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Componenti MANNER: problemi nella formulazione di test linguistic

stato dell’arte e primi problem

22) Mauro ha imbiancato pareti per tutto il giorno

4.3 Componenti MANNER: problemi nella formulazione di test linguistic

Come nel caso dei test di risultatività, la formulazione di test linguistici in grado di rivelare la presenza di una componente MANNER nella semantica di un verbo prende avvio dall’analisi della nozione semantica di MANNER, data da Rappaport Hovav e Levin e comunemente accettata nella letteratura (Rappaport Hovav, 2008; Rappaport Hovav e Levin, 2008; 2010; 2013; Beavers e Koontz-Garboden, 2012; Beavers, 2013): le componenti di significato che possono essere definite MANNER registrano mutamenti nonscalari.

«A nonscalar change is any change that cannot be characterized in terms of an ordered set of

values of a single attribute…the vast majority of nonscalar changes deviate from scalar changes in

another, more significant respect : they involve complex changes- that is a combination of multiple

changes- and this complexity means that there is no single, privileged scale of change.» (Rappaport

Hovav e Levin, 2008 : 12)

Più concisamente :

«…a manner is a complex sequence of separate changes that collectively define an action, but do not

necessarily add up to a single cumulative change along any one dimension.» (Beavers e Koontz-

Garboden, 2012 : 17)

Dunque, a verbi che lessicalizzano esclusivamente un MANNER non è associata alcuna scala di valori possibili per un attributo, dato che essi, pur incorporando la nozione di cambiamento, denotano una serie di cambiamenti, ordinabili secondo una certa successione temporale, che sommati non possono essere ricondotti al mutamento nel valore di un singolo attributo di un oggetto.

Oltretutto, i micromutamenti che nel complesso costituiscono un’azione non hanno necessariamente carattere persistente una volta terminato l’evento: lo stato di cose al termine dell’evento denotato dal predicato può coincidere con quello verificato all’inizio del processo; tale caratteristica dei mutamenti nonscalari determina l’andamento ciclico dei processi definibili come MANNER.

Non sorprenda se mi dilungherò sulla definizione semantica di MANNER in quanto, come Beavers e Koontz-Garboden riconoscono, l’eterogeneità della classe dei

MANNER VERBS è dovuta alla complessità della stessa nozione di MANNER; da tale

complessità derivano i problemi, non trascurabili, che si incontrano nella formulazione di test linguistici.

E’ possibile pensare ad un MANNER come ad una sequenza di istruzioni che, eseguite secondo un certo ordine temporale, consentono di compiere un’azione. A ciascuna fase corrisponde una determinata configurazione spaziale tra le sottostrutture dell’entità che esegue l’azione.

Lo stato finale coincide, solitamente, con quello iniziale in maniera tale che i micromutamenti che si sono succeduti nel corso del processo vengano invertiti. La

coincidenza tra stato finale e stato iniziale determina la ripetibilità ciclica dell’azione: in termini linguistici si dice che un evento di questo tipo è atelico, vale a dire è virtualmente possibile protrarre il processo all’infinito.

D’altra parte, un individuo avrà compiuto l’azione definita dalle istruzioni quando avrà terminato un ciclo completo.

Un esempio prototipico di MANNER è l’azione eseguita nello stile di nuoto rana. Semplificando sensibilmente la descrizione della fasi che si succedono nello stile rana, possiamo definire un esempio concreto di MANNER nella seguente maniera:

1) Immergiti in acqua con le braccia distese in avanti e le gambe indietro

2) Separa le braccia, in modo che creino una diagonale rispetto al corpo (accertati che i palmi della mani siano rivolti verso l’esterno e le braccia siano distese)

3) Porta i gomiti verso i fianchi, unisci le mani di fronte al petto e porta semplicemente le mani in avanti…

4) Completando il passaggio tre, solleva la testa, il collo e la parte superiore del petto fuori dall’acqua, per respirare

5) Piegando le ginocchia, porta i piedi verso i glutei. Fai un movimento circolare con i piedi fino a farli congiungere nel momento in cui le gambe sono totalmente distese di nuovo

6) Lasciati scivolare in acqua con le braccia distese in avanti e le gambe indietro.

