessico verbale della propria lingua.

Un parlante, conoscendo il significato di un verbo, è in grado di prevedere con un adeguato grado di accuratezza quali realizzazioni sintattiche degli argomenti del verbo in oggetto siano accettabili nella lingua nativa e la misura in cui le diverse alternanze argomentali modificano il nucleo semantico del predicato (Levin, 1985; Levin, 1993: 4-5).

Supponiamo, in quanto parlanti nativi italiani, di udire il verbo golaltare (che ovviamente è un verbo che non esiste in italiano) e che ci vengano date due opzioni riguardo al suo significato:

a) Colpire con il gomito eseguendo un movimento dall’alto verso il basso…

(4)

Le proprietà sintattiche del verbo, vale a dire le sue possibili realizzazioni argomentali, variano notevolmente in base a quale delle due definizioni proposte si accetta come appropriata (Levin, 1993: 4).

Nell’ipotesi in cui a) fosse il significato effettivo di golaltare, probabilmente ciascun parlante nativo dell’italiano, sarebbe certo della partecipazione del verbo alla seguente alternanza argomentale (Body-Part Possessor Ascension Alternation; Levin, 1993: 71; Kemmerer, 2003):

1) Il lottatore golaltò l’avversario sulla testa 2) Il lottatore golaltò la testa dell’avversario

Al contrario, se si assume b) come significato del verbo fittizio, difficilmente un parlante percepirà 3) come accettabile:

3) *Il lottatore golaltò l’avversario sulla testa 4) Il lottatore golaltò la testa dell’avversario

Per il momento non interessa caratterizzare esplicitamente i due tipi di costruzioni sintattiche introdotte, ciò che è fondamentale è il fatto che a seconda di quale significato un parlante associ al verbo, una costruzione può risultare inaccettabile. Le differenze nel comportamento sintattico, dipendenti dal significato selezionato, sono più facilmente comprensibili se si individuano verbi semanticamente affini alle definizioni date in a) e b).

Nel caso a), il verbo golaltare è assimilabile alla classe degli Hit Verbs (Levin, 1993: 148; Verbs of Contact by Impact), insieme di verbi che specificano un contatto fisico prodotto tra due oggetti attraverso un movimento; tutti i membri della classe partecipano alla Body-Part Possessor Ascension Alternation e tale proprietà morfo-sintattica dipende dalla componente di significato tipica degli Hit Verbs, la nozione semantica [contatto].

Nel caso b), il verbo golaltare si comporta un membro della classe dei Break Verbs (Fillmore, 1970; Levin, 1993: 241), insieme di verbi che lessicalizzano un’alterazione nell’integrità materiale di un oggetto a seguito di un processo lessicalmente

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sottospecificato; nessun membro della classe partecipa alla Body-Part Possessor

Ascension Alternation in quanto nessun verbo lessicalizza la nozione semantica di

[contatto], la cui presenza garantisce l’accessibilità alla costruzione sintattica considerata.

Ancora una volta: il significato di un verbo determina direttamente le possibili costruzioni sintattiche attraverso cui vengono realizzati i suoi argomenti (Rappaport Hovav e Levin, 1998).

L’appartenenza di un verbo ad una classe semantica è stabilita sulla base del possesso di determinate componenti di significato condivise da tutti i membri della classe; tali componenti di significato determinano le costruzioni sintattiche accessibili ai verbi classificati.

L’idea che il significato di un verbo possa condizionare le sue proprietà morfo-sintattiche era già chiara a Fillmore, che nel suo lavoro The Grammar of Hitting and Breaking del 1970 sottolineava la possibilità di organizzare il lessico verbale di una lingua in classi individuate sulla base di similarità nel comportamento morfo-sintattico dei verbi; con le parole di Levin (2013):

«He shows that verb classes provide a device for capturing patterns of shared verb behavior,

including possible realizations of arguments and their associated intepretations. Thus, verb classes prove to be both a means of investigating the organization of the verb lexicon and a means of

identifying grammatically relevant elements of meaning.» (Levin, 2013 : 1)

Un lavoro fondamentale nell’ambito delle classi verbali è quello di Beth Levin del 1993, English Verb Classes and Alternations, che, pur non approfondendo in maniera dettagliata e formale l’analisi semantica di ciascun verbo, opera una prima classificazione del lessico verbale inglese sulla base di due criteri che Levin stessa riprende ed analizza nel saggio del 2013 Verb Classes within and across languages; riporto in ordine le citazioni che presentano i due criteri:

«First, verbs are classified according to their semantic content, giving rise to classes such as manner

of motion verbs, directed motion verbs, light emission verbs, change of state verbs, perception verbs, verbs of gestures and signs, and weather verbs.» (Levin, 2013 : 3)

(6)

«Second, each argument alternation, such as the causative alternation, conative alternation, dative

alternation, or locative alternation, defines a verb class : the set of verbs participating in that alternation.» (Levin, 2013 : 3)

Ben presto ci si accorse che i due criteri di categorizzazione davano luogo a classi profondamente differenti : una classe di verbi individuata su basi morfo-sintattiche poteva contenere membri appartenenti alle classi semantico-concettuali più disparate (Levin e Rappaport Hovav, 1991; Rappaport Hovav e Levin, 2005).

Se è vero, in linea generale, che i membri di una classe semantico-concettuale condividono tutti le medesime realizzazioni argomentali, una classe morfo-sintattica contiene verbi appartenenti a classi semantico-concettuali diverse.

Un esempio pratico potrà chiarire meglio.

Si considerino due verbi, rompere e riempire, che appartengono a domini di esperienza totalmente differenti; per questo motivo sono stati collocati da Levin 1993 in classi semantico-concettuali completamente distinte, Break Verbs (Levin, 1993: 241) e Fill Verbs (Levin, 1993: 119) rispettivamente.

Entrambi i verbi presentano una caratteristica morfo-sintattica fondamentale, vale a dire non possono essere costruiti omettendo il complemento oggetto, pena la non interpretabilità dell’enunciato:

5) Il bambino ha rotto il vaso

6) La mamma ha riempito la bottiglia di acqua

7) *Il vandalo ha rotto per tutto il giorno 8) *Il muratore ha riempito per tutto il giorno

Il denominatore morfo-sintattico che accomuna i due verbi non è riconducibile semplicemente alle classi ipotizzate da Levin (1993), dato che essi appartengono a classi totalmente differenti, ma ad una qualche proprietà semantica condivisa dai

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predicati che, determinando la proprietà sintattica analizzata, è qualificabile come un aspetto di significato grammaticalmente rilevante1.

Il confronto tra verbi che esibiscono le medesime realizzazioni argomentali costituisce la strategia privilegiata per l’individuazione di componenti semantiche grammaticalmente rilevanti:

«These grammatically relevant components of verb meaning are usually isolated through an

examination of the common semantic denominator of verbs exhibiting the same range of argument realization options.» (Levin e Rappaport Hovav, 2005 : 10)

Un ultimo esempio, tratto da Levin e Rappaport Hovav (2005) e riguardante la lingua inglese, chiarirà ulteriormente la questione.

Il caso in oggetto, citato in Argument Realization (2005), è a sua volta ripreso da un lavoro precedente, B. Levin, Song e Atkins (1997).

Tutti i Verbi di Emissione di Suono (classe semantico- concettuale), Verbs of Sound

Emission (Levin, 1993: 234) devono necessariamente esprimere un argomento che

denota l’entità che emette il suono, ma soltanto alcuni consentono usi transitivi in cui tale entità è realizzata sintatticamente come oggetto diretto ed in posizione di soggetto compare una forza naturale o un’entità che causa l’emissione di suono. Nella seconda sottoclasse dei Verbs of Sound Emission, contenente i verbi che hanno usi transitivi, si possono includere almeno clatter (in italiano, acciottolare,

sferragliare) e rattle (sbatacchiare).

