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La polizia ha sfondato la porta colpendola

stato dell’arte e primi problem

4) La polizia ha sfondato la porta colpendola

[[ X ACT <COLPIRE> ] CAUSE [ BECOME [ Y <SFONDATA> ]]]

In questa struttura eventiva entrambe le posizioni strutturali connesse con i sottoeventi sono occupate da root semantiche; tuttavia, a ciascuna di queste root corrisponde un predicato diverso nella struttura sintattica della frase.

Una domanda fondamentale è la seguente: come arrivano Levin e Rappaport Hovav alla teorizzazione della complementarietà tra i due tipi di componenti?

L’intuizione che all’interno di classi verbali individuate sulla base del dominio esperienziale cui appartengono i concetti lessicalizzati dai membri fosse possibile operare un’ulteriore sottoclassificazione risale al lavoro del 1991 (Levin e Rappaport Hovav, 1991).

In Rappaport Hovav e Levin 1998 (Rappaport Hovav e Levin , 1998) si dice che i verbi appartenenti alle due classi esibiscono differenti gradi di flessibilità sintattica e in particolare che i MANNER VERBS sono associati ad un maggior numero di costruzioni sintattiche rispetto ai RESULT VERBS.

Nello stesso lavoro del 1998 viene introdotto anche il discriminante semantico tra le due classi verbali:

«…the verb sweep exhibits behavior that is representative of that of other verbs of surface contact,

including rub and wipe. These three verbs are distinguished from each other in the manner of surface contact they specify, but none of these verbs, in its most basic use, entails a resulting change in the contacted surface.» (Rappaport Hovav e Levin, 1998 : 101)

« Manner verbs like sweep, run, and whistle can be contrasted with result verbs, which lexicalize a

particular result, but more often than not are vague as to how the result is achieved. » (Rappaport

Hovav e Levin, 1998 : 101)

« A verb of change of state…lexicalizes a particular achieved state, and the verb denotes the bringing

about of this state. But though the verb itself denotes the bringing about of this state, it leaves the nature of the causing activity involved unspecified ; that is, such verbs do not lexicalize a manner.»

(Rappaport Hovav e Levin, 1998 : 101-102)

Se la definizione data da Levin e Rappaport Hovav può essere sufficiente da un punto di vista intuitivo, mancano test linguistici in grado di individuare con certezza quali verbi appartengono all’una e all’altra classe.

I pochi test linguistici utilizzati da Rappaport Hovav e Levin (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1995; 1998; 2005; 2010) non vengono definiti in maniera chiara rispetto alle proprietà semantiche dell’una e dell’altra classe che determinano la positività/negatività di un verbo rispetto ad ognuno di questi test (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

Prima ancora di introdurre le possibili revisioni dell’approccio di Rappaport Hovav e Levin, presenterò il concetto di Manner/Result Complementarity che essi prendono in considerazione e la giustificazione formale di tale ipotesi.

Il test di risultatività tradizionalmente utilizzato per provare che un verbo lessicalizza uno stato risultante è quello del “Denial of Result” (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1998; 2010; Beavers, 2010; Beavers e Koontz-Garboden, 2012); tale test si basa sull’assunzione che un verbo produca una serie di implicazioni sui suoi argomenti, la cui natura dipende dalle componenti di significato lessicalizzate nell’entrata.

Se i RESULT VERBS lessicalizzano uno stato prodotto in un oggetto, l’applicazione di un verbo di questa classe ad un oggetto diretto dovrebbe garantire la predicabilità dello stato registrato rispetto al referente dell’argomento coinvolto. In altre parole, la predicabilità di un mutamento di stato in un argomento di un RESULT VERB deve costituire un entailment del verbo; la cancellazione di questo tipo di entailment genera contraddizione.

Si considerino i verbi frantumare e uccidere, entrambi RESULT VERBS:

5) *Il bambino ha frantumato il bicchiere ma questo è ancora intatto 6) *Il killer ha ucciso la vittima ma questa è ancora viva

La negazione dello stato risultante produce contraddizione, dunque i verbi lessicalizzano lo stato.

Nel caso di MANNER VERBS chiari, come lavare e correre, la negazione di un qualche tipo di mutamento subito da un argomento produce un enunciato perfettamente accettabile:

7) Maria ha lavato la tovaglia ma è ancora sporca

8) (contesto in cui Gianni è su un tapis roulant) Gianni ha corso per venti minuti ma

non si è mosso di un centimetro.

7) e 8) dimostrano che i MANNER VERBS non lessicalizzano alcun tipo di stato risultante.

Dunque si hanno due esiti possibili rispetto al Denial of Result:

a) Se la negazione di uno stato risultante per un verbo genera contraddizione, allora il verbo lessicalizza tale stato; b) Se la negazione di uno stato risultante per un verbo non genera contraddizione, allora il verbo non lessicalizza uno stato.