Come si nota, lo stato 6) coincide con 1) e, pertanto, il ciclo è nuovamente ripetibile. La definizione di MANNER che abbiamo adottato è applicabile soprattutto a verbi che denotano azioni fisiche e ciò dipende dalla eterogeneità della classe verbale che include i processi dei tipi più disparati;è tuttavia ipotizzabile che procedendo verso un grado di astrazione maggiore sia possibile formulare una descrizione applicabile alla maggior parte dei MANNER specifici.

L’incertezza e la complessità dei test linguistici fino a questo momento ideati è direttamente riconducibile alla mancanza di una caratterizzazione chiara e rigorosa della nozione MANNER; ciò lascia aperto un ampio margine di ricerca:

«…it is not clear what single positive diagnostic might unify all manners on this definition, which

presumably include not just types of physical motion, but also ways of speaking, making noise, emitting light, and even ways of sitting still. Neither RHL nor Rappaport Hovav (2008) address this issue, and it points to the need for further, more explicit work on what exactly manner is.» (Beavers

e Koontz-Garboden, 2012 : 17)

Per questi motivi formuleremo test linguistici per la diagnosi di componenti

MANNER prototipiche, quelle associate ad azioni fisiche.

Il primo test, Selectional Restrictions, è basato sulle preferenze di selezione che un verbo impone su uno dei suoi argomenti, vale a dire le proprietà semantiche che un sintagma deve possedere per poter occupare una posizione argomentale associata al verbo.

Un dato effettivo è che un MANNER consiste in un’azione complessa che richiede l’esecuzione sequenziale e coordinata di una serie di procedure motorie; dal punto di vista empirico, ciò si traduce in un vincolo sui sintagmi che possono occupare la posizione soggetto dei MANNER VERBS: il soggetto di un MANNER VERB non può essere inanimato o una forza naturale.

Enunciati come i seguenti, a patto che si escludano letture figurate, presentano evidenti violazioni delle preferenze di selezione che compromettono l’interpretabilità dell’enunciato:

1) #Il vento ha strofinato il portone 2) #La granata ha spazzato il parquet

3) #La credenza ha nuotato tutto il pomeriggio

Nel caso di RESULT VERBS prototipici, dato che l’entrata lessicale non include alcuna azione specifica, enunciati con soggetti inanimati sono perfettamente accettabili:

4) Il martello ha rotto il vaso

5) Il terremoto frantumò i vetri della casa

Non c’è bisogno di ripeterlo: l’impossibilità per un verbo ad essere costruito con soggetto inanimato (o forza naturale) è evidenza positiva per la presenza di una

componente MANNER ma non può essere interpretata come evidenza per l’assenza di una componente RESULT.

Il secondo test, Denial of Action, come si deduce dal nome, appartiene alla medesima categoria del Denial of Result: in entrambi i casi si tratta di test che si basano sulle inferenze che un verbo produce su uno dei suoi argomenti.

Tali inferenze dipendono dalla semantica del verbo e, in particolare, dal tipo di componente lessicalizzata, MANNER o RESULT.

La formulazione del test, ancora una volta, passa attraverso l’analisi della nozione semantica MANNER: dato che i MANNER prototipici sono definiti da un insieme di procedure motorie che nel complesso individuano un’azione, un soggetto coinvolto in tale azione non può non compiere nessun movimento.

Pertanto, nel caso di verbi che codificano un MANNER prototipico, negare attraverso materiale linguistico che il soggetto abbia eseguito un qualche movimento dovrebbe generare contraddizione:

6) #Ho spolverato la credenza ma non ho mosso un dito

7) # Ho corso tutto il pomeriggio ma non ho mosso un muscolo

8) # Oggi pomeriggio ho raschiato il fondo della botte ma non ho mosso un dito 9) # Il fisioterapista ha massaggiato il paziente ma non ha mosso un muscolo 10) # Ha fischiato tutto il pomeriggio ma non ha mosso un muscolo6

11) # Il pubblico ha applaudito il cantante ma non ha mosso un muscolo

L’applicazione del test in 6)-10) dimostra che i verbi in essi contenuti lessicalizzano una componente MANNER.

Nel caso dei RESULT VERBS prototipici, assumendo che essi non lessicalizzano alcun tipo specifico di azione, dovrebbe essere possibile negare che il soggetto che causa il mutamento di stato esegua un qualche movimento senza generare

6 Interpretando alla lettera questo enunciato, si avverte una contraddizione: anche se l’azione

descritta da fischiare non consiste in una sequenza di movimenti facilmente individuabili, nondimeno prevede l’alterazione della configurazione interna delle sottostrutture che costituiscono il soggetto che esegue l’azione (un preciso atteggiamento dell’apparato respiratorio, contrazione dei muscoli della gabbia toracica, ecc.)

contraddizione, a patto che il contesto permetta di escludere l’agentività del soggetto.

