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Il Museo Archeologico di Orbetello: piano di fattibilità per la realizzazione di un sistema museale nel territorio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Archeologia

Il Museo Archeologico di Orbetello: piano di fattibilità per la

realizzazione di un sistema museale nel territorio.

Relatore: Prof.ssa Fulvia Donati Candidata: Silvia Simonini

Correlatore: Dott.ssa Chiara Tarantino

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Ai miei genitori

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Indice

Introduzione

………..…………..………p.5

Capitolo I

Archeologia nel territorio

………...………..…..p.8

1.1 Sintesi delle dinamiche storiche del territorio………..………..p.8

1.2 Storia degli scavi e delle ricerche condotte nel territorio………...………..p.13

Capitolo II

Il Museo Archeologico di Orbetello, analisi e bilancio

……….………..p.29

2.1 Storia delle collezioni………...p.29

2.2 Il Progetto Etruschi, verso la nascita del Museo Archeologico di Orbetello………...p.33

2.3 La mostra ‘La Romanizzazione dell’Etruria. Il territorio di Vulci’………..p.39

2.4 Il Museo oggi, funzionamento e gestione………...………..p.42

2.4.1 Il percorso museale………..p.43

2.4.2 Le vetrine………....p. 49

2.4.3 L’apparato informativo nel Museo Archeologico di Orbetello. Pannelli e didascalie…p.53

2.4.4 I servizi………p.58

Capitolo III

Potenzialità di un territorio nell’Etruria meridionale

………p.63

Capitolo IV

Creazione di un sistema museale nel territorio orbetellano

……….p.68

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4.1.1 Esempi di gestione dei sistemi museali in Italia………..…...p.72

4.2 Realizzazione di un sistema museale orbetellano: prime volontà e aspetti generali…..…..p.83

4.2.1 I Musei del sistema: aspetti generali………...p.92

- L’Antiquarium e il Parco Archeologico di Cosa………..………...p.92

- Il Museo della Cultura Contadina ad Albinia……….……..…...p.93

-La Fortezza Spagnola, la Mostra permanente sulle Memorie Sommerse.………...p.95

-Il Forte Stella a Porto Ercole……….……….…...p.96

-L’Acquario Mediterraneo di Porto Santo Stefano……….…...p.96

-L’Acquario della Laguna di Orbetello e il Museo della Pesca e delle tradizioni lagunari...p.97

4.2.2 I Musei del sistema: aspetti amministrativi e gestionali……….p.97

4.2.3 Ipotesi di gestione del Sistema Museale nel territorio orbetellano………...p.100

4.2.3.1 Il personale e la gestione dei servizi………..……...p.103

4.3 Percorsi logici………...p.107

4.3.3 Ipotesi di valorizzazione dei percorsi………...p.118

Conclusioni

………...…p.121

Documenti allegati………..……….….

p. 124

Bibliografia………....

p. 134

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5

Introduzione

Scopo del presente lavoro è quello di tracciare alcune linee guida per la realizzazione di un sistema museale nel territorio orbetellano il cui centro di coordinamento e gestione sarà individuato nel Museo Archeologico comunale di Orbetello mentre i limiti amministrativi del Sistema rientrerebbero nella giurisdizione comunale di Orbetello, Monte Argentario e Capalbio.

L’interesse per tale progetto nasce dalla volontà di valorizzare quel potenziale presente in questo territorio che è rappresentato da Musei, siti archeologici e aree di interesse naturalistico. I Musei si caratterizzano per una forte territorialità: nei Musei Archeologici troviamo esposti materiali provenienti dal territorio, negli Acquari sono raccolte tutte le specie marine che meglio rappresentano gli ecosistemi del litorale della Costa d’Argento, mentre ad Albinia è presente un Museo di carattere storico-antropologico che narra le bonifiche che sono state svolte in questa fascia di terra nei secoli passati, mirate a risanare queste zone un tempo paludose e malariche.

Dopo aver analizzato gli eventi che in antichità hanno interessato questa area riusciremo a comprendere come il territorio in questione sia sempre stato legato storicamente: le stesse dinamiche hanno infatti coinvolto, se pur con tempistiche diverse, tutti i centri presenti in questa terra. I Musei archeologici raccolgono e raccontano questa antica storia e sono il frutto di tutte quelle scoperte avvenute in tempi passati.

Nella parte dedicata alle scoperte e alle ricerche archeologiche destineremo particolare attenzione solo a quei rinvenimenti avvenuti nei centri che abbiamo scelto di inserire nelle tappe di un possibile sistema museale orbetellano, gli scavi archeologici, alcuni dei quali ancora in corso (ad esempio le ricerche condotte presso località lo Scoglietto nel cuore del Parco dell’Uccellina, a nord di Talamone), sono numericamente maggiori ma, se pur interessanti e importanti, non sono utili ai fini di questo specifico lavoro.

Successivamente, nel secondo capitolo, analizzeremo il Museo archeologico di Orbetello che, come già accennato, abbiamo scelto come sede centrale del Sistema. Per comprendere l’importanza di questo Museo per il territorio orbetellano abbiamo dovuto ripercorrere tutta la storia che ha preceduto la sua fondazione, Orbetello ha infatti accolto una prima sede espositiva nella metà del Novecento con la fondazione di un Antiquarium, a cui ha fatto seguito la chiusura negli anni ’70. Fortunatamente l’esigenza di trovare una sede dove collocare tutti i reperti archeologici provenienti da questo territorio si è sempre fatta sentire, importante da questo punto di vista fu la mostra tenutasi presso la Polveriera Guzman nel

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6 1985 (la Romanizzazione dell’Etruria, il territorio di Vulci) che porrà le basi per la nascita del Museo Archeologico di Orbetello nel 2004, dopo quasi vent’anni. Successivamente analizzeremo il percorso espositivo e come funziona attualmente il Museo Archeologico.

Nel capitolo successivo, ‘Potenzialità di un territorio nell’Etruria Meridionale’, sarà analizzato quel potenziale (soprattutto paesaggistico e naturalistico) che connota questa fascia di terra, come vedremo però non sempre è stato così: l’Etruria Meridionale si localizza infatti in quell’area definita anche come Maremma nota sin da tempi remoti per i suoi stagni malarici e per la sua quasi invivibilità, vedremo quindi i passaggi più importanti che hanno permesso a quest’area di rinascere e conseguentemente di diventare tappa di un discreto turismo balneare oltreché sede di aree naturalistiche protette.

Nell’ultimo capitolo studieremo come si potrebbe connotare un sistema museale elencando e spiegando quei Musei che potrebbero rientrare in questo circuito, vedremo poi come potrebbero essere gestiti. Per arrivare a questa definizione è stato importante analizzare gli altri sistemi presenti in Italia. I Sistemi Museali presenti nel territorio italiano si presentano disomogenei l’uno dall’altro, non esiste un modello unico di Sistema; questa caratteristica è in parte conseguente all’acquisizione delle autonomie ottenute dalle Regioni nell’ambito della amministrazione dei beni museali negli anni ’70. In pratica ogni Regione ha la possibilità di erogare una propria normativa sul tema della gestione dei sistemi museali; nel caso della Regione Toscana le linee guida permettono di scegliere un ‘modello’ più adatto alla propria idea di sistema.

Nel nostro caso abbiamo scelto di progettare un sistema che faccia riferimento ad un Museo, definibile come centro del sistema e, come precedentemente accennato, abbiamo rintracciato il fulcro del sistema nel Museo Archeologico di Orbetello (GR). La scelta è ricaduta in questa struttura sia perché rappresenta un Museo del territorio, sia perché geograficamente è situato nel centro del sistema progettato, rappresentando la cittadina che più delle altre è interessata da flussi turistici, inoltre la sede del Museo Archeologico permetterebbe di utilizzare un intero piano per eventuali progetti, riunioni e mostre inerenti l’intero sistema.

L’analisi si sposterà ai caratteri specifici della gestione di un siffatto sistema, delineeremo un organigramma per la gestione dei Musei del sistema soffermandoci sulle personalità che, a nostro avviso, dovrebbero coprire determinati ruoli: la gestione dovrebbe essere in mano agli enti pubblici o ai privati? Quale forma di gestione è più adatta a questo caso? I servizi dovrebbero essere dati in gestione a Cooperative o Associazioni esterne oppure dovrebbe occuparsene senza intermediari il ‘diretto proprietario’? Sono questioni che ci siamo posti e alle quali abbiamo cercato una risposta che potesse essere la più idonea a questo specifico caso.

