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L'INFLUENZA DELLE FASI DEL CICLO DI VITA AZIENDALE SUI SISTEMI DI COSTING

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA,

MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di Laurea

L’INFLUENZA DELLE FASI DEL CICLO DI VITA

AZIENDALE SUI SISTEMI DI COSTING

Relatore:

Prof. Riccardo Giannetti

Candidato: Francesco Battaglia

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INDICE

INTRODUZIONE ... 5

1.) TEORIA DEL CICLO DI VITA DELLE ORGANIZZAZIONI ... 7

1.1) MODELLI ORGANIZZATIVI DEL CICLO DI VITA ... 9

1.2) NUOVE IPOTESI NELLA TEORIA DEL CICLO DI VITA ... 21

1.3) CRITICHE ALLA TEORIA DEL CICLO DI VITA ... 27

1.4) UN APPROCCIO EVOLUTIVO ... 33

2.) L’IMPATTO DELLE FASI DEL CICLO DI VITA SUL SISTEMA DI COSTING ... 39 2.1) INTRODUZIONE ... 41 2.2) LA FASE DI NASCITA ... 41 2.3) LA FASE DI SVILUPPO ... 44 2.4) LA FASE DI MATURITÀ ... 47 2.5) LA FASE DI RINASCITA ... 50 2.6) LA FASE DI DECLINO ... 53 2.7) QUADRO DI SINTESI ... 56

3.) ANALISI DI RICERCHE SULLA RELAZIONE TRA FASI DEL CICLO DI VITA AZIENDALE E SISTEMI DI COSTING ... 59

3.1) L’INFLUENZA DELLE FASI DEL CICLO DI VITA SULL’UTILIZZO DELL’ ACTIVITY-BASED COSTING ... 59

3.1.1) Analisi dei principali risultati della ricerca ... 61

3.1.2) Analisi e discussione dei risultati ... 65

3.2) L’INFLUENZA DELLE FASI DEL CICLO DI VITA SULL’UTILIZZO E SUL SUCCESSO DELLE PRATICHE ACTIVITY-BASED ... 67

3.2.1) Le ipotesi di successo delle pratiche basate sulle attività ... 69

3.2.2) Analisi dei risultati ... 72

4.) CONCLUSIONI ... 77

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INTRODUZIONE

L’obiettivo principale dell’elaborato è di mettere in evidenza come le diverse fasi del ciclo di vita aziendale possono influenzare i sistemi di costing, attraverso l’analisi di alcuni casi della letteratura, per rendere possibile questa analisi viene preso come riferimento principale, tra i vari modelli presenti nella letteratura sulla teoria del ciclo di vita aziendale, il modello di Miller e Friesen (1984) che suddivide il ciclo di vita aziendale in cinque fasi: Nascita, Sviluppo, Maturità, Revival e Declino. Questo modello viene scelto perché descrive le caratteristiche dell’organizzazione in termini di struttura, strategia, tipo di processo decisionale, contesto ambientale e accuratezza delle informazioni per ogni stadio del ciclo di vita, inoltre copre un ciclo completo di sviluppo organizzativo, l’affidabilità e la validità del modello è stata testata e supportata empiricamente (Miller e Friesen 1983, 1984; Drazin e Kazanjian 1990). Però prima di entrare nel vivo dell’argomento ritengo opportuno descrivere le teorie del ciclo di vita aziendale, fare una panoramica di alcuni dei modelli più rilevanti in letteratura evidenziandone anche le critiche esposte da alcuni autori e i possibili approcci evolutivi.

Le teorie del ciclo di vita suggeriscono che “le imprese hanno un ciclo di vita

caratterizzato da una transizione coerente attraverso fasi di sviluppo simili a quelle degli organismi viventi” (Penrose, 1952, p. 806). Infatti, queste teorie

offrono tassonomie in termini di “dimensioni di ambienti, industrie, tecnologie, strategie, strutture, culture, ideologie, gruppi, membri, processi, pratiche, credenze e risultati” (Meyer, Tsui & Hinings, 1993) che possono essere derivati empiricamente o teoricamente (McKelvey, 1975). Una parte distinta della letteratura cerca di spiegare la crescita delle nuove imprese senza categorizzare questo fenomeno in fasi di crescita come le teorie del ciclo di vita (Chrisman, Bauerschmidt & Hofer, 1998; Gilbert, McDougall & Audretsch, 2006). Al contrario, le teorie del ciclo di vita cercano di spiegare i cambiamenti organizzativi nel tempo e, anche se i costrutti del ciclo di vita sono stati criticati (come vedremo nel paragrafo 1.3), consentano un’analisi approfondita del cambiamento

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organizzativo. Quello che i teorici del ciclo di vita vogliono è fornire un “tipo di ciclo” ideale per le organizzazioni.

Per unificare il gran numero di contributi è stato utilizzato come riferimento principale la revisione della letteratura di Hanks, Watson, Jansen e Chandler (1993) che suggeriscono una sintesi dei principali modelli teorizzati come: Adizes, 1979; Churchill & Lewis, 1983; Kazanjian, 1988; Lippitt & Schmidt, 1967; Galbraith, 1982; Greiner, 1972; Miller e Friesen, 1984; Scott & Bruce, 1987. Attraverso il confronto longitudinale del lavoro di questi autori e la successiva identificazione delle configurazioni organizzative suggerite dalla letteratura per ciascuna fase, si stabilisce la base per un confronto tra le configurazioni di differenti imprese prese in analisi per vedere come si modificano lungo le fasi del ciclo di vita, e stabilire se la tipologia potrebbe essere utilizzata anche per prevedere le differenze in termini di strategia, struttura, stile decisionale e fattori “situazionali” o contesto ambientale. Questo confronto è possibile a causa dell'approccio comune configurato dietro la parte della letteratura organizzativa e delle valutazioni empiriche dei casi studiati della letteratura. Nel nostro studio, stiamo valutando che esistono più configurazioni adatte per nuove imprese e, non solo il design organizzativo dipende dalle diverse condizioni ambientali e dalle strategie perseguite, ma anche sul particolare schema dei componenti di progettazione organizzativa stessi.