La giustificazione semantica di questo test pone un fondamentale problema ontologico (Talmy, 1976; 1988; 2000; Beavers e Koontz-Garboden, 2012): è possibile mantenere nella rappresentazione semantica di un RESULT VERB la nozione di causa senza includere in essa necessariamente quella di azione? In altre parole, è possibile causare qualcosa senza compiere nessuna azione?

Per difendere la validità teorica del Denial of Action è necessario assumere un concetto di causazione ampliato, fino ad includere i contesti di negligenza, casi in cui la mancata agentività non impedisce che si verifichi un evento indesiderato (Beavers e Koontz-Garboden, 2012).

Facciamo un paio di esempi di contesti di negligenza.

Primo caso: si pensi ad un giardino con molte piante che devono essere curate affinché non muoiano, poiché è nella loro stessa natura tendere al deterioramento progressivo; se il proprietario, per negligenza, non se ne prende cura, pur non avendole “uccise” tramite azione diretta (sradicandole, strappandole, incendiandole,…), potrà essere ritenuto come responsabile della loro morte.

Non sarà contraddittorio descrivere la situazione attraverso il seguente enunciato:

12) Luca ha ucciso tutte le piante del suo giardino senza muovere un muscolo…non

le ha annaffiate e concimate per mesi…

Un altro caso: la mamma, prima di uscire, ha lasciato il pollo in forno ad arrostire, confidando che il figlio, che è in camera a giocare ai videogiochi, dopo qualche minuto si ricordi di spegnere il forno; prevedibilmente, il ragazzo si dimentica di spegnerlo ed il pollo si brucia. Tornata a casa, la mamma si accorge della situazione ed esclama:

13) Hai bruciato il pollo senza muovere un dito…ti sei dimenticato di spegnere il

In entrambi i casi c’è un mutamento di stato in corso o, comunque, temporalmente prossimo che non viene impedito: un individuo che, pur essendo in grado di impedire il mutamento di stato indesiderato, non agisce in nessun modo per impedirlo potrà essere ritenuto come la causa di tale mutamento.

Così come i MANNER VERBS prototipici non producono alcun result entailment su nessun argomento (come dimostrato dalla possibilità di negare il risultato senza generare contraddizione), i RESULT VERBS prototipici, secondo Beavers e Koontz- Garboden, non producono alcun entailment di agentività sul soggetto.

Questo significa che alcuni (tutti?) RESULT VERBS lessicalizzano il rapporto di causazione tra il soggetto ed il mutamento di stato ma non la nozione di agentività da parte del soggetto, intesa quest’ultima come l’esecuzione volontaria ed intenzionale di un’azione; l’impressione che il soggetto produca lo stato risultante attraverso una manipolazione diretta dell’oggetto è dovuta ad un arricchimento pragmatico della struttura eventiva (Holisky, 1987): l’interpretazione di default degli eventi di mutamento di stato esternamente causati con soggetti umani comprende la nozione di agentività.

E’ tempo di esplorare le conseguenze teoriche e formali di queste affermazioni. Da un punto di vista formale, accettando l’ipotesi proposta da Beavers e Koontz- Garboden (Beavers e Koontz-Garboden, 2012), si è costretti a rivedere la rappresentazione eventiva dei RESULT VERBS che, seguendo Rappaport Hovav e Levin 1998, era la seguente:

[[X ACT] CAUSE [ BECOME [ Y <RESULT-STATE>]]]

Il primo argomento dell’operatore CAUSE, non essendo elaborato da nessuna root semantica, rappresenta semplicemente la quantificazione esistenziale dell’azione causante lo stato lessicalizzato.

Se la nozione di agentività associata alla posizione argomentale X può essere negata linguisticamente rispetto al partecipante che la satura, allora essa non costituisce un entailment del verbo e, poiché i predicati primitivi della rappresentazione eventiva determinano gli entailment per una classe di verbi, l’operatore ACT deve essere rimosso dalla struttura formale.

