• Non ci sono risultati.

LA TUTELA RISARCITORIA PER LA FAMIGLIA DI FATTO E LA LEGGE VIAREGGIO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "LA TUTELA RISARCITORIA PER LA FAMIGLIA DI FATTO E LA LEGGE VIAREGGIO"

Copied!
165
0
0

Testo completo

(1)

1

INDICE

INTRODUZIONE

pag. 4

CAPITOLO I

La famiglia ed il risarcimento del danno

1.1 La problematica legata alla nozione di “danno” pag. 7

1.2 La nozione di famiglia pag. 11

1.3 Il danno pag. 14

1.4 Il risarcimento del danno nel Codice del 1942 pag. 17

1.5 La funzione del meccanismo risarcitorio e

l‟articolo 2043 pag. 19

1.6 L‟evoluzione della giurisprudenza e della

dottrina pag. 20

1.7 Il diritto del convivente al risarcimento

del danno pag. 24

1.8 Il mutamento della giurisprudenza nel riconoscimento del risarcimento del danno

al convivente pag. 29

CAPITOLO II

I criteri di liquidazione del danno

2.1 La liquidazione del danno pag. 36

2.2 Le tabelle del tribunale di Milano pag. 43

2.3 La portata innovativa delle tabelle del tribunale

(2)

2

2.4 Il contrasto tra tribunale di Milano e tribunale

di Roma e la soluzione della Cassazione pag. 55

2.5 I parametri di liquidazione e la loro applicazione

da parte dei tribunali pag. 61

CAPITOLO III

La disciplina della convivenza in Europa e la

situazione italiana

3.1 L‟emergere di forme di convivenza diverse dal

matrimonio pag. 66

3.2 L‟eterogeneità dei modelli europei di tutela

della convivenza pag. 69

3.3 La disciplina sui PACS pag. 82

3.4 Le convivenze more uxorio e la tutela delle

unioni di fatto nei Paesi del cd. quarto livello pag. 87

3.5 La situazione in Italia: l‟evoluzione della

famiglia di fatto pag. 90

3.6 I principi costituzionali di riferimento pag. 92

3.7 Le possibili alternative pag. 97

3.8 Le proposte di legge: il disegno di legge

sui DICO pag. 98

3.9 Il disegno di legge sui cd. contratti di

unione solidale pag. 105

3.10 La disciplina delle unioni civili in Italia pag. 111

(3)

3

CAPITOLO IV

Gli interventi legislativi e giurisprudenziali

e la “Legge Viareggio”

4.1 Il vuoto legislativo e la “soluzione” Viareggio pag. 119

4.2 Gli interventi legislativi pag. 122

4.3 Il contributo della giurisprudenza pag. 131

4.4 La “particolarità” del caso Viareggio pag. 142

4.5 La cd. legge Viareggio pag. 145

4.6 Conclusioni pag. 155

BIBLIOGRAFIA

pag. 157

SITOGRAFIA

pag. 163

PERIODICI

pag. 165

(4)

4

INTRODUZIONE

Questa tesi di laurea ha come obiettivo quello di analizzare la disciplina del diritto al riconoscimento del risarcimento del danno in favore delle coppie di fatto, un tema delicato in un Paese come l‟Italia, dove le forme di convivenza diverse dal matrimonio non hanno mai trovato quella tutela che invece caratterizza la maggior parte dei Paesi europei.

La riforma del diritto della famiglia, attuata con la legge n. 151 del 19 maggio 1975, ha dato il via ad un lento riconoscimento di tutela nei confronti dei conviventi, che tuttavia non è mai sfociato in un provvedimento di rango legislativo capace di disciplinare in toto la materia.

Il percorso verso la garanzia del riconoscimento di diritti nei confronti dei conviventi more uxorio è stato infatti ricco di difficoltà e di contrasti, che hanno contribuito alla mancata approvazione di una disciplina di rango legislativo sul tema. Una decisa sterzata a questo immobilismo è data tuttavia dalla recente legge Viareggio, intervento diretto a garantire il risarcimento del danno a coloro che sono stati colpiti dalla tragica esplosione del 29 giugno 2009.

Nella seconda stesura della legge, intervenuta a sanare le evidenti carenze che caratterizzavano la prima versione, viene affermato esplicitamente per la prima volta un vero e proprio riconoscimento di tutela nei confronti delle cd. coppie di fatto. Le varie Corti si erano alternate nel corso degli anni in alcuni tentativi atti a garantire una qualsivoglia forma di riconoscimento, anche in materie specifiche, nei confronti dei

(5)

5

conviventi more uxorio, dando vita tuttavia a risultati che, sebbene apprezzabili, erano sempre rimasti inesauditi da parte del legislatore.

Nemmeno la spinta derivante dai Paesi dell‟Unione Europea, che nel corso degli anni si sono dotati di normative finalizzate ad un riconoscimento più o meno pieno di tutela verso le unioni anche omosessuali, e la stessa Unione Europea, che per mezzo della propria Corte e delle proprie risoluzioni ha, anche attraverso sanzioni, tracciato la linea da seguire, sono riuscite a far sì che il nostro Paese si dotasse di una normativa in materia. Alla base di questa mancanza di disciplina vi è un preoccupante immobilismo da parte del legislatore, incapace di comprendere i bisogni e le richieste che affiorano dalla società , ed i contrasti interni tra chi ritiene necessario un intervento legislativo e chi invece ritiene giusto che ai conviventi more uxorio non venga riconosciuta alcuna forma di tutela.

La speranza è dunque quella che, da un evento così tragico come quello che ha colpito la mia città, e che ha riportato anche a livello nazionale l‟attenzione sul tema delle coppie di fatto, si possa finalmente giungere ad una soluzione che garantisca la tutela che le coppie di fatto richiedono, e che ci avvicini alle legislazioni del resto dei Paesi europei che già da alcuni anni si sono dotati di una legislazione in materia.

L‟obiettivo della mia tesi di laurea è dunque quello di porre l‟attenzione e far riflettere il più possibile sulla realtà delle coppie di fatto in Italia, del (non) riconoscimento di cui, almeno fino ad ora, godono, compiendo un raffronto con gli altri Paesi europei dove invece le coppie di fatto usufruiscono di

(6)

6

riconoscimento e tutela, per giungere infine a trattare la grande opportunità che la legge Viareggio pone al nostro legislatore nell‟obiettivo di concedere una tutela alle coppie di fatto, un occasione che, per le difficoltà cui si è trovato davanti nel corso degli anni e per il periodo, è secondo me impensabile farsi sfuggire.

(7)

7

CAPITOLO I

La famiglia ed il risarcimento del danno

1.1 La problematica legata alla nozione di “danno”

Tra le tante “rivoluzioni” che hanno caratterizzato il diritto di famiglia negli ultimi decenni, forse nessuna è stata così repentina come quella che ha aperto le porte alla responsabilità civile: nell‟arco di pochissimi anni si è infatti passati da una

sostanziale preclusione all‟accoglimento delle istanze

risarcitorie in determinati settori. Essenziali, al riguardo, sono state le evoluzioni nella visione della famiglia e del suo ruolo, a partire dallo sviluppo del sistema della responsabilità civile, non tanto in senso quantitativo, quanto nella direzione di realizzare una tutela della persona più aderente ai principi generali dell‟ordinamento, e la nuova giurisprudenza in tema di danno non patrimoniale1.

Si è quindi registrato da un lato un allargamento di operatività, ossia dell‟area dell‟ingiustizia del danno, e dall‟altro si è assistito alla creazione, da parte della giurisprudenza, di nuove figure di danno risarcibile2.

Nell'ambito del macro-settore della responsabilità civile, una posizione di assoluta preminenza è occupata dalla nozione di “danno”.

1 G. CASSANO, Rapporti familiari, responsabilità civile e danno esistenziale,

Padova, 2006, pag. 60.

