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La tutela del diritto alla salute tra pubblico e privato: l'evoluzione del modello italiano

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Academic year: 2021

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(1)

U N I V E R SI T A ’ D I P I S A

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

LA TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE TRA PUBBLICO E PRIVATO:

L’EVOLUZIONE DEL MODELLO ITALIANO

Candidato:

Valerio Masoni

Relatore:

(2)

Ai miei genitori Maurizio e Michela, e ai miei nonni Alfonsina, Luigi, Francesca e Sirio ai quali dedico questo importante passo della mia vita

(3)
(4)

INDICE

Introduzione V

Capitolo I

L’assistenza sanitaria in Italia

Capitolo II

La sanità nelle Regioni

2.1 La gestione: il Piano Sanitario Regionale 28

1.1 L’evoluzione storica dell’assistenza sanitaria 1

1.2 L’affermazione del diritto alla salute: il dibattito in Assemblea Costituente

4

1.3 Il Servizio Sanitario Nazionale: la disciplina 9

1.4 Sostenibilità del sistema: parallelismi e differenze con il sistema precedente

13

1.5 L’aziendalizzazione: il D.lgs. 502/1992 15

1.6 Ruolo degli Enti Locali 19

1.7 I metodi di finanziamento 22

1.8 La Riforma Bindi: il D.lgs. 229/1999 23

1.9 Evoluzione delle competenze legislative e le prospettive di riforma costituzionale

(5)

2.2 Le forme di gestione dell’assistenza: le strutture

sanitarie nell’accreditamento e la libera scelta del luogo di cura

32

2.3 La vigilanza: il ruolo svolto dall’Agenas 36

2.4 Il finanziamento regionale 38

2.5 Osservazioni: ruolo dello Stato centrale in relazione a Regioni a statuto ordinario e speciale

40

2.6 La Conferenza Stato-Regioni quale sede di coordinamento

46

Capitolo III

La sanità privata

3.1 Principio di libera iniziativa economica: il soggetto privato nella sanità

50

3.2 In particolare: l’attività intramoenia 57

3.3 La delega al privato: le ragioni 64

3.4 L’assistenza nell’ambito del cosiddetto “Federalismo Sanitario”: Lombardia e Toscana a confronto

67

3.4.1 Segue: la sanità lombarda 70

3.4.2 Segue: la sanità toscana 77

3.5 Ruolo del privato: alternativo o succedaneo al pubblico? 79

3.6 Amministrazione e federalismo sanitario: un bilancio 85

3.7 Il fenomeno della corruzione nella Sanità 90

3.8 Analisi e prospettive dell’assistenza sanitaria 93

(6)

Capitolo IV

La ricerca e sperimentazione tra pubblico e privato

4.1 In generale, la ricerca in campo sanitario 102

4.1.1 L’Istituto Superiore di Sanità 104

4.1.2 L’Agenzia Italiana del Farmaco 106

4.2 Segue: la supervisione europea 108

4.3 Ruolo degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico

111

4.4 Il ruolo del privato nella ricerca sanitaria 116

4.5 Segue: il collegamento con le strutture universitarie 123

4.6 Il finanziamento e l’associazionismo come fonte di risorse

127

4.7 Un confronto europeo sui bilanci di spesa sulla ricerca 129

Capitolo V

La Sanità nell’Unione Europea e in prospettive

comparate

5.1 L’importanza della tutela della salute all’interno dell’Unione Europea

132

5.2 In particolare: la Direttiva 2011/24/UE 135

5.3 I diversi modelli di assistenza sanitaria nel quadro europeo

139

5.4 Sistemi sanitari dei principali paesi dell’Unione Europea

143

(7)

5.4.2 Germania 146

5.4.3 Regno Unito 150

5.4.4 Spagna 155

5.5 Uno sguardo oltreoceano: il modello statunitense 160

Conclusioni 168

Bibliografia 171

(8)

Introduzione

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la “salute” come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non una mera assenza di malattia.

Nel nostro Paese, il diritto alla salute è un principio tutelato costituzionalmente; in relazione alla sua importanza si pone come punto di partenza per l’applicazione degli altri diritti fondamentali della persona. Esso rappresenta il risultato di un lungo percorso temporale, dove è possibile individuare una modifica della concezione dell’assistenza sanitaria stessa, storicamente non valorizzata nei suoi aspetti più essenziali.

Fin dai primi anni del ‘900, la tutela della salute risultava erogata esclusivamente da enti caritatevoli, alimentando sempre più una disuguaglianza sociale in virtù del carattere personalistico del sostentamento delle cure mediche. Nel corso dei successivi anni, si registra una sempre maggiore presa di coscienza nel qualificare la salute come bene collettivo, comportante automatiche ricadute su ogni aspetto della vita sociale; questo pone riferimento al campo economico o di sicurezza pubblica di un Paese. Potremmo dire in contrapposizione, se da una parte viene sancito il carattere costituzionale alla tutela della salute, dall’altra parte non se ne specifica le modalità per garantirne l’effettivo realizzo. Lo Stato, in merito, si trova investito dell’onere di

(9)

strutturare un apparato di assistenza, applicativo di quel principio che consta nella salvaguardia della collettività, senza ledere la tutela del singolo cittadino.

Negli ultimi anni, in virtù di una sempre più crescente indisponibilità di risorse e di una sempre maggiore domanda di servizi specializzati, lo Stato si è visto protagonista di molti atti di rimodulazione dell’amministrazione sanitaria. Nello specifico, si è stati propensi a favorire un subentro dei soggetti erogatori sanitari privati, provocando conseguentemente una graduale delegazione dell’assistenza in determinati campi, volte a compensare le carenze della gestione degli enti pubblici, operanti nel settore. Versando in tempi di crisi economica, è legittimo interrogarsi sul futuro della sanità. Partendo dalla considerazione che la tutela della salute viene intesa come una responsabilità collettiva, se non addirittura un investimento collettivo, nei capitoli successivi si procederà ad un’analisi del modello di gestione sanitario vigente. In particolare si tenderà ad evidenziare il ruolo svolto dai soggetti privati operanti nella sanità rispetto all’amministrazione sanitaria pubblica e in merito alla gestione della centralità del paziente; il tutto prefigurando possibili nuovi modelli manageriali capaci di risultare all’altezza delle nuove necessità e delle nuove sfide nel comparto pubblico che nel privato.

(10)

Capitolo I

L’assistenza sanitaria in Italia

Sommario: 1.1 L’evoluzione storica dell’assistenza sanitaria - 1.2 L’affermazione del diritto alla salute: il dibattito in Assemblea Costituente - 1.3 Il servizio Sanitario Nazionale: la disciplina - 1.4 Sostenibilità del sistema: parallelismi e differenze con il sistema precedente - 1.5 L’aziendalizzazione: il D.lgs. 502/1992 - 1.6 Ruolo degli Enti Locali - 1.7 I metodi di finanziamento - 1.8 La riforma Bindi: il D.lgs. 229/1999 - 1.9 Evoluzione delle competenze legislative e le prospettive di riforma costituzionale

1.1

L’evoluzione storica dell’assistenza sanitaria

Fin dai primi anni dell’Ottocento, la tutela igienico-sanitaria della collettività evidenziava la mancanza di una struttura organica e permanente. In riferimento all’assistenza medica, il ricovero e cura dei malati era prettamente di tipo domiciliare. A riguardo della popolazione versante in uno stato di indigenza, l’assistenza era devoluta alla sola iniziativa spontanea di istituzioni private per finalità caritative e filantropiche e al supporto economico dei Comuni1. Per la restante parte

della popolazione le spese dell’assistenza erano demandate interamente al paziente. Il servizio ruotava attorno alla figura predominate del medico condotto. Lo Stato assunse un proprio ruolo iniziale d’intervento al termine del periodo risorgimentale, estendendo a tutto il territorio nazionale l’ordinamento politico-amministrativo del Regno di

1 Attraverso il decreto Rattazzi (r.d. 3 agosto 1862, n. 753) che conferiva

agli ospedali per infermi la cura gratuita degli indigenti con copertura finanziaria da parte dei Comuni.