Si noti che, liberi da ogni pregiudizio sulla complementarietà tra i due tipi di componenti, nel caso a) abbiamo semplicemente dimostrato che il verbo lessicalizza una componente RESULT, non che non lessicalizza una componente MANNER. Specularmente, nel caso b) abbiamo dimostrato che il verbo non contiene una componente RESULT, non che contiene una componente MANNER (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

Rappaport Hovav e Levin arricchiscono l’argomentazione con una conclusione ulteriore, valida in entrambi i casi: dimostrare la presenza di una componente

RESULT implica dimostrare l’assenza di una componente MANNER; dimostrare

l’assenza di una componente RESULT implica dimostrare la presenza di un MANNER. Precisamente questo è il problema dei test linguistici proposti da Levin e Rappaport Hovav: la dimostrazione della lessicalizzazione di un tipo di componente da parte di un verbo è allo stesso tempo evidenza dell’assenza della componente semantica ad essa complementare; la dimostrazione dell’assenza di una componente è evidenza positiva per la presenza della componente ad essa complementare (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

Il ragionamento è circolare: si formulano test linguistici per dimostrare che

MANNER e RESULT hanno distribuzioni complementari nel lessico verbale ma, allo

stesso tempo, il funzionamento dei test dipende dall’assunzione stessa di una complementarietà tra i due tipi di significato.

Siamo di fronte ad una petitio principii: non esiste verbo che possa lessicalizzare contemporaneamente entrambi i tipi di componenti; questa proposizione costituisce sia il demonstrandum sia una premessa implicita del processo dimostrativo.

Un altro test linguistico è quello riguardante la possibilità da parte di un verbo di essere costruito con omissione dell’oggetto diretto (Levin e Rappaport Hovav, 1991; 1998; Beavers and Koontz-Garboden, 2012).

Tutti i verbi che codificano un risultato non possono omettere l’oggetto diretto:

8) *Il bambino ha frantumato 9) *Il killer ha ucciso

Ancora una volta Levin e Rappaport Hovav commettono l’errore di arrivare a conclusioni più forti, supponendo che la non omissibilità dell’oggetto sia contemporaneamente evidenza per una componente RESULT e per l’assenza di un

MANNER (di conseguenza, l’omissibilità diviene evidenza positiva per la presenza di

una componente MANNER).

Da un punto di vista semantico, secondo Rappaport Hovav e Levin 1998, questo vincolo sintattico per i RESULT VERBS (transitivi) è riconducibile alla struttura eventiva complessa che rappresenta i mutamenti di stato esternamente causati, in cui compaiono due sottoeventi, uno causante ed un mutamento di stato che scaturisce per effetto del primo:

[[X ACT]… …CAUSE…

L’argomento che nella struttura sintattica costituisce l’oggetto diretto corrisponde nella rappresentazione eventiva alla posizione argomentale Y, che formalizza il partecipante che subisce il mutamento di stato lessicalizzato dal verbo.

La necessità per un RESULT VERB di realizzare sintatticamente l’argomento coinvolto è dovuta alla struttura complessa del tipo eventivo cui una RESULT-STATE

root appartiene e ad una delle regole di well-formedness4, Argument-per-Subevent

Condition (Rappaport Hovav e Levin, 1998; 2001), secondo cui ci deve essere

almeno un argomento sintattico per ogni sottoevento nella struttura eventiva di un predicato.

A sua volta, la Argument-per-Subevent Condition è formulata sulla base di un’importante distinzione che Rappaport Hovav e Levin 1998 fanno a proposito degli argomenti di un verbo: structure participants VS constant participants.

Come abbiamo visto nella sezione dedicata alla teoria della rappresentazione lessicale proposta da Rappaport Hovav e Levin, a ciascuna struttura eventiva sono associate delle posizioni argomentali che vengono saturate dai partecipanti all’evento registrato dalla root semantica; nel momento in cui una Canonical

Realization Rule associa una root semantica alla rispettiva rappresentazione

eventiva, i partecipanti registrati nella root vengono proiettati sulle posizioni argomentali semanticamente compatibili con essi. Se ciascun partecipante della

root trova una posizione argomentale nella rappresentazione eventiva, diremo che

tutti i partecipanti dell’evento sono structural participants e che sono, pertanto, sottoposti a vincoli di realizzazione sintattica più rigidi; nel caso in cui il numero di posizioni argomentali sia inferiore rispetto ai partecipanti registrati nella root, diremo che il partecipante in eccesso è un constant participant.

