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Il contributo della giurisprudenza

Gli interventi legislativi e giurisprudenziali e la “Legge Viareggio”

4.3 Il contributo della giurisprudenza

Anche sul fronte della giurisprudenza il tema appare in costante movimento, soprattutto grazie alle aperture delle Corti in materie che fino a pochissimi anni fa venivano trascurate.

Se la legge, almeno fino alla cd. “legge Viareggio”, non è mai riuscita a dare un contributo rilevante in materia, non è così per quanto riguarda la giurisprudenza, che si è negli anni sempre maggiormente interessata alla tematica in questione. In primo luogo la giurisprudenza ordinaria, ma anche (seppur in via residuale) quella della Corte Costituzionale, prima ancora del legislatore, hanno avvertito un mutamento sociale del fenomeno in esame, allargando il quadro delle fattispecie ritenute meritevoli di tutela, ed estendendo l‟applicazione di alcune disposizioni già previste per i coniugi anche al convivente more uxorio, applicazione che, in altre epoche, era stata assolutamente negata.

Alcuni interventi del giudice delle leggi sono stati decisivi al fine di avvicinare la famiglia di fatto a quella fondata sul vincolo del matrimonio.

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Così dispone l‟articolo 2 del Regolamento di assistenza sanitaria integrativa dei Deputati.

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L‟etnocentrismo della cultura giuridica, fondato

sull‟esclusività e sulla continuatività della famiglia fondata sul matrimonio, dovrebbe così cedere il passo ad una cultura del pluralismo e ad una “ideologia della neutralità”, necessariamente portata a relativizzare e storicizzare le istituzioni della nostra tradizione, e risolutamente impegnata al rispetto tollerante delle tradizioni e delle nostre usanze214. Il mutamento di orientamento215 è coerente con le scelte di fondo ispiratrici del nuovo assetto costituzionale, il quale pone la persona al centro dell‟ordinamento e, trovando concreta attuazione nelle disposizioni della riforma del diritto di famiglia e nella giurisprudenza evolutiva che si è andata affermando, è coinciso con l‟abbandono di una prospettiva in cui la famiglia era “sotto tutela”, aprendo invece le porte ad un‟effettiva “tutela della famiglia”216.

La differenza tra queste due tipologie di famiglia risiede nella assoluta mancanza di un qualsiasi tipo di

214 F.D. BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in AA.VV., Scienza e

insegnamento del diritto civile in Italia, (a cura di) V. SCALISI, Milano, 2004,

pag. 32.

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Si deve rammentare come fin dagli anni ‟60 la giurisprudenza (ad esempio Sentenza Cassazione civ. n. 956 del 24 marzo 1938, in Foro it., 1938, I, 1026) si era espressa in modo uniforme nel negare qualunque forma di pretesa risarcitoria al convivente in seguito alla morte di un familiare di fatto, posizione motivata sulla base della considerazione del rapporto di convivenza come libera scelta di sottrarsi a quel complesso di impegni e diritti che caratterizzano l‟unione fondata sul matrimonio (G. BIANCA, Morte di chi convive more

uxorio e risarcimento, in Foro it., 1970, IV, 142). Con la fine degli anni ‟70

l‟orientamento tradizionalista veniva minato nelle sue fondamenta ad opera della dottrina e della giurisprudenza di merito, le quali posero le basi per un‟apertura verso il riconoscimento della famiglia di fatto. Fu essenzialmente la forza dei fatti a rendere necessaria tale revisione: la tutela ammessa anche a favore del convivente era infatti il risultato di una forte pressione sociale e del conseguente mutamento relativo alla concezione della famiglia, intesa non più come istituto basato esclusivamente sul matrimonio, ma come societas di fatto giuridicamente rilevante.

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G. FERRANDO, Convivere senza matrimonio: rapporti personali e

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formalizzazione del rapporto di coppia per ciò che riguarda la famiglia di fatto.

A tale mancanza di formalizzazione fa da contraltare, nella realtà normativa odierna, l‟assenza di una disciplina organica (anche se, come detto, non fanno difetto disposizioni legislative applicabili a svariati profili relativi alla situazione in esame).

Nel rendere concreta tale prospettiva si è venuta a determinare una situazione analoga a quella che si verifica nei Paesi di common law: mancando una legislazione organica, la regola delle situazioni concrete è data dalla giurisprudenza che, tramite le sue pronunce, realizza

un‟autentica opera di innovazione217

.