(11)

Sardegna2. Considerando l’aspetto sanitario della collettività alla

stregua di un problema di ordine pubblico, in virtù di una mancata configurazione della tutela della salute come di un “diritto”, si procedeva solo ad una sorveglianza di possibili focolai d’epidemie che potessero costituire una minaccia3. La direzione era affidata ad una

sezione del Ministero degli Interni, l’Ufficio Centrale Sanitario, mentre a livello territoriale si procedeva attraverso l’azione di due organi di carattere tecnico-scientifico: i Consigli Provinciali di Sanità e i Consigli Sanitari di Circondario. Un passo importante, che segnala un’evoluzione dell’azione dello Stato nella sanità, fu la pubblicizzazionedell’apparato sanitario vigente sotto l’egida del Governo Crispi4; furono trasformate

le varie congregazioni caritatevoli in Istituzioni Pubbliche di Beneficenza, divenendo soggetti di diritto pubblico sottoposte alla direzione dell’amministrazioni provinciali. Da segnalare che la regolamentazione riguardava prevalentemente la gestione patrimoniale, trascurando completamente l’aspetto qualitativo delle prestazioni. Inoltre il modello costituito riguardava sempre e solamente le persone in stato di difficoltà economica, emergendo una situazione di disparità di trattamento fra i pazienti. La forma assistenziale introdotta subì una

2 In riferimento alla legge di unificazione amministrativa l. 20 marzo 1865, n.2248, allegato C.

3 In riferimento al r.d. 8 giugno 1865, n. 2322 che istituisce il Regolamento di esecuzione della legge di unificazione amministrativa, specificando i vari ruoli in campo sanitario.

(12)

continua evoluzione; l’Ufficio Sanitario Centrale cambiò denominazione in Direzione Generale della Sanità Pubblica, venne istituita la figura del medico provinciale che affiancava il prefetto nell’esercizio delle sue funzioni, ed infine si dettò una regolazione in materia di vigilanza, tutela igienica e di prevenzione delle malattie infettive. Con il processo di industrializzazione del paese, aumentarono di concerto i problemi in materia di tutela della salute pubblica; gli operai necessitavano di maggiori garanzie per la salvaguardia nel proprio posto di lavoro. Di conseguenza si assistette alla creazione spontanea di società di mutuo soccorso da parte dei lavoratori. Lo Stato, conferendo loro forti incentivi fiscali, tese a delineare un primordiale servizio previdenziale costituendo la Cassa Nazionale di Assicurazione degli Infortuni5, nel quale furono confluiti i vari contributi salariali dei

lavoratori. Tale istituto divenne il maggior pagatore di prestazioni mediche alla popolazione configurando un primo servizio di assistenza sanitaria. In concordo con il passato, la figura dello Stato si mantenne come supervisore e regolatore. Negli anni seguenti si introdusse il Regolamento Generale Sanitario, si istituì il medico comunale sul modello di quello provinciale che cooperava anch’esso con il prefetto nella vigilanza sanitaria, e infine si istituì un’assicurazione previdenziale obbligatoria a livello nazionale per l’invalidità e la vecchiaia. Durante il

5 In riferimento alla l. 8 luglio 1883, n. 1473, in ambito di una convenzione tra Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio ed istituti di credito.

(13)

periodo fascista, sulla linea già solcata, trovò applicazione una politica di creazione di enti mutualistici6; questi avrebbero avuto il compito di

sostenere la collettività, opportunamente suddivisa in corporazioni, alle spese mediche. Gli introiti sarebbe stati generati, come avveniva in passato, tramite una trattenuta sul salario. Gli enti furono posti sotto la supervisione del Ministero del Lavoro. L’attività dello Stato non riguardò solo l’ambito prettamente previdenziale ma intervenne nell’introdurre, tramite il “Decreto Petrignani” una disciplina del personale ospedaliero7 e promulgò il Testo unico delle leggi sanitarie8.

Il modello delineato aveva comportato di fatto la definitiva soppressione di ogni ente caritatevole andando a creare un primordiale apparato di welfare9; questo continuava a presentare forti squilibri nell’erogazione

dell’assistenza medica, dato che coloro che possedevano le necessarie capacità economiche potevano usufruire di migliori attenzioni all’interno nelle nascenti cliniche private.

1.2

L’affermazione del diritto alla salute: il dibattito in

Assemblea Costituente

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, si modifica la visione che lo Stato ha avuto fino a quel momento in materia

6 Tra i più rilevanti si notano: l’Istituto nazionale per i dipendenti degli enti

locali (Inadel), l’Ente nazionale per la previdenza dei dipendenti degli enti pubblici (Enpdep), l’Ente nazionale per la previdenza e l’assistenza agli statali (Enpas).

7 In riferimento al r.d. 30 settembre 1938, n.1631. 8 In riferimento al r.d. 27 luglio 1934, n. 1265.

9 Avvenuto con la l. 3 giugno 1937, n. 847 che istituì gli Enti comunali di

(14)

sanitaria; l’assistenza intesa come tutela dell’ordine pubblico si tramuta in tutela del soggetto, sia come singolo cittadino sia come collettività. Con l’attuale art. 32 della Costituzione si afferma il diritto alla tutela della salute inteso come diritto inviolabile della persona umana. L’impulso di una tale portata innovativa, a paragone del passato, trovò sostegno nell’affermazione di un principio di parità dei diritti, rappresentato dall’art. 3 della Costituzione, affermando in capo alle Istituzioni l’onere di provvedere alla rimozione di qualsiasi ostacolo al raggiungimento di tale parità, sia di origini economiche sia sociali; nel concreto, qualunque paziente avrebbe avuto diritto a ricevere un’adeguata prestazione sanitaria senza imparzialità di trattamento. In base a tutto ciò, sul modello di spinte riformiste anglosassoni10, si pose

in capo allo Stato la responsabilità di strutturare un apparato amministrativo in grado di adempiere a tale compito. Volgendo uno sguardo al contesto storico, l’Italia del dopoguerra possedeva un apparato sanitario di tipo mutualistico-assicurativo basato sul concetto di protezione dal rischio. Il sistema deficitava fortemente per arretratezza e per carenze di sostegno alla collettività. Si versava in una situazione di difficoltà nel progettare un sistema d’assistenza allargato a chiunque. Già in sede di discussione all’interno dell’Assemblea Costituente, molti obbiettarono sul tipo di modello che, attraverso il

10 Si faccia riferimento al “Rapporto Beveridge”, documento che propone la riforma del sistema delle assicurazioni sociali nel Regno Unito, da R. Balduzzi – G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, p. 51.

(15)

suddetto articolo, si intendeva delineare. Si porti in evidenza, l’intervento del giuspubblicista Vittorio Emanuele Orlando, che a suo parere, riteneva ingiustificata l’estensione dell’assistenza11. Essendo

stato un convinto sostenitore delle politiche liberali del primo novecento, riteneva insostenibile e particolarmente gravoso per l’erario un’assistenza gratuita ed illimitata per tutti. Inoltre tutto ciò avrebbe limitato fortemente l’azione privata confinandola ad un ruolo completamente marginale12. Le perplessità erano messe in risalto dallo

stato di totale distruzione nel quale versava il paese nel secondo dopoguerra; ciò avrebbe comportato l’edificazione immediata di un apparato amministrativo che avrebbe dovuto conferire sostegno, di primo impatto, a circa dieci milioni di persone nel più totale stato di indigenza. Inoltre, dietro intervento dell’economista e politico Francesco Saverio Nitti, si portò all’attenzione il fatto che la realizzazione concreta di ciò che si affermava nel testo costituzionale non avrebbe potuto realizzarsi se non dopo alcuni anni. Tutto ciò avrebbe, secondo il suo stesso parere denigrato la Costituzione di falsità13. Risultò che fu data garanzia costituzionale al principio di tutela

11 R. Balduzzi – G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale, cit., p. 21.

12 In relazione del ruolo preminente dell’attività pubblica nella sanità si faccia riferimento a A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 600. 13 R. Balduzzi – G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale, cit., p. 21.