Introduco gli esempi riportati in Levin e Rappaport Hovav 2005 (Levin e Rappaport Hovav, 2005: 11):

9) a. The truck rumbled

b. *Peter rumbled the truck

1 Volendo anticipare quanto sarà spiegato ampiamente nel seguito della trattazione, rompere e

riempire sono verbi che lessicalizzano un mutamento di stato prodotto in un’entità a seguito di un

processo lessicalmente sottospecificato; è caratteristica sintattica assodata di questa classe eventiva l’impossibilità di omettere dal frame sintattico del verbo l’argomento che subisce il mutamento di stato.

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10) a. The tea kettle whistled

b. *The boiling water whistled the tea kettle

11) a. The teacups clattered

b. I clattered the teacups as I loaded the dishwasher

12) a. The windows rattled

b. The storm rattled the windows

Il problema è molto chiaro : come si spiega che verbi appartenenti alla medesima classe semantico-concettuale (Verbi di Emissione di Suono) presentino questa sostanziale differenza nelle possibili realizzazioni argomentali ?

Devono esserci delle proprietà semantiche che accomunano tutti i Verbs of Sound

Emission che hanno usi transitivi, e che non sono possedute dai verbi che possono

comparire solo in costruzioni intransitive.

Levin, Song e Atkins notano subito che la qualità del suono emesso (volume, tono e durata) non determina la possibilità per un verbo della classe di avere costruzioni transitive; ciò che è fondamentale a questo scopo sono le modalità di produzione del suono. Esistono suoni che vengono prodotti internamente da un’entità e suoni prodotti esternamente rispetto ad un oggetto: i verbi che lessicalizzano suoni che rientrano nella prima categoria non consentono costruzioni transitive, viceversa, i verbi che lessicalizzano suoni prodotti esternamente rispetto ad un’entità hanno costruzioni causative.

Dunque, tralasciando il particolare tipo di suono lessicalizzato in ogni verbo, i Verbi di Emissione di Suono che presentano anche usi causativi avranno due possibili rappresentazioni semantiche:

- X EMITS SOUND α ANTICAUSATIVO - Y CAUSE [ X TO EMIT SOUND α] CAUSATIVO

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L’opposizione tra suoni esternamente prodotti e internamente prodotti sembra essere adatta per spiegare la sottoclasse dei Verbs of Sound Emission che ammette costruzioni transitive; tuttavia, analizzando anche le altre classi semantico-concettuali, Levin, Song e Atkins (1997) fanno presente che la distinzione tra verbi di una classe che hanno costruzioni causative e verbi esclusivamente intransitivi si estende anche ad altre classi semantico-concettuali e non è una peculiarità esclusiva dei Verbi di Emissione di Suono.

E’ necessario procedere verso un grado di astrazione maggiore rispetto alla particolare opposizione tra suoni prodotti esternamente o internamente, formulando una generalizzazione che spieghi l’accessibilità a costruzioni transitive per ogni classe verbale (il metodo è chiaro, i risultati non sempre univochi per ogni classe).

Levin, Song e Atkins (1997) procedono cercando un denominatore semantico che accomuni non soltanto tutti i Verbs of Sound Emission che consentono/non consentono costruzioni transitive ma il maggior numero possibile di verbi, presenti in ogni classe semantico-concettuale, che permettono tali costruzioni; ipotizzano che le ragioni di tale accessibilità risiedano nell’opposizione tra tipi ontologici di eventi:

«An externally caused event is conceptualized as brought about by an external cause with immediate

control over the event.» (Levin e Rappaport Hovav, 2005 : 11)

«…an internally caused event is conceptualized as arising from inherent properties of the entity

participating in this event. These properties are "responsible" for the event ; no external force is required.» (Levin e Rappaport Hovav, 2005 : 11)

I Verbs of Sound Emission che codificano suoni esternamente prodotti rientrano nella prima categoria ontologica e possono essere costruiti transitivamente ; i verbi che lessicalizzano suoni internamente prodotti fanno parte della seconda categoria di eventi e sono lessicalmente intransitivi.

A questo punto il metodo è chiaro: cercare componenti semantiche sufficientemente astratte da poter accomunare verbi che pur appartenendo a domini esperienziali molto diversi presentano i medesimi patterns di realizzazioni

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argomentali. Nel capitolo 2 (“Due macroclassi verbali: Manner Verbs e Result

Verbs”) introdurrò la proposta di classificazione del lessico verbale di una lingua

avanzata da Levin e Rappaport Hovav (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 2008); proseguirò il capitolo (par 2.1) illustrando le varie teorie a disposizione per analizzare e rappresentare un significato verbale; il capitolo 3 (“Manner/Result

Complementarity: stato dell’arte e primi problemi”) è dedicato alla presentazione

della ipotesi della Manner/Result Complementarity e i problemi a questa legati; il capitolo 4 (“Verso la formulazione di sistemi diagnostici più rigorosi per MANNER e

RESULT”), partendo dai punti deboli della teoria classica, introduce i test linguistici

proposti da Beavers e Koontz-Garboden (2012) per l’individuazione delle componenti semantiche rilevanti nella rappresentazione lessicale di un verbo (4.1 e 4.3).

Tra i paragrafi 4.1 e 4.3, 4.2 (“Il concetto di scala: RESULT e non solo”), introduce brevemente il concetto di scala, che sarà più volte coinvolto nell’analisi dei RESULT

VERBS.

Nel capitolo 5 (“Oltre la teoria: Manner, Result e lessico verbale italiano”) gli strumenti teorici introdotti nelle sezioni precedenti, test e sistemi di rappresentazione formale, vengono applicati ad alcuni insiemi di verbi appartenenti al lessico italiano e una rilfessione generale viene condotta sulla capacità di tali strumenti di catturare distinzioni semantiche consistenti.

Infine, nel capitolo 6 (“Una nuova prospettiva: verso una rappresentazione prototipica delle componenti Manner e Result”) viene introdotta una proposta di lavoro che consiste nell’analizzare l’opposizione MANNER-RESULT non più come un contrasto dicotomico tra componenti isolabili nella rappresentazione semantica di un verbo ma come categorie prototipiche rispetto alle quali ciascun predicato può essere collocato sulla base del possesso delle proprietà che definiscono i centri categoriali. Dunque, l’obiettivo della trattazione sarà quello di provare, facendo ricorso agli strumenti teorici e formali fino a questo momento proposti, la praticabilità di una classificazione del lessico verbale di una lingua in MANNER

VERBS e RESULT VERBS; nel caso tale impresa dovesse fallire, un’alternativa verrà

(11)

2. Due macroclassi verbali: Manner Verbs

e Result Verbs

Un passo fondamentale verso l’individuazione di componenti di significato sufficientemente astratte da poter raggruppare verbi appartenenti a classi concettualmente anche molto diverse fu compiuto con l’osservazione, da parte di Levin e Rappaport Hovav (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 1998; 2010), che verbi appartenenti al medesimo dominio esperienziale potevano essere suddivisi in base al tipo di componente semantica lessicalizzata.

Prima ancora di entrare nello specifico a proposito delle componenti semantiche, è oppurtuno chiarire, facendo qualche esempio, il concetto di “lessicalizzazione” e “significato lessicale” in relazione ad un verbo (Talmy, 1985; Rappaport Hovav e Levin, 2008; Levin e Rappaport Hovav, 2010; Beavers, 2011;).