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1.TEORIA DEL CICLO DI VITA DELLE ORGANIZZAZIONI

La letteratura organizzativa ha esaminato il paradigma del ciclo di vita fin dagli anni Cinquanta e Sessanta con il primo modello di Chandler (1962). Ad oggi, sono stati proposti molti schemi interpretativi, ammontano a più di 100 (ad esempio Adizes 1979, Chandler 1962, Churchill & Lewis 1983, Greiner, 1972, Lippitt & Schmidt, 1968; Miller & Friesen 1984, Scott & Bruce 1987 e altri).

Allo scopo di unificare il grande numero di contributi utilizzati, come riferimenti principali, la rassegna letteraria di Quinn e Cameron (1983) suggerisce una sintesi dei principali modelli teorizzati nel periodo tra il 1967 e il 1979; la revisione della letteratura di Miller e Friesen (1984), propone un modello di riepilogo a cinque fasi; e la revisione di Hanks, Watson, Jansen e Chandler (1993), che ha integrato alcune teorie più recenti e propone un paradigma del ciclo di vita empirico. Infine, il lavoro di Phelps, Adams & Bessant (2007) serve sia come una revisione valida della più recente letteratura sul ciclo di vita e come una nuova proposizione di un modello dinamico diverso dal paradigma organizzativo.

Molte dimensioni di un’organizzazione possono essere descritte in relazione alla loro evoluzione attraverso fasi progressive come “orientamenti cognitivi dei membri organizzativi, struttura organizzativa, rapporti ambientali” (Quinn & Cameron, 1983, p. 33), dimensioni dell’organizzazione, centralizzazione, formalizzazione, specializzazione (Hanks, Watson, Jansen & Chandler, 1993), risorse e capacità (Lichtenstein & Brush, 2001). Questi tipi di transizioni che si svolgono nell’organizzazione non possono facilmente essere invertiti (Miller & Friesen, 1984). Questa struttura è un “modello del processo complessivo” (Greiner, 1972, p.56) ed è utile dare un’indicazione della natura di sviluppo dell’organizzazione che si evolve e cambia nel tempo, in genere attraverso: nascita, crescita, maturità, rinascita e declino (Miller & Friesen, 1984). Il numero di fasi individuate dalle teorie più diffuse varia da tre (Smith, Mitchell & Summer, 1985) a dieci (Adizes, 1979). Quinn & Cameron hanno evidenziato le caratteristiche comuni a quasi tutti i modelli: “le fasi sono (1) sequenziali in natura; (2) si verificano come una progressione gerarchica non facilmente invertibile; e (3)

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coinvolgono un’ampia gamma di attività e strutture organizzative” (1983, p.33). Tuttavia, la progressione non è sempre vista come lineare, come suggerito da Miller e Friesen (1984), le aziende possono saltare uno stadio o più e possono tornare ad una precedente fase o, come ha suggerito Hanks (1990), durante le fasi di crescita le organizzazioni possono sperimentare fasi di declino o di stagnazione. La logica dietro l’identificazione di un percorso attraverso la fase del ciclo di vita è indirizzata eterogeneamente in letteratura: Chandler (1962) indica che un’organizzazione si evolve cercando nuove opportunità di crescita, mentre Romanelli e Tushman (1986) vedono l’evoluzione di un’organizzazione come risposta ai cambiamenti tecnologici nell’industria piuttosto che alle questioni di crescita. Il processo è stato studiato anche da una prospettiva dialettica: Greiner (1972) ha considerato la crescita organizzativa come un processo di rivoluzioni provocato da crisi di gestione interne legate a problemi di coordinamento, leadership e controllo; allo stesso modo, Kazanjian (1988) descrive come i cambiamenti in risposta ai problemi dominanti che l’organizzazione affronta implica un’evoluzione attraverso le fasi del ciclo di vita. Hanks e gli altri hanno messo in discussione la costruzione di “modelli tipologici tradizionali che

tendevano a suggerire una sequenza parsimoniosa di stadi di crescita utilizzando una metodologia tassonomica che rivela un maggiore livello di complessità nel modello delle configurazioni di fase di crescita distinguendo le piccole imprese dalle imprese di avvio” (1993, p. 24).

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1.1MODELLI ORGANIZZATIVI DEL CICLO DI VITA

Nelle seguenti tabelle vengono rappresentati e messi a confronto alcuni dei modelli più rilevanti per la teoria del ciclo di vita delle organizzazioni, che sono stati per lo più riassunti da Hanks e gli altri (1993). Vengono aggiunte alcune teorie più recenti che sono state riesaminate per adattarsi al modello di riepilogo proposto dagli autori (cioè Block & MacMillan, 1985; Kazanjian, 1988).