Le aule dei tribunali hanno rappresentato perciò il primo “spazio del diritto” in cui sono emerse le istanze di regolamentazione giuridica di tali rapporti218.

Il giudice ha così assunto il ruolo di “mediatore tra il

principio di libertà e quello di responsabilità dei conviventi”,

venendo a regolare, in ruolo del legislatore, i rapporti familiari di fatto219.

Tuttavia, la contrapposizione tra rapporti di diritto e rapporti di fatto si sviluppa pur sempre all‟interno del diritto; perciò anche i rapporti tra i conviventi non si sottraggono alla sfera del giuridicamente rilevante. L‟espressione di fatto connota

217 Tuttavia questa opera di innovazione rimane circoscritta al perimetro tracciato

dalla legge stessa.

218 R. TORINO, Nuovi modelli familiari. Il diritto ad essere genitori, Torino, 2003,

pag. 18.

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quindi semplicemente il modo in cui la fattispecie viene ad essere, e non già le sue conseguenze220.

Il nuovo orientamento giurisprudenziale, facendo leva soprattutto sull‟interpretazione dell‟espressione “formazione sociale” di cui all‟articolo 2 della Costituzione, ha attenuato in modo considerevole le differenze legislative intercorrenti tra la famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio, costituendo un successivo ed ulteriore passaggio verso affrancamento della famiglia di fatto221.

In questo vero e proprio “arcipelago familiare”, un ruolo essenziale viene ad essere svolto dal giurista, il quale, al fine di salvaguardare il principio di eguaglianza, deve farsi “agrimensore”, definendo e delimitando i confini giuridici dei fenomeni della realtà sociale, in modo da garantire pari opportunità e diritti, nel rispetto delle insuperabili differenze tra i vari modelli di comunità familiare222.

Il revirement della Corte costituzionale si registrò con la sentenza n. 404 del 1988, con cui venne dichiarata l‟illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione, dell‟articolo 6 comma 1 della legge n. 392 del 27 luglio 1978 (cd. legge sull‟equo canone), nella parte in cui non prevedeva, tra i soggetti successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio, e nella parte in cui non prevedeva la successione, nel contratto di locazione, del

220 G. OBERTO, I diritti dei conviventi, cit., pag. 3. 221 L. BALESTRA, La famiglia di fatto, 2004, pag. 1. 222

F.D. BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in AA.VV., Scienza e

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conduttore che avesse cessato la convivenza, a favore del convivente, quando vi fosse stata prole naturale.

Nella sentenza223 si affermava che «la convivenza more

uxorio rappresenta l‟espressione di una scelta di libertà dalle

regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio, sicché l‟estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti»224.

Si trattava quindi di un primo riconoscimento di tutela,

seppur limitata; la sentenza additiva della Corte

Costituzionale n. 404 del 1988 riconosceva infatti al convivente il diritto di godere dell‟immobile relativamente alle vicende del contratto di locazione della casa di abitazione225.

In caso di cessazione della convivenza è possibile infatti la successione nel contratto di locazione da parte del convivente che non abbia preso parte alla stipula del contratto.

La sentenza affermava il diritto del convivente a continuare ad abitare nella casa comune anche nel caso in cui l‟altro, titolare del contratto di locazione, fosse nel frattempo deceduto, ovvero avesse deciso di allontanarsi.

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell‟articolo 6 della legge n. 392 del 1978226, il Pretore di Sestri levante, con

223

Sentenza Corte Costituzionale, n. 404 del 7 aprile 1988, in Foro it., 1988, I, pag. 2515.

224 S. ASPREA, La famiglia di fatto in Italia e in Europa, 2003, pag. 80. 225 A. SCALISI, Il diritto di abitazione del convivente more uxorio nella

successione del contratto locativo, in Dir. e fam., 1988, 1559.

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Legge n. 392 del 27 luglio 1978, rubricata “Disciplina delle locazioni di

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ordinanza n. 478/1984 aveva dichiarato che tale legge violava, oltre all‟articolo 3 , anche gli articoli 2 e 42 comma 2 della Costituzione, nella parte in cui escludeva il convivente more uxorio del conduttore defunto dal diritto a succedergli nel contratto di locazione; mentre il Tribunale di Firenze, con ordinanza n. 368 del 1983, dichiarava che oltre all‟articolo 3, tale legge violava gli articoli 2 e 30 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva la successione nel contratto per il convivente more uxorio.