Concluderemo con l’ideazione di possibili itinerari tematici che potrebbero coinvolgere i Musei locali con percorsi di carattere storico-archeologico (interessanti quindi tutti quei siti archeologici e monumenti presenti in questo territorio) e naturalistico: in quest’ultimo caso si potrebbe rimandare a itinerari già esistenti. Ovviamente gli itinerari che abbiamo progettato non intendono essere esaustivi della totalità dei casi realizzabili, i percorsi che potrebbero essere creati sono molti di più, sono presenti in questo territorio

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7 ad esempio molte strutture ecclesiastiche di valore storico (si pensi ad esempio al Duomo di Orbetello) ma la nostra scelta è ricaduta solo per quei siti legati per le loro caratteristiche (siti archeologici, aree d’interesse naturalistico, monumenti storici..) ai Musei del Sistema.

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Capitolo I

Archeologia nel territorio

1. Sintesi delle dinamiche storiche del territorio

Il territorio che andiamo ad analizzare comprende tutti quei paesi che sono territorialmente legati al centro lagunare di Orbetello e che sono attualmente compresi nei Comuni di Capalbio, Isola del Giglio, Magliano in Toscana, Manciano, Monte Argentario, Orbetello, Pitigliano e Sorano: si tratta di una fascia di territorio che si estende nella parte più meridionale della Toscana racchiudendo sia quelle località poste lungo la costa tirrenica (da nord a sud troviamo Talamone, Albinia, il Monte dell’Argentario, Orbetello e Capalbio), che quelle dislocate nell’entroterra maremmano (Manciano, Magliano, Scansano, Pitigliano, Saturnia).

Questi piccoli centri della Toscana meridionale, per la loro vicinanza geografica, sono sempre stati legati tra di loro e come vedremo questa appartenenza ad un’unica ‘amministrazione’ ha origini molto lontane, risale infatti al dominio etrusco quando la lucumonia di Vulci controllava gran parte di queste aree allora occupate da centri che, in alcuni casi, coincidono con quelli attuali.

In questa vastissima area comprendente isole, promontori e colline, si hanno però tracce di frequentazione già in epoca ben più remota a quello etrusca, infatti a partire dal Paleolitico Inferiore troviamo delle testimonianze di frequentazione in Località Montauto presso Manciano dove è stato rinvenuto un deposito di ben 799 manufatti1, alcuni dei quali esposti al Museo di Preistoria e Protostoria della Valle del Fiora di Manciano; altri materiali provengono invece da Pian dell’Osa, vicino Talamone. Sempre risalenti al Paleolitico si ha notizia di vari strumenti litici e sepolcreti come quelli rinvenuti nella Grotta di Talamone (Orbetello), a Saturnia, Sovana e sul Monte Argentario. Mentre ben più rappresentato è il Neolitico con reperti provenienti dalla grotta dello Scoglietto (Parco della Maremma), dalla Grotta degli Stretti sul Monte Argentario, dai Sassi Neri di Capalbio, dall’insediamento di Scarceta e dal Pelagone di

1 CARDARELLI R., Confini fra Magliano e Marsiliana; fra Manciano e Montauto, Scerpenna, Stachilagi; fra Tricosto e

Ansedonia; fra Orbetello e Marsiliana; fra Port’Ercole e Monte Argentario in Maremma Bollettino della società Storica Maremmana 1, pp. 131-142, 1925

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9 Manciano,da Poggio Buco e Corano presso Pitigliano; quasi tutti parzialmente esposti nel museo di Preistoria e Protostoria della Valle del Fiora presso Manciano2.

Nell’Età del Bronzo, oltre ad oggetti bronzei rinvenuti nell’insediamento di Sorgenti della Nova (Farnese), e presso Pitigliano, Manciano, e Isola del Giglio, si hanno ceramiche provenienti da Capalbio e da Sovana, testimoni, assieme a frammenti di ossidiana, dei primi scambi commerciali terrestri e marittimi.

L’età villanoviana è invece documentata dai reperti provenienti da Marsiliana d’Albegna, come evidenziato da recenti scavi che hanno interessato quello che oggi è un borgo rurale della Maremma. I reperti ivi rinvenuti sono esposti presso il Museo Archeologico e della Vite e del Vino di Scansano. Altre tracce del periodo villanoviano si hanno presso Castel S.Angelo di Manciano, Capalbiaccio, Monteti e sul Monte Argentario.

Per quanto riguarda il periodo etrusco assistiamo al fiorire, in questo territorio, di altri piccoli centri come ad esempio a Ghiaccio Forte (nei pressi di Scansano) dove ancora oggi sono visitabili i resti di un abitato etrusco, o a Talamone sul colle di Bengodi (Talamonaccio). Tra i centri etruschi erano presenti anche Pitigliano e Orbetello, come ci testimoniano le ricche necropoli rinvenute nelle rispettive periferie, ma non sono giunti sino a noi gli originari toponimi dei due centri.3

Vulci, invece, che fu la provincia etrusca a cui tutte queste piccole cittadine facevano riferimento, rappresentò un esempio di quel processo di sinecismo alla base dello sviluppo della città in Etruria fu una delle metropoli etrusche che arrivò a dominare un territorio vastissimo che si spingeva a nord fino a Talamone, all’interno fino alle pendici dell’Amiata e al Lago di Bolsena e a sud fino al torrente Arrone. Il grande sviluppo di Vulci si colloca fra la fine del VII e il VI secolo a.C. I corredi tombali di questo periodo testimoniano un vertiginoso aumento delle importazioni greche, ma anche la nascita di botteghe, in situ, di ceramisti greci immigrati. In questa periodo Vulci conobbe infatti una forte crescita economica, la città distribuiva verso l’Etruria interna e settentrionale i beni di lusso, mentre esportava nel Mediterraneo occidentale il vino prodotto nel suo fertile territorio.

Fra la fine dell’orientalizzante e l’inizio dell’età arcaica le maggiori città etrusche mostrarono la tendenza a procurarsi uno sbocco sul mare e a fondare insediamenti portuali; ad esempio il porto di Vulci, Regae o

Regisvilla, in località Le Murelle presso Montalto di Castro che fu fondato nel corso del VI secolo a.C. A

questo periodo sembrano risalire anche le strutture individuate nel centro storico di Orbetello (via Don Carlo Steeb) da collegare alla funzione portuale della città lagunare, e le tracce di frequentazione del porto di Talamone (in località La Puntata).

Nel controllo di Vulci rientrava anche Orbetello che molto probabilmente doveva la sua fortuna all’importanza strategica della posizione in cui la cittadina era collocata: sulla costa tirrenica, luogo di transito e di avvistamento, ai piedi del massiccio dell’Argentario, orlato dal Tombolo della Feniglia a sud-est e dal Tombolo della Giannella a nord-ovsud-est. Orbetello, con la sua particolare morfologia di tombolo

2 CELUZZA M., Guida alla Maremma antica, p. 15, 2002

3 CORRIDORI I.; La Diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello nella storia. Dalle origini ai nostri giorni, vol. I, ATLA

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10 incompleto, e con la Giannella ancora distante da una totale saldatura con il Monte Argentario offriva, con la sua laguna, un sicuro riparo per le navi e costituiva un punto di appoggio per le rotte verso sud, ottimo quindi, anche per Vulci.

Intorno alla metà del V secolo, a seguito della sconfitta subita dagli Etruschi ad opera della flotta siceliota siracusana nella Battaglia di Cuma, il ruolo di protagonista di Vulci negli scambi con la Grecia venne ridimensionato, si assistette infatti all’apertura dei nuovi empori di Spina e Adria sull’Adriatico. La perdita dell’egemonia di Vulci su quei centri di scambio con la Grecia rappresentò per il centro etrusco un momento di declino che però, almeno in parte, venne recuperato.

Tra V-IV secolo a.C. si assistette infatti a una ripresa; piccoli abitati nelle campagne o, più spesso, piccole necropoli segnalarono un ritorno dell’insediamento sparso che nel secolo precedente si era rarefatto, a Orbetello ad esempio si ebbe la fortificazione dell’estremità dell’istmo con mura poligonali.

I contatti intercorsi tra Orbetello e alcune delle regioni che, in questo periodo, si affacciavano sul mediterraneo, sono ben documentati dagli oggetti esposti presso il Museo Archeologico di Orbetello e, infatti, comprendono materiali di importazione greca e greco-orientale o di imitazione macedone. Alla fase più antica dell’insediamento si può riferire un unico frammento di kotyle protocorinzia decorata con serie di uccelli, mentre per i periodi successivi i documenti sono più cospicui, un piccolo gruppo di coppe cosiddette di ‘tipo ionico’ ed alcuni esemplari di produzione attica a figure nere e rosse.