(16)

della salute, ma non fu concessa diversamente alla sua applicazione operativa. Non pochi considerarono la via del ridimensionamento della portata innovativa che si stava attuando solo come un “rinviare” il problema. Per l’Assemblea Costituente, il futuro assetto di un sistema sanitario, si sarebbe presentato come un “esclusivo problema di natura amministrativa” e non riguardante interventi di sistema e quindi frutto di un incontro delle varie forze politiche; fu delegato tale compito all’azione del Governo di edificare un organigramma di assistenza alla collettività. Analizzando la situazione, risaltava il ruolo predominante degli enti mutualistici nell’ambito del sistema sociale. Nel biennio 1950-1951 si registrarono solo sporadici interventi settoriali di scarso rilievo riformativo e privi di coordinamento strutturale. In questo contesto è degno di menzione la soppressione della Direzione Generale della Sanità presso il Ministero degli Interni per essere sostituito dall’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica. Solo successivamente con la legge 13 marzo 1958, n. 296 venne intrapreso un primo passo proteso alla realizzazione di ciò che si affermava nella Costituzione, istituendo il Ministero della Sanità. Il nuovo dicastero era ordinato in sei Direzioni Generali che regolavano l’assistenza e le funzioni per provvedere ai servizi sanitari da parte delle amministrazioni civili dello Stato. Alle dirette dipendenze del ministro furono istituiti il Gabinetto, con compiti di coordinamento e indirizzo delle attività delle varie Direzioni Generali, e la Segreteria Particolare attinente a funzioni di raccordo politico tra il Ministro e il Parlamento. Di concerto fu istituita

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la Ragioneria Centrale con funzioni di controllo amministrativo e contabile alle dirette dipendenze della Ragioneria Generale dello Stato14. Per quanto riguardava l’organizzazione periferica, questa era

demandata all’ufficio del medico provinciale; in ausilio erano presenti i vari uffici sanitari comunali e i consorzi stabiliti tra Comuni limitrofi. Garantire l’universalità delle prestazioni sanitarie prefigurava un limite per lo Stato; l’azione pubblica doveva rispettare esigenze di bilancio nel quadro di gestione della finanza pubblica. La situazione rimase invariata fino al termine degli anni sessanta, dove si intrecciò un intenso lavoro di continua riorganizzazione delle strutture amministrative dello Stato e il progressivo processo di regionalizzazione. Con l’approvazione del Programma Economico Nazionale venne data evidenza alla necessità di maggior coordinamento tra i vari enti locali d’assistenza per l’erogazione di prestazioni preventive, curative e riabilitative15. Ci si

prefiggeva un’unificazione dei vari trattamenti medici e dei sistemi di erogazione per assicurare maggiormente l’efficienza. Ulteriore passo fu la riforma ospedaliera attraverso la “legge Mariotti”16 con la quale si

completò la pubblicizzazione degli ospedali, dando vita all’ente ospedaliero con personalità giuridica pubblica nel quale confluirono le varie Ipab ed enti assistenziali. Alla Regione furono conferite

14 Per approfondimenti: P. Annino, Nozioni di diritto sanitario, Squeglia, Catania 1971.

15 Tramite la l. 27 luglio 1967, n. 685. 16 L. 12 febbraio 1968, n. 132.

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competenze meramente residuali, rimanendo sempre in piedi la struttura mutualistica vigente. Questo assetto non mutò fino all’emanazione della legge 17 agosto 1974, n. 386 e della legge 29 giugno 1977, n. 349, che portarono alla soppressione degli enti mutualistici, disastrati dal punto di vista finanziario. Venne disposto che gli enti ospedalieri venissero finanziati dalla Regione, tramite il Fondo Nazionale per l’Assistenza Ospedaliera17 presso il Ministero della Sanità, dove confluirono i

contributi malattia versati dagli assicurati negli ex enti mutualistici.

1.3 Il Servizio Sanitario Nazionale: la disciplina

Con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 si è provveduto a istituire il Servizio Sanitario Nazionale. Il testo, composto di 83 articoli, decretava le procedure di programmazione e attuazione dell’assistenza, definiva le competenze delle varie strutture, gli organi di controllo e i criteri di redazione e sorveglianza del bilancio. Con la suddetta legge venne data attuazione al principio costituzionale del diritto alla tutela della salute. Questa, sia fisica che psichica (v. testo art. 32 della Cost.), doveva avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona. Si perseguiva la formazione di una coscienza sanitaria moderna tramite un’educazione del cittadino e della comunità; questa ricomprendeva qualsiasi attività di vita e di lavoro. Riservava una più attenta analisi la fase di maternità e d’infanzia fino all’età evolutiva. Operando a tutti i

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livelli sociali, comportava l’abbattimento di qualsiasi discriminazione di natura economica, procedendo ad un maggior sostegno in presenza di stati d’invalidità o inabilità18. In particolare, dal punto di vista della

salute mentale, trovarono applicazione percorsi di reinserimento nella vita quotidiana del paziente psichiatrico, favorita dall’approvazione della “Legge Basaglia” che statuiva una presenza territoriale di diagnosi e cura in sostituzione degli ospedali psichiatrici19. Una particolare

disciplina era riservata alla regolamentazione dei farmaci nella loro fase sperimentale e di successiva commercializzazione. Nel quadro di costituzione di un così vasto apparato amministrativo, interamente sostenuto dall’erario, vennero creati organi consultivi e tecnico scientifici: l’Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio Sanitario Nazionale. Il primo rappresentava il principale centro di ricerca e sperimentazione in materia di sanità pubblica, dotato di strutture e autonomia scientifica. Questo dipendeva dal Ministero della Sanità e intraprendeva consulenze e collaborazioni con le Regioni e le varie unità locali. Il secondo, anch’esso avente ruolo di consulenza, svolgeva funzioni propositive di politica sanitaria nei confronti del Governo. Il Ministro della Sanità, che presiedeva tale organo, era la figura competente a portare al vaglio del Parlamento le varie proposte, tramite una relazione annuale. Il Consiglio era composto dal suddetto ministro,

18 In riferimento l. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 2. 19 L. 13 maggio 1978, n. 180.

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coadiuvato da altri tre membri dello stesso dicastero, da un rappresentante di ogni Regione e da un rappresentante di ogni ministro del Governo. Inoltre, in ottemperanza della totalità d’azione dell’apparato amministrativo-sanitario, partecipavano ai lavori anche il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, il direttore dell’Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, ed infine un gruppo di dieci persone altamente specializzate in campo sanitario designati dal Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro. Le linee generali d’indirizzo e le varie modalità di svolgimento erano stabilite attraverso il Piano Sanitario Nazionale. Ricomprendeva un atto del Governo che veniva presentato al Parlamento contenente le linee guida di attuazione di livelli minimi di assistenza (Lea), il budget di spesa destinato alla sanità pubblica, le tecniche di supervisione e gli obbiettivi a lungo termine per i tre anni successivi. Lo Stato attuava una programmazione con il concorso delle Regioni; rientravano nella propria sfera di competenza le funzioni amministrative concernenti i rapporti internazionali in materia sanitaria, l’intervento di prevenzione e vaccinazione contro le malattie infettive. In discontinuità con il passato, venne data una maggiore rilevanza all’attività territoriale per l’erogazione di assistenza. Tutto questo non si configurò con un nuovo soggetto giuridico ma con un modello organizzativo policentrico di esercizio coordinato a livello centrale. Furono infatti previste apposite strutture, le Unità Sanitarie Locali (Usl); queste erano dotate di autonomia amministrativa e gestionale. Si profilò un’assistenza non solo