CONFRONTO DEI MODELLI DEL CICLO DI VITA DELLE ORGANIZZAZIONI

Fonte: Rielaborazione personale della tabella 2 (Hanks, Watson, Jansen & Chandler (1993, p.10)

La tabella rappresenta i modelli più diffusi di riepilogo della teoria del ciclo di vita e per rappresentare la descrizione della dinamica del ciclo di vita dell’impresa, soprattutto il modello di Miller & Friesen (1984) che verrà preso come già detto, in riferimento per l’analisi.

Mentre le due successive tabelle illustrano, la prima i modelli classici della teoria del ciclo di vita su cui diversi autori si sono basati e preso spunto per i loro studi

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nella letteratura, nella successiva tabella sono raggruppati i modelli per le nuove aziende, nuove ipotesi per il ciclo di vita (come vedremo nel paragrafo 1.2).

CONFRONTO DEI MODELLI DEL CICLO DI VITA DELLE ORGANIZZAZIONI

Fonte: Rielaborazione personale della tabella 2 (Hanks, Watson, Jansen & Chandler (1993, p.10)

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La logica dietro il modello di Hanks e gli altri è che le organizzazioni si sviluppino attraverso cinque fasi comuni: Start-Up, Expansion, Maturity, Diversification e Decline. L’aggregato di cinque fasi sembra essere ben accolto tra gli accademici, molti autori hanno fornito innanzitutto un modello a cinque stadi (Galbraith, 1982; Greiner, 1972; Lester & Parnell, 1999; Miller & Friesen, 1984; Scott & Bruce, 1987); altri hanno convalidato l’ipotesi che cinque tappe potrebbero incapsulare bene le caratteristiche comuni delle piccole e consolidate imprese, rendendo il “modello rilevante per tutte le organizzazioni” (Lester, Parnell & Carraher, 2003, p.341). Hanks e gli altri hanno fornito una definizione di fase del ciclo di vita come “configurazione univoca di variabili relative al contesto e alla struttura dell’organizzazione” (1993, p. 7). Più in particolare, le aziende con il tempo aumentano di dimensioni e di età, e mostrano la crescita più elevata durante le fasi di espansione e diversificazione. Inoltre, la struttura si evolve da semplice a funzionale e poi divisionale, il processo decisionale diventa più decentralizzato e l’organizzazione aumenta la formalizzazione e la specializzazione. Non tutti i modelli si riferiscono a fattori organizzativi quali la formalizzazione, la specializzazione, il decentramento la struttura, la strategia, lo stile decisionale, ambiente e sistema informativo; questi elementi sono affrontati specificamente nel secondo capitolo di questa tesi in cui fornisco una panoramica longitudinale sugli studi sul ciclo di vita che hanno prescritto caratteristiche specifiche su queste variabili. Infatti, i modelli proposti nella letteratura del ciclo di vita affrontano questioni molto più ampie e rappresentano diversi punti di vista sul complesso fenomeno dello sviluppo di un’organizzazione nel tempo, come l’interazione con l’industria, le risorse necessarie alla gestione, l’applicazione delle teorie relative allo sviluppo della personalità all'evoluzione dell'organizzazione (Lippitt & Schmidt, 1967). Di seguito vengono riassunte alcune opere di autori che hanno contribuito maggiormente allo sviluppo della teoria del ciclo di vita, infatti questi modelli sono stati citati da altri autori come base per le teorie successive o sono stati nominati in letteratura come contributi significativi.

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Adizes, 1979

Questa teoria si basa sul presupposto che l’organizzazione esegue con diversa enfasi durante il ciclo di vita quattro ruoli: produttivo, amministrativo, imprenditoriale e di integrazione. L’autore fornisce alcuni trattamenti specifici che aiutano le organizzazioni a sopravvivere in una fase specifica per poi passare alla successiva. I passaggi organizzativi proposti sono dieci: stage di corteggiamento/courtship, organizzazione infantile, fase di Go-Go, organizzazione adolescente, organizzazione primaria, organizzazione matura, organizzazione aristocratica, burocrazia precoce, burocrazia e morte. Durante la fase di corteggiamento/courtship il ruolo imprenditoriale rappresenta il combustibile dell’organizzazione; l’imprenditore è eccitato e impegnato nell’idea di business. Un trattamento per questa delicata tappa prevede l’istituzione di un consiglio di amministrazione con poche figure professionali a causa del budget limitato. L’imprenditore dovrebbe quindi imparare “a fare” e durante la fase dell’organizzazione infantile l’accento è sulla produzione. Inoltre, l’imprenditore dovrebbe prendere decisioni importanti in primo luogo per quanto riguarda il capitale ma, allo stesso tempo, non dovrebbe lasciare che il lavoro travolgente oscuri le opportunità a lungo termine che svegliano il suo spirito imprenditoriale. Nella fase Go-Go il fondatore dovrebbe cercare nuove opportunità e di solito una mancanza di esperienza e un eccesso di personificazione in ogni politica lo farà cadere nella cosiddetta “trappola del fondatore”. Durante questa fase, l’attività più importante è quella amministrativa dalla quale si può trarre beneficio per l’organizzazione, che diventa poi adolescente. Durante questa fase potrebbero verificarsi delle tensioni tra i partner e la figura di un consulente potrebbe aiutare l’organizzazione a stabilire alcune procedure amministrative per ottenere una certa stabilità. La fase successiva è rappresentata dalla Prima Organizzazione, orientata al risultato, efficace e ancora disposta a intraprendere sfide imprenditoriali. Tuttavia, il processo di invecchiamento verso la maturità avviene infine a causa della modifica delle aspirazioni del top management e di una struttura non molto chiara, che si traduce in una impasse. L’organizzazione matura vede un declino del ruolo imprenditoriale e un aumento del ruolo di integrazione. Pertanto, il