I contatti con la Macedonia sono invece documentati dai materiali pregiati rinvenuti nelle necropoli di Orbetello e Talamone, che rivelano la presenza in entrambi i centri di una aristocrazia locale fortemente ellenizzata: a Orbetello sono soprattutto le oreficerie, come i pendenti ad anfora di orecchini tubulari e un diadema con decorazione impressa a fiori di loto, a segnalare la ricezione delle mode ellenistiche, mentre a Talamone le tombe aristocratiche hanno restituito suppellettili bronzee di chiara ispirazione macedone fra cui una oinochoe a bocca rotonda.

Nel più ampio contesto italiano, a partire dal IV secolo a.C. iniziarono a prendere forma due schieramenti: le città etrusche da una parte e Roma dall’altra. Il sentimento antiromano che si andava intensificando sempre più nel corso del tempo è evidente nella celeberrima tomba François di Vulci in cui è rappresentata la vittoria di Vulci su Roma e i suoi alleati. Vulci fu tra i primi centri ad essere conquistati dai romani, nel 280 a.C., la conquista della lucumonia vulcente rappresentò un mutamento della gestione dell’intero territorio che prima rientrava nel suo controllo: i centri conquistati subirono diversi trattamenti; alcuni furono distrutti come Ghiaccio Forte, mentre ad Orbetello, Vulci e Talamone si registrò solo un forte ed improvviso impoverimento, forse dovuto alla riorganizzazione romana. Si ebbe, infatti, in prossimità di Orbetello, la deduzione della prima colonia romana di Cosa nel 273 a.C. sulla collina di Ansedonia, e la riorganizzazione del pertinente Ager Cosanus, nonché la creazione della strada di collegamento tra Cosa e l’Urbe, ovvero la via Aurelia Vetus nel 240 a.C.

La scelta romana di fondare la colonia di Cosa non fu casuale. Collocata sulla sommità di un piccolo promontorio naturale, serviva a controllare le campagne circostanti e, soprattutto, ad intercettare eventuali pericoli che potevano arrivare dalle coste o dal mare. Era infatti munita di grandi mura, erette a secco

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11 sullo stesso stile delle mura etrusche e si affacciava sul Mar Tirreno da cui si preannunciava l’attacco dei Cartaginesi; di lì a poco, nel 264 a.C., scoppiò la prima guerra punica.

Con la conquista romana dell’Etruria, alcune delle ex città etrusche furono trasformate in colonie e municipi, e nacquero nuovi insediamenti rurali, organizzati in aziende agricole dove era preminente il lavoro servile. Si trattava di aziende agricole specializzate che commercializzavano ed esportavano i loro prodotti: nel territorio di Cosa fornaci di anfore accanto alle ville producevano i contenitori per l’esportazione del vino nel Golfo del Leone.

Nel primo decennio del I secolo a.C. questo territorio fu sede di importanti avvenimenti bellici fra cui la guerra civile romana tra il capo dei populares Mario e l’aristocratico Silla, nell’87 a.C. Mario sbarcò a Talamone dove arruolò schiavi e contadini autoctoni per fronteggiare l’avversario Silla, questo avvenimento fu nefasto per la cittadina che, a seguito della sconfitta di Mario, fu rasa al suolo; simili reazioni dei sillani sono evidenti dalle devastazioni di Roselle, Saturnia, Vetulonia e Populonia.

Scomparso il centro di Talamone, il territorio circostante, ormai del tutto romanizzato si popolò, soprattutto a partire dal I secolo a.C., di grandi ville: nel territorio orbetellano, oltre alle ville servili come quella di Settefinestre, si diffusero quelle marittime, lussuose ville legate all’ozio come quelle di Giannutri, Giglio Porto e di Santa Liberata al termine del tombolo di Giannella.

Sul finire del II secolo d.C. le campagne costiere si trovarono ad affrontare una ulteriore crisi e alcune delle aziende agricole, fiorenti tra la fine della Repubblica e i primi secoli dell’Impero, vennero abbandonate. Ciò è stato imputato4 al fallimento di quel sistema basato sulla produzione schiavistica, ma anche dell’intera economia della penisola italiana che non riusciva a reggere la concorrenza con le produzioni delle province dell’Impero. La viticoltura e l’olivicoltura, produzioni tipiche delle ville schiavistiche, vennero sostituite dalla cerealicoltura e dalla pastorizia che necessitavano di minore manodopera; la popolazione calò notevolmente, ciò determinò l’impaludamento delle coste che non venivano più curate come in precedenza, stessa sorte toccò ai canali di drenaggio della centuriazione romana che nel giro di qualche decennio portò ad un degrado incontrollabile dell’intero regime idro-geologico5.

Anche la via Aurelia venne lasciata a se stessa, ad esempio il poeta Rutilio Namaziano, nel V secolo d.C., nel suo viaggio di ritorno da Roma verso la Gallia scelse di passare per mare piuttosto che lungo la Via Aurelia, ridotta in cattivo stato dalla recente invasione gotica.

Fra il V e il VI secolo d.C. solo qualche villa era ancora occupata da piccole comunità che, talvolta, impossibilitate dalle incursioni piratesche, finivano per seppellire i propri defunti all’interno delle stesse abitazioni come testimoniato dagli strati di crollo scavati nella Villa di Settefinestre (tra Orbetello e Capalbio). Nelle zone più interne si crearono invece insediamenti aperti (curtes), piccoli villaggi e qualche casa sparsa.

4 Gli scavi della villa di Settefinestre hanno fatto chiarezza su molti aspetti storici legati a questa questione, si

rimanda ad esempio a CARANDINI A., ‘Settefinestre. Una villa schiavistica in Etruria romana’, Modena, 1985

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12 Nei primi anni del VI secolo d.C. la cristianizzazione della Maremma appare completa, a questo periodo risalgono le prime testimonianze relative alla sede vescovile di Sovana di cui faceva parte l’intero territorio orbetellano; un evento che apportò numerosi cambiamenti alla sfera sociale e politica riportando sotto uno stesso controllo, seppur meramente religioso, le stesse aree che erano state, in età etrusca, sotto il dominio vulcente.

L’alto medioevo ci ha lasciato pochissime tracce, unico rinvenimento è quello di un’epigrafe sepolcrale, avvenuta durante il disfacimento del muro della Cattedrale di Orbetello, scritta in un greco molto scorretto e datata al VI-VII d.C. da Romualdo Cardarelli, erudito locale, che la studiò nei primi anni del Novecento6. Secondo il Cardarelli questa potrebbe testimoniare l’esistenza di un distretto bizantino marittimo, conquistato dai Longobardi.

A partire dall’805 la città di Orbetello, con altre località vicine, divenne possesso dell’Abbazia delle Tre Fontane (o Monastero di S. Anastasio ad Aquas Salvias) e fu quindi una terra dell’Urbe (da qui, forse, il nome Urbis Tellus, poi Orbetello). Ciò è corroborato dal fatto che il nome compare in un diploma di età posteriore, forse dell’XI secolo, in cui è ricordata la falsa donazione di Carlo Magno7.

Particolarmente fiorente è invece la zona interna, nell’area dell’Amiata venne ad esempio fondata l’Abbazia di San Salvatore (VIII secolo) che portò alla nascita di nuovi insediamenti collegati al centro abbaziale.

Con il IX secolo ebbe inizio l’espansione degli Aldobrandeschi, famiglia di origine longobarda appoggiata dai Franchi, che conquistò quasi tutti i castelli dell’Amiata alla Maremma. Nel 1286 l’Abate delle Tre Fontane confermò in enfiteusi alla contessa Margherita Aldobrandeschi i vari beni che nell’agro orbetellano erano posseduti dal Monastero e che erano già stati concessi al padre Ildebrandino il Rosso nel 1269 e, nel 1293, passata la Contea di Sovana per matrimonio dagli Aldobrandeschi agli Orsini, anche Orbetello entrò a far parte del loro dominio8. Vulci risulta invece essere già una città morta.

Nel XII secolo inizia l’espansione del Comune di Siena, il progetto di conquista della Maremma fu enorme, vennero acquistati castelli, ricostruite fortezze, e ristrutturati centri minori. Su Talamone fu compiuta un’opera di totale ristrutturazione urbanistica e portuale, celebrata anche nell’affresco del Buon Governo nel Palazzo Pubblico di Siena, che però non ebbe la fortuna sperata. Il forte interesse senese verso la Maremma era legato alla necessità di uno sbocco al mare per avere una rete commerciale. Negli anni successivi alla conquista senese la Maremma venne investita dalla malaria, riducendo la popolazione e rendendo la situazione economica e sociale disastrosa.