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sul piano della cura della malattia conclamata ma anche interventi tesi alla prevenzione. Alla Regione erano demandati compiti di regolazione a livello legislativo del servizio in ambito programmatico e finanziario; esse potevano istituire a seconda delle necessità nuove unità sanitarie locali, ma rientrando nella fascia di competenza dei Comuni, perdevano di conseguenza ogni potere di gestione. I criteri per l’istituzione delle Usl erano basati su intensità di popolazione ricomprendenti la fascia territoriale di competenza, tenuto conto delle condizioni geografiche e socio-economiche. La loro supervisione era demandata ai comitati regionali di controllo20; i vari enti locali presentavano annualmente una

relazione al presidente della Giunta regionale sullo stato dei livelli assistenziali applicati. Il presidente regionale successivamente la presentava alla Giunta stessa per la decretazione dello stanziamento finanziario. Naturalmente, in virtù di un controllo gerarchico accentrato, le varie modifiche o azioni intraprese da quest’ultimo organo, dovevano essere portate a conoscenza del Ministero della Sanità e dell’allora Ministero del Tesoro. La struttura amministrativa delle Unità Sanitarie Locali era gestita da tre organi: l’Assemblea Generale, costituita dal consiglio comunale o dall’associazione dei comuni ricompresi nella fascia territoriale di competenza, che svolgeva funzioni di

20 Istituiti dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62 (cosiddetta Legge Scelba) in attuazione dell'art. 130 della Costituzione della Repubblica Italiana, iniziarono ad operare solo nel 1971. Con l’istituzione del Servizio Sanitario gli furono ampliati controllo sugli atti delle Unità Sanitarie Locali e degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.

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coordinamento; un collegio di tre revisori nominati rispettivamente uno dal Comune, uno dalla Regione e uno dal Ministero del Tesoro, che avevano il compito di sottoscrivere i rendiconti e redigere sulla gestione amministrativa-contabile una relazione trimestrale. Quest’ultima veniva successivamente portata alla conoscenza della Regione, del Ministero della Sanità e del Tesoro. Infine era previsto un Comitato di Gestione. Questo procedeva all’approvazione dei bilanci, dei piani programmatici e della costituzione o modifica della pianta organica del personale. Veniva ulteriormente affidata la possibilità di stipulazione di convenzioni, successivamente portate al vaglio dell’Assemblea Generale per la ratifica.

1.4 Sostenibilità del sistema: parallelismi e differenze

con il sistema precedente

Il modello delineato nel 1978, se da un lato aveva comportato l’eliminazione di qualsiasi discriminazione socio-assistenziale, dall’altro lato aveva comportato l’insorgere di problemi dal punto di vista finanziario, minando la tenuta stessa del sistema pubblico. In accordo con le passate osservazioni, si evidenziò maggiormente un’insostenibilità dell’apparato costituito; un assetto che evidenziava già in fase di pre-costituzione una difficoltà anche a riadattarsi alle future esigenze della collettività. La sempre maggior richiesta di servizi da parte della popolazione, e di concerto una mal distribuzione dei fondi destinatagli favorirono la necessità di una revisione della sanità pubblica. Le difficoltà che prospettava un così vasto intervento da parte

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dello Stato nell’assistenza erano già evidenti nella fase precedente alla costituzione del Servizio Sanitario Nazionale. La tenuta dei presidi ospedalieri poneva grossi problemi di bilancio. Fondamentalmente il problema posto non coinvolgeva direttamente il cittadino, ma solamente le strutture dello Stato. In merito al livello assistenziale, non si ravvisò un peggioramento dei servizi, emergendo solo un problema principale di tenuta finanziaria. Un tentativo importante si registrò al termine degli anni sessanta con la stesura di un piano regionale organizzato per attuare un bilanciamento tra prestazioni erogate e costi. Ma la mancanza di un solido apparato di controllo non portò a nessun risultato concreto. Inoltre, di concerto con il processo di regionalizzazione che si stava attuando, furono aumentate anche le competenze regionali: in particolare da evidenziare la figura del medico provinciale che sarebbe stata gestita dalla Regione21. Dinanzi ad un problema di sostenibilità, si

procedette in parallelo ad apportare modifiche in seno alla contabilità generale dello Stato22; un tentativo fu posto con scarsi risultati tre anni

prima in ambito regionale23. Si ritenne come maggiore responsabile la

mancanza di strumenti efficaci di calcolo e controllo della spesa. La ripartizione dei compiti tra Stato e Regioni non consentiva un’adeguata e specifica supervisione. In un quadro comunque di controllo

21 D.p.r. 14 gennaio 1972, n. 4. 22 L. 5 agosto 1978, n. 468. 23 L. 22 luglio 1975, n. 382.

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verticistico, i criteri e la redazione dei bilanci avveniva purtroppo in ambito territoriale. Alle Regioni era demandata la revisione dei bilanci delle Usl approvati in sede comunale. Da evidenziare una sentenza della Corte Costituzionale24 con la quale si affermava che oltre a necessitare

di uno snellimento dello stesso apparato amministrativo sanitario si dovesse procedere a “fare chiarezza” e quindi riordinare le competenze dei vari organi dirigenziali. Nel corso del tempo si preparò il terreno per una necessaria rivisitazione del sistema testè concepito25. Con l’avvento

degli anni novanta, le Usl subirono dei procedimenti di commissariamento con la nomina di amministratori straordinari da parte delle varie Regioni, in relazione ad un peggioramento delle condizioni economiche nel quale operavano.

1.5 L’aziendalizzazione: il D.lgs. 502/1992

A causa della crisi finanziaria esistente negli anni novanta, si ritenne necessaria una razionalizzazione dei maggiori titoli di spesa pubblica; in particolare si avvertì la necessità di attuare politiche di contenimento della spesa sanitaria, da anni in profonda crisi da deficit. Con l’introduzione del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 fu riformato l’assetto amministrativo dell’apparato sanitario. Nel suo insieme fu attuata una riorganizzazione della struttura territoriale, ridefinendo

24 Corte Costituzionale 5 novembre 1984, n. 245.

25 Con l. 28 febbraio 1986, n. 4 vennero introdotte disposizioni transitorie della riforma delle Usl.

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nuove competenze e nuovi organi di gestione e controllo. Le Unità Sanitarie Locali subirono una trasformazione amministrativa; queste sarebbero divenute Aziende con personalità giuridica pubblica e soprattutto autonomia gestionale e tecnico-professionale soggetta a rendicontazione. Furono introdotti necessariamente dei criteri di razionalizzazione della spesa, attuando per la prima volta, dei principi di economicità tipici di una gestione di tipo privatistico. Tutto ciò avrebbe comportato un bilanciamento tra l’erogazione effettiva delle prestazioni sanitarie e i loro relativi costi. Le neocostituite Asl furono ricondotte nella sfera di competenza delle Regioni, eliminando il ruolo predominante degli enti locali che avevano avuto fino a quel momento. Da evidenziare che lo Stato mantenne un ruolo guida della gestione di tutto il servizio. Questo avrebbe continuato a delineare, in collaborazione con le varie Regioni e i vari dicasteri compartecipi, il Piano Sanitario Nazionale. Questo documento, definendo i Livelli Essenziali di Assistenza, disciplinava la loro erogazione sia in campo distrettuale che in quello ospedaliero. Nello specifico tali livelli definivano le aree di intervento prioritario, gli obbiettivi in generale, le finalità che in ambito di ricerca e sperimentazione si dovevano perseguire, ed infine le linee guida dei percorsi diagnostici-terapeutici e il budget loro destinato. In riferimento a quest’ultimo punto, il servizio era chiamato a conferire equità nelle modalità di erogazione ma allo stesso tempo introdurre specifiche esigenze di contenimento della spesa. Tutto ciò ebbe una ripercussione inevitabile per il cittadino, che venne