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“senso dell’urgenza” si perde, aumenta la formalizzazione e, di conseguenza, si riduce l’orientamento verso i risultati e l’organizzazione diventa aristocratica. Durante questa fase l’organizzazione è paralizzata nel passato, si impegna ad espandere il sistema amministrativo e la crescita è solitamente ottenuta solo attraverso vie inorganiche o aumentando i prezzi dei prodotti. Un trattamento in questa fase dovrebbe ristabilire il lavoro in squadra che genera un nuovo processo decisionale. Se ciò non viene raggiunto, l’organizzazione procederà verso una burocrazia, dove le persone sono interessate a mantenere i loro interessi personali nell’organizzazione aggirando anche il sistema amministrativo. Le regole e le procedure assumono maggiore importanza rispetto all’orientamento ai risultati e molto poco viene fatto alla fine. L’unico trattamento che può essere applicato durante la fase della burocrazia è il “trattamento chirurgico”, il che significa che i gestori con atteggiamento negativo dovrebbero essere sostituiti. La fase finale è la morte, in cui nessun ruolo organizzativo è più attivo.

Greiner, 1972

Il modello sviluppato da Greiner “è un importante punto di riferimento nel campo” (Hanks e gli altri, 1993, p. 6) ed è stato citato da 21 modelli successivi (Levie & Lichtenstein, 2010). Poiché le aziende crescono in età e dimensione, sono passate attraverso fasi di crescita evolutiva e di rivoluzione. I manager hanno un ruolo centrale durante i periodi rivoluzionari perché dovrebbero superare la crisi creando nuove pratiche organizzative che sarebbero state alla base per la gestione della successiva fase evolutiva. La prima fase è basata sulla creatività, il che significa che l’imprenditore sviluppa da zero un nuovo prodotto o un mercato. Le comunicazioni all'interno dell’organizzazione nascente sono informali e frequenti; le persone sono motivate a lavorare di solito per un proprio vantaggio futuro e la gestione è estremamente reattiva alle risposte del mercato. Con il tempo, l’organizzazione richiederà produzione, conoscenza, dipendenti e capitali aggiuntivi. A questo punto è probabile che si verifichino disaccordi tra i leader e si verifica la cosiddetta crisi di leadership. Solo attraverso la figura di un forte manager, l’organizzazione può sopravvivere alla prima fase e passare alla seconda,

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la Direzione. Qui emerge una struttura funzionale e cresce la gerarchia, con conseguente maggiore comunicazione formale e attività standardizzate quali sistemi contabili, incentivi e budget. La centralizzazione eccessiva aumenta il rischio di una crisi di autonomia, per cui i dirigenti dovrebbero imparare a muoversi verso una fase di delegazione in cui l’organizzazione è decentralizzata e i dirigenti “hanno maggiori poteri e incentivi, sono in grado di penetrare mercati

più grandi, di rispondere più rapidamente ai clienti e di sviluppare nuovi prodotti”

(p.62). La prossima fase rivoluzionaria è la cosiddetta crisi di controllo che risulta dal tentativo del top management di tornare ad un’organizzazione centralizzata. Una soluzione può essere l’utilizzo del Coordinamento: utilizzando sistemi e procedure formali, i gestori dovrebbero comunicare alla sede che accerti attentamente capitali a diversi gruppi di prodotti. In seguito, i manager cominciano a lamentarsi della crescente burocrazia e c’è una mancanza di fiducia tra i dirigenti, i dirigenti e il personale. Questo tipo di crisi può essere superata solo attraverso un periodo evolutivo di Collaborazione. La gestione dovrebbe funzionare in team interdisciplinari e l’attenzione dovrebbe spostarsi per trovare nuove soluzioni ai problemi esistenti e per sperimentare nuove pratiche. La formalizzazione è ridotta e normalmente l’organizzazione assume alcuni elementi di una struttura di matrice per sottolineare la collaborazione e il flusso di informazioni in tempo reale. La crisi che le aziende incontrano durante questa fase è stata identificata da Greiner in seguito alla sua prima teorizzazione del modello; ha suggerito una crisi interna, quella di “comprendere che non esiste una soluzione interna, come la creazione di nuovi prodotti, per stimolare ulteriormente la crescita”. Piuttosto l’organizzazione dovrebbe cominciare a guardare fuori per cercare nuovi partner e nuove opportunità (1998, p. 65).

Churchill & Lewis, 1983

Gli autori propongono un quadro che deriva dal modello di Greiner (1972), questo modello a cinque stadi è concepito per descrivere i cambiamenti di dimensioni, diversità e complessità delle piccole imprese nel tempo. La prima tappa è la fase dell’Esistenza dove l’organizzazione è semplice e il proprietario controlla di solito