Al XVI secolo corrisponde un clima di paura, evidente nella costruzioni di fortificazioni, costruite per proteggersi dalle incursioni della pirateria barbaresca.

6 CARDARELLI R., Confini fra Magliano e Marsiliana; fra Manciano e Montauto, Scerpenna, Stachilagi; fra

Tricosto e Ansidonia, fra Orbetello e Marsiliana; fra Port’Ercole e Monte Argentario (28 Dicembre 1508- 2 Marzo 1510) in ‘Maremma’, 1924, pp- 131-142, 155-186, 205-224,.

7 SANTANGELO M., L’Antiquarium di Orbetello, Roma, 1954, pp. 46-47 8 Corridori I., op.cit. pp.72-73

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13 Caduta la Repubblica di Siena nel 1555 sotto i Medici, Orbetello, ancora presidiata dagli spagnoli per la difesa dai pirati capitanati da Khair ed Din detto il Barbarossa, rimase ad essi e, nel 1557 divenne la capitale del piccolo ma strategico Stato dei Presidi. Al dominio spagnolo risalgono molte fortificazioni ancora oggi conservate, come i grandi bastioni interni, alcuni ripari verso l’esterno, fatti a punta di stella e separati dai primi da un ampio spazio di terreno ed infine, il grande canale d’acqua detto il Fosso Reale oggi parzialmente interrato 9. Le fortificazioni costruite in questa fase, sia ad Orbetello che nell’Argentario, trasformarono questo tratto costiero in un enorme presidio militare di supporto al Regno di Napoli; dominio che, con i successivi passaggi sotto il Regno delle Due Sicilie e sotto la dominazione austriaca fu inglobato, con il trattato di Vienna del 1815, al Granducato di Toscana del quale, poi, seguì le sorti.10

2. Storia degli scavi e delle ricerche condotte nel territorio

Lo studio di questo territorio è fortemente sostenuto dalla cartografia e dagli storici che vi giunsero nel corso dei secoli passati. I topografi antichi non erano interessati tanto alla localizzazione dei siti quanto ad una mappatura delle località commerciali, marittime o logistiche che i loro committenti dovevano poter individuare, fornendoci così, implicitamente, informazioni sul territorio orbetellano nell’antichità. Un interessante spunto di studi si ha con la Descriptio Italiae Antiquae di Philip Cluver, geografo tedesco, del 1624. Per quanto riguarda la zona che stiamo analizzando è menzionata Ansedonia, Talamone e Saturnia che sono state localizzate correttamente mentre del tutto errate sono le

identificazioni di Vulci e Subcosa.

Il nome di Subcosa compare per la prima volta nella Tabula di Peutinger (la copia XII-XIII secolo di una carta romana che riportava le vie militari dell’Impero) come una ‘città-scalo’, la sua localizzazione ha appassionato per secoli gli studiosi che hanno cercato di capire a quale centro moderno potesse corrispondere.

L’ipotesi che ottenne più credito tra gli studiosi fu quella che identificava Subcosa con Orbetello. Ad esempio Otto Benndorf, archeologo austriaco, che nel 1867, in base ad alcuni rinvenimenti etruschi sulla tagliata nei pressi della città di Cosa, e tenuto presente di alcuni ritrovamenti di tombe entro le mura di Orbetello dello stesso periodo di quelle rinvenute alla Tagliata11, dimostrò che Subcosa doveva essere ai

9 Federici E., Orbetello a confronto, Arcidosso (GR), 2009, p.74

10 Corridori I.; op.cit. pp. 74-75

11 In una corrispondenza con la Repubblica di Siena di XVI secolo, l’architetto Anton Maria Lari di Orbetello,

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14 piedi di Cosa e sostenne che Orbetello doveva considerarsi come la necropoli di Cosa difesa con mura dall’invasione delle acque lagunari.

Questa teoria è stata portata avanti per molti anni12 ma, come vedremo, alcuni rinvenimenti avvenuti nel centro storico di Orbetello cambiarono completamente la visione generale di questo territorio, portando a individuare in Orbetello un centro Etrusco che doveva essere precedente la fondazione di Cosa; la localizzazione di Subcosa sarebbe invece identificabile tra il porto Casale Marotti e la Via Aurelia13. Tra il 1700 e il 1800 si collocano i viaggi di Giorgio Santi14, ricchi di notizie di carattere ambientale e stringate segnalazioni di resti classici e medievali. A Santi si devono le più antiche descrizioni attendibili della Maremma: le rovine di Cosa, i ruderi della fascia costiera nel territorio di appartenenza all’antica colonia, il ponte sull’Osa e la presenza di una villa romana presso Talamone.15

I primi veri scavi condotti in questo territorio nel corso del Settecento furono quelli seguiti dal Cardinale Pallotta al ponte della Badia presso Vulci. Il Pallotta individuò le necropoli orientali ed eseguì, nel 1783, dei saggi limitati i cui materiali confluirono in buona parte nelle raccolte Pontificie.

La documentazione scritta composta tra Settecento e Ottocento è in parte confusa, soprattutto per quanto riguarda le localizzazioni geografiche dei centri antichi, ma rappresenta un primo approccio allo studio di questo territorio. Fatta eccezione per gli scavi appena citati, la maggior parte delle scoperte si concentrò in più occasioni nel corso dell’Ottocento; in un primo momento si trattò di rinvenimenti casuali e solo in un secondo tempo di scavi archeologici.

Tra queste scoperte ricordiamo gli importanti rinvenimenti avvenuti ad Orbetello nel 1820 dove, a poco più di cinquecento metri dalle mura della cittadina, in Località il Cristo, durante lavori per l’apertura della nuova strada che conduceva a Grosseto, venne alla luce un sepolcreto d’età ellenistica. I corredi erano nella maggior parte attribuibili alla sfera femminile, si trattava di oggetti per l’ornamento personale, anche in metallo prezioso, tra questi c’erano corone e orecchini in oro, specchi e candelabri (Fig.1).

sita nel centro storico, scrive che durante le opere da lui intraprese, frequentemente, tali opere deterioravano perché fondate su sepolcreti tuscanici.

12 Tesi ripresa dallo studioso locale Raffaele Del Rosso nei primi anni del Novecento, avallata da alcuni ritrovamenti

da lui effettuati nel centro storico di Orbetello (dei si ignora sia il l’epoca che le circostanze del rinvenimento).

13 CARDARELLI 1924, CASTAGNOLI 1956, BROWN 1951, MCCANN 1987.

14 A tal proposito si veda BINDI U., Giorgio Santi. Scienziato pientino del Settecento, 201, Pienza

15 CARANDINI A., CAMBI F., CELUZZA M., FENTRESS E., ATTOLINI I., Paesaggi d’Etruria. Valle dell’Albegna, Valle

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Figura 1 A sinistra corona di foglio di alloro e bacche. A destra coppia di orecchini in oro con pendente ad anforetta. Entrambi provenienti dagli scavi del 1820 ed esposta al Museo Archeologico di Orbetello.

L’abate De Poveda, uomo religioso nonché studioso locale, seguì l’andamento dei rinvenimenti e pubblicò nello stesso anno una notizia sui Monumenti Etruschi dove scrivendo del sepolcreto rinvenuto precisò che le tombe venute alla luce erano tre le cui celle erano state scavate nella friabile arenaria dell’istmo e coperte a volta. Dopo soli tre anni nella stessa zona venne alla luce un ambiente sotterraneo dove erano conservati oggetti appartenenti ad un corredo femminile databile al IV secolo a.C. Gli oggetti erano di grande bellezza: ghirlande di quercia, alloro e foglie di mirto, orecchini a forma di grappolo d’uva in oro.

Nel 1828 il proprietario dei terreni nei quali furono rinvenute le tombe, Raffaele De Witt, con l’aiuto di Alessandro Francois, decise di tentare uno scavo archeologico per indagare ulteriormente la sua proprietà. Da questi scavi vennero alla luce una tomba con corredi più poveri, composti da pochi vasi, uno strigile di rame ed una patera, databili al V-IV secolo a.C.

Quasi trent’anni dopo, nel 1850, iniziò una nuova e intensa serie di scavi, condotta dallo stesso Raffaele De Witt e documentata in un suo scritto. De Witt scrisse che venne portato alla luce un sepolcreto con tombe alla cappuccina e, anche in questo caso, si trattava di corredi di pregio16.

Gli scavi ripresero otto anni dopo sempre per volere di Raffaele De Witt: questa volta fu scoperta, ai piedi di una collinetta, una strada che portava ad un sepolcro, probabilmente si trattava di una tomba a camera alla quale si accedeva tramite un dròmos a gradini.