Dunque, si avrebbe per i RESULT VERBS una rappresentazione eventiva del genere:

[ X CAUSE [ BECOME [ Y <RESULT-STATE> ]]]

A questo punto, torna utile ricordare la possibilità di definire i ruoli semantici sulla base delle proprietà associate a determinate posizioni argomentali dagli operatori ontologici e le proprietà intrinseche dei partecipanti che vanno a saturare queste posizioni (Rappaport Hovav e Levin, 2005): nel caso in cui il filler che viene ad occupare la posizione X possieda il tratto semantico

[+ ANIMATO], la nozione generica di causazione registrata nella struttura eventiva viene elaborata in “causazione tramite azione”.

Si consideri l’enunciato:

14) Il vandalo ha rotto la finestra

La rappresentazione eventiva di rompere sarebbe:

[ X CAUSE [ BECOME [ Y <ROTTO>]]]

Nel momento in cui il referente del SN il vandalo va ad occupare la posizione argomentale X, possedendo il tratto semantico [+ ANIMATO], la rappresentazione eventiva viene arricchita dalla nozione di agentività :

[[ (il-vandalo) ACT] CAUSE [ BECOME [ (la-finestra) <ROTTO> ]]]

Se si accetta la valenza teorica del Denial of Action, si deve rivedere anche il trattamento formale delle diverse classi verbali: poiché la nozione di agentitvità non costituisce un entailment dei RESULT VERBS prototipici è lecito eliminare l’operatore ACT dalla struttura eventiva?

Tale revisione è basata sulla definizione stessa di significato lessicalizzato ed

entailment: il significato lessicalizzato è il contributo semantico che un verbo

se l’inferenza di agentività può, in qualche contesto, essere cancellata, essa non costituisce un entailment del verbo e, dunque, la nozione di agentività non può far parte della rappresentazione lessicale.

Riassumendo: un verbo che, seguito dalla negazione linguistica dell’agentività del soggetto, genera un enunciato contraddittorio lessicalizza necessariamente una componente MANNER; viceversa, un verbo che in tale contesto non crea contraddizione non contiene una componente MANNER, allo stesso tempo non è detto che lessicalizzi un RESULT.

Prima di procedere all’analisi dell’ultimo test, è opportuno fare presente un limite enorme dei primi due (Selectional Restrictions e Denial of Action), che rende difficile il lavoro di ricerca nel campo dei MANNER VERBS e delle loro proprietà sintattiche e semantiche: salta subito all’occhio che gran parte del recente lavoro in ambito di semantica verbale si concentra sulla caratterizzazione della nozione di RESULT come mutamento scalare (si veda tutti i lavori di Beavers, Kennedy, Levin e Jackendoff sul concetto di scala) e sulla possibilità di ricondurre le proprietà aspettuali di un verbo al particolare tipo di stato risultante ad esso associato senza che nessun fondamentale contributo sia stato fornito alla definizione della nozione semantica di MANNER ed alla analisi dei verbi tradizionalmente considerati MANNER VERBS. Come accennato prima di iniziare la presentazione dei test, la categoria MANNER è talmente eterogenea che sembra impossibile individuare una definizione della componente semantica in grado di comprendere l’intero repertorio di presunti

MANNER VERBS: di conseguenza, è difficile stabilire con esattezza quali inferenze un

verbo che codifica un qualche tipo di MANNER produca su uno dei suoi argomenti. Per questo motivo, Beavers e Koontz-Garboden (Beavers e Koontz-Garboden, 2012) decidono di restringere il campo di ricerca delle componenti MANNER alle azioni fisiche, solitamente eseguite da un soggetto animato.

Dunque, la definizione di MANNER che essi forniscono individua azioni fisiche e poiché i test linguistici formulati devono essere basati sulla definizione semantica della componente, tali test sono in grado di provare la presenza/assenza solo di questo tipo specifico di MANNER.

Se ci si prefigge come unico obiettivo la dimostrazione dell’esistenza di una classe

un verbo lessicalizza una componente RESULT, se si riesce a dimostrare che esso lessicalizza anche una componente MANNER del tipo specifico, l’esistenza di un

MANNER+RESULT VERB è provata, in quanto il MANNER specifico di Beavers e

Koontz-Garboden è pur sempre un MANNER.

Tenendo a mente questo ragionamento, si possono definire le conseguenze semantiche dei due possibili risultati dell’applicazione del test ad un verbo:

1) Positività al test: il verbo lessicalizza una componente MANNER di tipo AZIONE. 2) Negatività al test: il verbo non lessicalizza una componente MANNER AZIONE ma non è detto che non codifichi un MANNER di altro tipo.