I giudici costituzionali, partendo dal presupposto che la ratio della legge sull‟equo canone fosse da ricercare nella protezione dell‟”abituale convivenza”, hanno stabilito che l‟illegittimità costituzionale non derivasse dalla violazione del principio di eguaglianza tra famiglia di fatto e famiglia legittima (contrariamente a quanto è stato erroneamente ritenuto da parte di alcuni commentatori), bensì dalla violazione dell‟articolo 2 della Costituzione, il quale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell‟uomo, dell‟articolo 25 della Dichiarazione dei diritti universali dell‟uomo, firmata a New York il 10 dicembre 1948, il quale sancisce, tra le altre cose, il diritto al benessere proprio e della famiglia, nonché il diritto all‟abitazione, e dell‟articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali227, dai quali la Corte ha ricavato l‟esistenza di “un diritto sociale all‟abitazione, collocabile tra i diritti inviolabili dell‟uomo”.

227 Patto approvato il 16 dicembre 1966 dall‟Assemblea generale delle Nazioni

Unite e ratificato dall‟Italia il 15 settembre 1978. L‟articolo 11 del Patto sancisce «il diritto di ogni individuo ad un livello di via adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un alloggio adeguato».

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In sostanza, si è trattato di un riconoscimento della rilevanza della convivenza in sé, e la tutela che la Corte ha voluto fornire si limita a proteggere il diritto all‟abitazione, e non il

fenomeno della convivenza more uxorio228.

Dall‟analisi della decisione non viene in evidenza un trattamento discriminatorio in danno della convivenza more

uxorio, che violerebbe il principio di uguaglianza di cui

all‟articolo 3 della Costituzione, né tantomeno un contrasto con la spontaneità delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell‟uomo, di cui all‟articolo 2 Costituzione, o un ostacolo all‟esercizio ed all‟adempimento dei diritti e doveri dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio, di cui all‟articolo 30 della Costituzione.

Si afferma in un passo della sentenza che “è evidente la volontà legislativa di farsi interprete di quel dovere di solidarietà sociale, che ha per contenuto l‟impedire che taluno resti privo di abitazione, e che qui si specifica in un regime di successione nel contratto di locazione, destinato a non privare del tetto, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purché con quello abitualmente conviventi”229.

Se tale è la ratio legis, era irragionevole che nell‟elencazione dei successori nel contratto di locazione non compaia chi era

228 A. TRABUCCHI, Il diritto ad abitare la casa d’altri riconosciuto a chi non ha

diritti, in M. MONTEVERDE, La convivenza more uxorio, cit., pag. 967.

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legato da stabile convivenza more uxorio al titolare originario del contratto.

L‟articolo 3 della Costituzione, che ha per espressa indicazione della Corte permesso l‟estensione del diritto al

convivente more uxorio230, va quindi invocato in questo caso

non per la sua portata uguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la contraddittorietà logica dell‟esclusione di un convivente dalla previsione di una norma che intende salvaguardare l‟abituale convivenza, tutelando cioè la situazione di coabitazione, che accomuna un aggregato suscettibile di ricomprendere anche estranei, potendo infatti, tra gli eredi, esservi persone diverse dai familiari e dai parenti231.

La Corte Costituzionale giunse perciò a dichiarare l‟illegittimità costituzionale dell‟articolo 6 comma 1 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui non prevedeva tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio.

È questo il primo caso di riconoscimento giurisprudenziale di tutela delle coppie di fatto.

In altri casi la giurisprudenza ha invece dato espressamente rilevanza al fenomeno della convivenza, indicandolo come idoneo a generare effetti giuridici tra i soggetti coinvolti. È questo in particolare il caso del diritto oggi riconosciuto al convivente more uxorio al risarcimento del danno per effetto

230 È in attuazione di tale principio che si è infatti dato luogo alla previsione in

favore del convivente.

231

C. COPPOLA, La successione del convivente more uxorio, in Trattato Bonilini, III, La successione legittima, pag. 905.

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della morte del partner, previsto dalla sentenza della

Cassazione n. 2988 del 28 marzo 1994232.

In questa sentenza veniva riconosciuto il risarcimento del danno al convivente more uxorio superstite, per aver questi confidato sulla stabilità della convivenza, ed aver quindi subito un danno ingiusto, per il venir meno di un costante

afflusso economico da parte del defunto233.

Secondo la Cassazione, nell‟ambito della convivenza caratterizzata da stabilità, la morte del partner, provocata da fatto ingiusto, fa nascere il diritto dell‟altro al risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell‟articolo 2059 cc, per il patema d‟animo analogo a quello che si ingenera nell‟ambito della famiglia legittima, e del danno patrimoniale di cui all‟articolo 2043 cc, per la perdita del contributo patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità, dal convivente defunto234.