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coinvolto in una “compartecipazione solo finanziaria”. La stesura del Piano Sanitario Nazionale, sentiti i pareri delle varie Regioni, rientrava nella sfera di competenza del Ministro della Sanità. Questo, su sua proposta, redigeva una relazione, che successivamente sarebbe stata posta al vaglio dell’esecutivo, e approvata di concerto con il Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica26. Le

Regioni sarebbero state responsabili della concreta applicazione del Piano di durata triennale. Vigendo un controllo verticistico, ogni ente regionale avrebbe dovuto redigere una relazione annuale da sottoporre al Ministro della Sanità sugli obbiettivi raggiunti. Nessun settore del servizio sanitario fu risparmiato; compreso il comparto della Ricerca e delle università che storicamente deficitavano di fondi disponibili. Nel contesto di riforma attuato negli anni novanta si procedette inoltre a instaurare un regime di concorrenza tra le strutture pubbliche e quelle private. Si delineo delle norme di attuazione di collaborazione tra i due istituti, che si sostenevano reciprocamente nell’erogazione di servizi assistenziali. Successivamente alla configurazione delle Aziende Sanitarie Locali come enti regionali, si procedette quindi alla loro riduzione numerica e ben più importante alla loro “depoliticizzazione”. Fu creata, in ragione di una migliore attività gestoria e di controllo, una nuova figura amministrativa: il Direttore Generale27. Quest’ultimo era

26 Tutto ciò venne steso in ambito della Conferenza unificata con il D.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

27 La nuova figura professionale trova regolamentazione nel D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

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responsabile della gestione complessiva dell’azienda e competente a nominare i vari responsabili delle strutture operative a lui sottoposte. Nel suo operato era coadiuvato da un Direttore Amministrativo e un Direttore Sanitario che concorrevano all’attività di gestione e formulazione di pareri e decisioni. La nomina del Direttore Generale si basava su proposta del Ministro della Sanità di concerto a quello del Lavoro, e del Tesoro, presa visione di un parere preventivo della Conferenza Permanente per i rapporti Stato-Regioni.

La qualificazione per l’investitura necessitava di esperienze dirigenziali nel settore per un periodo prestabilito di cinque anni, all’interno di una struttura sia pubblica o privata. Si prenda visione che trovava di fatto un tentativo di equiparazione delle due suddette strutture sul piano teorico riconoscendo alla struttura privata una capacità gestionale sovrapponibile a quella pubblica. Un ulteriore organo consultivo a favore del Direttore Generale era il Consiglio dei Sanitari, organo elettivo di rappresentanza del personale presieduto dal Direttore Sanitario; compito di quest’organo era la resa obbligatoria di pareri sulle attività tecnico-sanitarie e per gli investimenti ad esse connesse. Accanto al responsabile dell’azienda, dietro riforma del Collegio dei Revisori, venne istituito il Collegio Sindacale. A tale ufficio era attribuita la verifica dell’amministrazione economica e la certificazione del bilancio, con conseguente relazione trimestrale alla Regione,

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sull’andamento dell’Asl. Il Collegio era composto da cinque membri nominati da un apposito registro dei revisori contabili presso il Ministero di Grazia e Giustizia, su indicazione di vari enti: due membri riservati alla Regione, uno dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, uno dal Ministro della Salute e uno su nomina della Conferenza dei Sindaci.

1.6 Ruolo degli Enti Locali

Già tra i primordi di una sporadica assistenza medica di una parte della collettività, i vari enti locali, prima fra tutti i Comuni, hanno avuto un ruolo di primo piano. Nel corso dei decenni le loro funzioni si sono ampliate fortemente. In ambito28 del costituito Servizio Sanitario

Nazionale, i Comuni avevano la competenza di coordinamento e gestione delle varie Unità Sanitarie Locali, considerando il ruolo preminente svolto dall’allora Comitato di Gestione. Le Usl erano considerate organi tecnico-operativi periferici ma erano gestiti da organi prettamente politici. Il Consiglio comunale e la rispettiva figura del Sindaco, possedevano un ruolo base nella gestione dei finanziamenti e delle risorse. Il sistema configurato si modellava su un organo come la Regione che destinava la copertura finanziaria, ma amministrata dai Comuni con lievi e poco invasivi strumenti di controllo.

28 Tramite la l. 8 aprile 1976, n.278 e il successivo d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 furono conferiti ai Comuni tutte le funzioni amministrative in materia sanitaria non riservate agli altri livelli, e in base alla necessità potere di creazione di sedi distaccate per l’assistenza della popolazione.

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Il fatto che organi politici guidassero un apparato amministrativo interamente tecnico era in applicazione di un compromesso derivante dal principio democratico di decisione elettorale che gli conferiva legittimazione29.

Molte mutazioni subì il suddetto modello. Prima fra tutte, in relazione alla gestione, si cercò di apportare soluzioni al dilagante problema della spesa incontrollata. Tutto ciò era dettato da una linea di pensiero che configurava l’assistenza alla collettività finalizzata ad un benessere pubblico incondizionato, in vena propagandistica degli organi politici. Inoltre l’ente responsabile di utilizzo delle risorse si indentificava con lo stesso organo deputato a supervisionare il suo operato. Nei primi anni ottanta si passo a introdurre il Collegio dei revisori30 per l’analisi dei bilanci delle Usl, nonché si procedette alla

soppressione dell’Assemblea Generale31 con il tentativo di

responsabilizzare maggiormente la gestione. Con l’avvento del processo riformatore che riqualificò le Usl con impostazioni di tipo aziendale, si estromisero i Comuni dall’attività gestoria, demandandogli solo funzioni consultive di programmazione amministrativa-sanitaria in sede regionale. Nonostante questo svuotamento di poteri, la figura del Sindaco manteneva il ruolo di massima autorità in campo sanitario

29 M.S. Giannini, Natura giuridica e struttura dell’u.s.l., in Problemi giuridici della riforma sanitaria, Napoli, Esi, 1983, p.27.

30 In rif. alla l. 26 aprile 1982, n.181.

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all’interno dell’apparato amministrativo comunale32. Questo

supervisionava i bilanci e contestualmente l’operato del Direttore Generale dell’Asl fornendogli assistenza consultiva; inoltre in sede regionale, possedeva un ruolo all’interno degli organi demandati al controllo finanziario, ossia il Collegio Sindacale. L’introduzione di una regolazione relativa anche alle prestazioni socio-sanitarie, conferiva nuovamente ai Comuni il potere di delegare compiti nel suddetto ambito alle Asl, fornendo una propria necessaria copertura finanziaria33.

In un quadro di marcata divisione tra funzioni politiche e funzioni tecnico-gestionali, furono introdotte specifiche regole di nomina a ruoli di dirigenza amministrativa. Il soggetto che era in procinto di essere nominato Direttore Generale non poteva essere stato membro di un qualsivoglia organo politico e qualora lo fosse stato gli era impedito di assumere tale carica per un periodo non inferiore di cinque anni34. Viceversa non poteva sostenere la propria candidatura

politica un soggetto che in passato avesse ricoperto ruoli di dirigenza in seno alle Asl.