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tutte le attività. Le sfide principali per l’impresa sono l’acquisizione dei clienti e la capacità di consegnare i prodotti o il servizio. Se l’organizzazione diventa un “business entity operabile” (p.37), passa alla fase successiva Survival, durante questa fase l’organizzazione conserva una forma semplice e il proprietario è preoccupato per le attività a breve termine necessarie per rimanere in attività, crescere e, eventualmente, generare ritorni. La terza tappa Success è suddivisa in due sotto-stadi: III D e III G. Lo stadio III D si riferisce al disimpegno del proprietario con l’impresa e ad una possibile vendita futura della società, fusione o acquisizione da parte di un’altra società. La gestione è divisa in funzioni e le attività di pianificazione sono costituite da budget operativi. L’azienda può passare alla fase successiva solo se è in grado di adattarsi all’ambiente che cambia. Il sotto-stadio alternativo è la fase III G, che riflette invece il coinvolgimento del proprietario nella pianificazione strategica a lungo termine dell’impresa. I bilanci operativi sono ancora importanti poiché l’organizzazione dovrebbe raggiungere la redditività per investire nuovamente nella crescita futura. Inoltre, viene assunta una gestione professionale. La fase successiva è la fase di Take-Off, a questo punto l’impresa comincia ad essere organizzata in divisioni e il potere decisionale è decentralizzato, normalmente nuovi proprietari entrano in azienda come azionisti. La composizione di gestione è rinnovata e le sue attività principali sono la delega di responsabilità e generazione di flussi di cassa e la continuità nel tempo. L’ultima fase è chiamata la fase di maturità delle risorse, una società in questa fase “ha il personale e le risorse finanziarie per impegnarsi in una pianificazione dettagliata operativa e strategica. La gestione è decentralizzata, dotata di personale adeguato e di esperienza. Il proprietario e l’azienda sono piuttosto distinti” (p. 41). Il rischio in questa fase è l’ossificazione dell’attività, che consiste nella mancanza di innovazione e di evitare i rischi.

Scott & Bruce, 1987

Il quadro proposto da Scott e Bruce si basa sul concetto di crisi di Greiner ed è una progressione del modello sviluppato da Churchill e Lewis. Gli autori suggeriscono che non tutte le imprese sopravvissute risultano essere grandi imprese; infatti,

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alcune aziende rimangono piccole e il modello suggerito cerca di esplorare le caratteristiche del loro ciclo di vita. La prima fase è Inception dove il fondatore svolge un ruolo centrale e porta i valori principali e l’orientamento funzionale nel business basato sulle sue credenze personali e sulle competenze di base. Gli sforzi aziendali sono dedicati allo sviluppo di un prodotto commercialmente vitale e alla fornitura di flussi di cassa positivi. Il raggiungimento della redditività è un probabile punto di crisi perché richiederebbe un approccio di gestione diverso e un cambiamento nella struttura organizzativa in quanto le attività aumentano. Per gestire questo, l’organizzazione dovrebbe aumentare la sua formalizzazione. La seconda fase è la fase di sopravvivenza, durante questa fase l’azienda ha ancora una singola linea di prodotti e la questione principale è quella di ricevere un finanziamento adeguato sia dalle banche che dai creditori. I rendimenti sono ancora marginali e i principali rischi sono: crescita incontrollata e overtrading, mancato conferimento durante l’espansione in diversi canali distributivi, aumento della concorrenza che porta la necessità di economie di scala se l’azienda desidera competere sui prezzi e la necessità rinnovata di avere un controllo formale e sistemi di bilancio. La terza fase è la Crescita dove la struttura organizzativa dovrebbe mettere l’accento sulla formalizzazione e il coordinamento dei manager funzionali. Il rischio qui è rappresentato dall’ingresso di grandi concorrenti; in questo caso l’azienda dovrebbe essere in grado di competere su diversi mercati o prodotti, mentre se combatte solo per la quota di mercato reale, è destinata a rimanere in questa fase. Tuttavia, l’espansione in nuove attività richiede il finanziamento, il coordinamento e l’avvio del decentramento. La quarta tappa è la fase di espansione, gli autori suggeriscono che in questa fase è inevitabile un’apertura a un nuovo partner e che “il controllo del bilancio, i rapporti di

gestione regolare e l’autorità decentralizzata accompagnati da sistemi contabili formalizzati sono l’ordine del giorno” (p.50). Questi due punti sono molto simili

a quelli suggeriti da Churchill e Lewis (1983) nella fase di Take-off del loro modello. Il fondatore iniziale dovrebbe essere in grado di tornare indietro e permettere ai manager professionisti di svolgere la politica aziendale e di migliorare la loro proattività sull’identificazione delle nuove esigenze dei clienti,

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adattando il prodotto e mantenendo così un vantaggio competitivo. Il successo dell’azienda in questa fase dipende anche dalla crescita specifica del settore. La fase finale è la Maturità, gli autori suggeriscono un approccio a questa fase diverso dalle teorie classiche del ciclo di vita; dicono che la ditta continua a crescere durante la maturità e, invece, potrebbe iniziare a diventare un’impresa più grande. Qui la direzione affronta attività come quella di marketing, l’innovazione e il potenziamento delle strutture. L’innovazione, in particolare, è una garanzia sostenibile contro la concorrenza dei prezzi e le pressioni produttive. A volte durante questo stadio è necessario un finanziamento a lungo termine. Inoltre, gli azionisti esercitano pressioni sui manager per assicurare ulteriore crescita e la figura dell’imprenditore dovrebbe pensare alla sua successione.