Riflettere sul significato lessicale di un verbo significa porsi la seguente domanda: come è possibile caratterizzare il contributo semantico di un verbo (Levin e Rappaport Hovav, 2010), distinguendolo dalle infomazioni aggiuntive, portate dal contesto linguistico ed extralinguistico, che modificano e specificano la rappresentazione dell’evento espresso dal verbo stesso?

Il significato lessicalizzato da un verbo è quindi invariante rispetto al contesto di utilizzo:

«In order to distinguish lexicalized meaning from inferences derived from particular uses of verbs in

sentences, we take lexicalized meaning to be those components of meaning that are entailed in all

uses of (a single sense of) a verb, regardless of context.» (Rappaport Hovav e Levin, 2008: 2)

Levin e Rappaport Hovav ribadiscono la possibilità di isolare il contributo semantico di un verbo alla rappresentazione di un enunciato anche nel saggio Lexicalized

(12)

«We believe, however, that it is indeed possible to distinguish facets of meaning that are strictly

contributed by the verb from other facets of meaning that may be derived either by the choice of argument or from particular or prototypical uses of that verb in context. We refer to the former as elements of LEXICALIZED MEANING, taken to comprise a verb’s core meaning.» (Levin e Rappaport

Hovav, 2010 : 1)

Un paio di esempi concreti aiuteranno a chiarire questo punto; la parte riguardante il verbo aprire ( open) è ripresa da Levin e Rappaport Hovav 2010.

Si considerino i verbi aprire e rompere: entrambi specificano un mutamento di stato che un’entità subisce; per ciascun verbo, il particolare tipo di stato prodotto non è registrato lessicalmente ma viene elaborato sulla base delle proprietà ontologiche dell’oggetto coinvolto.

Nel caso di aprire, lo stato lessicalizzato dal verbo consiste nella rimozione di un ostacolo o un’ostruzione al fine di consentire l’accesso ad una regione spaziale precedentemente inaccessibile; come tale mutamento di stato venga implementato (vale a dire quali siano le effettive modifiche fisiche subite da un’entità) dipende dalle caratteristiche morfologiche dell’oggetto coinvolto (Levin e Rappaport Hovav, 2010: 1). Per tale motivo l’evento espresso da aprire una porta è diverso dall’evento espresso da aprire una bottiglia, perché diverse sono le proprietà dell’oggetto. Eppure in entrambi i casi la componente lessicalizzata dal verbo rimane le medesima.

Rompere lessicalizza uno stato risultante che prevede la compromissione

dell’integrità materiale e/o funzionale di un oggetto2; le caratteristiche fisiche del danno prodotto dipendono dalle proprietà ontologiche dell’entità coinvolta.

In entrambi i casi è possibile operare una distinzione tra significato lessicalizzato e realizzazione di tale significato in contesto linguistico ed extralinguistico.

2 Ho scelto l’alternanza delle due congiunzioni, e/o, poiché il danno prodotto in un oggetto può

essere materiale e quindi anche funzionale, nel caso di oggetti la cui efficienza funzionale è garantita dall’integrità materiale (ad es: vasi, coltelli, ecc), può essere semplicemente materiale o semplicemente funzionale (nel caso di un elettrodomestico che pur non funzionando si presenta materialmente intatto). La componente dell’oggetto intaccata dipende in larga misura dalla sua categoria concettuale. Non approfondirò ulteriormente questo tema in quanto richiederebbe una lunga e controversa riflessione sulle intuizioni ontologiche dei parlanti.

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Un dubbio lecito è se tale distinzione sia effettivamente utile. La risposta è nel lavoro di Levin e Rappaport Hovav 2010:

«The distinction between lexicalized meaning and nonlexicalized meaning is important because it

allows uses of the same verb which are attached to rather different real world events to be unified under a single sense.» (Levin e Rappaport Hovav, 2010: 1)

In altre parole, l’individuazione di quello che viene definito LEXICALIZED MEANING permette di evitare un grado di polisemia verbale virtualmente infinito: le componenti di significato lessicalizzate fissano quanto è condiviso da tutti gli eventi particolari descrivibili utilizzando un determinato verbo.

Torniamo adesso all’analisi delle componenti di significato lessicalizzate.

Stabilita la differenza tra proprietà semantiche lessicalizzate e contestualmente inferite, Levin e Rappaport Hovav dedicano gran parte del loro lavoro alla caratterizzazione delle prime (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 1998; 2005; 2008; 2010).

Si considerino i seguenti verbi:

lavare pulire colpire rompere accoltellare uccidere

I verbi di ciascuna riga, come è facile intuire, appartengono al medesimo dominio esperienziale e sono utilizzabili per descrivere il medesimo evento (Fillmore, 1970; Levin e Rappaport Hovav, 1991); tuttavia, l’utilizzo di uno o dell’altro in una frase genera diverse implicazioni.

Vediamo alcuni esempi:

1)Il malvivente ha accoltellato il passante VS Il malvivente ha ucciso il passante

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Dal punto di vista vero-condizionale, i due enunciati di ogni esempio sono molto differenti tra loro: Il malvivente ha ucciso il passante è vero se e solo se l’individuo cui si riferisce il SN il passante è passato al termine dell’evento espresso dal verbo dallo stato “vivente” a “non-vivente” e tale mutamento di stato non è richiesto affinché Il malvivente ha accoltellato il passante sia vero; nel secondo esempio Il

vandalo ruppe la statua è vero se e solo se il referente di la statua è passato al

termine dell’evento dallo stato di “materialmente integro” a quello “rotto” e, anche in questo caso, il mutamento non è richiesto come condizione di applicabilità dell’enunciato Il vandalo colpì la statua ad un evento.

In entrambi i casi, affinché il secondo enunciato sia vero è richiesto un mutamento di stato nell’argomento espresso come oggetto diretto, tale risultato può essere prodotto in un certo numero di modi differenti; il primo enunciato esprime il compimento di un’azione da parte del soggetto, che non necessariamente si conclude con la produzione di uno stato nel secondo argomento.

L’impressione di similarità semantica, e talvolta di equivalenza, è data dal fatto che le azioni codificate nei verbi della prima colonna sono convenzionalmente compiute per produrre in un’entità i risultati lessicalizzati dai verbi della seconda colonna. Se lavare, colpire, accoltellare lessicalizzassero stati risultanti dalle azioni specifiche, la predicabilità di tali stati per il paziente al termine del processo costituirebbe un

entailment del verbo, la cui cancellazione tramite materiale linguistico genererebbe

contraddizione; al contrario, qualsiasi tipo di mutamento prodotto nel secondo argomento di un predicato della prima colonna può essere negato senza produrre contraddizione (Levin e Rappaport Hovav, 1991; Levin e Rappaport Hovav, 2010):

3)Il malvivente ha accoltellato il passante ma non è riuscito ad ucciderlo VS *Il

malvivente ha ucciso il passante ma questi è ancora vivo

4)La mamma ha lavato la tovaglia ma ci sono ancora delle macchie di sporco VS *La

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Riassumendo: i verbi della prima colonna lessicalizzano un’azione compiuta da un soggetto, senza specificare il raggiungimento di un determinato stato da parte di un’entità; i membri della seconda colonna lessicalizzano uno stato prodotto in un’entità a seguito di un processo le cui caratteristiche specifiche non sono registrate nell’entrata lessicale del verbo.

Verbi appartenenti a diversi domini esperienziali sono raggruppabili in base al tipo di componente semantica lessicalizzata: azione o stato risultante.