(8)

8

Manca tuttavia, nella nostra legislazione, una puntuale definizione di danno: le norme che lo prendono in considerazione, infatti, si limitano a darlo per presupposto3. Dottrina e giurisprudenza si sono così dovute cimentare nell'impresa di fornire una nozione giuridica di danno, giungendo a individuare, in generale, nella «lesione di ogni

interesse giuridicamente rilevante»4 il suo fondamento.

«Ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all‟ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante»5.

Sulla questione si deve rammentare come la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 1999 abbia rappresentato il punto di svolta nel lento processo di «progressiva erosione dell‟assolutezza del principio che voleva risarcibile, ai sensi dell‟articolo 2043 del Codice civile, soltanto la lesione del diritto soggettivo, procedendo altresì ad un costante

3 Con l‟unica eccezione riguardante il danno biologico, la cui nozione è stata

puntualmente indicata dalla Corte di Cassazione in varie sentenze, tra cui la Sentenza n. 11039 del 12 maggio 2006, in cui si afferma che «il danno biologico consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica. In particolare, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l‟applicazione di criteri

predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle” (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultino recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice». (Sentenza Corte di Cassazione n. 11039 del 12 maggio 2006, in Mass. giur. it., 2006).

4 Sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999, in Foro it., 1999, I,

2487.

(9)

9

ampliamento dell‟area della risarcibilità del danno aquiliano»6.

In particolare, nell‟ambito del diritto di famiglia, tale evoluzione si è concretata nel «riconoscimento della risarcibilità della lesione di legittime aspettative di natura patrimoniale nell‟ambito della famiglia di fatto, purché inerenti appunto ad aspettative qualificabili come “legittime” (e non mere aspettative semplici), in relazione sia a precetti normativi che a principi etico-sociali di solidarietà familiare e di costume»7. Il nostro sistema si caratterizza peraltro, almeno secondo l'opinione dominante, per la sua “bipolarità”: il danno risarcibile viene infatti distinto in danno “patrimoniale” e danno “non patrimoniale”.

Questo sistema bipolare prevede per i danni patrimoniali una regola di generale risarcibilità (disciplinata dall‟articolo 2043 del Codice civile), condizionata dall‟ingiustizia del danno, e dunque da criteri di selezione delle ipotesi meritevoli di tutela, mentre per i danni non patrimoniali, previsti all‟articolo 2059 del Codice civile, un esplicito ed esclusivo richiamo alla legge ed ai casi ivi previsti8.

Si tratta di una distinzione che ha dato luogo, nel corso del tempo, a numerosissime ricostruzioni e dubbi interpretativi, soprattutto con riguardo al contenuto ed al ruolo dell'articolo 2059 cc ed ai limiti relativi al risarcimento del danno non patrimoniale.

6

Sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999, cit.

7 M. FRANZONE, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile, Giuffrè,

Milano, 2004, pag. 917-918, per cui in tal modo «si è abbattuta una frontiera fino a quel punto ritenuta insuperabile: l‟idea secondo la quale il danno ingiusto era tale se la lesione fosse contra ius».

8

Questo era il sistema previsto dal Codice civile del 1942; nel corso degli anni poi tale sistema è stato modificato dalle varie decisioni della Corte di Cassazione.

(10)

10

La problematica del danno non patrimoniale ha influito in maniera determinante sugli sviluppi della responsabilità civile; l‟evoluzione degli ultimi anni ha infatti messo in crisi il sistema bipolare adottato dal nostro legislatore.

A partire dagli anni sessanta l‟istituto della responsabilità civile venne ricostruito non più intorno al comportamento illecito, ma sul fatto dannoso, realizzandosi così non solo un cambiamento di prospettiva (portando il punto di vista dal danneggiante al danneggiato), bensì il passaggio da un modello in cui il risarcimento costituiva sanzione per un comportamento vietato, ad un modello che pone al proprio centro la funzione riparatoria.

Questa nuova lettura del sistema consente di interpretare in chiave innovativa il dato legislativo, con il principale effetto di

ampliare l‟ambito applicativo della disciplina della

responsabilità: l‟ingiustizia del danno (arricchendo il novero degli interessi rilevanti ai fini della tutela aquiliana); il sistema dell‟imputazione (riducendo le ipotesi di responsabilità colposa a favore di quella oggettiva); la messa in discussione del aspetto della patrimonialità come requisito generale di risarcibilità del danno e, dunque, l‟erosione della regola di rigida tipicità in ordine al risarcimento del danno non patrimoniale.

Questa tendenza è stata favorita dalla valorizzazione dei “doveri

inderogabili di solidarietà sociale” previsti all‟articolo 2 della

Costituzione9, che ha portato ad una interpretazione

9 L‟articolo 2 della Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce

i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

(11)

11

“adeguatrice”10, attraverso il combinato disposto dell‟articolo

2043 cc e dell‟articolo 2059 cc con le norme costituzionali che garantiscono il rispetto dei diritti inviolabili. Questo ha portato ad una rivalutazione dei modelli di danno tracciati dalla disciplina del codice, e la stessa nozione di “danno risarcibile”, sganciata dall‟elemento della patrimonialità, ha subito un progressivo ampliamento, volto ad assicurare un‟adeguata tutela ai richiamati valori personalistici11.

1.2 La nozione di famiglia

Le progressive trasformazioni della società hanno portato ad un diverso modo di considerare la famiglia nell'ambito del diritto. Sono trascorsi quasi quarant‟anni dalla riforma del diritto di famiglia, e si è assistito al passaggio da una concezione istituzionale ed autoritaria della stessa, all‟opinione condivisa che la considera come una comunità fondata sulla reciproca solidarietà di coloro che ne fanno parte, ognuno portatore di autonomi diritti soggettivi.

Nell‟attuale ordinamento il termine famiglia fa riferimento ad una pluralità di fattispecie caratterizzate da relazioni, la cui natura, in base alla comune esperienza sociale, è data dalla

10

La via dell‟interpretazione adeguatrice del sistema della responsabilità civile alla Costituzione è stata seguita anche dalla Corte di Cassazione, con le sentenze n. 8827/8828 del maggio 2003, in cui la Corte ha espressamente affermato che il rinvio contenuto dell‟articolo 2059 cc ai casi determinati dalla legge «ben può

essere riferito anche alle previsioni della Costituzione e in particolare a quella norma (l’articolo 2) che, nel riconoscere i diritti inviolabili inerenti alla persona, non aventi natura economica, implicitamente, ma non

necessariamente, ne esige la tutela ed in tal caso configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale». Sentenza Corte di Cassazione n. 8827-8828 del 31 maggio 2003,

in danno e resp., 203, 816 ss. con commento di F.D. BUSNELLI, Chiaroscuri

d’estate. La Corte di Cassazione ed il danno alla persona, pag. 826.

11

G. PONZARELLI, Le tre voci di danno non patrimoniale, problemi e

(12)

12

sussistenza di vincoli di vario genere: giuridici, come matrimonio, affinità ed adozione; giuridici e biologici, come filiazione legittima o naturale riconosciuta, e la parentela;

meramente biologici, come la filiazione non riconosciuta12; tali

rapporti di fatto e giuridici determinano le cosiddette relazioni di tipo familiare.

Anche rapporti di fatto, come la convivenza fuori dal matrimonio o le relazioni che si creano nella famiglia ricomposta, quantomeno con riferimento ad alcuni profili, godono di tutela, e quindi possono essere ricompresi nell'ambito delle relazioni familiari giuridicamente rilevanti.

L'abbandono della visione tradizionale della famiglia ed il crescente riconoscimento dei diritti individuali costituiscono i motivi che hanno portato ai mutamenti nel diritto di famiglia, cosicché i diritti del singolo hanno ricevuto una protezione sempre più ampia, a discapito dell'istituto familiare in sé e per sé considerato.

Dopo la riforma del diritto di famiglia del 197513, questa tendenza ha ricevuto ulteriori conferme.