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16 Vista la ricchezza dei corredi la necropoli doveva ‘accogliere’ un piccolo gruppo di aristocratici vissuti nel territorio orbetellano tra il 350 e il 300 a.C., si trattava di circa cinquanta deposizioni; le tombe con corredo povero indiziarono che accanto alle tombe gentilizie dovevano trovar posto deposizioni più modeste17.

Attualmente di questa vasta necropoli non rimane più nulla, a causa della fragilità della pietra arenaria in cui era scavata, ma soprattutto della veloce espansione urbanistica nel dopoguerra del quartiere di Neghelli.

La scoperta della necropoli dette però conferma dell’esistenza di un insediamento etrusco nelle vicinanze che avrebbe dovuto essere anche abbastanza importante per poter giustificare la ricchezza e l’abbondanza dei corredi funerari. ‘L’esplosione’ di questa ricchezza forse derivava dall’accentramento nelle mani di una ristretta aristocrazia dei proventi dell’agricoltura ma è anche plausibile che i traffici commerciali avessero parte non secondaria nella ricchezza di Orbetello, arricchendo anche alcuni dei suoi abitanti. Fra gli avvenimenti che si segnalano per la fine dell’Ottocento c’è la pressoché totale distruzione dell’antico centro sul Poggio di Talamonaccio a pochi chilometri dal paese di Talamone.

La fondazione di Talamonaccio rientrava in quella politica di controllo dei confini e delle coste che impegnò le città etrusche nel IV sec. a.C., ma, come vedremo, la sua importanza deve essere stata a lungo legata all’esistenza di un santuario. Sull’esistenza di un centro antico sul Talamonaccio discussero molti studiosi18 e a partire dal 1876 i Vivarelli, proprietari di alcune di terre sul Talamonaccio, iniziarono a scavare il poggio senza alcun metodo scientifico rapinandone le pendici nord orientali e determinando il dissolvimento della necropoli etrusca che venne alla luce oltreché lo smembramento dei corredi tombali (che in parte confluirono anche al Museo Etrusco di Firenze e in parte andarono ad arricchire le raccolte straniere). Nei pressi della Torre di Talamonaccio, in seguito distrutta, i Vivarelli trovarono dei resti attribuiti poi ad un deposito votivo tra cui elmi appartenenti a un tipo prodotto a partire dal IV secolo a.C.

detto Montefortino (Fig. 2) e modellini d’armi associati ad oggetti agricoli (Fig.3).

17 CIAMPOLTRINI G., POGGESI G., Gentildonne e guerrieri: aristocrazie ellenistiche nel territorio di Orbetello.

Catalogo della mostra, 2001, p. 37

18 Già Alessandro Francois nel 1851, durante il suo viaggio attraverso la Maremma, descrisse la presenza di resti

antichi in questa zona e parlò di alcuni rinvenimenti forse attribuibili all’età romana, infatti in prossimità del poggio di Talamonaccio sono venuti alla luce resti di età romana, forse pertinenti ad una villa. Interessante è anche un passo di George Dennis in cui ci parla dell’esistenza di un ponte romano che attraversava un tratto del torrente Osa, di cui oggi non abbiamo alcuna testimonianza archeologica.

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Figura 2 Elmo del tipo di Montefortino

Le attività di scavo incontrollato dei Vivarelli continuarono anche negli anni successivi e nel 1878 Giuseppe Fiorelli, Ministro della Pubblica Istruzione, pubblicò sulla rivista Notizie degli Scavi una breve annuncio del ritrovamento di alcuni reperti bronzei che furono dispersi sul mercato antiquario

internazionale. Fortunatamente però alcuni oggetti furono donati dal marchese Strozzi e dallo stesso Vivarelli al Museo di Fiesole e a quello fiorentino.

Tra il 1888 e il 1892 i terreni dei Vivarelli furono confiscati dal Genio Militare per la costruzione di un forte per l’avvistamento, i grandi scassi di terra portarono alla luce parte di quello che poi venne

interpretato come un abitato d’età etrusca oltreché un tratto dell’antica cinta di mura realizzato in grandi massi ad opera poligonale e, più a nord, delle tombe che testimoniavano la presenza di una necropoli etrusca. Purtroppo i dati in nostro possesso sono caotici, si è conservato solo un diario di ‘scavo’ tenuto dall’allora Archeologo Gamurrini, inviato dal Soprintendente Luigi Adriano Milani (fondatore e primo direttore del Museo Archeologico di Firenze). Fu in questo contesto che venne alla luce una cisterna da cui emersero delle antefisse, terrecotte architettoniche e numerosi frammenti di un rilievo frontonale. Adriano Milani interpretò questi resti come appartenenti ad un’edicola eretta quale ex-voto per la vittoria romana sui Galli nella grande battaglia tenutasi a Talamone nel 225 a.C.

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Figura 3. Alcuni reperti provenienti da Talamonaccio

Il tentativo di ricostruzione di allora fu pregiudicato soprattutto dal fatto che il gruppo di Edipo fu escluso dal frontone, la lacuna venutasi così a creare al centro di esso fu colmata da una figura alata

sproporzionatamente grande: il Genio Militare. Successivamente, come vedremo, da un’analisi più approfondita emerse che questo, pur appartenendo alla decorazione del tempio, non era pertinente al frontone e al suo rilievo dei Sette a Tebe.19

In questi anni risultò fondamentale, per evitare la dispersione dei reperti sin qui rinvenuti, la fondazione nel 1879 del Museo Topografico dell’Etruria dal Luigi Adriano Milani, inteso come istituzione

centralizzata e comprensiva dell’intero territorio etrusco. Il Milani, al fine di promuovere il Museo, sostenne scavi, acquisti di collezioni e trasferimenti da musei minori. Probabilmente il grande interesse del Milani per gli scavi e gli studi sul Poggio di Talamonaccio è da ricollegare a questo avvenimento. Infatti i reperti provenienti da quel territorio giunsero al Museo di Firenze insieme a quelli degli scavi condotti ad Orbetello dalla famiglia De Witt.

Con i primi decenni del Novecento si nota un sensibile cambiamento negli studi sull’Etruria, a caratterizzare il nuovo clima è l’introduzione di metodi di indagine più accurati e nuovi e più stretti rapporti fra documentazione archeologica e fonti letterarie. In questo periodo nascono una serie di opere scientifiche di sintesi, tra cui quelle di Rannuccio Bianchi Bandinelli e di Massimo Pallottino.

Nel 1921 venne pubblicato lo studio di Antonio Minto su Marsiliana di Albegna20, basato in gran parte sugli scavi voluti dal principe Tommaso Corsini nella sua proprietà a partire dal 1908. Minto citò una necropoli rinvenuta a Marsiliana che doveva comprendere circa un centinaio di tombe omogenee per tipologia e cronologia. Convinto dell’identificazione di Marsiliana con il centro etrusco Caletra, Minto

19 POGGESI G., Talamone il mito dei Sette a Tebe, 1994, p. 28

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19 non si limitò allo studio della necropoli ma indagò e documentò anche il territorio circostante, con una attenzione particolare per i monumenti romani. Nel 1925 pubblicò anche un saggio21 su Saturnia etrusca e romana dove venne data una esauriente documentazione sui resti urbani, sulla necropoli e i suoi corredi. Nel 1924 Romualdo Cardarelli pubblicò una sintesi diacronica sull’antico territorio di Cosa22. Le descrizioni di paesaggio erano dettagliate, i punti di riferimento citati corrispondevano spesso ai ruderi etruschi e romani e a castelli in rovina, proprio per questo motivo il lavoro di Cardarelli fu utile per gli Archeologi che, negli anni successivi, studiarono il territorio. Lo studio di Cardarelli si allargò poi a tutta l’età storica, proponendo per la prima volta una ricostruzione dei confini del territorio della colonia di Cosa e costituì le basi della futura disciplina dell’archeologia medievale della zona.

Notevole impulso fu dato dalla nascita nel 1927 dell’Istituto di Studi Etruschi e Italici e dalla rivista di

Studi Etruschi dove le ricerche sulla storia del territorio sembrano essere l’esigenza più pressante per gli

studiosi del tempo. Ad esempio sul primo numero della rivista l’Archeologo Bianchi Bandinelli incoraggiava gli studi storici affinché si affiancassero alla topografia, la tipologia, l’epigrafia e la

geografia storica per comprendere al meglio le dinamiche antiche dei territori indagati. Nello stesso anno Doro Levi23 pubblicò una ricognizione del territorio di Cosa dove, fra l’altro, descrisse per la prima volta l’area di Capalbio e i boschi circostanti.