Questa distinzione è alla base della partizione del lessico inglese, operata da Levin e Rappaport Hovav (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 1998; 2005; 2006; 2008 ; 2010; 2013), in MANNER VERBS e RESULT VERBS, le cui caratteristiche semantiche corrispondono rispettivamente a quelle riscontrate nei verbi della prima e seconda colonna, sopra analizzati.

Per non ripetere quanto precedentemente detto, riporto la definizione delle due classi data da Rappaport Hovav e Levin (Rappaport Hovav e Levin , 2008):

« Intuitively speaking, manner verbs specify as part of their meaning a manner of carrying out an

action, while result verbs specify the coming about of a result state.» (Rappaport Hovav e Levin,

2008 : 1)

Si ritiene che le due macroclassi verbali siano particolarmente importanti poiché l’appartenenza ad una di queste da parte di un verbo determina le possibili realizzazioni sintattiche dei suoi argomenti (Levin e Rappaport Hovav, 1991).

L’ipotesi di partenza, che le proprietà sintattiche di un verbo dipendano dalle componenti semantiche che esso lessicalizza, risulta preservata: MANNER e RESULT sono due categorie ontologiche sotto cui è possibile sussumere componenti di significato particolari di ogni verbo.

Il fascino esercitato da una possibile classificazione binaria del lessico verbale è dato dal valore esplicativo che una tale distinzione consente in ambito sintattico: si spiega in particolare la partecipazione a determinate alternanze argomentali da parte dei verbi concettualmente più disparati per mezzo di due nozioni ontologiche basilari, AZIONE e STATO RISULTANTE.

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Dall’altro lato, se si vuole ridurre tutte le proprietà sintattiche di un verbo all’opposizione MANNER/RESULT, è necessario caratterizzare questi due concetti in maniera più dettagliata (Rappaport Hovav, 2008; Rappaport Hovav e Levin, 2008; Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

2.1 Verbi e Rappresentazione lessicale: teorie

proiezioniste e approcci decomposizionali

L’insieme delle teorie che assumono la possibilità di derivare le proprietà sintattiche di un verbo dal suo significato possono essere raggruppate sotto la nomenclatura di teorie “proiezioniste” (Chomsky, 1981; 1986; Levin, 1993; Levin e Rappaport Hovav 1995; Pinker, 1989; Goldberg, 1995; Wasow, 1985).

Un simile approccio propone due problemi fondamentali, il primo dei quali abbiamo avuto modo di affrontare nelle sezioni precedenti: a) stabilire quali componenti semantiche devono essere incluse nella rappresentazione lessicale di un verbo; b) come rappresentare formalmente le entrate lessicali, in modo da poter formulare delle regole semplici ed eleganti che spieghino le proprietà sintattiche di un verbo a partire dalle rappresentazioni ipotizzate.

Il problema a) è di natura empirica ed una possibile soluzione prevede l’analisi di un gran numero di contesti sintattici per ciascun verbo; questa sezione, tuttavia, è incentrata sul secondo problema.

La questione b), seppur di natura prettamente teorica, non può essere trascurata se si desidera costruire un lessico computazionale, un sistema formale che sia in grado di generare il contenuto semantico di espressioni complesse sulla base delle proprietà degli elementi che le costituiscono.

Il sistema di rappresentazione della semantica di un verbo che adotteremo nella seguente trattazione è quello decomposizionale:

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«Most decomposition theories of word meaning assume a set of primitives and then operate within

this set to capture the meanings of all the words in the language. These approaches can be called

exhaustive since they assume that with a fixed number of primitives complete definitions of lexical

meaning can be given. (Pustejovsky, 1991 : 38)

L’altro approccio possibile alla rappresentazione lessicale di un verbo è quello per elencazione dei ruoli semantici, ovvero SEMANTIC ROLE LIST (Fillmore, 1968; Dowty, 1991; Rappaport Hovav e Levin, 2005).

Pur non venendo utilizzato nelle seguenti sezioni, tale approccio merita di essere delineato almeno nelle sue caratteristiche principali, per dimostrare come in realtà i due sistemi di rappresentazione portino alle medesime conseguenze e siano traducibili uno con l’altro.

L’obbiettivo di entrambi i sistemi notazionali è quello di rappresentare le componenti di significato di un verbo grammaticalmente rilevanti:

«In a semantic role list, grammatically relevant facets of a verb’s meaning are represented by a list of

labels identifying the role that each of the verb’s arguments plays in the event it denotes.» (Levin e

Rappaport Hovav, 2005 : 35)

Un ruolo semantico non è altro che un’etichetta assegnata ad un insieme di inferenze prodotte da un verbo rispetto a uno dei suoi argomenti (Fillmore, 1968; Levin e Rappaport Hovav, 2005; Dowty, 1989; Dowty, 1991).

Vale a dire, se X è argomento di V, un certo insieme di proprietà {P, Q,…} è predicabile di X.

Ciascun ruolo semantico definisce quindi una classe di argomenti: l’insieme di argomenti per i quali sono predicabili {P, Q,…}.

Verbi che assegnano i medesimi ruoli semantici agli argomenti producono le medesime inferenze su tali argomenti.

Se, in ultima istanza, le proprietà degli argomenti dipendono direttamente dalle caratteristiche dell’evento cui il verbo si riferisce, verbi che assegnano i medesimi ruoli semantici devono essere accomunati da un qualche tipo di similarità riguardante il loro significato.

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Si consideri il ruolo semantico Object(O) il cui referente viene caratterizzato da Fillmore come «…the entity that moves or changes or whose position or existence is

in consideration…» (Fillmore, 1971b: 376; Levin e Rappaport Hovav, 2005: 36); il

secondo argomento dei verbi distruggere, asciugare e uccidere può essere definito

Object per effetto delle proprietà che la partecipazione all’evento codificato da

ciascun predicato consente di attribuirgli: subire un mutamento di stato.

Tre eventi concettualmente piuttosto differenti producono le medesime implicazioni su un argomento e ciò deve essere dovuto ad una qualche similarità semantica di fondo tra le rappresentazioni lessicali.

In un approccio decomposizionale, il significato di un verbo è scomposto in costituenti primitivi rilevanti per spiegare possibili generalizzazioni linguistiche:

«…a representation of meaning formulated in terms of one or more primitive predicates chosen to

represent components of meaning that recur across significant sets of verbs.» (Levin e Rappaport

Hovav, 2005 : 69)

Una distinzione fondamentale nell’ambito delle teorie decomposizionali è quella tra informazione strutturale ed idiosincratica nell’entrata lessicale di un verbo (Pinker, 1989; Rappaport Hovav e Levin, 1998 ; Beavers e Koontz-Garboden, 2011; Kemmerer, 2003; McKoon, 2007).