12 La legge n. 219 del 10 dicembre 2012, rubricata ”Disposizioni in materia di

riconoscimento dei figli naturali”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17

dicembre 2012 ha tuttavia fatto cadere definitivamente la distinzione tra figli legittimi e naturali. La nuova legge proclama infatti solennemente che «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» (nuovo articolo 315 del Codice civile), con la conseguenza che le espressioni “figlio legittimo” e “figlio naturale”

scompaiono dal lessico giuridico, facendo di conseguenza sparire anche l‟istituto della legittimazione. Tale legge ha sancito il superamento di ogni forma di discriminazione nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, con l‟introduzione di un unico status di figlio, così realizzando i principi delle Convenzioni internazionali sui diritti dell‟infanzia e quelli di cui agli articoli 3 e 30 della Costituzione (L. SPINA, Dopo i passi in avanti compiuti in questa

legislatura serve l’istituzione del Tribunale unico per la famiglia, in guida al diritto, gennaio 2013, pag. 13).

13 Legge 19 maggio 1975, n. 151, rubricata “Riforma del diritto di famiglia”,

pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 135 del 23 maggio 1975, in Foro it., 1975, V, 154.

(13)

13

La vigente normativa consente di individuare una pluralità di modelli familiari socialmente tipizzati e giuridicamente tutelati. In primo luogo, il modello tradizionale di famiglia fondata sul

matrimonio, nell'ambito del quale si distingue tra famiglia nucleare, riferita alla coppia ed agli eventuali figli, e famiglia allargata, che ricomprende, con vari effetti giuridici, parenti ed

affini. In secondo luogo, la famiglia di fatto, intesa quale convivenza di due partner ed eventualmente dei loro figli naturali; ancora, la famiglia ricomposta, nella quale i partners, coniugati o conviventi di fatto, coabitano assieme ai figli nati da precedenti relazioni; infine la famiglia monoparentale, in cui un solo genitore convive con i figli.

Il diritto di famiglia, quindi, è quell'insieme di norme giuridiche che disciplina queste relazioni14.

La famiglia, come formazione sociale dove vengono riconosciuti e tutelati i diritti della persona, è governata dal principio di solidarietà, e non necessita di un negozio formale perché possa dirsi esistente e funzionante; essa è una comunità che si presenta come luogo di tutela dei diritti fondamentali della persona, diritti inderogabili, la cui natura non può essere messa in discussione.

Di conseguenza, un sistema giuridico che pone al centro della tutela la persona, i suoi diritti e le sue libertà, non può trascurare il fenomeno della famiglia di fatto, formazione sociale che in concreto svolge le funzioni della famiglia, seppur in mancanza di un negozio giuridico formale quale il matrimonio.

(14)

14

Non si può negare tuttavia che l'esistenza del negozio giuridico formale ancora oggi, come recita anche l'articolo 29 della Costituzione, sia, per il diritto civile, fondamento della famiglia intesa in senso stretto.

Nonostante ciò, il diritto di famiglia si è aperto, nel corso degli ultimi anni, a nuovi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali.

1.3 Il danno

Il codice civile non dà una definizione del termine danno.

Da un punto di vista materiale e naturalistico infatti il senso comune ha una percezione immediata di cosa sia un danno, definibile come “ogni forma di pregiudizio e/o alterazione in

peggio di un bene o di un interesse, riferiti ad un determinato soggetto”15.

Il problema centrale della materia, universalmente avvertito, è quello di fissare il limite entro cui le conseguenze dannose possono avere rilevanza ai fini del risarcimento16.

La prima concezione affermatasi nella dottrina moderna vedeva nel danno una “diminuzione patrimoniale”, secondo la celebre formula della differenza tra la consistenza del patrimonio di un soggetto prima e dopo l'evento dannoso, operando un mero raffronto matematico tra il valore attuale del patrimonio del danneggiato ed il valore ipotetico che il patrimonio avrebbe presentato se l‟evento dannoso non si fosse verificato17.

15

Definizione di danno in senso naturalistico, A. DI MAJO, La tutela civile dei

diritti, cit., pag. 220.

16 S. PATTI, Danno patrimoniale, in Digesto priv. sez. civ. V, pag. 95.

17 Si tratta della cd. “teoria della differenza”, secondo cui il danno è inteso come

effetto economico negativo, cioè come perdita economica che si risolve nel danno emergente e nel lucro cessante, teorizzata da Mommsen nel 1855 e recepita in Italia da Venezian nel 1919.

(15)

15

Un'altra visione indica invece nel danno la “modificazione della

realtà materiale”, cioè la soppressione del bene, inteso come

realtà fisica, sul quale ha inciso l'evento18.

Un'ulteriore teoria, che nel corso del tempo ha assunto una sostanziale prevalenza rispetto alle precedenti, ravvisa nel danno la “lesione di un interesse, inteso come rapporto tra il

soggetto ed un bene”19.

Bisogna tuttavia rilevare che in tutti i casi in cui il termine danno viene impiegato dal legislatore, esso fa sempre riferimento alla conseguenza di un fatto umano, di un accadimento fortuito o di un inadempimento.

La distinzione rilevante ai fini della nostra trattazione è quella tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale.

Il carattere patrimoniale di un danno “discende non

dall'accertamento contabile di un saldo negativo dello stato patrimoniale della vittima, ma dall'idoneità del fatto lesivo, secondo una valutazione sociale tipica, a determinare in concreto una diminuzione dei valori e delle utilità economiche di cui il danneggiato può disporre”20.

Il danno non patrimoniale, secondo l'articolo 2059 cc, è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge; esso è, perciò, “tipico”21

.

18

E‟ questa la cd. “teoria materiale o naturalistica del danno”, la quale trova un significativo riscontro nell‟individuazione del rimedio, cioè quello del risarcimento in forma specifica. Questa teoria viene fatta risalire, tra gli altri, a Von Caemmerer.

19 Questa teoria fu fatta propria da Francesco Carnelutti, uno dei più grandi giuristi

italiani dei primi del 1900, come si può vedere nella sua opera F. CARNELUTTI, Il danno ed il reato, Padova, 1926, pag. 12.

20 C. SALVI, Il danno extracontrattuale, Napoli, 1985, pag. 122. 21

Peraltro sono stati sollevati dubbi circa la fondatezza della formula che accosta al termine “danno” l‟aggettivo “non patrimoniale”, in quanto si ritiene che sia

(16)

16

L'azionabilità del rimedio risarcitorio trova quindi, almeno in un primo momento, un forte limite normativo quando l'interesse da risarcire sia non patrimoniale, poiché l'articolo 2059 cc richiede che la possibilità di ricorrere alla tutela risarcitoria risulti da un'apposita previsione di legge.

Secondo la lettura tradizionale dell'articolo citato è necessario, ai fini della tutela civile dell'interesse non patrimoniale, che il comportamento lesivo integri gli estremi di un illecito penale, in quanto si ritiene che la norma di legge richiesta dall'articolo 2059 cc, idonea a formare specificamente la pretesa risarcitoria, sia l'articolo 185 cp22.

Tuttavia, se si tiene conto del fatto che gli interessi non patrimoniali sono essenzialmente quelli attinenti alla persona, emerge con chiarezza che questa sorta di doppio binario del sistema risarcitorio si traduce in una grave limitazione alla tutela civilistica, attuata sia pure attraverso l'inadeguato strumento risarcitorio, dei diritti fondamentali della persona sia fisica che giuridica.

Più che la dottrina è stata (e non poteva essere diversamente) la giurisprudenza a dare un impulso decisivo alla formulazione di un “catalogo aperto” di danni rilevanti23.

impossibile accomunare in una nozione onnicomprensiva entità talmente differenti tra loro (P. ZIVIZ, I danni non patrimoniali, Torino, 2012, pag. 2). 22 L'articolo 185 del Codice penale, rubricato “restituzioni e risarcimento del

danno”, afferma che «ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili; ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non

patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui».