4 Le Well-formedness Conditions sono un insieme di regole che stabiliscono, sulla base della struttura

eventiva di un predicato, quali elementi della rappresentazione formale (argomenti, root, …) devono avere necessariamente una controparte sintattica. Alle Well-formedness Conditions si affiancano le

Linking Rules, che determinano come i partecipanti ad un evento devono essere espressi

sintatticamente. Informalmente: possiamo dire che le Well-formedness Conditions stabiliscono il “cosa deve essere realizzato in sintassi” mentre le Linking Rules il “come deve essere realizzato in sintassi”.

Si consideri il verbo spazzare: lessicalizza una ROOT semantica che prevede almeno due partecipanti, il soggetto che compie l’azione e la superficie rispetto alla quale tale azione viene eseguita; poiché la ROOT SPAZZARE appartiene alla categoria ontologica MANNER, essa è associata con il template eventivo [X ACT<MANNER>] che

prevede un’unica posizione argomentale.

Nel momento in cui SPAZZARE viene integrata nel template, il partecipante che compie l’azione va a saturare la posizione argomentale X mentre la superficie di contatto viene rappresentata nella struttura eventiva da una posizione argomentale aggiunta, [X ACT<SPAZZARE> Y ], che costituisce il constant participant.

Il partecipante non strutturale, Y, può essere omesso dalla realizzazione sintattica (Maria ha spazzato tutto il giorno).

L’ipotesi di Rappaport Hovav e Levin è proprio questa (Rappaport Hovav e Levin, 1998: 111): i partecipanti strutturali devono essere necessariamente espressi in sintassi, i constant participants possono essere omessi.

Nel caso dei RESULT VERBS che codificano eventi di mutamento di stato esternamente causato, la struttura eventiva ad essi associata dispone di due posizioni argomentali, una per l’evento causante ed una per il mutamento di stato, a cui vengono fatti corrispondere i partecipanti all’evento particolare codificato dal verbo: gli argomenti di un predicato di mutamento di stato esternamente causato sono entrambi structural participants e devono essere entrambi espressi in sintassi. Nella versione più recente della teoria (Rappaport Hovav, 2008; Kennedy e Levin, 2008), in cui la nozione semantica di RESULT è equiparata a quella di mutamento scalare, l’argomento il cui valore per un attributo subisce un mutamento su una scala di possibili valori per effetto dell’evento codificato dal verbo deve essere necessariamente espresso in sintassi; l’intuizione è interessante, tuttavia, non viene ulteriormente approfondita da Rappaport Hovav e Levin.

I principali test linguistici adottati per classificare ciascun verbo sono dunque “negazione di un risultato” e “omissibilità dell’oggetto”. Si noti che entrambi i test sono orientati verso l’individuazione di componenti RESULT; la componente

MANNER viene invece attribuita per sottrazione.

Un ultimo test è quello delle costruzioni risultative che, tuttavia, introdurrò nella sezione seguente per due motivi: gli unici tipi di esemplificazione riguardano la

lingua inglese; il test inoltre richiede che la nozione semantica di RESULT venga analizzata più in dettaglio.

Per il momento, ragionando per assurdo, assumiamo che la manner/result

complementarity sia provata dai test linguistici introdotti:

«MANNER/RESULT COMPLEMENTARITY: Manner and result meaning components are in

complementary distribution: a verb lexicalizes only one.» (Levin e Rappaport Hovav, 2010: 2)

Una volta stabilita la complementarietà sulla base di dati empirici, è opportuno giustificarla formalmente, nell’ambito della teoria della rappresentazione lessicale precedentemente adottata.

L’unico modo per farlo è introdurre un vincolo sulla maniera in cui una root viene integrata nello schema eventivo: una root semantica può essere associata ad un solo primitivo nella rappresentazione eventiva, fungendo o da modificatore dell’operatore ACT o da argomento di BECOME:

«The lexicalization constraint: A root can only be associated with one primitive predicate in an event

schema, as either an argument or a modifier.» (Rappaport Hovav e Levin, 2008 : 5)

Si hanno due possibili casi di integrazione di root:

[X ACT <ROOT>]

[ [X ACT] CAUSE [ BECOME [Y <ROOT> ]]]

Poichè abbiamo assunto che, date le Canonical Realization Rules, a ciascuna posizione strutturale occupabile da una root sia associata una categoria ontologica diversa, e precisamente che alla posizione “modificatore di ACT” è attribuita

MANNER e a quella BECOME RESULT-STATE, allora, potendo una root occuparne

soltanto una (per effetto del lexicalization constraint), essa dovrà appartenere ad un’unica categoria ontologica.

La categoria ontologica di una root determina, a sua volta, il tipo di componenti semantiche lessicalizzate.

Da questo meccanismo formale dovrebbe derivare la manner/result

complementarity.