32 Il Sindaco convalida l’applicazione dei procedimenti ASO e TSO emendati dall’autorità psichiatrica competente.

33 Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) sono gestite da enti pubblici o privati che offrono ospitalità, prestazioni sanitarie e assistenziali attraverso il finanziamento da parte dei Comuni.

34 In caso di scioglimento anticipato dell’organo l’ineleggibilità in modo automatico decade.

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1.7 I metodi di finanziamento

In riferimento ai mutamenti avvenuti, si prese coscienza di un nuovo modo d’intendere il sostentamento finanziario dello stato sociale. Si tentò di revisionare ad un contenuto essenziale il diritto alla tutela della salute35. L’iniziale copertura illimitata stabilita dal modello del

1978 da parte dello Stato si prefigurò come insostenibile con in passare del tempo. Iniziali e meramente residuali compartecipazioni all’assistenza sanitaria furono stabilite già poco dopo l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale36; parallelamente fu rilasciata la facoltà

alle Regioni di stabilire compartecipazioni alla spesa da parte del cittadino nel momento in cui usufruiva della prestazione. Con l’emanazione del D.lgs. n. 502 dei primi anni novanta si riordinano le modalità di finanziamento del Servizio, ovviamente tenuto conto dell’ormai avvenuto processo di regionalizzazione del paese. Si stabilì che lo Stato concorreva alla spesa sanitaria, non coperto dalle altre fonti di finanziamento, essenzialmente attraverso la compartecipazione all'imposta sul valore aggiunto (Iva), le accise sui carburanti e il Fondo Sanitario Nazionale. Inoltre alle Regioni era demandato il finanziamento attraverso un’aliquota sull’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) e un’addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche

35 R. Balduzzi – G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale, cit., p. 71.

36 In ambito dell’assistenza farmaceutica attraverso la l.5 agosto 1978, n.484 e per le prestazioni strumentali e di laboratorio si veda la l. 26 aprile 1982, n.181.

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(Irpef). Il quantum delle aliquote in entrambi i casi erano decise a livello nazionale. Si conferì ulteriormente alle stesse Aziende Sanitarie Locali l’onere di autofinanziarsi. Questo avveniva attraverso l’introduzione di quote derivanti dall’attività intramoenia del personale medico, delineate a seguito di un’intesa fra Stato e Regioni; ma il maggior gettito era rappresentato dall’introduzione di tickets, ossia compartecipazioni del paziente al momento dell’erogazione della prestazione. Quest’ultimi, nella loro applicazione iniziale, non tenevano conto della fascia di reddito dell’utente, essendo omologati e specifici di determinate prestazioni a livello ambulatoriale.

1.8 La riforma Bindi: il D.lgs. 229/1999

La riforma del 1992 si può considerare l’inizio di un lungo processo riformatore di durata decennale. Con la cosiddetta “Riforma Bindi”, si apportarono modifiche alla struttura amministrativa sanitaria, con lo scopo di proseguire quel processo di razionalizzazione e contenimento della spesa iniziato nei primi anni novanta37; il tutto

poneva le sue basi nei principi che trovavano la sua applicazione nel modello del 1978, ma con un maggiore sistema di controllo dei costi delle prestazioni sanitarie e della spesa nella sua totalità. Si maturò un bilanciamento del principio oramai affermato dell’universalità della tutela della salute della persona umana con l’adeguamento al

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contenimento dei costi. La concezione storica che si aveva del Servizio Sanitario Nazionale nella sua impronta accentratrice, si riconfigurò come il complesso dei servizi sanitari regionali finalizzati all’assistenza. In base a tutto ciò si rafforzo lo schema delineato del processo di regionalizzazione e conseguentemente si procedette al riassetto delle funzioni amministrative in ambito territoriale38.

Riqualificando le competenze a livello regionale, si riservò a quest’ultime un ampio margine di applicazione delle linee guida concordate a livello centrale.

I rapporti erano resi più facilitati dal potenziamento del ruolo rivestito dalla Conferenza Stato-Regioni; nell’individuazione dei Lea, in seno al suddetto organo, venne affidato al Ministro della Sanità la determinazione dei valori di riferimento per la programmazione nazionale in virtù di possibili indebitamenti da parte delle Regioni stesse39. Il futuro assetto che si stava delineando rimarcava un disegno

di tipo federalistico40 della Sanità in campo nazionale, mostrando

sempre più attenzione alle realtà locali, sia di tipo sociale che geografico, e una maggiore responsabilizzazione della gestione in capo agli enti locali. Viene istituita, presso l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali41, la Commissione Nazionale per l’Accreditamento e la

38 In base al processo riformatore intrapreso dalle “Riforme Bassanini”; in particolare attraverso la l. 15 marzo 1997, n. 59.

39 Attraverso la l. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 19. 40 D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.

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Qualità con obbiettivi indicati nel Piano Sanitario Nazionale, definendo i criteri e i requisiti che le Regioni devono individuare per l’accreditamento delle strutture pubbliche e private. In riferimento ai Comuni, questi tornarono, seppur parzialmente e in modalità diversa, a ricoprire un ruolo di collaborazione nel definire la programmazione dei servizi e nell’accertamento della qualità all’interno delle strutture sanitarie.

In ambito territoriale si conferì maggiore autonomia alle Asl, potenziando il ruolo rivestito dai distretti sanitari; questi rappresentavano il collegamento più diretto con gli enti locali. In un quadro di maggior collaborazione del privato (v. trattazione specifica nel terzo cap.), trovò applicazione una più dettagliata regolamentazione dei rapporti tra il Ssn e le varie strutture private. La disciplina, denominata delle 4 A, regola i rapporti che possono intercorrere e con quali modalità tecniche e criteri. Riconoscendo in maniera evidente una forte espansione di quest’ultimo settore, si presentò la necessità di regolamentarlo, conferendo al contempo, al paziente una concreta possibilità di scelta del luogo dove poter ricevere le necessarie cure. In particolare si valorizzò il ruolo svolto dal privato non lucrativo42. Inoltre

venne introdotta una normativa per il regime previsto “dell’intramoenia” come primo accenno di una visione di tipo

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privatistico della prestazione sanitaria, anche se non ha trovato sul momento iniziale una sua completa applicazione. All’interno delle Asl, con la modifica della legge n. 502, è istituita una nuova figura amministrativa: il Collegio di Direzione. Il Direttore Generale si rivolge al suddetto organo per il governo delle attività cliniche, la programmazione e valutazione dell’attività, nonchè all’organizzazione dell’attività intramuraria e lo sviluppo dei servizi.

1.9 Evoluzione delle competenze legislative e le

prospettive di riforma costituzionale

Con la promulgazione della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 si tese a completare la nuova impostazione dell’apparato statale, determinando inevitabilmente delle ripercussioni in campo sanitario. Il procedimento di revisione, potenziando i tratti regionali della forma statale, aumentò le funzioni legislative e di concerto quelle amministrative che avrebbero delineato la gestione della Sanità43. In

tutto ciò fu riconfermata l’unitarietà del Servizio, che avrebbe configurato però una gestione locale44. Si noti una similitudine per certi

aspetti al sistema precedente alla Costituzione repubblicana, presentato come un’evoluzione dell’apparato, ma di fatto riproponendosi nello schema bifase del coordinamento e controllo a livello centrale e gestione

43 In particolare, si faccia riferimento all’art. 117 della Costituzione. 44 In merito da menzionare una sentenza cost., 26 giugno 2002, n. 282, in Giur. It, 2002, p. 2006, dove viene affermata l’impedimento della legislazione regionale a limitare il godimento dei servizi in base a diritti tutelati a livello nazionale.