(17)

17

1.4 Il risarcimento del danno nel Codice del 1942

Quando il legislatore italiano intraprese l‟opera codicistica, si trovò di fronte a due modelli cui ispirarsi: il modello francese ed il modello tedesco.

Entrambi questi modelli vennero elaborati intorno al XVII-XVIII secolo dagli studiosi di diritto naturale, approdando poi in numerose codificazioni di altri Stati europei.

La corrente giusnaturalista influenzò in maniera decisiva le scelte del legislatore francese del 1804: l‟articolo 1382 del Code

civil infatti imponeva in senso generale un obbligo di

risarcimento per chiunque cagionasse con dolo o colpa un danno ad altri.

Diversamente, i redattori del BGB tedesco, restando fedeli alle fonti romane, misero a punto un modello di responsabilità ispirato al principio di tipicità dell‟atto illecito.

Durante il periodo delle codificazioni perciò si aprì nell‟Europa continentale un varco tra i due principali modelli di fonte romanistica24.

Il modello francese, previsto dal Code Napolèon del 1804, all‟art. 1382 prevedeva una formulazione generale, la quale non riconosceva alcuna differenza tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale.

Il modello tedesco invece, inserito nel BGB, prevedeva una tipizzazione dei danni non patrimoniali (definiti come

schmerzensgeld, cioè danno dolore). Nel codice civile tedesco il

ruolo dell‟elemento soggettivo dell‟illecito era fondamentale, e

24 F. FERRARI, Tipicità ed atipicità del fatto illecito. I contrapposti modelli

francese e tedesco, in Atlante di diritto privato comparato (a cura di F.

(18)

18

si accompagnava ad un‟elencazione puntuale delle ipotesi in cui i diritti violati pretendevano un risarcimento anche del danno non patrimoniale, ossia salute, libertà, vita e proprietà.

Con le codificazioni dell‟Ottocento si aprì perciò, nei Paesi dell‟Europa continentale, e nonostante la comune base romanistica, una netta divaricazione tra il modello francese, adottato dal Code Napolèon del 1804, ed il modello tedesco, elaborato dalla Pandettistica e confluito alla fine del secolo nel BGB. Il primo opta per l‟atipicità dell‟illecito, innovando rispetto al diritto romano, mentre il secondo per la tipicità, restando fedele alle fonti romanistiche.

Il legislatore italiano del 1942 optò per una via di mezzo, tentando di coniugare i due modelli, adottando una formula che avrebbe dovuto tenere la porta aperta alle ipotesi già in precedenza riconosciute dalla giurisprudenza.

Secondo una scelta in seguito criticata, in base all‟articolo 2059 cc, si fece rinvio alle ipotesi determinate dalla legge per evitare un‟elencazione che rischiava di essere vecchia ed anacronistica già al momento stesso in cui veniva compilata.

Sintetizzando, il sistema italiano nasceva bipolare, con il legislatore che avocava a sé la progressiva tipizzazione delle ipotesi che la società riteneva, con il passare del tempo, meritevoli di riconoscimento.

Tale risarcimento era diretto a svolgere una funzione punitivo-satisfattiva; è per questo che, almeno in un primo momento, il riferimento per il risarcimento del danno era dato dalla gravità dell‟offesa subita, con il conseguente legame con l‟articolo 185 del codice penale.

(19)

19

Fino agli anni ‟70 la giurisprudenza ha mantenuto una posizione relativamente pacifica nei confronti del danno non patrimoniale, non allargandone eccessivamente le maglie.

Il cambio di atteggiamento registratosi negli ultimi anni, con il passaggio ad un‟interpretazione estensiva dei limiti dell‟articolo 2059 cc può essere ricercato nella volontà di superare una lettura eccessivamente tipizzante, in contrasto con la realtà delle cose.

Vennero a crearsi aspri dibattiti tra chi riteneva superato il sistema bipolare e chi al contrario sosteneva che il sistema conservasse la contrapposizione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ma con nuovi ed ampi spazi per le nuove

categorie che si venivano man mano a creare25.

1.5 La funzione del meccanismo risarcitorio e l'articolo

2043

La regola fondamentale della disciplina della responsabilità da fatto illecito è prevista all'articolo 2043 cc, rubricato “risarcimento per fatto illecito”. La norma dispone che «qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un

danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

Questa è la norma centrale dell'intero sistema della responsabilità civile, in quanto è l'unica regola che individua in

25 In un primo momento il sistema risarcitorio nel nostro ordinamento era

caratterizzato da una serie di categorie di danno; la svolta, che diede vita ad un nuovo filone giurisprudenziale, fu data dalle sentenze della Suprema Corte n. 8827 e 8828 del 2003, seguite poi dalla sentenza 26972 del 2008. Queste decisioni hanno ricondotto il risarcimento del danno ad un sistema bipolare, basato su una rilettura costituzionalmente orientata dell‟articolo 2059 del Codice civile (P. CENDON, Il risarcimento del danno non patrimoniale, Torino, 2009, pag. 1807).

(20)

20

via generale gli elementi strutturali essenziali, ossia quello soggettivo (dolo o colpa), il nesso di causalità tra fatto ed evento e, soprattutto, il dato oggettivo dell'ingiustizia, che rappresenta il presupposto per la risarcibilità di ogni tipo di danno e per qualsiasi modello di riparazione.

Mettendo da parte in un primo momento le questioni relative all‟interpretazione sistematica e letterale della norma, che costituiscono materia di dibattito, il significato immediato che si può ricollegare ad essa è duplice. Da un lato, l'articolo 2043 cc pone in evidenza l'esigenza di risarcire i danni causati da taluno; dall'altro lato, l'espressione “qualunque fatto”, con la quale si apre l'articolo, indica senza alcun dubbio che il legislatore ha scelto un sistema aperto, in cui non si possono operare a priori discriminazioni tra fatti dannosi che conducono a risarcimento e fatti dannosi che lasciano le perdite a carico della vittima.

1.6 L’evoluzione della giurisprudenza e della dottrina

Come si è visto, il sistema delineato dal Codice civile del 1942 si fonda sulla dicotomia che distingue il danno patrimoniale, disciplinato dall‟articolo 2043 cc, dal danno non patrimoniale, disciplinato invece dall‟articolo 2059 cc (con la conseguenza che quest‟ultimo potrebbe essere risarcito solo nei casi espressamente previsti dalla legge).

L'impostazione tradizionale dava in qualche modo per scontata l'esclusione di una specifica rilevanza della responsabilità civile nell‟ambito familiare.

La giurisprudenza aveva adottato un orientamento restrittivo, stabilendo che i danni non patrimoniali potessero essere risarciti

(21)

21

sono nel caso in cui tutti gli elementi costitutivi del reato fossero stati provati. Il punto critico di tale orientamento riguardava la prova dell‟elemento soggettivo: il danneggiato aveva infatti il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale solo dopo aver provato il dolo o la colpa del danneggiante, senza possibilità di presunzioni.

Ciò significa che, per tale voce di danno, non si potevano usare proficuamente i sistemi di responsabilità indiretta od oggettiva previsti dal codice civile.

Si escludeva la rilevanza aquiliana della violazione dei doveri specificatamente familiari, facendo leva sulla presenza di specifiche previsioni sanzionatrici e rifacendosi per lo più al

principio “lex specialis derogat generali”26

.

Di fatto, fino alla sentenza del Tribunale di Genova27, che ha introdotto in danno biologico, la giurisprudenza tradizionale considerava il danno alla persona come un danno essenzialmente reddituale, ossia come un danno patrimoniale causato alla persona28. Il danno alla persona era, in altri termini, considerato come un tipo di danno patrimoniale diretto che si sostanziava nella perdita della capacità di produrre un reddito da parte di colui che era danneggiato.

26 Il brocardo “lex specialis derogat generali”, che il latino significa “la norma

speciale deroga quella generale”, esprime uno dei principi tradizionalmente

utilizzati dagli ordinamenti giuridici per risolvere le antinomie normative, il criterio di specialità.