Continuarono in questi anni a verificarsi numerosi ritrovamenti: in Località Monte Alzato furono

rinvenuti resti di una villa, si trattava di evidenze di terrazzamenti di una villa romana, una torretta isolata e un’ampia area dove furono trovati molti frammenti fittili. La villa fino ad anni recenti rimase sommersa dalla vegetazione, l’unica testimonianza in nostro possesso era la descrizione fatta da Doro Levi

nell’ambito della sua ricognizione territoriale.

Nei primi anni venti del Novecento, nel centro storico di Orbetello, in concomitanza con dei lavori alla rete fognaria nei pressi del Duomo, fu rinvenuta dallo studioso locale Pietro Raveggi24 una strada

lastricata che si incrociava con una selciata ad una profondità di un metro e ottanta centimetri dal piano di calpestio, da lui interpretate come il Cardo e il Decumano della città romana, associate a ceramiche a vernice nera, allora inviate al Museo Archeologico di Firenze. A un paio di chilometri dal Duomo, nei pressa della Località il Cristo, durante dei lavori per l’ampliamento del Duomo, vennero alla luce altri corredi tombali pertinenti alla necropoli scavata nel corso dell’Ottocento. Oggi i materiali sono esposti al Museo Archeologico di Orbetello.

La svolta successiva per la conoscenza storica di questa zona si ha con l’inizio degli scavi archeologici a Cosa (dal 1948) da parte dell’Accademia Americana di Roma.

21 MINTO A., Saturnia etrusca e romana: le recenti scoperte archeologiche, Firenze, 1925

22 CARDARELLI R., Confini fra Magliano e Marsiliana; fra Manciano e Montauto; Scerpenna, Stachilagi; fra Tricosto e

Ansedonia; fra Port’Ercole e Monte Argentario (28 Dicembre 1508- 2 Marzo 1510), Maremma 1, pp. 131-142; 155-186, 1924

23 LEVI D., Escursione archeologica nell’agro cosano in Studi Etruschi 1, 1927

24 RAVEGGI P., Orbetello. Ritrovamenti archeologici nel territorio cosano. Notizie sugli Scavi di Antichità. Atti

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20 I resti della colonia sono situati sul promontorio roccioso di Ansedonia, a sud di Orbetello. In epoca antica la città comprendeva due alture, a est e a sud, divise da una sella.

Gli scavi archeologici furono svolti sotto la direzione scientifica dell’Archeologo Frank Edward Brown che, a partire dal secondo dopoguerra fino ai primi anni ’70 del Novecento, scavò la colonia romana. Della città romana furono indagati il foro, l’arx, l’horreum e l’insula con alcune residenze private25. I primi risultati dello scavo confermarono la data di fondazione della colonia (273 a.C.) mentre l’assenza pressoché totale di resti preromani portò ad escludere la possibilità che sul promontorio potesse essere esistito un insediamento etrusco26. Gli scavi portarono alla luce, ai piedi della colonia romana, le antiche vestigia di quello che doveva essere il Portus Cosanus che per secoli fu erroneamente localizzato presso Porto Ercole. Il grado di ‘sconvolgimento’ che la notizia apportò fra alcuni studiosi locali fu tale che alcuni di essi, anche se estranei alla missione americana, ne contestarono i risultati27.

Contemporaneamente, nel territorio circostante a Cosa vennero alla luce alcuni reperti archeologici di una certa importanza, ricordiamo ad esempio il rinvenimento avvenuto nel 1964 a Orbetello all’interno del Duomo quando, durante dei lavori per la nuova pavimentazione dell’edificio, emersero alcune strutture tra cui un pluteo marmoreo attribuibile al IX secolo a.C con fregi e bassorilievi che testimonierebbe la presenza di una chiesetta cristiana preromanica nello stesso luogo in cui poi sorse il Duomo.

Successivamente il pluteo venne collocato sull’altare maggiore del Duomo e usato per la celebrazione della liturgia.

In questi stessi anni furono condotte quattro campagne di scavo presso il Poggio di Talamonaccio (1962, 1963, 1964, 1969) per far luce sui caotici risultati ottenuti dagli scavi del secolo precedente.

Fig. 4 Pianta del ‘tempio di Talamone’

25 BROWN F. E., Cosa I. History and topography, p. 20, 1951

26 BROWN F. E., Cosa I. History and topography, pp. 13-16, 102-103 , 1951 27 Ad esempio Lopes Pegna (1952, pp. 412-420).

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21 La ricerca fu caldamente voluta dall’allora Soprintendente prof. G. Caputo e fu diretta dell’archeologo Otto Von Vacano. Grazie ai risultati ottenuti riuscirono a calcolare correttamente le dimensioni del tempio: largo circa 2,84 mt e lungo 19,40 mt. Sulla base di queste nuove e più ‘importanti’ misure gli archeologi dedussero che non si doveva trattare di un’edicola, come si pensava fino ad allora, ma di un tempio di tipo etrusco-italico che venne datato alla seconda metà del IV secolo a.C..

Sulla base di criteri storico-artistici fu datato anche il frontone, ritenuto un’opera del 150 a.C. quindi realizzata in un secondo momento rispetto al Tempio. Durante gli scavi degli anni ’60 vennero alla luce delle antefisse con rappresentazioni di sileni e menadi attribuibili ad un primo più antico frontone contemporaneo alla fondazione del tempio.

Il frontone del 150 a.C. rappresenta il mito dei Sette contro Tebe con tutti gli episodi ad esso relativi (Capaneo sulle mura della città, la fuga di Adrasto, il prodigioso inghiottimento del carro di Anfiarao e la scambievole uccisione di Eteocle e Polinice sotto gli occhi del padre di Edipo).

Tutti i reperti provenienti dallo scavo, tra cui i rilievi del ‘secondo frontone’, furono portati al Museo Archeologico di Firenze. In seguito all’alluvione del 1966 si rese necessario lo smontaggio del frontone che rappresentò una nuova occasione per studiarlo. Confronti iconografici con urne etrusche

rappresentanti lo stesso mito: ad esempio l’urna perugina inv. 50314 esposta a Villa Giulia, l’urna presso Chiusi inv. 215 e l’urna di Volterra inv. 374, i restauratori intuirono che nel Frontone di Talamone mancava l’elemento della ‘scala’, sempre presente nelle rappresentazioni inerenti il mito dei Sette a Tebe. Una volta ritrovato e collocato nella sua posizione originaria il collegamento fu possibile in modo

inequivocabile, infatti la scala ‘attaccava’ perfettamente al mantello di Giocasta, inoltre era l’appoggio per il piede sinistro del guerriero nudo. Alla nuova ricomposizione si deve anche la giusta collocazione di Edipo al centro del frontone, questa mutò notevolmente le dimensioni generali del rilievo che risultò essere più largo di come si credeva in precedenza, ciò fu la riprova del fatto che non si trattava di

un’edicola ma di un tempio del tipo sopra descritto, combaciando con i risultati ottenuti dagli scavi di fine Novecento.

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22 In questi anni, oltre ai nuovi scavi sul Poggio di Talamonaccio e alla giusta interpretazione dei rilievi frontonali, vennero condotte delle ricerche archeologiche, ci riferiamo agli scavi svolti nel sito della Villa romana di Settefinestre che rientrava nel più ampio progetto di ricerca sull’agro cosano.

La villa si trova tra Capalbio e Orbetello in quel territorio conosciuto come ‘Valle d’Oro’ ricco di documentazioni archeologiche riferibili per lo più a ville e fattorie d’età romana. L’edificio venne scavato tra il 1976 e il 1981 dall’Università di Pisa e di Siena in collaborazione con l’unità archeologica di Canterbury. Il responsabile dell’attività di scavo fu l’archeologo Andrea Carandini.

I fini che tale ricerca si proponeva erano di vario genere: la ricerca cercava di essere produttiva a livello dei risultati scientifici e della valorizzazione di quanto era stato fino ad allora scavato, a livello della sperimentalità, per introdurre e mettere alla prova nuove tecniche di indagine e a livello didattico, per diffondere questi metodi.

Si trattava quindi di una ricerca nata con delle intenzioni ben precise, tra le quali la volontà di arrivare alla redazione di una carta archeologica dell’agro cosano e scavare almeno un insediamento per ciascuno dei tipi individuati dall’indagine topografica28. Nel primo punto rientrano le ricerche condotte da Elizabeth Fentress, Maria Grazia Celuzza e Edina Regoli che portarono all’individuazione di un gran numero di siti archeologici fino ad allora in parte sconosciuti, nel secondo puntò rientrò lo scavo della Villa di Settefinestre.