Notevole è poi la contiguità tra la famiglia legittima fondata sul matrimonio e la famiglia di fatto sotto il profilo della tutela penale, avuto riguardo a quelle decisioni che estendono

l‟applicazione del reato di cui all‟articolo 572 cp235

232 Sentenza Corte di Cassazione n. 2988 del 28 marzo 1994, Giust. civ., I, 1849. 233

Nell‟ambito della convivenza caratterizzata da stabilità, la morte del partner provocata da fatto ingiusto fa nascere il diritto in favore dell‟altro al

risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell‟articolo 2059 cc, per il patema d‟animo analogo a quello che si ingenera nell‟ambito della famiglia legittima, e del danno patrimoniale di cui all‟articolo 2043 cc, per la perdita del contributo patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità, dal convivente defunto. (Sentenza Corte di Cassazione n. 2988 del 28 marzo 1994, cit.).

234 L‟opinione favorevole all‟ammissibilità dl risarcimento in favore del convivente

era già stata espressa in molti anni prima della sentenza in esame: ALPA,

Famiglia di fatto e risarcimento del danno, Foro it., 1976, IV, 64.

235 L‟articolo 572 del Codice penale, rubricato “maltrattamenti contro familiari e

conviventi”, afferma che «chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo

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(maltrattamenti in famiglia) e dell‟aggravante ex articolo 61 n. 11 anche nei rapporti extramatrimoniali236.

In tale sentenza si ritiene che, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, non assume alcun rilievo la circostanza che l‟azione delittuosa venga commessa ai danni di una persona convivente more uxorio, poiché il richiamo alla famiglia contenuto nell‟articolo 572 del Codice penale è da intendersi con riferimento “ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un

apprezzabile periodo di tempo”237

.

In questo senso si è pronunciata la Cassazione che, con la sentenza n. 40727 del 22 ottobre 2009, ha ritenuto integrato l‟elemento oggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia in relazione alla condotta aggressiva tenuta dal convivente nei confronti della compagna.

In altre parole, la tutela accordata dalla legge alla vittima del convivente violento è stata estesa anche ai membri della cosiddetta famiglia di fatto, con la conseguenza che, in caso di accertato maltrattamento, questi se ne dovrà assumere la responsabilità anche nel caso in cui il reato sia maturato al di fuori della famiglia regolarmente costituita.

persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni». L‟articolo è stato così

modificato dall‟articolo 4 della legge n. 172 del 1 ottobre 2012.

236 Sentenza Corte di Cassazione, Sezione II, n. 40727 del 2 ottobre 2009, in Guida

al dir., novembre 2009, pag. 194, con nota di G. FERRANDO, Convivere senza matrimonio: rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto.

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Più in generale, l‟orientamento della Corte costituzionale238 è

quello secondo cui la convivenza more uxorio rappresenta l‟espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in presenza del matrimonio, da cui tuttavia non deriva l‟automatica estensione di queste regole alla famiglia di fatto, in quanto ciò potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti239. Bisogna infine sottolineare come, già prima che l‟interesse intorno al tema raggiungesse questa portata, diversi segnali di apertura si erano registrati da parte di alcuni giudici di merito.

In particolare, il tribunale di Roma240 aveva ritenuto la convivenza, espressamente qualificata come more uxorio, idonea ad escludere la presunzione di sublocazione di cui all‟articolo 59 della legge n. 392 del 27 luglio 1978, e comunque non costituente abuso della cosa locata.

Anche il tribunale di Firenze241 poi, dopo aver qualificato senz‟altro come more uxorio una convivenza omosessuale, aveva riconosciuto il diritto alle spese mediche ed all‟assistenza del defunto, ritenendo tali prestazioni rientranti nell‟obbligazione naturale tra partners.

Non vi sono dubbi quindi sul ruolo fondamentale avuto dalla giurisprudenza al fine di attribuire una qualunque forma di riconoscimento alle coppie di fatto, prima dell‟intervento della legge Viareggio.

238 Sentenza Corte Costituzionale, n. 166 del 13 maggio 1998.

239CARBONE, La Consulta non riconosce la famiglia di fatto, ma tutela il diritto

dei figli all’abitazione, in Fam e dir., 1998, pag. 205.

240 Sentenza Tribunale di Roma, 20 novembre 1982, Riv. giur. edil., 1983, I, pag.

959.

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