Il significato strutturale di un verbo è quella parte della sua rappresentazione lessicale, contenente informazioni ontologiche di elevato grado di astrazione, che consente di classificare un dato verbo in una classe semantica più ampia, individuata, ad esempio, sulla base di proprietà grammaticali:

«The structural part of a verb’s meaning is that part which is relevant to determining the semantic

classes of verbs that are grammatically relevant…» (Rappaport Hovav e Levin, 1998 : 106)

«It is usually assumed that the structural component of verb meaning is that aspect which is

grammatically relevant- for example, relevant to argument realization- and defines the grammatically-relevant semantic classes of verbs- that is, those semantic classes of verbs whose members share syntactically- and morphologically- salient properties.» (Rappaport Hovav e Levin,

(19)

La parte idiosincratica del significato di un verbo riguarda l’informazione specifica che caratterizza un evento e consente di distinguere tra verbi che, pur condividendo la medesima informazione strutturale, appartengono a domini esperienziali molto diversi; questa parte di significato lessicale non è grammaticalmente rilevante (Kemmerer, 2003):

«…the idiosyncratic aspect of verb meaning serves to differentiate a verb from other verbs sharing

the same structural aspects of meaning; the idiosyncratic aspect is not relevant to the verb’s grammatical behavior.» (Rappaport Hovav e Levin, 1998: 106-107)

E’ opportuna una precisazione per evitare fraintendimenti: informazione strutturale e contenuto idiosincratico sono due parti inscindibili del significato lessicale di un verbo e non devono essere concepiti come due aspetti isolati; è concettualmente fuorviante parlare di due parti del significato lessicale di un verbo in quanto informazione strutturale e contenuto idiosincratico costituiscono due livelli di astrazione su una medesima entità, la rappresentazione concettuale di un evento. I verbi aprire, rompere e uccidere condividono il medesimo contenuto strutturale ma differiscono per informazione idiosincratica: sono eventi categorizzabili come mutamenti di stato esternamente causati che prevedono la produzione di uno stato in un oggetto per effetto di una certa azione; l’informazione idiosincratica riguarda le caratteristiche del particolare stato prodotto a seguito dell’evento (APERTO, ROTTO, MORTO).

La distinzione sopra introdotta viene rappresentata formalmente da Rappaport Hovav e Levin (Rappaport Hovav e Levin, 1998; 2008; Levin, 2013) attraverso una notazione decomposizionale che prevede l’utilizzo di almeno due tipi di ingredienti: 1) insieme di predicati primitivi che formalizzano le principali categorie ontologiche coinvolte nella categorizzazione degli eventi (ACT, CAUSE, BECOME, STATE, PLACE, …); 2) costanti, che formalizzano il contenuto idiosincratico di un verbo.

I predicati primitivi vengono combinati tra loro per formare strutture eventive più o meno complesse, anche dette event template, che devono rappresentare i principali tipi di eventi (Rappaport Hovav e Levin, 1998: 108):

(20)

[X ACT<MANNER>] (activity)

[X <STATE>] (state)

[BECOME [ X <STATE>]] (achievement)

[[X ACT<MANNER>] CAUSE [BECOME [Y <STATE>]]] (accomplishment)

Le costanti (nelle versioni più recenti della teoria, root), che corrispondono al concetto codificato dal verbo, sono associate ad una categoria ontologica che ne determina la posizione strutturale occupata nel template eventivo; le regole di associazione tra una ROOT ed una posizione strutturale sono dette Canonical

Realization Rules3 (Rappaport Hovav e Levin, 1998; 2005; 2008):

manner  [X ACT<MANNER>] (strofinare, camminare, curare, …)

instrument  [X ACT<INSTRUMENT>] (bastonare, segare, spazzolare, …)

container  [[X ACT] CAUSE [ BECOME [Y <PLACE>]]] (inscatolare,

imbottigliare, invasare, …)

internally caused state  [BECOME [X <STATE>]] (morire, sbocciare, fiorire, …) externally caused state  [[X ACT] CAUSE [ BECOME [Y <STATE>]]] (rompere,

bagnare, aprire, …)

Ci sono due tipi di posizioni strutturali che una costante può occupare : modificatore di un predicato o argomento di un predicato.

Le costanti vengono segnalate nelle strutture eventive in corsivo tramite il nome corrispondente alla radice verbale e tra parentesi uncinate, senza essere ulteriormente analizzate.

L’operazione di integrazione del contenuto idiosincratico di un verbo sulla struttura eventiva così come viene presentato da Rappaport Hovav e Levin (1998) ha tutte le caratteristiche di un’operazione derivazionale, dinamica.

3

Nei differenti lavori di Rappaport Hovav e Levin vengono presentate differenti liste di Canonical

(21)

Non si deve dimenticare, tuttavia, la plausibilità cognitiva di una rappresentazione lessicale: a quale livello di elaborazione concettuale si deve collocare questa operazione di integrazione?

L’errore che sembrano commettere Rappaport Hovav e Levin (1998), di cui si rendono conto, probabilmente, nel lavoro del 2008 (Rappaport Hovav e Levin, 2008: 4), è quello di confondere un meccanismo formale che consente di generare la rappresentazione lessicale di un verbo e la rappresentazione del significato che un parlante ha nella propria mente: a livello cognitivo non c’è alcuna operazione di integrazione tra il contenuto strutturale di un verbo e l’informazione idiosincratica; questi due tipi di informazione costituiscono due livelli di astrazione su un medesimo oggetto e sono contemporaneamente accessibili alle intuizioni di un parlante.

Facciamo un esempio di rappresentazione formale per un’entrata lessicale, il verbo

pulire.

Per prima cosa dobbiamo cercare di capire a quale macroclasse semantica appartenga il verbo: lessicalizza una componente MANNER o RESULT ?

Il Sabatini-Coletti riporta la seguente entrata per il verbo pulire:

«Liberare qlco. dallo sporco lavandolo, spazzandolo o smacchiandolo…»

La prima parte della definizione, che è quella di maggior interesse, esprime uno stato prodotto in un oggetto; l’elenco delle possibili maniere in cui tale stato viene ottenuto non costituiscono un entailment del verbo.

Trascurando per il momento i criteri linguistici di categorizzazione, si può dire che il verbo in questione faccia parte della classe dei RESULT VERBS; la categoria ontologica associata alla radice verbale è RESULT-STATE:

Result state  [[X ACT] CAUSE [ BECOME [ Y <RESULT-STATE> ]]]

La costante associata al verbo pulire, PULITO, rappresenta nella formalizzazione le caratteristiche specifiche dello stato descritto dal verbo:

(22)

pulire  [[X ACT] CAUSE [ BECOME [ Y <PULITO> ]]]

Analizziamo la rappresentazione formale.

Intuitivamente, il concetto specifico lessicalizzato da pulire può essere considerato come un mutamento di stato esternamente causato; la formalizzazione è in grado di esprimere in maniera soddisfacente questa generalizzazione.

« mutamento di stato…» ; questa parte della classificazione, che precisa che un’entità viene a possedere una proprietà che precedentemente non possedeva, è resa formalmente dal seguente segmento di struttura formale:

… [ BECOME [ Y <PULITO>]]]

Tra parentesi uncinate è specificato lo stato associato ad Y; l’operatore aspettuale BECOME (Dowty, 1979; Lakoff, 1972; Rappaport Hovav e Levin, 1998; 2008; Beavers, 2010) stabilisce che la proprietà PULITO è predicabile di Y soltanto a partire da un determinato istante temporale e che precedentemente l’oggetto non la possedeva.

Dunque, questa parte di formula esprime la componente trasformativa dell’evento. «…esternamente causato»; il mutamento di stato prodotto nell’entità viene innescato, causato, da una forza esterna rispetto ad esso (tale forza può essere una causa naturale o un agente animato).

Questa precisazione consente di distinguere due tipi di mutamento di stato, esternamente o internamente causato (Levin e Rappaport Hovav 1995; 1998); nel caso di mutamenti di stato internamente causati, l’evento viene innescato da caratteristiche intrinseche dell’oggetto che subisce il mutamento.

Il segmento di rappresentazione che formalizza la causazione esterna è il seguente:

[[X ACT] CAUSE…

(23)

L’operatore CAUSE, binario, esprime una relazione di causazione tra due eventi: non esiste circostanza in cui verificandosi il primo evento non si verifichi anche il secondo; diremo che il primo è causa del secondo.