Si tratta di un progetto molto importante per la storia delle ricerche archeologiche in Italia, infatti i risultati ottenuti dallo scavo della villa di Settefinestre fecero luce sulle tipologie delle tecniche edilizie e sull’architettura in epoca romana, la villa rientrò perfettamente nella definizione di Varrone di villa

perfecta.

La villa si presenta come un grande edificio turrito il cui corpo centrale era a pianta quadrata e circondato da altri edifici di varia vocazione (giardini, orti, stalle, magazzini) a sottolineare l’aspetto agricolo dell’azienda, caratterizzata da arboricoltura e viticoltura.

Sempre in questi anni, nella Valle d’Oro, in località Le Tombe, vennero alla luce i resti monumentali di una villa romana scavata in parte dall’Archeologo Stephen Dyson29. La villa era documentata dai materiali presenti nella superficie e da evidenti anomalie leggibili nelle fotografie aeree. Si tratta di un complesso di edifici estremamente esteso la cui cronologia, basata sulla datazione dei materiali affioranti, spazia in un lasso cronologico piuttosto ampio che va dal I secolo a.C. fino al V-VI secolo d.C30.

28CARANDINI A., SETTIS S., Schiavi e padroni nell’etruria romana, la villa di Settefinestre dallo scavo alla

mostra, pp. 24-25, 1979

29 DYSON S. L., Settlment Patterns in the Ager Cosanus: the Wesleyan University Survey in Journal of Field

Archaeology. pp. 251-268, 1978

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Figura 7. Ville, fondi e viabilità nella Valle d'Oro (I sec. a.C. - I sec. d.C.)

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Fig. 8. Dalla fotografia aerea sono ben evidenti le tracce di una struttura conosciuta come Villa delle Tombe.

Una decina di anni dopo, nel 1989, a Orbetello, durante lavori per la realizzazione di un edificio da adibire a scopi sociali, vennero alla luce i resti di un insediamento che testimoniava la presenza di un centro antico nel cuore di Orbetello. Lo scavo fu intrapreso dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici della Toscana in collaborazione con il Comune di Orbetello. I resti più antichi risalivano all’inizio del VI secolo a.C., la funzione della struttura però non fu accertata con sicurezza, si trattava forse di un

magazzino per le derrate alimentari.

I reperti che furono recuperati durante le indagini, seppure frammentari e dilavati per l’estrema umidità della giacitura, erano costituiti da contenitori di grandi dimensioni per il trasporto e la conservazione dei cibi, da frammenti di bucchero e ceramica a figure nere e in misura maggiore da vasi per uso comune. L’area fu abbandonata nei primi decenni del V secolo a.C.

Il rinvenimento di questa struttura fece luce sull’antica disquisizione che vedeva in Orbetello la Subcosa di Peutinger, si tratta infatti della testimonianza di un centro abitato d’età etrusca a Orbetello, precedente la fondazione di Cosa.

In contemporanea a queste nuove acquisizioni furono riprese le ricerche su Cosa dagli archeologici dell’American Academy di Roma sotto la direzione scientifica dell’Archeologa Elizabeth Fentress, durante i quali le indagini cercarono di mettere luce non solo all’epoca romana ma anche al medioevo,

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25 l’obbiettivo era quello di verificare l’ipotesi di Brown secondo il quale quale Cosa sarebbe stata

abbandonata definitivamente nel IV secolo d.C31.

Alla fine del Novecento risalgono anche gli scavi archeologici condotti nel Tombolo della Feniglia dall’Università di Milano sotto la direzione scientifica dell’Archeologo Massimo Cardosa. Fino ad allora le conoscenze sulle frequentazioni antiche del Tombolo si basavano essenzialmente sulle ricerche condotte nell'ambito del progetto Ager Cosanus e Valle dell'Albegna.

Nei risultati della ricognizione dell'Ager Cosanus e della Valle dell'Albegna furono identificate almeno tre stanziamenti databili all’età del bronzo e altrettanti rinvenimenti sporadici attribuiti al neolitico (oltre ad altri rinvenimenti d’età classica, Fig. 10 num. 10332

)

Sulla base di questi risultati l’equipe di Cardosa diede il via a nuove ricerche archeologiche che rientravano nel progetto “Paesaggi d’acque” ancora in corso.

Fig. 9. Particolare degli scavi archeologici presso la Feniglia

La conclusioni che venne tratta da questi lavori fu molto importante: per la prima volta fu individuata una consistente frequentazione della duna in età arcaica mai stata segnalata in precedenza. Probabilmente la Feniglia fu vista come la sede perfetta per impiantare delle peschiere per l’allevamento del pesce e per la raccolta del sale33.

31 BALDASSARRI M., Archeologia urbana in Toscana: la città altomedievale, Mantova, P. 118, 1999

32 In questa area è stata condotta una ricognizione archeologica nel 1999, la raccolta dei materiali e lo studio

dell’affioramento di alcune strutture murarie hanno permesso di individuare il Portus Fenilie documentato in alcuni testi di XIV-XVI secolo. A tal proposito si rimanda a CALASTRI C., L’insediamento di Portus Fenilie nell’agro cosano,pp. 128-136, 1999.

33 CARDOSA M., Presitoria e Protostoria in Etruria –Paesaggi d’acque Atti del quinto incontro di studi Volume 1,

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Fig. 10 Siti rinvenuti durante la ricognizione condotta dall’Università di Pisa e Siena nel progetto sull’Ager Cosanus

Recente è anche la storia degli scavi archeologici ad Albinia, dove da molti anni si segnala la presenza di probabili impianti produttivi di anfore repubblicane, probabilmente si trattava di un’area di servizio legata all’antica via Aurelia dotata di strutture produttive e di uno scalo portuale. Le prime segnalazioni avvennero da parte di D.P.S. Peacock nel 197734. Dal 2000 il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, sotto la direzione scientifica del Prof. Daniele Vitali, ha messo in atto un programma di ricerca pluriennale in collaborazione con ricercatori francesi, sostenuti in parte dai programmi Galileo/Galilée (Egide).

La documentazione di scavo dell’abitato permise di riconoscere quattro fasi di costruzione e ristrutturazione inquadrabili tra la fine del II secolo a.C. e la fine del I secolo d.C., da cui emerse l’impiego massiccio di frammenti di anfore come materiale da costruzione: evidentemente il sito di

34 Nel 1980 se ne occupò il Prof. Manacorda, nel 1994 fu la volta di Franco Cambi e tra il 1983 e il 1988 vennero

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27 Albinia, sin dai tempi della sua costituzione, dovette affiancare al proprio ruolo di importante punto di appoggio per la navigazione tirrenica, anche ingenti attività artigianali, legate principalmente alla produzione di anfore vinarie35.

L’ultimo progetto di ricerca (2011-2013) che ha interessato questo territorio è quello avviato da Mariagrazia Celuzza, direttrice del Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto, in collaborazione con l’architetto Cecilia Luzzetti e l’avvocato Giovanni Gori. Si tratta di un piano di fattibilità per la realizzazione di un Parco Archeologico e Paesaggistico nella Valle d’Oro.

Nello specifico lo studio di fattibilità ha definito l’area del possibile Parco in circa 2900 ettari, compresi fra la Strada Pedemontana a Sud e le campagne di Giardino Nuovo e Giardino Vecchio, la Collina di Capalbiaccio, Monte Alzato, Montenebiello e fino alle campagne attorno al Romitorio Rovinato a Nord a confinare con le campagne di Polverosa e San Donato.

Lo Studio individuò dodici siti archeologici principali, alcuni visibili già oggi, altri invece da riportare alla luce, oltre ad una quantità di elementi paesaggistici importanti e da proteggere quali fontanili, strade doganali, piante secolari, animali e fiori spontanei.

All’interno del progetto furono studiati degli itinerari di tipo archeologico e naturalistico che si potrebbero snodare in quella fascia di territorio appena descritta e delle aree di sosta dalle quali si potrebbe ammirare il paesaggio e dedicarsi ad alcune attività come ad esempio il ‘bird watching’.

Nel 2013 è stato pubblicato un libro in cui si illustravano gli obbiettivi e le ricerche precedenti36 ed è stata allestita una Mostra (in un edificio comunale di Capalbio) per presentare il progetto al pubblico, per far

35 AA.VV, Le fornaci di Albinia (GR) e la produzione di anfore nella bassa valle dell’Albegna in Materiali per

Populonia; p. 259, 2005.

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28 questo furono stampate delle grandi fotografie dei siti archeologici e dei luoghi più caratteristici, inoltre furono allestiti dei plastici che ricostruivano alcune ville presenti in questo territorio.