27

Sentenza Tribunale di Genova del 25 maggio 1974, in Giur. it., 1975, I, 54.

28 Le sentenze del tribunale di Genova a cavallo tra il 1975 ed il 1976 diedero il

primo vero scossone all‟impianto codicistico della responsabilità civile, così come ad allora tradizionalmente interpretato. Tali sentenze riconobbero per prime il risarcimento del danno biologico, consistente nella lesione alla salute medicalmente accertabile, in virtù del combinato disposto degli articoli 2043 cc e dell‟articolo 32 della Costituzione.

(22)

22

Sul punto la giurisprudenza si è mantenuta ferma per molti anni ed ancora nel 1993 ha avuto occasione di ribadire più volte il proprio orientamento29.

La sentenza n. 4108 del 1993 ha osservato infatti che dalla separazione personale dei coniugi può nascere, sul piano economico, soltanto il diritto all‟assegno di mantenimento, sempre che ne sussistano i presupposti di legge, e che tale diritto esclude la possibilità di chiedere anche il risarcimento dei danni a qualsiasi titolo subiti a causa della separazione imputabile all‟altro coniuge, costituendo la separazione personale un diritto attinente alla libertà della persona, ed avendo il legislatore specificatamente previsto le sue conseguenze all‟interno della disciplina del diritto di famiglia30

. Un primo segnale di apertura si è avuto nel 199531 per mano della Corte di Cassazione che, nell'escludere la rilevanza aquiliana dell'addebito della separazione, “di per sé

considerato”, subordinava la risarcibilità di eventuali danni alla

“ricorrenza dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di

responsabilità”, contenuto nell'articolo 2043 cc; detta sentenza,

pur affermando che l‟addebito della separazione non costituisce di per sé fonte di responsabilità extracontrattuale, ha ammesso in linea teorica la risarcibilità del danno, ove i fatti che hanno

29

Sentenza Corte di Cassazione n.4108 del 22 marzo 1993, in G. CONTIERO, I

doveri coniugali e la loro violazione - L’addebito ed il risarcimento del danno,

Milano, 2005, pag. 193.

30 Questa sentenza fa riferimento ai danni in ambito familiare, i quali costituiscono

una sottocategoria.

31

Sentenza Corte di Cassazione n. 5866 del 26 maggio 1995, in P. CENDON,

(23)

23

dato luogo all‟addebito integrino gli estremi dell‟illecito ipotizzato dall‟articolo 2043 cc32

.

Si trattava tuttavia di un‟apertura generica, che non diceva niente sui contorni dell'illecito e che poteva valutarsi in linea con l'orientamento tradizionale.

Un generale mutamento d'indirizzo si registra invece col nuovo millennio, ed in particolare con una pronuncia della Cassazione del 2005, a partire dalla quale la giurisprudenza ha costantemente affermato l'ammissibilità della responsabilità civile all‟interno della famiglia.

Con la sentenza n. 9801 del 10 maggio 2005 si è infatti stabilito la natura di diritti fondamentali della persona in favore dei diritti soggettivi che si sviluppano nel contesto familiare33. La I Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che «la sessualità costituisce uno degli essenziali modi di

espressione della persona umana, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Costituzione impone di garantire»34

.

I giudici hanno inoltre aggiunto che è «l'omessa informazione

ad integrare l'illecito, quale fatto violativo dell'obbligo di lealtà»; illecito derivante dalla lesione del diritto fondamentale

del coniuge a realizzarsi pienamente nella famiglia, nella società ed eventualmente come genitore.

32 Il marito, al quale viene addebitata la separazione, si era volontariamente

allontanato dal domicilio coniugale per vivere liberamente con un‟altra donna. La moglie aveva chiesto a titolo di risarcimento la somma necessaria al

trasferimento in un domicilio diverso da quello coniugale, a lei non assegnato in quanto assenti figli, come conseguenza del fatto che la separazione era stata addebitata al coniuge.

33

Sentenza Cassazione, Sez, I, 10 maggio 2005, n. 9801, in Dir.e giust., 2005, 22.

(24)

24

Tale comportamento costituisce «una violazione della persona

umana intesa nella sua totalità, nella sua libera dignità, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunità, sulla solidarietà e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialità nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli articoli 2, 3, 29 e 30 Costituzione»35.

Infine, la Corte ha precisato che la lesione del diritto alla sessualità «vale a qualificare il danno subito in termini di

ingiustizia, mentre restano da accertare le conseguenze pregiudizievoli alla medesima derivate sia sotto il profilo patrimoniale che del danno non patrimoniale»36.

1.7 Il diritto del convivente al risarcimento del danno.

La problematica connessa alla risarcibilità o meno del danno

eventualmente subito dal convivente more uxorio per la morte del proprio partner causata da un fatto illecito di un terzo, deve essere strettamente ricollegata all‟esame dell‟evoluzione di una duplice fattispecie: rileverà infatti da un lato il riconoscimento che il fenomeno della convivenza si è gradualmente guadagnato nel corso degli ultimi anni, mentre dall‟altro ci si dovrà affidare, con riguardo al danno non patrimoniale, all‟evoluzione interpretativa dell‟articolo 2059 del Codice civile, come elaborata di recente dalla giurisprudenza di legittimità.

35

Sentenza Cassazione, Sez, I, 10 maggio 2005, n. 9801, cit.

(25)

25

Infatti, fino agli anni ‟80, la giurisprudenza (sia quella di legittimità che quella di merito) si era espressa univocamente nel senso di escludere la possibilità di risarcire il danno (qualsiasi voce di danno) causato dall‟uccisione del convivente; il motivo era del tutto ovvio, e consisteva nel fatto che la convivenza veniva giudicata con assoluta indifferenza, se non addirittura con aperto sfavore37.

In seguito al mutato atteggiamento (in senso positivo) nei confronti della convivenza more uxorio, anche in questa materia specifica si è registrata un‟evoluzione, in un primo tempo nella giurisprudenza di merito che, invertendo radicalmente la rotta (in contrasto con la Corte di Cassazione), in singoli casi, iniziò a riconoscere la legittimazione, in capo al convivente che volesse agire in giudizio per rivendicare il risarcimento del danno non patrimoniale, patito per la morte del partner che

fosse conseguenza di un illecito commesso da un terzo38.

Si dovette attendere però fino alla metà degli anni „90 perché la Cassazione accogliesse l‟impostazione suggerita dai tribunali di

37 Sentenza Cassazione n. 169 del 24 gennaio 1958, in Riv. giur. della circolazione

e dei traporti (RGCir), 1958, 436, per cui «ai sensi dell‟articolo 2043 cc danno

risarcibile è soltanto quello che si verifica per la lesione di un diritto soggettivo. Non ha pertanto giuridico fondamento la domanda del convivente more uxorio volta ad ottenere il risarcimento del danno patito a seguito dell‟uccisione del

partner».

38 La prima sentenza di un Tribunale che riconobbe tale diritto ad un convivente fu

il Tribunale di Verona, il 31 dicembre 1980. Nella sentenza si legge che «in coerenza con lo spirito di riforma del diritto di famiglia, deve affermarsi il diritto della convivenza more uxorio al risarcimento del danno non patrimoniale, dovendosi però escludere il diritto al risarcimento del danno patrimoniale per la morte del coniuge di fatto». Dello stesso avviso si dimostrarono in seguito la Corte d‟appello di Genova, il 18 marzo 1982 il Tribunale di Lanciano con sentenza del 24 aprile 1991. Infine , la Corte d‟appello di Milano, il 16 novembre 1993, riconobbe in capo al convivente una lesione non già di una mera e semplice aspettativa, priva di rilevanza giuridica, bensì di un fondamentale ed inviolabile diritto quale quello alla solidarietà sociale di cui all‟articolo 2 della Costituzione. Corte d‟appello di Milano, 16 novembre 1994, DEA, 1994, 249, con nota di GIANNINI.