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a livello locale. Quest’ultimo non sarebbe stato rappresentato dai Comuni ma viceversa dalle Regioni. Solo nell’ambito della ripartizione delle risorse necessarie al mantenimento dell’apparato sanitario, che si rilevò però notevoli cambiamenti. Si registrò un passaggio dal sistema della spesa storica, dove lo Stato assicurava il totale fabbisogno, ad un sistema di bilanciamento delle necessità e costi standard, mediante l’istituto della quota capitaria ponderata45. Trovò affermazione quindi

un federalismo di tipo fiscale46 che avrebbe valorizzato l’autonomia

regionale limitando la responsabilità dello Stato centrale nella gestione pratica delle risorse. Negli ultimi anni si è sempre più rafforzata l’esigenza di una riorganizzazione delle competenze legislative e gestionali in materia di salute pubblica47. In particolare, si è posta la

tematica della possibile utilità di riformare il complesso delle competenze legislative sia dello Stato centrale sia delle varie realtà regionali; quest’ultimi rappresentano infatti un modello di legislazione concorrente che alimenta continui contenziosi amministrativi con forti ricadute sulla salvaguardia della salute del cittadino.

45 R.Balduzzi, G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, cit., p. 77. 46 A riguardo, si porti la l. 5 maggio 2009, n.42 con la quale si delega il Governo, in materia di federalismo fiscale, a dar applicazione all’art. 119 della Costituzione.

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Capitolo II

La sanità nelle Regioni

Sommario: 2.1 La gestione: il Piano Sanitario Regionale - 2.2 Le forme di gestione dell’assistenza: l’accreditamento delle strutture e la scelta del luogo di cura - 2.3 La vigilanza: il ruolo svolto dall’Agenas - 2.4 Il finanziamento regionale - 2.5 Osservazioni: ruolo dello Stato centrale in relazione a Regioni a statuto ordinario e speciale - 2.6 La Conferenza Stato-Regioni quale sede di coordinamento

2.1 La gestione: il Piano Sanitario Regionale

Configuratosi negli ultimi anni un apparato statale su impronta tipicamente federalistica48, si delinea conseguentemente una più

marcata autonomia legislativa degli Enti locali.

Necessariamente, nel quadro anche di una miglior efficienza della gestione dell'apparato sanitario nazionale, risulta essere maggiormente rilevante il ruolo esercitato dalle Regioni nella modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria49. Recentemente, attraverso

l'attuale “legge Renzi-Boschi”50, suddetto ruolo viene ridefinito in

maniera da rendere più netta la separazione delle competenze in capo alle Regioni, con l’intento di porre fine alla legislazione concorrente tra

48 L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

49 Storicamente lo Stato trasferisce già dal 1972 alle Regioni competenze in merito all'amministrazione di prestazioni sanitarie e di beneficenza caratterizzate da un “margine di discrezionalità” e soprattutto aver creato una proliferazione di centri di potere disomogenei e mal coordinati – Antonino Scalisi, Il valore della persona umana e l'assistenza sociale in Italia tra presente e passato, Dottrina, Diritto di famiglia, fasc. 4, 1999, pag. 1427.

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Stato e Enti locali. Il provvedimento è finalizzato a porre fine ai numerosi contenziosi51 che negli ultimi anni avevano rallentato

fortemente il processo legislativo. Da sottolineare che la suddetta legge di riforma, comporta delle ripercussioni a riguardo dell’assetto amministrativo del Servizio sanitario. Viene garantito al Governo centrale la facoltà di commissariamento degli enti regionali aggravati da forti dissesti di bilancio, mantenendo in capo alle Regioni poteri riguardanti la programmazione e l’organizzazione dei servizi. Si registra che tale intervento legislativo non aggiunge nessuna innovazione d’apparato, ma si limita ad avere solamente ripercussioni sul meccanismo di reperimento di risorse destinate alla Sanità. Il tutto procede in controtendenza con l’assetto da pochi anni definito, in particolare con riferimento alla nuova stesura dell'art. 119 della Costituzione, con un maggior potere di determinazione di tributi e compartecipazioni al fine di un miglior coordinamento della finanza pubblica da parte dello Stato centrale. Viene posta una riduzione dell'autonomia finanziaria, sancita precedentemente, anche in virtù dell'introduzione dell'obbligo di pareggio di bilancio52 all'interno della

Costituzione stessa. Ulteriormente viene conferito in tale contesto un particolare strumento d'emergenza, che qualifica lo Stato a poter intervenire in competenze prettamente regionali quando si ponga

51 Rudy Francesco Calvo, “Cosa prevede la riforma della Costituzione approvata al senato, 08/08/2014, http://www.europaquotidiano.it.

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l'esigenza di garantire l'unità giuridica o economica della Repubblica53,

avendo inevitabilmente un’ulteriore ricaduta nella gestione sanitaria regionale. Le Regioni assolvono il compito di erogazione di prestazioni sanitarie attraverso la stesura di una programmazione, il cosiddetto Piano sanitario regionale54, tramite delibera non legislativa del

Consiglio Regionale55. Nel rispetto delle linee guida definite all'interno

del Piano Sanitario Nazionale, gli enti regionali individuano le aree d'intervento che necessitano di particolare attenzione e le modalità di funzionamento dei vari servizi d'assistenza, a tutela della salute della popolazione residente sul proprio territorio.

Nella previsione di una redazione di un piano attuativo si metta in evidenza l'intento di porre a concretezza le varie esigenze che gli Enti Locali possono presentare anche dal punto di vista prettamente della conformazione territoriale. In particolare, si soffermi l'attenzione su elementi, come la densità di popolazione e un territorio morfologicamente eterogeneo, che implicano necessariamente diversi schemi di gestione per corrispondere un’adeguata risposta alle esigenze dell'utenza. Il Piano Sanitario Regionale, autonomamente regolato,

53 Questa rappresenta una sorta di supremacy clause o di attrazione in sussidiarietà 'verticale' della competenza legislativa: sovviene il riferimento all'articolo 72 della Costituzione tedesca, che legittima la legislazione del Bund per fini di tutela "dell'unità giuridica o dell'unità economica"- Riforma bicameralismo e Titolo V. Il ddl “Renzi-Boschi” inizia l'iter al Senato. Per la sanità stop alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni,11/04/2016, http://quotidianosanità.it/Governo-e-Parlamento. 54 In rif. all'art.2 del D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 in modifica dell'art. 2 del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

55 In relazione alle Provincie Autonome di Trento e Bolzano provvede la Giunta Provinciale alla stesura del Psr.

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viene redatto entro centocinquanta giorni dall'approvazione del Psn prevedendo delle forme di partecipazione delle autonomie locali56, delle

organizzazioni sindacali, di enti privati impegnati in campo sanitario prive di scopo di lucro ed infine di operatori privati accreditati con il Servizio Sanitario Nazionale57. Il testo viene successivamente trasmesso

dalla Presidenza del Consiglio regionale di ogni ente regionale al Ministro della Salute per un proprio parere teso a fornire una garanzia del rispetto delle linee guida redatte nel Psn. Il Ministro esprime suddetto parere in un arco di tempo di trenta giorni, previa consultazione dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali58. Quest'ultimo

organo attua, tra le molteplici competenze di cui è investito, un coordinamento tra il Ministero della Salute e le varie Regioni per la stesura del Psn e fornisce supporto di consulenza alle Regioni stesse in materia sanitaria. La mancata adozione di un piano programmatico da parte delle Regioni, non comportando necessariamente una totale inapplicabilità del Psn, comporta però l'adozione di diretti provvedimenti tesi a dare applicazione di quest'ultimo dopo un periodo di ammonimento di tre mesi; la competenza è riservata al Governo, che possiede la facoltà di nomina di un commissario ad acta come ultima opzione possibile. Tali provvedimenti sono emanati dal Consiglio dei

56 In rif. all'art. 2, comma 2 bis del D.lgs. 19 giugno1999, n. 229.

57 In merito viene approntata una prima regolazione con il “Decreto Bindi”, in particolare in riferimento art.1, comma 13.