Smith, Mitchell & Summer, 1985

Il lavoro di Smith e gli altri consiste nel valutare come le priorità di gestione cambiano durante il ciclo di vita e quanta rilevanza assumono a seconda della tappa. Il loro studio è rilevante in quanto aggiunge alle teorie del ciclo di vita già presenti, alcune considerazioni sulla prospettiva top management. Il tipo di informazione che i gestori usano quando cercano di risolvere i problemi riflettono tre priorità di top management riguardanti: efficienza tecnica, coordinamento organizzativo e sostegno politico. Infatti, per il loro studio Smith e gli altri hanno chiesto a 27 CEO di valutare l’importanza di ciascuna delle tre ipotetiche categorie di informazioni che potrebbero utilizzare per prendere decisioni in uno scenario di sviluppo di un nuovo prodotto. Ogni categoria conteneva informazioni valutate in modo diverso a seconda della priorità della gestione. Gli autori hanno quindi classificato le principali priorità di gestione in tre diverse fasi: l’inizio, la crescita e la maturità. Durante la prima fase, il top management è impegnato a stabilire rapporti con fornitori di risorse critiche e rendere l’organizzazione redditizia. Per questa ragione, in questa fase la priorità di efficienza tecnica ha un ruolo più importante. I fornitori danno il loro servizio sulla base della capacità di un’azienda di soddisfare le aspettative sulle prestazioni future e quindi i manager saranno orientati ai risultati e cercheranno di mantenere il sostegno dei fornitori. Mentre

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l’impresa si evolve verso la seconda fase di crescita, il top management deve affrontare l’aumento della domanda e la complessità strutturale dell’organizzazione. Infatti, i manager devono dare priorità al coordinamento organizzativo e “devono concentrarsi su organizzazioni e sistemi interi, piuttosto

che su particolari problemi o funzioni per raggiungere il coordinamento e la comunicazione tra le varie unità” (p.804). Durante l’ultima fase la maturità,

normalmente si ricerca una gestione per mantenere lo status quo o ristrutturare per ottenere una nuova crescita. Due priorità di alto livello assumono importanza primaria: efficienza tecnica e sostegno politico. Il primo riguarda il tentativo di gestione di rilanciare le risorse e la legittimità in quanto la crescita si rallenta e il fornitore può minacciare un ritiro del servizio. La seconda riguarda gli sforzi volti a mantenere il supporto dei subordinati per aumentare la legittimità e l'influenza della gestione sulle “strutture esistenti, attuare cambiamenti e preparare le organizzazioni per una crescita futura” (p. 805).

Lippitt & Schmidt, 1967

Lippitt e Schmidt hanno avanzato uno dei primi modelli di ciclo di vita che è stato utilizzato come riferimento principale in 10 modelli successivi (Levie & Lichtenstein, 2010). Essi suggeriscono che le organizzazioni si sviluppino attraverso tre fasi: l’infanzia, la gioventù e la maturità e, per ogni fase, individuano due “bisogni manageriali” che dovrebbero essere soddisfatti per evitare insidie indesiderabili. Al momento dell’infanzia l’imprenditore crea un sistema operativo prendendo il rischio di perdere tempo, reputazione e denaro nella nuova società. Inoltre, la società dovrebbe essere in grado di “sopravvivere come un sistema vitale” (p.23) attraverso il sacrificio di ciò che l'imprenditore ha scelto di rischiare e l’impegno manageriale per la nuova organizzazione. La gioventù è la fase in cui le aziende dovrebbero ottenere stabilità e reputazione. Il primo è realizzabile attraverso una rigorosa organizzazione interna e disciplina mentre il secondo riguarda la ricerca dell’organizzazione per l’approvazione esterna attraendo buoni dipendenti e clienti. Durante questa fase, l’organizzazione inizia a vedere qualche fatturato (aumento dei volumi di vendita) e il nuovo personale mostrerà un

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impegno diverso per l’organizzazione rispetto a quello dei fondatori. L’ultima tappa è la maturità, dove l’organizzazione cerca di massimizzare le sue abilità cercando nuove opportunità da intraprendere e di mettere in atto una diversificazione dell’attività. Inoltre, l’impresa cerca anche di ottenere il rispetto pubblico, di contribuire alla società e ai risultati personali dei dipendenti per ottenere un’immagine di prestigio.

Flamholtz, 1995

Il modello è stato sviluppato per la prima volta nel 1987 ed è composto da sette tappe. Ha individuato le dimensioni approssimative dei ricavi in cui le organizzazioni passano alla fase successiva e hanno esaminato quali sono le conseguenze dell’evoluzione attraverso fasi per la gestione delle risorse umane e aziendali. Durante la prima fase New Venture i principali problemi di gestione riguardano la sopravvivenza dell’impresa, la definizione del mercato e lo sviluppo del prodotto. Se le imprese completano queste attività, raggiungeranno la fase di espansione. L’organizzazione è ancora informale e la direzione deve dare priorità allo sviluppo di risorse organizzative che consentiranno all’azienda di competere con successo in futuro; le risorse umane sono un bene particolarmente importante. Inoltre, possono sorgere numerosi problemi nelle attività quotidiane come le lacune nello scambio di informazioni, che inducono una perdita di tempo, un elevato fatturato e un controllo difficile del personale o una gestione errata delle scorte. È per questo che è importante concentrarsi su sistemi operativi quali “contabilità, fatturazione, raccolta, pubblicità, reclutamento, formazione del personale, vendita, produzione, consegna e sistemi correlati” (Flamholtz, 1995, p. 42). Durante la terza fase, la professionalizzazione, quando l’azienda raggiunge circa 10 milioni di dollari nei ricavi, dovrebbe aumentare il suo livello di formalizzazione. Pertanto, ci dovrebbe essere una definizione di ruoli e responsabilità e un sistema efficace per il controllo e lo sviluppo della gestione. La valutazione delle performance potrebbe essere uno strumento di controllo utile per influenzare il comportamento delle persone verso il raggiungimento degli obiettivi organizzativi in questa fase. Le persone dovrebbero anche acquisire nuove