36Confluite nel libro di CARANDINI A., CAMBI F., Paesaggi d’Etruria: valle dell’Albegna, Valle d’Oro, Valle del

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Capitolo II

Il Museo Archeologico di Orbetello, analisi e bilancio

2.1 Storia delle collezioni

Le collezioni del Museo Archeologico di Orbetello provengono principalmente da scavi archeologici effettuati da privati locali nel corso dell’Ottocento, da scoperte casuali oltreché da trasferimenti

provenienti da altri Musei. Gran parte dei reperti confluirono nel Museo Archeologico di Firenze. Negli anni precedenti la nascita del Museo Archeologico di Orbetello (2004) fu stilato

dall’Amministrazione comunale di allora e dalla Soprintendenza dei beni archeologici un progetto che prevedeva di dedicare il piano terra della struttura ai reperti di provenienza certa e a quelli rinvenuti nel corso di recenti campagne di scavo che dovevano essere esposti secondo criteri topografici; nel primo piano dovevano invece essere esposti secondo criteri cronologici e tipologici quei materiali privi di contestualizzazione.

Il progetto elaborato non fu portato a termine a causa del passaggio ad un’altra amministrazione comunale la quale optò per la soluzione di dedicare il piano terra all’esposizione prima del Frontone di Talamone poi, dal 2012, anno in cui il Frontone fu inserito in una mostra itinerante all'estero dal nome 'Dei ed eroi dell'antichità', quale sede di mostre temporanee. Tutti i reperti vennero quindi esposti nel primo piano del Museo Archeologico di Orbetello con un ordinamento cronologico e tipologico.

L'Antiquarium di Orbetello

Il nucleo più consistente di oggetti proviene dalla collezione del vecchio Antiquarium di Orbetello istituito nel 1923 dallo studioso locale Pietro Raveggi nella Biblioteca Comunale, nel centro storico di Orbetello. Pietro Raveggi era un cittadino Orbetellano che tra i molti interessi si era dedicato allo studio

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30 della storia civile della Maremma e di Orbetello. Dal 1912 fino alla sua morte fu Ispettore Onorario per l’Antichità e l’Arte della zona sud della Maremma37.

Gli scavi e gli studi di monumenti, di reperti e di iscrizioni coprirono un lungo periodo di intenso lavoro al seguito del quale venne raccolta una ingente quantità di testimonianze del passato che gli consentirono, con l’aiuto delle Amministrazioni comunali, di realizzare il Civico Antiquarium della città.

Il Raveggi intervenne inoltre presso i grandi proprietari terrieri e gli umili contadini perché cedessero i “tesori” trovati per caso alla raccolta civica che stava riunendo.

Nel 1923 l’Antiquarium fu aperto al pubblico, la collezione che il Raveggi riuscì a formare era ordinata in due locali nell’edificio della Biblioteca. La collocazione dei reperti non seguiva però alcun criterio espositivo, gli oggetti vennero esposti in maniera caotica senza alcun ordinamento logico, vennero inoltre esposti anche i materiali ‘privi di interesse’38.

Poco dopo l’apertura dell’Antiquarium furono donate due collezioni appartenenti alla famiglia De Witt e Del Rosso. La famiglia De Witt possedeva delle terre in Località il Cristo, nell’attuale zona nuova di Orbetello, dove alla fine del XIX secolo era venuta alla luce una necropoli ellenistica; i Del Rosso erano una famiglia che viveva a Orbetello, in particolare Raffaele Del Rosso vissuto tra il 1859 e il 1927 fu un personaggio di grande rilievo per il territorio, tra le molte sue opere vanno ricordate il progetto per l’escavazione del canale navigabile della laguna e il progetto del nuovo acquedotto ad Orbetello Tra i possedimenti dei De Witt vi erano la località il Brilletto e Il Cristo, due tra le principali aree di necropoli dell’antico centro di Orbetello, la piccola collezione che aveva la famiglia era composta da ceramiche e oggetti in bronzo che, nel 1890, dietro richiesta di Giuseppe Fiorelli, direttore generale per le Antichità e le Belle Arti, venne fatta valutare al fine di un possibile acquisto dal Museo Etrusco di

Firenze, ma essendo stata giudicata di poco valore fu venduta dalla vedova dell'avvocato Antonio De Witt al Comune di Orbetello per poi confluire nel 1923 all’Antiquarium di Orbetello.

La stessa sorte toccò ai materiali in possesso di Del Rosso; si trattava di materiali provenienti da Cosa, Vulci e dalla Villa Domizia. Prima dell'acquisto il soprintendente Milani incaricò l'ispettore Antonio Minto di esaminare e valutare la collezione, che, giudicata 'piccola e di assai scarso valore' non venne acquistata, fu deciso quindi di venderla al Comune di Orbetello.

Per quanto riguarda le spontanee donazioni di reperti archeologici si annoverano quelle di Mazzini e Raffaele Barabesi, che fecero donazioni di materiali etruschi e romani; Vittorio Vannini, Amina Varoli, A. Spano, E. Berni e della Società Aziende Agricole Maremmane. Nel 1941 si aggiungono i materiali di un corredo tombale rinvenuto nel territorio di Pescia Romana in località La Serpentara.

La maggior parte dei materiali della raccolta civica è però frutto di ricerche e recuperi effettuate da Raveggi nel corso della sua attività di Ispettore onorario. Nei suoi scritti Raveggi ricorda il suo impegno volto ad assicurare alla raccolta orbetellana nuove acquisizioni; nel 1925 in Località il Brilletto il Raveggi rinvenne il corredo di una tomba a fossa che venne ricostruita e donata all'Antiquarium.

37 POGGESI G., Il Museo Archeologico di Orbetello. Le collezioni, p. 14, 2002 38 SANTANGELO M., L’Antiquarium di Orbetello, p. 10, 1953.

(31)

31 A seguito della morte del Raveggi, avvenuta nel 1951, l’Antiquarium cadde in stato di abbandono sia per le vicende belliche, sia per la perdita dell'inventario che per i metodi conservativi applicati dal Raveggi stesso, il quale divise i materiali secondo criteri puramente tipologici e, per zelo eccessivo, non restaurò e lavò mai nessun reperto.

Si dovette attendere il 1952 quando Maria Santangelo ebbe l’incarico dall’allora Soprintendente delle Antichità dell’Etruria Giacomo Caputo di redigere un nuovo inventario e di sistemare la collezione. La Santangelo si preoccupò innanzi tutto di procedere alla pulizia, al restauro dei reperti e alla realizzazione della documentazione fotografica.

L'11 Settembre del 1954 l’Antiquarium di Orbetello fu trasferito allora nella sede del Palazzetto della Pretura, fu riorganizzato secondo criteri topografici e cronologici. L’esposizione nell’edificio della Pretura era organizzata in due sale, nella prima sala erano esposti i grandi vasi (olle, cinerari, anfore), i frammenti marmorei, i resti architettonici, alcune terrecotte templari e una modesta esemplificazione di bolli di laterizi. Nella seconda sala erano stati sistemati tutti gli altri materiali (specchi, fibule, statuette). Il nuovo ispettore onorario, l'avvocato Ennio Graziani, per evitare la dispersione e il commercio illegale di reperti archeologici e incrementare al contempo la collezione dell'Antiquarium, decise di donare un premio ai trattoristi delle zone di Pescia Romana e di Pescia Fiorentina che cedevano al Comune i frammenti da loro ritrovati durante i lavori. E' forse grazie a questa iniziativa che si devono riferire i numerosi acquisti effettuati dal Comune nel 1957.

La collezione fu poi ampliata con buccheri provenienti dall’area del Chiarone, poco a sud di Orbetello, e con materiali di età romana provenienti da alcuni lavori presso Canal Pertuso, tra Porto Ercole e la Feniglia.

L’Antiquarium di Orbetello fu chiuso nel 1974 a causa di una cattiva manutenzione della struttura: i supporti sui quali erano posati i reperti erano insicuri, ad esempio alcuni frammenti di vasi caddero dai supporti lignei sui quali erano esposti39.

Nel 1990, in seguito alla progettazione di un nuovo Museo Comunale, il quale avrebbe ospitato sia reperti provenienti da scavi effettuati nella zona negli ultimi anni sia l'intera raccolta dell'Antiquarium, venne effettuato da parte della Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana un nuovo riordinamento della collezione condotto unitamente a indagini d'archivio; da questo lavoro emerse non solo lo smarrimento di alcuni reperti, ma anche il riconoscimento di buona parte del nucleo di un piccolo

sepolcreto villanoviano, rinvenuto in località la Torba nel 1960 e documentato dal Graziani, e di parte dei corredi delle due tombe scoperte nel 1925 al Brilletto40.

Le collezioni fiorentine

39 SANTANGELO M., L’Antiquarium di Orbetello, p. 9, 1954

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