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Ministri su proposta del Ministro della Salute, supportati da un parere positivo dell'Agenas e della Conferenza Stato-Regioni. Nel quadro di una stesura organica delle modalità d'erogazione dell'assistenza sanitaria, ogni Regione appronta il programma sanitario autonomamente recependo il parere e le possibili richieste delle varie Aziende Sanitarie Locali, in merito alle esigenze riscontrabili nell'ambiente territoriale nel quale operano59. Si procede in tal modo, successivamente, alla stesura

del Piano attuativo locale; un documento che svolge il compito di concretizzare il piano programmatico regionale nel rispetto delle necessità del luogo al quale è riferito, e della partecipazione degli Enti Locali chiamati in causa. La mancata adozione di quest'ultimo documento comporta un potere da parte della Regione di sostituzione tramite un atto legislativo e non amministrativo, per poter procedere alla stesura dello schema programmatico.

2.2 Le forme di gestione dell’assistenza: le strutture

sanitarie nell’accreditamento e la libera scelta del luogo di

cura

L'applicazione del Piano Sanitario Regionale è devoluta ai vari soggetti erogatori di prestazioni sanitarie; questi ricomprendono in primo luogo le Aziende Sanitarie Locali, le Aziende Ospedaliere e Aziende Ospedaliere-universitarie, ed infine gli Istituti di Ricovero e

59 In rif. all'art. 4, comma 1 septies e comma 1 quinques del D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229.

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Cura a carattere scientifico60. Configuratosi un sistema aperto con

l'introduzione del D.lgs. 19 giugno 1999, n. 22961, si è conferita la

possibilità ad ogni Regione o ad un suddetto soggetto precedentemente nominato di potersi avvalere di servizi sanitari erogati da strutture private nonché dell'operato di professionisti sanitari62. Tale schema,

riaffermando la natura imprenditoriale conferita alle Aziende sanitarie facenti parte del cosiddetto “comparto pubblico”, deve essere attuato nel rispetto degli indirizzi predisposti a livello regionale; ogni Regione attua una valutazione delle necessarie esigenze che si pongono a capo della popolazione e delle strutture disponibili63. Avvalendosi di vari soggetti,

viene configurato un modello di gestione a carattere pluralistico64 teso

ad individuare un equilibrio tra le richieste dell'utenza e le risorse disponibili. Lo schema delineato trova una sua prima e completa regolazione con il decreto di “riforma Bindi”65. Il modello richiamato

60 Nel D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 sono menzionati anche soggetti di prestazioni sanitarie regolati da ordinamenti speciali: degni di nota sono l'ospedale Galliera di Genova, l'Ordine Mauriziano, l'ospedale Bambin Gesù di Roma e il servizio ospedaliero erogato dal Sovrano Militare Ordine di Malta - Cassese, Diritto amministrativo speciale, Trattato di diritto amministrativo, La Sanità, ed. Giuffrè, Milano, 2000, Tomo I.

61 R. Balduzzi – G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, p. 156.

62 Già prevista con il D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e riformata dalla l. 3 agosto 2007, n. 120.

63 Da rilevare che l'accreditamento viene rilasciato al di fuori anche del coordinamento delle esigenze della Regione.

64 Cassese, Diritto amministrativo speciale, Trattato di diritto amministrativo, La Sanità, ed. Giuffrè, Milano, 2000, Tomo I, pag. 665.

65 Prima con la l. 23 dicembre 1978, n. 833 le Usl erano le sole deputate ad attuare collaborazioni e convenzioni rappresentando uno schema fortemente frammentato. Una prima disciplina parziale è stata introdotta con il D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e poi successivamente con il D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229.

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viene riduttivamente definito delle 4A66. Esso consiste in un gruppo di

procedure tese ad autorizzare le strutture sanitarie ad operare in campo sanitario; tale procedimento di verifica trova una sua disciplina a livello nazionale per evitare che l'analisi non sia frutto di totale discrezionalità ed afflitto da conflitti d'interessi locali. Il Servizio Sanitario, garantendo la qualità delle strutture sanitarie e dei professionisti sanitari, vincola le prime alla concessione dell'autorizzazione all'esercizio ed i secondi all'abilitazione professionale67.

Nell’affermazione della centralità del cittadino, viene riconosciuto a quest'ultimo il diritto di libera scelta del luogo di cura (v. rinvio ad approfondimento nel terzo cap.).

Il primo provvedimento consiste nell'autorizzazione alla costruzione dell'edificio vero e proprio; le strutture sanitarie, pubbliche e private, per poter esercitare la propria attività devono, in prima istanza, ottenere un'autorizzazione. Questa consiste in un atto con cui il Comune e la Regione verificano i requisiti strutturali e organizzativi idonei alla tutela degli utenti68. Da osservare che tale verifica, che pone una

valutazione discrezionale tra la domanda e l'offerta, conferma la

66 D.lgs. 19 giugno1999, n. 229, art. 8 bis. 67 D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 ter.

68 Storicamente gli ospedali da costituire dovevano essere individuati con una delibera del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della Sanità per poi passare sotto la gestione delle Regioni. Tale potere non era considerato lesivo della sfera di competenza regionale in merito anche di una sentenza della corte costituzionale del 1993, n. 335 - Cassese, Diritto amministrativo speciale, Trattato di diritto amministrativo, La Sanità, ed. Giuffrè, Milano, 2000, Tomo I. Con il d.l. 18 settembre 2001, n. 347 viene escluso la suddetta approvazione governativa.

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presenza di una limitazione all'ingresso nel mercato sanitario dal punto di vista del privato. In un secondo momento, tali strutture devono procedere ad ottenere l'accreditamento69 (v. approfondimento nel terzo

cap.), ossia l'atto con cui la Regione verificando il possesso di requisiti qualitativi, organizzativi e strutturali equipara al pubblico le strutture; in tal caso gli utenti usufruendo di tali strutture non dovranno sostenere costi aggiuntivi rispetto a quelli che dovrebbe sostenere se si rivolgessero ad una struttura o professionista pubblico. Solo successivamente a questo passo, è possibile per i privati richiedere l'accreditamento istituzionale70, con il quale la struttura privata viene

equiparata totalmente a quelle pubbliche, avendo accertato che possiede gli stessi standard gestionali. Una volta ottenuto l'accreditamento istituzionale, il privato può stipulare degli accordi contrattuali con la quale la Regione stabilisce quali prestazioni del servizio sanitario “acquistare”71. Naturalmente vengono posti in tale sede dei tetti

quantitativi all'erogazione di prestazioni e stabilito un compenso massimo dalla stessa Regione, sulla base dei criteri stabiliti dal Ministero della Salute sentita l 'Agenas d'intesa con la Conferenza

69 D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 quarter.

70 Viene valutata la corrispondenza delle attività in relazione della programmazione regionale ai sensi del D.lgs. 19 giugno 1999, n.229, art. 8 quarter, e la compatibilità con il Piano Sanitario Regionale ai sensi del D.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 8 quinques.

71 Il rapporto che intercorre tra la Regione e il soggetto erogatore non è da qualificare come un contratto d'appalto di servizi ma è da ricondurre al genere delle relazioni pubblicistiche di servizio pubblico tra amministrazione titolare e soggetto erogatore, sentenza Cass. sez. un., 1 febbraio 1999, n. 15 in foro it. - D. Dalfino, Dal convenzionamento all'accreditamento istituzionale, 1999.

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