(26)

26

merito: il revirement si ebbe con la nota sentenza della Cassazione del 28 marzo 1994, n. 2988, con la quale la Corte stabilì che la lettura degli articoli 2043 e 2059 cc si dovesse effettuare in termini meno rigidi, nel senso che tali norme attribuiscono il diritto al riconoscimento a chiunque abbia sofferto un danno a causa dell‟altrui fatto ingiusto, senza che possa esservi più il dubbio che anche la perdita del convivente

more uxorio determini nell‟altro una particolare sofferenza, un

patema analogo a quello che si ingenera nell‟ambito della

famiglia fondata sul matrimonio39.

Si deve tuttavia notare come la Corte si sia limitata a riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale, ritenendo che la fattispecie particolare della convivenza more

uxorio (con la sua peculiare caratteristica di libertà dalle forme

e dai vincoli del matrimonio) escludesse la possibilità di determinare una deminutio patrimonii, posto che l‟automatismo della risarcibilità del danno patrimoniale nell‟ambito della famiglia legittima si fonda proprio sullo specifico obbligo giuridico sul dovere di contribuzione ai bisogni familiari, come previsto dagli articoli 143, 147 e 148 del Codice civile.

Ma il riconoscimento ormai generalizzato del fenomeno della convivenza ha indotto i giudici della Cassazione a riconoscere in favore del convivente more uxorio la legittimazione attiva anche nel caso in cui la vittima dell‟illecito non sia deceduta,

39 Sentenza Cassazione n. 2988 del 28 marzo 1994, Resp. civ. e prev. (RCP), 1994,

517, con nota di V. FRANCESCHELLI, La famiglia di fatto ed il risarcimento

(27)

27

ma abbia solo subito lesioni gravi che possano comunque incidere in maniera rilevante sulla sua integrità psico-fisica40. L‟assenza di un espresso riconoscimento al fenomeno della convivenza e la mancanza nel nostro ordinamento di una disciplina delle unioni di fatto determinano però la necessità, per il partner che voglia agire in giudizio per il risarcimento del danno, di provare l‟esistenza di un rapporto di convivenza che sia caratterizzato dai requisiti della stabilità, della comunanza di vita e di affetti assimilabile ad una vicendevole assistenza morale e materiale, a somiglianza di quanto accade nella famiglia coniugale41.

Una volta che il soggetto che pretende il risarcimento per l‟uccisione o la lesione grave del partner sia riuscito a provare l‟esistenza di una convivenza stabile e duratura, caratterizzata da quella stessa affectio che fa sorgere l‟applicabilità dell‟obbligazione naturale tra i conviventi, potrà veder riconosciuto un diritto ad un congruo ristoro per la lesione subita.

La recente evoluzione giurisprudenziale in tema di riparazione del danno non patrimoniale ha influito anche nella fattispecie di cui si tratta, contribuendo a rendere più agevolmente applicabile alle convivente more uxorio il regime di risarcibilità per il danno cagionato dal fatto illecito altrui, che abbia provocato la morte del partner.

Oggi deve infatti ritenersi superata la lettura rigida dell‟articolo 2059 cc, che vedeva strettamente vincolato il risarcimento del danno alla riserva di legge prevista dall‟articolo 185 del Codice

40

Sentenza Cassazione, n. 8976 del 29 aprile 2005, Dir. e giust., 2005, n. 27, 18.

(28)

28

penale (il quale prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale solo in presenza di un fatto configurabile dalla legge come reato), in quanto il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria più ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui si verifichi un‟ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale

conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione

economica42.

Proprio il richiamo ai valori costituzionalmente garantiti e tutelati rendono possibile, dopo il superamento di quelle resistenze prima esaminate, e dopo che la giurisprudenza ha visto nelle convivenze l‟espressione di una formazione sociale meritevole di tutela anche ai sensi dell‟articolo 2 della Costituzione, applicare anche al convivente more uxorio la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno correlato alla morte del partner.

In definitiva, niente impedisce al convivente che abbia instaurato un rapporto more uxorio, di ricevere una riparazione del danno ingiusto, che consisterà in primo luogo nella corresponsione di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto di convivenza more uxorio con la vittima, posto che la privazione di tale rapporto si traduce nella definitiva compromissione del diritto dell‟attore alla piena realizzazione nell‟ambito della formazione sociale “parafamiliare”, riconosciuta e tutelata anche ai sensi dell‟articolo 2 della Costituzione.

42

Sentenza Corte Costituzionale n. 233 dell‟11 luglio 2003, Giur. it., 2003, 1777, con nota di P. CENDON – P. ZIVIZ.

(29)

29

Vi sarà spazio per il risarcimento del danno biologico, nel caso però in cui il convivente superstite fornisca la prova, rigorosa, di aver sofferto un effettivo pregiudizio che incida in modo irreparabile sulla propria integrità psico-fisica, in conseguenza diretta della perdita del partner43.

1.8

Il

mutamento

della

giurisprudenza

nel

riconoscimento

del

risarcimento

del

danno

al

convivente

Anche la strada per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno a favore del convivente more uxorio è stata lunga e tortuosa, e non pare, almeno fino agli ultimi eventi legati alla cd. legge Viareggio44, essere ancora giunta ad una soluzione univoca.

Nel 1992 una sentenza della Corte di Cassazione45 negava al convivente il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno; la giurisprudenza riteneva infatti che il convivente more

uxorio non fosse legittimato a chiedere il risarcimento del

danno nel caso di delitto commesso da terzi nei confronti del proprio partner. La sentenza affermava infatti che «in base al principio del neminem laedere, sancito dall'art. 2043 del Codice civile, il danno risarcibile era solamente quello che si verificava per la lesione di un diritto. Pertanto, nel caso di morte di una

43 Secondo la recente giurisprudenza di legittimità, per ottenere la risarcibilità del

danno biologico si deve provare di aver subito un pregiudizio consistente non in un mero trauma transitorio (il quale rileverebbe sul danno morale soggettivo), ma in una vera e propria patologia, suscettibile di valutazione medico legale, con carattere della stabilità. Così Sentenza Corte Costituzionale n. 372 del 27 ottobre 1994, Giur. it., 1995, I, 406, con nota di JANNARELLI.

44 Vedi infra, pag. 145-154. 45

Sentenza Corte di Cassazione, Sezione penale, 8 ottobre 1992, n. 9708, ric. p.c.

(30)

30

persona, il soggetto che con essa conviveva, ricevendone vantaggi o prestazioni, che avesse chiamato in giudizio il responsabile dell'evento mortale, avrebbe dovuto dimostrare il proprio diritto a quei vantaggi ed a quelle prestazioni della persona deceduta; diritto che non può discendere che da legge o da patto. Nessuna di tali ipotesi ricorreva nel caso di convivenza

more uxorio, che conseguentemente era carente di legitimatio ad causam per il risarcimento dei danni cagionati dalla

uccisione della persona con cui conviveva»46.

Una prima apertura verso l‟ammissibilità nell‟attribuzione del risarcimento al convivente more uxorio si ebbe con la sentenza della Corte di Cassazione n. 2988 del 28 marzo 199447. In questa sentenza la Corte di Cassazione ha ritenuto che anche la morte del convivente, provocata dall‟altrui fatto ingiusto, facesse nascere nel partner il diritto al risarcimento del danno sia patrimoniale (ex articolo 2043 cc, per la perdita del contributo patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità, dal defunto, rimanendo irrilevante la sopravvenuta mancanza di elargizioni meramente episodiche o di mera ed eventuale aspettativa) che non patrimoniale (ex articolo 2059 cc, per un patema analogo a quello che si ingenera nell'ambito della famiglia legittima).

In questo particolare caso, che è il primo in cui si riconosce al convivente more uxorio il diritto al risarcimento del danno per effetto della morte del partner, la Corte ha operato mediante un interpretazione estensiva degli articoli 2043 e 2059 del Codice civile, ricomprendendo nell'ambito dell'obbligazione risarcitoria

46

Sentenza Corte di Cassazione, Sezione I, n. 9708 dell‟8 ottobre 1992, cit.