Il primitivo ACT rappresenta un’azione compiuta da un individuo ( X nella formula). Nel caso della rappresentazione lessicale del verbo pulire, le caratteristiche specifiche dell’azione causante non sono lessicalizzate: un individuo compie un’azione ma quali siano le caratteristiche di tale azione non è specificato nella semantica del verbo.

Qualora il tipo particolare di azione venga specificato o dal verbo stesso o attraverso materiale linguistico aggiuntivo che elabora la rappresentazione dell’evento, questa informazione viene registrata formalmente sottoscrivendo la componente MANNER al primitivo ACT:

[X ACT <MANNER>]

Lavare  [X ACT <LAVARE>]

Esiste la possibilità di espandere le strutture eventive aggiungendo elementi formali fino ad ottenere strutture massimamente complesse, come quelle associate ai mutamenti di stato esternamente causati (Rappaport Hovav e Levin, 1998); questa procedura, che dal punto di vista sintattico consiste nell’aggiunta di materiale linguistico, è detta Template Augmentation e viene formulata da Rappaport Hovav e Levin 1998 nel seguente principio:

«Template Augmentation: Event structures templates may be freely augmented up to other possibile

templates in the basic inventory of event structure templates.» (Rappaport Hovav e Levin, 1998 : 111)

Un esempio prototipico di Template Augmentation in inglese è la costruzione risultativa: sintatticamente, ad un sintagma verbale contenente oltre ad un verbo un oggetto diretto viene aggiunto un altro sintagma (solitamente un sintagma aggettivale).

(24)

Dal punto di vista semantico, il sintagma aggiunto esprime lo stato raggiunto dall’oggetto diretto al termine del processo codificato dal verbo principale; vediamo un esempio classico:

1) John hammered the metal

John colpì/colpiva il metallo con il martello

Hammer  [X ACT <HAMMER> Y ]

[ (John) ACT <HAMMER> (the-metal) ]

1) codifica un’azione compiuta da un individuo senza specificare se essa produca un qualche effetto sull’oggetto rispetto al quale viene compiuta : hammer lessicalizza un MANNER (si noti che tutti i verbi che integrano lo strumento attraverso cui viene compiuta un’azione sono MANNER VERBS).

E’ possibile espandere la struttura eventiva di 1) aggiungendo uno stato risultante all’azione:

2) John hammered the metal flat

John appiattì il metallo complendolo con il martello

[[ (John) ACT <HAMMER> (the-metal) ] CAUSE [ BECOME [ (the-metal) <FLAT> ]]]

Nella rappresentazione eventiva di 2) sono stati aggiunti due elementi che hanno convertito il tipo eventivo di 1) da semplice processo a mutamento di stato esternamente causato, in cui viene allo stesso tempo specificata la maniera in cui tale mutamento si produce : l’operatore CAUSE, che stabilisce un rapporto di causazione tra l’azione compiuta da John e lo stato in cui si viene a trovare l’oggetto diretto, e il sottoevento trasformativo “…[ BECOME [ (the-metal) <FLAT> ]]]”, che formalizza il raggiungimento dello stato specificato linguisticamente dalla costruzione risultativa.

(25)

La componente MANNER e quella RESULT, entrambe presenti nella struttura eventiva, fanno riferimento ad elementi linguistici distinti, il verbo e la XP risultativa.

Un esempio di Template Augmentation nella lingua italiana può essere la costruzione dei Manner of Motion Verbs con un SP che codifica una localizzazione raggiunta al termine di un evento di moto traslazionale; i Manner of Motion Verbs lessicalizzano la maniera in cui un soggetto può eseguire un mutamento di localizzazione, senza, tuttavia, implicare che tale mutamento avvenga:

3) Gianni ha corso per tutto il giorno

Correre  [X ACT <CORRERE>]

[ (Gianni) ACT <CORRERE>]

3) codifica un processo che non contiene alcun punto terminale intrinseco; il confine temporale dell’evento è stabilito dalla frase avverbiale “per x tempo” (si noti che Gianni potrebbe aver corso sul posto per tutto il giorno).

La struttura eventiva di 3) viene espansa in 4) fino ad includere una localizzazione risultante che sancisce il termine del processo:

4) Gianni è corso a casa

[[ (Gianni) ACT <CORRERE> ] CAUSE [ BECOME [ (Gianni) <CASA> ]]]

Fino a questo momento abbiamo utilizzato le variabili X e Y nelle rappresentazioni semantiche e le abbiamo parafrasate con “individuo”, “entità”; queste variabili individuano nella rappresentazione formale le posizioni argomentali.

Esse sono caratterizzate da due aspetti fondamentali: vengono saturate dai partecipanti ad un evento e sono definite nella struttura eventiva dalla relazione che intrattengono con gli altri componenti della rappresentazione formale.

(26)

Il primo aspetto costituisce un importante ponte tra semantica e sintassi in quanto le variabili argomentali sono l’interfaccia semantica degli argomenti sintattici di un verbo.

Il secondo aspetto è di fondamentale importanza teorica.

All’inizio di questa sezione abbiamo evidenziato la traducibilità reciproca dei due tipi di approcci alla rappresentazione lessicale di un verbo: ruoli semantici e approccio decomposizionale.

Nella presentazione dell’approccio decomposizionale non abbiamo fatto il minimo accenno a ruoli semantici, poiché lo abbiamo concepito come un metalinguaggio completamente diverso da quello che utilizza tali nomenclature; tuttavia, una formalizzazione decomposizionale è perfettamente in grado di ricavare i ruoli semantici dei partecipanti ad un evento.

E’ possibile associare ad ogni posizione argomentale nella rappresentazione formale un ruolo semantico sulla base del confronto tra le proprietà che definiscono tale ruolo e quelle attribuibili ad un argomento per la sua posizione nella struttura (Jackendoff, 1972; Levin e Rappaport Hovav, 2005; Van Valin e LaPolla, 1997); queste ultime derivano dall’interpretazione dei predicati primitivi:

« In most predicate decompositions, the primitive predicates are argument-taking functions, so that a

verb’s arguments are represented by the open argument positions associated with the predicates. This move allows semantic roles to be defined with respect to the argument positions of particular

primitive predicates, making them explicitly derived notions…» (Levin e Rappaport Hovav, 2005 :

69)

A ciascuna posizione argomentale sono associate le proprietà che derivano dal rapporto che intrattiene con l’operatore aspettuale cui è annessa.

Dato che l’interpretazione degli operatori aspettuali consiste in nozioni ontologiche astratte, un’obiezione che si potrebbe muovere all’estrazione di ruoli semantici dalle posizioni argomentali è che l’insieme delle proprietà che un predicato primitivo permette di attribuire ai suoi argomenti sia molto più ristretto rispetto alla lista che individua un ruolo semantico specifico (Levin e Rappaport Hovav, 2005):

(27)

«…the argument positions in a predicate decompositions may actually correspond to semantic

notions that are coarser in grain-size than the average semantic role.»

La posizione argomentale associata al primo argomento dell’operatore CAUSE potrebbe essere considerata l’equivalente del ruolo semantico Agente:

[[ X ACT ] CAUSE…

Tuttavia, le proprietà che caratterizzano l’Agente includono animatezza e intenzionalità, requisiti che non sempre sono riscontrabili nel primo argomento di un verbo che include il primitivo CAUSE nella propria decomposizione; ci sono verbi il cui primo argomento è senza dubbio un Agente ma che non sono decomposti ricorrendo a CAUSE, viceversa ci sono verbi che includono l’operatore in questione ma che hanno usi in cui l’argomento di CAUSE non può essere considerato un Agente e ciò è dovuto alle proprietà intrinseche del referente del SN che occupa tale posizione strutturale.