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competenze e capacità come la motivazione, il controllo, la leadership e le capacità di pianificazione. La fase successiva è il Consolidamento dove in genere l’azienda raggiunge i 100 milioni di dollari di ricavi e questo è il momento per un importante aumento del personale. Il problema è che all’inizio era semplice trasmettere i valori dell’azienda a nuovi membri attraverso i processi di socializzazione, ma ora non è più un sistema adeguato. La direzione dovrebbe mettere in atto alcuni sistemi formali per trasmettere la cultura aziendale. La quinta fase è la diversificazione dove al fine di conseguire un’ulteriore crescita, l’azienda dovrebbe introdurre nuovi prodotti o servizi, facendo in qualche modo rinascere lo spirito imprenditoriale delle prime fasi. Tuttavia, alcune organizzazioni potrebbero non riuscire a proporre al mercato nuovi prodotti o servizi differenziati. La sesta fase è l’integrazione dove anche se l’impresa è composta da attività diverse e separate, la direzione dovrebbe essere in grado di integrare tali unità e mantenere contemporaneamente i vantaggi del decentramento. L’organizzazione richiede quindi di concentrarsi sui sistemi di gestione e operativi, sulla cultura aziendale e sulle risorse organizzative. I sistemi di gestione si riferiscono alla pianificazione globale dello sviluppo delle persone all’interno dell’organizzazione e comprendono i sistemi di controllo, mentre i sistemi operativi si riferiscono alle attività quotidiane, che in questo momento potrebbero essere eccessivamente complicate dai meccanismi burocratici. Durante l’ultima fase, l’organizzazione dovrebbe affrontare i “sintomi di invecchiamento” possibilmente attraverso la gestione contemporanea delle aree chiave di sviluppo riguardanti: sistemi di gestione e sistemi operativi, acquisizione e sviluppo di risorse organizzative, sviluppo di prodotti e servizi e la cultura aziendale.

Miller e Friesen 1984

Il modello di Miller e Friesen rappresenta uno dei modelli più condivisi per la descrizione quantitativa della dinamica del ciclo di vita dell’impresa, questo modello si basa su 5 stadi: Nascita, Crescita, Maturità, Rinascita e Declino. Nella fase di nascita una nuova impresa sta tentando di diventare un’entità vitale, in questa fase le imprese sono giovani, dominate dai loro proprietari e hanno strutture

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semplici e informali; una volta che l’impresa ha stabilito le proprie competenze distintive e gode di qualche successo nel mercato dei prodotti si passa alla fase successiva, alla fase di crescita basata su una rapida crescita delle vendite, una struttura più funzionale, delega delle autorità e procedure formalizzate, dopo di che l’organizzazione passa alla fase di maturità dove i livelli delle vendite si stabilizzano, il livello di innovazione diminuisce e si stabilisce una struttura organizzativa più burocratica, poi l’impresa entra nella fase di rinascita la quale in genere è una fase di diversificazione e di espansione del mercato dei prodotti con strutture divisionali per affrontare i mercati più complessi ed eterogenei. Durante l’ultima fase, la fase di declino la quale rivela l’insorgere della stagnazione con la conseguente riduzione dei profitti a causa delle sfide esterne male affrontate o non percepite e alla mancanza di innovazione. L’obiettivo del loro studio è quello di analizzare un insieme di stadi organizzativi, stabilirne una sequenza e descriverne le caratteristiche in termini di struttura, strategia, tipo di processo decisionale, contesto ambientale e accuratezza delle informazioni ed, infine, di testare alcuni trend del ciclo di vita lungo tali variabili e mettere in evidenza una correlazione statisticamente significativa tra un’ insieme specifico ed eterogeneo di variabili e ciascuno stadio del ciclo di vita, come vedremo più nel dettaglio nel secondo capitolo della tesi con l’aggiunta dei riflessi che si hanno sul sistema di costing.

1.2 NUOVE IPOTESI NELLA TEORIA DEL CICLO DI VITA

Come hanno suggerito Quinn & Cameron, negli anni settanta “c’è stata una

tendenza a generare studi che si concentrano su organizzazioni mature piuttosto che nuove” (1983, p. 33). Tuttavia, alcuni autori della teoria del ciclo di vita come

Down (1967) e Lippitt & Schmidt (1968), collocano nel primo ciclo del ciclo di vita la preoccupazione della nascita di enterprise per raggiungere una soglia di sopravvivenza. Per Down questo concetto era collegato alla legittimazione dell’avventura nell’ambiente esterno e all’ottenimento e alla stabilizzazione delle risorse, invece per Lippitt e Schmidt il concetto era più legato alla figura dell’imprenditore che dovrebbe essere disposto a prendere il rischio e la

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responsabilità del nuovo avventurarsi e essere in grado di fare le giuste scelte in termini di leadership, capitalizzazione e mercati. Questi concetti sono simili alla precedente ricerca di novità di Stinchcombe (1965) che si riferisce al più grande rischio di fallimento di nuove organizzazioni rispetto alle più vecchie a causa della difficile concorrenza con le organizzazioni consolidate e della mancanza di legittimità. Alcuni autori sostengono che la pianificazione delle nuove imprese si differenzia sostanzialmente dalla pianificazione delle imprese esistenti, data l’instabilità delle start-up (Block & MacMillan, 1985, p. 184). Seguendo questa linea di pensiero, le nuove imprese dovrebbero avere un modello di cicli di vita dedicato diverso da quelli che descrivono lo sviluppo complessivo di grandi aziende. Di seguito viene descritto il lavoro di autori che hanno proposto modelli di ciclo di vita per descrivere in modo specifico il fenomeno delle nuove imprese.