(31)

31

il danno risentito in modo immediato e diretto, sotto forma di

deminutio patrimonii o di danno morale, da altri soggetti legati

alla persona direttamente e immediatamente lesa da rapporti di natura familiare o parafamiliare e in quanto tali pregiudicati dall'altrui fatto ingiusto.

In un‟altra sentenza poi la Corte di Cassazione ha precisato come il risarcimento possa essere riconosciuto solo allorquando «la convivenza abbia avuto un carattere di stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l‟altrui azione micidiale, la convivenza sarebbe continuata nel tempo»48.

Questa tesi è stata poi portata avanti da alcuni tribunali, tra cui ad esempio il Tribunale civile di Milano, che nella propria ordinanza del 21 luglio 1998 confermava la linea guida secondo cui «il convivente di fatto, nel caso di interruzione del rapporto di convivenza determinata dall‟azione delittuosa di terzi, in quanto leso nel diritto di libertà, subisce un danno ingiusto, ed

ha conseguentemente diritto al risarcimento del danno»49.

Un'altra conferma dei presupposti che sono alla base del riconoscimento del risarcimento per il convivente more uxorio è data dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 8976 del 29 aprile 200550. Secondo la Corte, solo la prova dell‟assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte ai terzi. La mancata prova dei requisiti indispensabili, tra cui la stabilità della convivenza e la durata della medesima al

48 Sentenza Corte di Cassazione, Sezione penale, n. 1313 del 1995. 49

https://www.tribunale.milano.it/index.phtml?Id_VMenu=173.

(32)

32

momento del fatto dannoso, determina il rigetto della domanda risarcitoria51.

Infine, due sentenze recenti hanno fissato gli elementi la cui prova da fornire permette di accedere al risarcimento del danno. Con la sentenza n. 6587 del 18 febbraio 2010 la Corte di Cassazione, decidendo il caso dell'omicidio di Saleem Hina52, una ragazza pachistana sgozzata dal padre, con la complicità dei due generi nell'agosto del 2006, ha confermato il diritto del convivente al risarcimento dei danni in caso di uccisione del compagno, quando, come nel caso della giovane pachistana e

51 Sentenza Cassazione n. 8976 del 29 aprile 2005, Dir. e giust., 2005, 27, con nota

di G. MANDIROLA, Danno riflesso e diritti del convivente more uxorio, per cui è necessario dimostrare «l‟esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, perché soltanto la prova dell‟assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal

legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte a terzi. Non è sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa, per quanto può essere caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di

frequentazione nel tempo».

52

Si tratta di un caso che ebbe un grande eco a livello mediatico, riguardante l‟uccisione, per mano del padre e dei due generi, di Saleem Hina, una ragazza pachistana, a causa della scarsa disponibilità della figlia a sottomettersi al volere del genitore. Con sentenza del 13 novembre 2007 il GUP del Tribunale di Brescia ha dichiarato Saleem Mohammed, Khalid Mahmood e Zahid Mahmood responsabili, in concorso tra loro, del reato di omicidio pluriaggravato della ragazza, nonché i medesimi e Tariq Muhammad responsabili del reato di soppressione di cadavere; ha conseguentemente condannato (concesse le circostanze attenuanti generiche) Saleem Mohammed, Khalid Mahmood e Zahid Mahmood alla pena di anni trenta di reclusione, oltre alle previste pene accessorie, e Tariq Muhammad alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, nonché tutti al risarcimento dei danni in favore della parte civile Giuseppe Tampini con riconoscimento di una provvisionale di euro 20.000,00.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, l'uccisione di Hina Saleem era stata perpetrata materialmente da Saleem Mohammed, padre della ragazza, che le aveva inferto più colpi con un coltello, recidendole la gola; e ciò a causa del comportamento della ragazza contrario alle sue aspettative, nonché alle consuetudini della sua gente; Khalid Mahmood e Zahid Mahmood, coniugati con altre due figlie del Saleem, avevano concorso nell'omicidio; Tariq Muhammad aveva dato il suo apporto alla soppressione del cadavere che era stato sepolto nel giardino di casa.

(33)

33

del suo fidanzato italiano, «la convivenza sia protratta nel tempo e abbia visibilità esterna e comunanza di vita»53.

Per la decisione della Corte è stata decisiva la prova del sostegno economico-morale che il ragazzo non aveva mai fatto mancare a Hina, per un legame contrastato dalla famiglia fino alle estreme conseguenze.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 12278 del 7 giugno 201154 poi equipara la famiglia di fatto a quella legittima in tema di risarcimento del danno, aprendo uno spiraglio verso la piena tutela giurisdizionale alle unioni non matrimoniali, pur sempre meritevoli (in quanto stabili e durature), di adeguato e completo riconoscimento legislativo e giurisprudenziale.

Il caso riguardava il risarcimento del danno conseguente al sinistro stradale nel quale la vittima aveva perso la vita.

Il tribunale competente aveva liquidato in egual misura il danno patrimoniale tra la famiglia legittima e quella di fatto, decisione poi confermata dalla Corte d‟appello di Milano con una sentenza del 12 febbraio 2008.

I giudici di merito, hanno tenuto conto della particolarità della situazione in oggetto, condividendo il punto di vista della giurisprudenza anche di legittimità, che in materia di responsabilità civile ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno conseguente alle lesioni o alla morte di una persona in favore del convivente more uxorio, il tutto subordinato alla prova dell‟esistenza e della durata di una comunanza di vita e di affetti e di una vicendevole assistenza morale e materiale, cioè

53 Sentenza Corte di Cassazione n. 6587 del 18 febbraio 2010, in Foro it., 2010, n.

10, pag. 527.

54

Sentenza Corte di Cassazione n. 12278 del 7 giugno 2011, in Resp. civ., 2011, 8-9, 629.

(34)

34

di una relazione di convivenza avente le stesse caratteristiche di quelle dal legislatore ritenute proprie del vincolo coniugale55. I giudici di appello hanno perciò parificato, ai fini del risarcimento del danno, la famiglia fondata sul matrimonio a quella di fatto, in quanto per quest‟ultima è stata provata la stabilità e la continuità del rapporto e delle relazioni affettive nel tempo.

Quindi, nel risarcimento del danno, tenendo conto della particolare situazione di un soggetto in presenza di due nuclei familiari legati a lui da un rapporto di protratta e contemporanea stabilità nel tempo, i giudici di merito, allontanandosi dalla prassi, hanno tenuto conto della diversa intensità del vincolo familiare, moglie convivente e figli, e della effettiva convivenza liquidando alla figlia sposata un importo inferiore56.

Per quanto riguarda infine il risarcimento del danno del convivente omosessuale, si afferma che «ciascuna unione affettiva stabile e duratura crea una condizione di vita in cui l‟individuo sceglie di crescere come persona, e la cui interruzione, causata da un fatto-reato, provoca una sofferenza pari a quella che si verificherebbe in una coppia formata da persona di sesso diverso»57. La Corte si è quindi pronunciata positivamente sulla richiesta di risarcimento del danno avanzata da un soggetto omosessuale, richiesta presentata in seguito ad

55

Sentenza Cassazione, Sezione III, n. 8976 del 29 aprile 2005, cit.

56 Nel caso di specie la Corte ha ritenuto raggiunta la prova dell‟effettiva

coesistenza dei due nuclei familiari, entrambi percepiti e vissuti dal defunto come “famiglia”, e del sostegno economico fornito in uguale misura ad entrambi.

57

Sentenza Tribunale di Milano n. 9965 del 13 giugno 2011, in

(35)

35

un evento mortale che aveva coinvolto il suo compagno convivente.