Vediamo un esempio:

5) Il vandalo ha rotto la finestra 6) Il vento ha rotto la finestra

La rappresentazione eventiva di entrambi gli enunciati include l’operatore CAUSE, in quanto il verbo codifica un evento di mutamento di stato esternamente causato:

[[ (il-vandalo) ACT ] CAUSE [ BECOME [ (la-finestra) <ROTTA>]]] [[ (il-vento) ACT ] CAUSE [ BECOME [ (la-finestra) <ROTTA>]]]

Pur occupando la medesima posizione strutturale, i SN soggetto dei due enunciati hanno proprietà semantiche diverse: è vero che entrambi possono essere considerati la forza che innesca il mutamento di stato dell’oggetto diretto, e ciò deriva dall’interpretazione del primitivo CAUSE, ma, mentre nel primo caso il

(28)

vandalo possiede tutte le caratteristiche di un Agente (animatezza e intenzionalità),

nel secondo enunciato il vento può essere al massimo una causa efficiente.

Sembrerebbe che due posizioni argomentali identiche siano associate a ruoli semantici distinti.

Per conservare l’estraibilità dei θ-ruoli dalle decomposizioni dei verbi è necessario supporre che il ruolo specifico associato ad una posizione argomentale venga determinato dalla combinazione delle proprietà derivate dall’interpretazione dell’operatore cui la posizione è annessa e le proprietà intrinseche del partecipante che satura la variabile argomentale (Levin e Rappaport Hovav, 2005; Jackendoff, 1990).

Il SN il vandalo è Agente in 5) poiché in quanto argomento di CAUSE è la causa che scatena il mutamento di stato e possiede le proprietà ANIMATEZZA e INTENZIONALITA’ per ragioni intrinseche alla propria natura (si noti che INTENZIONALITA’ non è una proprietà tipica di un SN animato ma dipende da altri fattori; in questa sede non interessa approfondire la questione).

(29)

3.

Manner/Result

Complementarity:

stato dell’arte e primi problemi

Levin e Rappaport Hovav (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 2008) sono convinti di poter classificare l’intero lessico verbale inglese in due sole categorie, a seconda del tipo di componente semantica lessicalizzata: MANNER VERBS o RESULT

VERBS.

Da questa assunzione deriva la complementarietà tra i due tipi di componenti: un verbo può codificare un’azione senza specificare se essa produca degli effetti duraturi su un oggetto; oppure, un verbo può lessicalizzare uno stato prodotto in un oggetto per effetto di un’azione le cui modalità specifiche di realizzazione non fanno parte della semantica del verbo.

L’impressione che un gran numero di verbi registrino contemporaneamente entrambe le componenti è solo apparente ed è dovuta ad un processo di convenzionalizzazione (Levin e Rappaport Hovav, 2008; 2010).

I MANNER lessicalizzati dai MANNER VERBS sono fortemente associati a risultati che convenzionalmente vengono prodotti attraverso l’azione specificata dal verbo: si compie una determinata azione per produrre un certo risultato. Il fatto che lo stato risultante sia soltanto evocato e non lessicalizzato dai MANNER VERBS è dimostrato dalla possibilità di negare tale stato come risultato dell’azione:

1) Giorgio ha segato il tronco per tutto il giorno ma non è riuscito a scalfirlo 2) Il vandalo ha colpito la finestra ma questa non si è rotta

Parallelamente, i RESULT lessicalizzati dai RESULT VERBS sono fortemente associati a MANNER che vengono convenzionalmente utilizzati per produrli: un certo stato viene prodotto attraverso una certa azione. Il fatto che il MANNER sia soltanto evocato e non lessicalizzato dai RESULT VERBS è dimostrato dalla possibilità di

(30)

elencare un gran numero di azioni per uno stesso risultato (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 2008; 2010):

3) Ho pulito il tavolo lavandolo/ spolverandolo/ con un lanciafiamme

Dunque, ritornando alla presunta complementarietà, la situazione è la seguente:

«…manner and result are often in complementary distribution: that is, a given verb tends to be

classified as a manner verb or as a result verb, but not both.» (Rappaport Hovav e Levin, 2008 : 1)

Sfondare, ad esempio, lessicalizza un cambiamento di stato, riguardante l’integrità

materiale di un oggetto, senza però precisare il modo in cui tale stato viene ottenuto.

Tradotto in termini formali, adottando l’approccio decomposizionale introdotto nelle sezioni precedenti, si ha la seguente struttura eventiva per il verbo:

sfondare  [ [X ACT] CAUSE [ BECOME [ Y <SFONDATO> ]]]

La posizione strutturale elaborata dalla root semantica associata al verbo coincide con quella connessa al secondo sottoevento della rappresentazione lessicale, mentre niente viene detto a proposito del sottoevento causante.

Strofinare invece (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995) lessicalizza un’azione che

consiste in una specifica procedura motoria ma che non implica nessun cambiamento permanente in un oggetto; la root semantica del verbo modifica il primitivo ACT:

strofinare  [ X ACT <STROFINARE>]

In entrambi i casi, se si vuole aggiungere la componente semantica opposta rispetto a quella lessicalizzata dal verbo, è necessario introdurre materiale linguistico che supplisca tale componente.

(31)

In italiano, un esempio di aggiunta di componente MANNER ad una frase il cui verbo principale è un RESULT VERB è la costruzione con il gerundio modale:

4) La polizia ha sfondato la porta colpendola

[[ X ACT <COLPIRE> ] CAUSE [ BECOME [ Y <SFONDATA> ]]]

In questa struttura eventiva entrambe le posizioni strutturali connesse con i sottoeventi sono occupate da root semantiche; tuttavia, a ciascuna di queste root corrisponde un predicato diverso nella struttura sintattica della frase.

Una domanda fondamentale è la seguente: come arrivano Levin e Rappaport Hovav alla teorizzazione della complementarietà tra i due tipi di componenti?

L’intuizione che all’interno di classi verbali individuate sulla base del dominio esperienziale cui appartengono i concetti lessicalizzati dai membri fosse possibile operare un’ulteriore sottoclassificazione risale al lavoro del 1991 (Levin e Rappaport Hovav, 1991).

In Rappaport Hovav e Levin 1998 (Rappaport Hovav e Levin , 1998) si dice che i verbi appartenenti alle due classi esibiscono differenti gradi di flessibilità sintattica e in particolare che i MANNER VERBS sono associati ad un maggior numero di costruzioni sintattiche rispetto ai RESULT VERBS.

Nello stesso lavoro del 1998 viene introdotto anche il discriminante semantico tra le due classi verbali:

«…the verb sweep exhibits behavior that is representative of that of other verbs of surface contact,

including rub and wipe. These three verbs are distinguished from each other in the manner of surface contact they specify, but none of these verbs, in its most basic use, entails a resulting change in the contacted surface.» (Rappaport Hovav e Levin, 1998 : 101)

« Manner verbs like sweep, run, and whistle can be contrasted with result verbs, which lexicalize a

particular result, but more often than not are vague as to how the result is achieved. » (Rappaport

Hovav e Levin, 1998 : 101)

(32)

« A verb of change of state…lexicalizes a particular achieved state, and the verb denotes the bringing

about of this state. But though the verb itself denotes the bringing about of this state, it leaves the nature of the causing activity involved unspecified ; that is, such verbs do not lexicalize a manner.»