Dunque, un verbo negativo al test potrebbe, in linea teorica, lessicalizzare un qualche altro tipo di componente MANNER.

Queste conclusioni rendono evidente il limite principale dei test: sono in grado di provare l’esistenza della classe MANNER+RESULT VERBS ma non la non esistenza; poiché, nel caso in cui ogni verbo che codifica un RESULT risulti negativo al test, potrebbe sempre darsi l’evenienza che per alcuni di essi la negatività non sia dovuta all’assenza di una componente MANNER in senso assoluto ma all’assenza di una componente MANNER di tipo AZIONE7.

Queste osservazioni mostrano quanta strada debba ancora percorrere la semantica verbale per arrivare ad una caratterizzazione sufficientemente oggettiva della struttura di un MANNER, per poter, infine, formulare degli strumenti diagnostici che consentano un’affidabile e condivisibile categorizzazione del lessico verbale di una lingua.

L’ultimo test, Complexity of Action, è collegato ad una delle più classiche diagnostiche, in ambito di classificazione aspettuale, per definire la struttura temporale interna di un evento: quali modificatori avverbiali un verbo accetta e quali interpretazioni vengono assegnate a queste modificazioni.

7

Lo schema del ragionamente è circa il seguente: dimostrato che un oggetto X non è un cane, ed una cane è un tipo di animale, non avrò dimostrato che X non è un animale.

La definizione data di MANNER consente di stabilire due proprietà aspettuali dei verbi che codificano questo tipo di componente: atelicità e duratività.

La prima, che concettualmente si traduce nella possibilità di ripetere all’infinito l’azione codificata nel MANNER, consiste nell’assenza di un punto terminale, telos, che sancisca la conclusione logica del processo descritto.

La duratività di un verbo dipende dalla complessità interna dell’evento descritto: se esso si articola o meno in una successione sequenziale di fasi individuabili.

Un verbo che combina le due proprietà è interpretabile con una modificazione avverbiale di tipo per X tempo, che specifica per quanto tempo l’azione codificata si ripete:

15) a. #L’atleta ha corso in dieci minuti b. L’atleta ha corso per dieci minuti 16) a. #Ho fischiato in tre minuti

b. Ho fischiato per tre minuti

17) a. #Il pubblico applaudì in trenta minuti b. Il pubblico applaudì per trenta minuti

I RESULT VERBS accettano una modificazione avverbiale di tipo in X tempo che specifica la durata del processo fino al punto terminale dell’evento (determinato lessicalmente), mentre l’utilizzo di per X tempo differisce in maniera sostanziale per interpretazione rispetto al caso dei MANNER VERBS (la questione richiederebbe un approfondimento che mi sembra fuori luogo in questo contesto: analisi di tutti i possibili SV che contengono un certo RESULT VERB, in particolare in relazione alle proprietà semantiche dell’oggetto diretto).

Una precisazione è necessaria riguardo all’uso di in X tempo come strumento di analisi della struttura temporale interna di un verbo: seguendo Kearns, Rothstein e Beavers (Kearns, 2000; Rothstein, 2004; Beavers, 2008), considererò due aspetti della modificazione avverbiale in X tempo.

La prima dimensione concerne l’accettabilità/non accettabilità di un verbo con questa modificazione: un verbo accettabile con in X tempo è telico.

La seconda dimensione prende in considerazione l’interpretazione che la frase avverbiale genera con un verbo.

Dato che in X tempo definisce l’istante di occorrenza di un punto telico, la relazione tra l’istante a partire dal quale l’intervallo temporale quantificato viene misurato e la semantica del predicato dipende dalla duratività dell’evento descritto; se l’evento lessicalizzato è puntuale, esso verrà collocato nella sua interezza nell’istante finale dell’intervallo X, il cui estremo iniziale sarà calcolato contestualmente in maniera tale che ciò che accade tra i due istanti temporali non faccia parte della semantica del predicato.

Al contrario, se l’evento descritto dal verbo telico ha una complessità mereologica multidimensionale, è quindi durativo, e, in particolare, al semplice mutamento di stato (o punto telico dell’evento) è associata un’attività compiuta per produrre tale mutamento, l’istante iniziale dell’intervallo X coinciderà con il momento in cui l’attività causante prende avvio mentre quello finale con il telos dell’evento: ciò