Se, per assurdo, si assume che una root possa appartenere a più di una categoria ontologica, è possibile una struttura eventiva come la seguente, che viola il vincolo di lessicalizzazione ed è pertanto impossibile:

*[ [X ACT<ROOT_1>] CAUSE [ BECOME [ Y <ROOT_1>]]] (Beavers e Koontz-

Garboden, 2012)

Dunque, da un punto di vista formale, la complementarietà si basa su due assunzioni, la prima delle quali è implicita nel lavoro di Levin e Rappaport Hovav :

1) un verbo lessicalizza soltanto una root semantica

2) una root semantica, codifica soltanto informazione di tipo MANNER o di tipo

RESULT.

L’assunzione 1) permette di escludere la seguente struttura eventiva, poiché sarebbe necessario consentire ad un verbo di lessicalizzare due root semantiche distinte, appartenenti a categorie ontologiche distinte:

[ [X ACT<ROOT_1>] CAUSE [ BECOME [ Y <ROOT_2>] ]]

ROOT_ 1 e ROOT_2 sono lessicalizzate dallo stesso verbo.

Nel caso in cui si decida di abbandonare l’assunzione 2) (Beavers e Koontz- Garboden, 2012), si possono avere due tipi di strutture eventive che violano la complementarietà, a seconda che si stabilisca che una medesima root possa appartenere a più di una categoria ontologica o che esista una terza categoria

MANNER+RESULT e che, perciò, una stessa root possa codificare più tipi di

informazione (in termini formali significa che la root che registra i due tipi di componenti è collocata in un’unica posizione strutturale).

Si noti che si tratta di una sottigliezza formale, in quanto, in entrambi i casi di violazione di 2), da un punto di vista vero-condizionale, l’effetto è che un’unica root registri informazione appartenente a categorie ontologiche presunte complementari.

Le strutture eventive proibite sono le seguenti:

[ [X ACT<ROOT_1>] CAUSE [ BECOME [ Y <ROOT_1>]]]

[ [X ACT ] CAUSE [ BECOME [ Y <MANNER+RESULT>]]]

Una domanda sorge spontanea : quali vantaggi traggono una lingua ed i suoi parlanti dalla Manner/Result Complementarity?

Rappaport Hovav e Levin 2008 sostengono che il ruolo della complementarietà sia quello di limitare la complessità di un significato verbale (Rappaport Hovav e Levin, 2008; Grimshaw, 2005):

«…manner and result are meaning components that contribute to the complexity of a verb’s

meaning, and the lexicalization constraint which gives rise to manner/result complementarity reflects

a constraint on the overall complexity of a verb’s meaning.» (Rappaport Hovav e Levin, 2008 : 13)

Da cosa dipenda questa complessità non viene specificato : perché le nozioni semantiche di MANNER e RESULT misurano la complessità di significato?

Sebbene una root debba lessicalizzare un significato di tipo MANNER o di tipo

RESULT, il suo contenuto idiosincratico può essere indefinitamente complesso,

purché l’informazione registrata non sia inseribile nella categoria ontologica complementare rispetto a quella cui si presume che la root oggetto appartenga; in altre parole, non c’è vincolo su quanto possa essere dettagliato il MANNER/RESULT associato ad un’entrata lessicale (Rappaport Hovav e Levin, 2008).

Facciamo un esempio.

Supponiamo di voler “complicare” il significato del MANNER VERB walk (camminare) senza però violare il vincolo di lessicalizzazione, evitando quindi di inserire un qualche tipo di mutamento di stato.

Un verbo come turtalk1, che significasse “camminare sulle mani mentre si parla con

una tartaruga in smoking seduta sulla pianta del piede destro”, è perfettamente accettabile in inglese e, nonostante l’apparente complessità di significato, avrebbe una struttura eventiva analoga a quella di walk:

[X ACT <TURTALK>]

Un verbo non ammissibile in inglese, qualora si accetti la Manner/Result

Complementarity, sarebbe turtalk2, con un significato del tipo “andare in manicomio

camminando sulle mani mentre si parla con una tartaruga in smoking seduta sulla pianta del piede destro”; il verbo non è accettabile poiché, oltre a complicare il

MANNER lessicalizzato da walk, registra un mutamento di localizzazione subito dal

soggetto (considerable come una forma di RESULT-STATE).

Turtalk2 avrebbe una struttura eventiva proibita dal vincolo di lessicalizzazione:

*[ [X ACT<TURTALK>] CAUSE [ BECOME [ Y <TURTALK>]]]

Riassumendo : la Manner/Result Complementarity costituisce un vincolo sulle componenti di significato lessicalizzabili da parte di un verbo e, secondo Levin e Rappaport Hovav, ha la funzione di mantenere il significato di un verbo entro certi limiti di semplicità semantica.

La riflessione precedente ci lascia con due interrogativi ai quali Rappaport Hovav e Levin non sembrano rispondere esaurientemente: a) la Manner/Result

Complementarity è un vincolo empiricamente dimostrabile? b) ammesso che venga

4. Verso la formulazione di sistemi