In questo caso la Suprema Corte ha affermato che «non si tratta di riconoscere diritti simili o uguali a quelli derivanti da un matrimonio civile, ma di accordare tutela ad una situazione effettiva e di convivenza stabile, analoga alla situazione del convivente della donna che perde un figlio con lui convivente da tempo»58.

La questione, trattata dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 9965 del 13 giugno 2011, ha accordato al convivente more

uxorio omosessuale il diritto al risarcimento del danno per la

perdita del compagno avvenuta a seguito di un incidente stradale, richiamando il dispositivo della sentenza n. 23735 del

2008 della Corte di Cassazione59, con cui la stessa Corte aveva

stabilito che il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito concretizzatosi in un evento mortale doveva essere riconosciuto anche al convivente more uxorio del defunto stesso, quando risultasse dimostrata l‟esistenza di una stabile relazione basata anche su una mutua assistenza morale e materiale. Pertanto, la Suprema Corte ha riconosciuto un danno che è diretta conseguenza non del sesso o dello status del richiedente, ma che «deriva dalla sofferenza sottesa alla privazione della persona con cui si condivideva la vita e la comunanza di intenti e di progetti, in una stabile relazione sentimentale e di coabitazione»60.

58 Sentenza Tribunale di Milano n. 9965 del 13 giugno 2011, cit.

59 Sentenza Corte di Cassazione n. 23735 del 16 settembre 2008, in Nuova giurisp.

civ. comm., 2009, 1, pag. 446, con nota di R. BARBANERA, Ancora sulla tutela aquiliana dei rapporti di fatto.

(36)

36

CAPITOLO II

I criteri di liquidazione del danno

2.1 La liquidazione del danno

Le incertezze relative alla nozione di danno non patrimoniale ed alla ricognizione dei suoi contenuti avevano spinto il tribunale di Roma, sin dal 1996, a munirsi di una griglia di valori di riferimento, in base ai quali liquidare il danno non patrimoniale patito dai prossimi congiunti della vittima. Quel sistema rappresentò senza dubbio un'evoluzione rispetto alla situazione precedente, perché ha consentito l‟individuazione di alcuni massimali di risarcimento, probabilmente non oggettivi e vincolanti, ma di fatto osservati nella decisione dei casi concreti; questo sistema, tuttavia, con il passare del tempo, ha palesato alcune lacune, che hanno portato alla necessità di un nuovo intervento normativo.

I numerosi criteri giurisprudenziali hanno perciò trovato un momento di convergenza nell'ideazione del sistema tabellare. Un primo tentativo di mettere ordine alla materia venne attuato, a partire dal 1 gennaio 2007, proprio dal tribunale di Roma61.

Questo criterio, basato su un‟impostazione maggiormente in grado di garantire un'adeguata personalizzazione del risarcimento, ha abbandonato l‟impostazione tradizionale “per fattispecie” (fondata cioè sulla previsione di una somma

61

Il criterio in questione è stato annunciato e reso pubblico con circolare del Presidente del Tribunale di Roma n. 1874 del 14 febbraio 2007.

(37)

37

standard a seconda del grado di parentela tra vittima e superstite), adottando un‟impostazione del tutto nuova, “a

punti”.

L‟idea alla base dell‟impostazione romana si fonda sul fatto che anche la sofferenza causata dal lutto può graduarsi secondo una scala di intensità, variabile in funzione di molteplici fattori, quali l‟età della vittima (minore è l‟età della vittima, maggiore la sofferenza da sopportare), l‟età del

superstite (in quanto varia il periodo di tempo in cui dovrà

essere sopportata la sofferenza), e la convivenza con il

defunto (in quanto le abitudini e lo stile di vita del coniuge

superstite subiscono inevitabilmente un cambiamento). Ognuno di questi fattori, poi, può essere graduato secondo una scala di intensità: il grado di parentela può essere più o meno stretto, l‟età del superstite più o meno avanzata, la convivenza con il defunto più o meno duratura, e così via. Molti tribunali, soprattutto all‟inizio dell‟esperienza risarcitoria del danno biologico, hanno ritenuto che, per pervenire ad una giusta valutazione del danno, fosse sufficiente l‟applicazione di generali principi di liquidazione secondo equità e il buon senso del giudice. Questo sistema, conosciuto come “criterio equitativo puro”, è ancora oggi applicato.

Ma il risarcimento secondo la formula equitativa ha suscitato molte critiche e perplessità, ciò perché può comportare il rischio di decisioni arbitrarie e determinare ingiustificate disparità di trattamento.

(38)

38

Per superare queste difficoltà la maggior parte dei giudici hanno fatto riferimento al criterio del cd. punto elastico. Il metodo del punto elastico rappresenta storicamente il primo tentativo di superare gli inconvenienti del cd. “metodo

genovese”. Esso fu adottato per primo dal tribunale di Pisa, e

venne perciò rinominato come “metodo pisano”.

Tale metodo muoveva da un‟aspra critica al modello tabellare genovese, al quale veniva rimproverato il fatto di porre alla base del risarcimento un reddito cd. figurativo, mentre il risarcimento del danno alla salute per definizione dovrebbe essere sganciato da qualsiasi riferimento al reddito

del danneggiato, non consentendo un‟adeguata

personalizzazione del risarcimento.62

Il metodo del punto elastico pisano, all‟inizio non preso in considerazione, ha avuto in seguito una grande diffusione, venendo anche riconosciuto come pienamente ammissibile dalla Corte Costituzionale63.

Il giudice di legittimità, muovendo dal presupposto che il valore della salute non è aprioristicamente determinabile, ha

ritenuto razionale il metodo del punto elastico,

maggiormente idoneo al raggiungimento dello scopo di uniformazione dei criteri di risarcimento.

Il tribunale di Roma ha perciò ritenuto di attribuire un punteggio variabile, secondo una predefinita scala di intensità, a ciascuna delle circostanze rilevanti per la liquidazione del danno.

62

Sentenza del Tribunale di Pisa del 19 maggio 1982, in Giur. it., 1984, I, 2, 440.

(39)

39

È stato inoltre stabilito un valore monetario di base per ogni singolo “punto di sofferenza”, ricavato dalla media delle precedenti pronunce dello stesso tribunale.

È stato infine ricavato il risarcimento, moltiplicando il valore di base del punto di sofferenza per il numero di punti totalizzati, tenendo conto delle caratteristiche del caso concreto.

Il valore di base del punto di sofferenza è stato fissato, in via equitativa, in 8.000 euro, determinato sulla base della media di un campione di cento sentenze trattate dalla XIII sezione del tribunale di Roma nel biennio 2004-2005.

Riferimenti

Documenti correlati

La difesa ha evidenziato il comportamento inerte ed omissivo del Commissario dell’Ente il quale, nonostante la brevità del termine concesso al De Marchi per la risposata –

bia convissuto con l’imputato, limitatamente ai fatti verificatesi o appresi du- rante la convivenza coniugale 6. Pure sotto altro aspetto, quello economico che interessa l’accesso

Interventi: Giovanni Fiandaca, Università di Palermo, Centro Studi giuridici e sociali Aldo Marongiu Fausto Giunta, avvocato, Università di Firenze, Centro Studi giuridici

Sul punto si evidenzia anche come la giuri- sprudenza europea, sebbene riconosca che sia il rapporto matrimoniale sia quello more uxorio siano espressione di “vita familiare” ( ex

l'accordo  raggiunto  a  seguito  di  negoziazione  assistita  per  la  soluzione  consensuale  della  separazione personale,  intervenuto,  ai  sensi  della  dell'art. 

Come anticipato, la restante parte del presente lavoro verte su un caso penale di analogia in bo- nam partem deciso con la sentenza n. Non avendo le competenze del penalista mi

Objective: The aim of this study was to develop the Italian version of the Spanish Burnout Inventory (SBI) and to examine its psychometric properties within a sample

La FNOPI si riserva la facoltà di disporre gli opportuni controlli in ordine alle dichiarazioni rese dagli interessati, procedendo, laddove fosse accertata una dichiarazione falsa