(Rappaport Hovav e Levin, 1998 : 101-102)

Se la definizione data da Levin e Rappaport Hovav può essere sufficiente da un punto di vista intuitivo, mancano test linguistici in grado di individuare con certezza quali verbi appartengono all’una e all’altra classe.

I pochi test linguistici utilizzati da Rappaport Hovav e Levin (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 1998; 2005; 2010) non vengono definiti in maniera chiara rispetto alle proprietà semantiche dell’una e dell’altra classe che determinano la positività/negatività di un verbo rispetto ad ognuno di questi test (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

Prima ancora di introdurre le possibili revisioni dell’approccio di Rappaport Hovav e Levin, presenterò il concetto di Manner/Result Complementarity che essi prendono in considerazione e la giustificazione formale di tale ipotesi.

Il test di risultatività tradizionalmente utilizzato per provare che un verbo lessicalizza uno stato risultante è quello del “Denial of Result” (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1998; 2010; Beavers, 2010; Beavers e Koontz-Garboden, 2012); tale test si basa sull’assunzione che un verbo produca una serie di implicazioni sui suoi argomenti, la cui natura dipende dalle componenti di significato lessicalizzate nell’entrata.

Se i RESULT VERBS lessicalizzano uno stato prodotto in un oggetto, l’applicazione di un verbo di questa classe ad un oggetto diretto dovrebbe garantire la predicabilità dello stato registrato rispetto al referente dell’argomento coinvolto. In altre parole, la predicabilità di un mutamento di stato in un argomento di un RESULT VERB deve costituire un entailment del verbo; la cancellazione di questo tipo di entailment genera contraddizione.

Si considerino i verbi frantumare e uccidere, entrambi RESULT VERBS:

5) *Il bambino ha frantumato il bicchiere ma questo è ancora intatto 6) *Il killer ha ucciso la vittima ma questa è ancora viva

(33)

La negazione dello stato risultante produce contraddizione, dunque i verbi lessicalizzano lo stato.

Nel caso di MANNER VERBS chiari, come lavare e correre, la negazione di un qualche tipo di mutamento subito da un argomento produce un enunciato perfettamente accettabile:

7) Maria ha lavato la tovaglia ma è ancora sporca

8) (contesto in cui Gianni è su un tapis roulant) Gianni ha corso per venti minuti ma

non si è mosso di un centimetro.

7) e 8) dimostrano che i MANNER VERBS non lessicalizzano alcun tipo di stato risultante.

Dunque si hanno due esiti possibili rispetto al Denial of Result:

a) Se la negazione di uno stato risultante per un verbo genera contraddizione, allora il verbo lessicalizza tale stato; b) Se la negazione di uno stato risultante per un verbo non genera contraddizione, allora il verbo non lessicalizza uno stato.

Si noti che, liberi da ogni pregiudizio sulla complementarietà tra i due tipi di componenti, nel caso a) abbiamo semplicemente dimostrato che il verbo lessicalizza una componente RESULT, non che non lessicalizza una componente MANNER. Specularmente, nel caso b) abbiamo dimostrato che il verbo non contiene una componente RESULT, non che contiene una componente MANNER (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

Rappaport Hovav e Levin arricchiscono l’argomentazione con una conclusione ulteriore, valida in entrambi i casi: dimostrare la presenza di una componente

RESULT implica dimostrare l’assenza di una componente MANNER; dimostrare

l’assenza di una componente RESULT implica dimostrare la presenza di un MANNER. Precisamente questo è il problema dei test linguistici proposti da Levin e Rappaport Hovav: la dimostrazione della lessicalizzazione di un tipo di componente da parte di un verbo è allo stesso tempo evidenza dell’assenza della componente semantica ad essa complementare; la dimostrazione dell’assenza di una componente è evidenza positiva per la presenza della componente ad essa complementare (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

(34)

Il ragionamento è circolare: si formulano test linguistici per dimostrare che

MANNER e RESULT hanno distribuzioni complementari nel lessico verbale ma, allo

stesso tempo, il funzionamento dei test dipende dall’assunzione stessa di una complementarietà tra i due tipi di significato.

Siamo di fronte ad una petitio principii: non esiste verbo che possa lessicalizzare contemporaneamente entrambi i tipi di componenti; questa proposizione costituisce sia il demonstrandum sia una premessa implicita del processo dimostrativo.

Un altro test linguistico è quello riguardante la possibilità da parte di un verbo di essere costruito con omissione dell’oggetto diretto (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1998; Beavers and Koontz-Garboden, 2012).

Tutti i verbi che codificano un risultato non possono omettere l’oggetto diretto:

8) *Il bambino ha frantumato 9) *Il killer ha ucciso

Ancora una volta Levin e Rappaport Hovav commettono l’errore di arrivare a conclusioni più forti, supponendo che la non omissibilità dell’oggetto sia contemporaneamente evidenza per una componente RESULT e per l’assenza di un

MANNER (di conseguenza, l’omissibilità diviene evidenza positiva per la presenza di

una componente MANNER).

Da un punto di vista semantico, secondo Rappaport Hovav e Levin 1998, questo vincolo sintattico per i RESULT VERBS (transitivi) è riconducibile alla struttura eventiva complessa che rappresenta i mutamenti di stato esternamente causati, in cui compaiono due sottoeventi, uno causante ed un mutamento di stato che scaturisce per effetto del primo:

[[X ACT]… …CAUSE…

(35)

L’argomento che nella struttura sintattica costituisce l’oggetto diretto corrisponde nella rappresentazione eventiva alla posizione argomentale Y, che formalizza il partecipante che subisce il mutamento di stato lessicalizzato dal verbo.

La necessità per un RESULT VERB di realizzare sintatticamente l’argomento coinvolto è dovuta alla struttura complessa del tipo eventivo cui una RESULT-STATE

root appartiene e ad una delle regole di well-formedness4, Argument-per-Subevent

Condition (Rappaport Hovav e Levin, 1998; 2001), secondo cui ci deve essere

almeno un argomento sintattico per ogni sottoevento nella struttura eventiva di un predicato.

A sua volta, la Argument-per-Subevent Condition è formulata sulla base di un’importante distinzione che Rappaport Hovav e Levin 1998 fanno a proposito degli argomenti di un verbo: structure participants VS constant participants.

Come abbiamo visto nella sezione dedicata alla teoria della rappresentazione lessicale proposta da Rappaport Hovav e Levin, a ciascuna struttura eventiva sono associate delle posizioni argomentali che vengono saturate dai partecipanti all’evento registrato dalla root semantica; nel momento in cui una Canonical

Realization Rule associa una root semantica alla rispettiva rappresentazione

eventiva, i partecipanti registrati nella root vengono proiettati sulle posizioni argomentali semanticamente compatibili con essi. Se ciascun partecipante della

root trova una posizione argomentale nella rappresentazione eventiva, diremo che

tutti i partecipanti dell’evento sono structural participants e che sono, pertanto, sottoposti a vincoli di realizzazione sintattica più rigidi; nel caso in cui il numero di posizioni argomentali sia inferiore rispetto ai partecipanti registrati nella root, diremo che il partecipante in eccesso è un constant participant.

4 Le Well-formedness Conditions sono un insieme di regole che stabiliscono, sulla base della struttura

eventiva di un predicato, quali elementi della rappresentazione formale (argomenti, root, …) devono avere necessariamente una controparte sintattica. Alle Well-formedness Conditions si affiancano le

Linking Rules, che determinano come i partecipanti ad un evento devono essere espressi

sintatticamente. Informalmente: possiamo dire che le Well-formedness Conditions stabiliscono il “cosa deve essere realizzato in sintassi” mentre le Linking Rules il “come deve essere realizzato in sintassi”.

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