Galbraith, 1982

Galbraith ha focalizzato la sua ricerca sulle nuove tecnologie e ha sviluppato un modello che aiuta i dirigenti a “superare il pregiudizio di non pensare alla

stagione” (p.70), riferendosi al fatto che un’organizzazione si sviluppa attorno ad

un’idea di business, la quale si evolve nel tempo e di conseguenza anche il disegno organizzativo dovrebbe cambiare per raggiungere nuovi obiettivi. La prima fase viene definita la fase di proof-of-principle/prova di principio e riguarda l’invenzione di un dispositivo partendo dall’idea imprenditoriale. Durante la seconda fase, la fase di prototipo l’attenzione si focalizza anche sulla produzione del dispositivo. Le prime due fasi possono essere associate a livello organizzativo. Infatti, le persone che si uniscono all’organizzazione hanno le caratteristiche comuni di essere disposti a: attuare le proprie idee, ricevere un premio di equità, acquisire esperienza e lavorare in un clima informale. Tuttavia, mentre l’organizzazione aumenta di dimensioni richiede più leadership e una struttura più formalizzata; normalmente le persone resistono a tale cambiamento perché verrebbe meno la motivazione per cui si sono uniti all’organizzazione. Se la

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direzione è in grado di “pensare alla stagionatura”, la figura di un leader promuoverà il cambiamento e l’integrazione di compiti, strutture e persone. La fase successiva è la fase di shop-model in cui il prodotto viene testato e vengono eseguiti molti test di mercato e di qualità. Sono impiegate nuove figure specializzate e quindi la struttura comincia a essere delineata attraverso gerarchie e funzioni. Tuttavia, i manager pensano ancora che non ci sia la necessità di una struttura ben definita a causa del successo dell’organizzazione negli stadi passati. Così, i processi decisionali rimangono informali e il reclutamento viene fatto sulla stessa base delle fasi precedenti: il clima non burocratico e il rapido progresso promesso. I ruoli dei manager devono spostarsi dall’inventare il prodotto alla gestione, alla pianificazione e alla direzione delle persone. La prossima fase la fase iniziale dove si incomincia a investire grandi quantità di capitale nella produzione e distribuzione dei prodotti o servizi. Il focus è il funzionamento, non è più l’invenzione. A tal fine, la direzione dovrebbe aggiungere nuove funzioni e nuove persone all’organizzazione. Qui la direzione incontra un problema dominante legato alla riluttanza di creare una struttura nella fase precedente. Di conseguenza, quando vengono aggiunte nuove funzioni, la gerarchia aumenta e le nuove persone sono tenute a riempire il livello tra i dirigenti e i manager funzionali. Tuttavia, le persone promosse a questi tipi di ruoli non sono pronte a coprire queste posizioni e inserire qualcuno dall’esterno può creare malcontento e contestazioni. Successivamente, l’organizzazione già centralizzata diventa più orientata agli affari, la comunicazione comincia ad essere formalizzata e si crea una richiesta di gestione multifunzionale e professionale. L’impresa entra in una fase di crescita naturale, allineata alla crescita del settore. Per ridurre la concorrenza e reinvestire i rendimenti ricevuti dal mercato, l’organizzazione dovrebbe disporre di una linea di prodotti di seconda generazione. Qualche decentramento dovrebbe avvenire affinché l’organizzazione possa gestire questa diversità di prodotto, alcune figure come i responsabili di progetto e i team cross-funzionali sarebbero utili a questo scopo. Qui il sistema amministrativo e di bilancio sono indispensabili per rendere l’organizzazione in grado di gestire più linee di prodotti in modo economico ed efficiente e le squadre cross-funzionali dovrebbero aumentare in numero. Se la

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direzione è in grado di sviluppare questi sistemi, l’organizzazione è pronta ad entrare nella fase di manovra strategica. Quando la crescita naturale finisce, l’organizzazione dovrebbe cercare una nicchia di mercato da insediare per rimanere vitale e competitiva. Inoltre, la direzione dovrebbe prendere parte a alcune scelte strategiche come la decisione di integrare o diversificare verticalmente e di decidere di crescere attraverso nuovi approcci organici o inorganici e attraverso fusioni e acquisizioni. La decentralizzazione delle decisioni operative e la pianificazione a lungo termine hanno un ruolo centrale per consentire alla direzione di trascorrere del tempo per trovare nuove strategie e trovare nuovi percorsi di crescita. La struttura in questa fase può essere simile a una matrice o a una struttura divisionale basata sui centri di profitto. Galbraith nel suo studio fornisce una gamma di dimensioni che normalmente l’organizzazione raggiunge in ogni fase: la fase proof-of-principle coinvolge solo un gruppo di tecnici, nella fase di prototipo il numero aumenta a circa 25 persone, durante la fase shop-model l’organico è di circa 50-100 persone, nella fase di avvio il personale aumenta a circa 1000 unita, circa 1500-2000 persone durante la fase di crescita naturale e l’ultima fase non indica una dimensione specifica.

Kazanjian, 1988

Il modello di Kazanjian è citato come una fonte di 11 modelli successivi. I soggetti di questo studio sono “nuove imprese basate sulla tecnologia”(TBNVs). La componente tecnologica, pertanto, ha un ruolo cruciale nella definizione della strategia e nelle attività e competenze chiave che l’organizzazione potrebbe sviluppare. Il modello è stato testato empiricamente attraverso uno studio longitudinale su 105 società di Kazanjian e Drazin (1990). La logica dietro la progressione lineare attraverso diverse fasi è simile a quella individuata da Greiner (1972) nel senso che si ritiene che l’organizzazione affronta “problemi dominanti” e che avviino cambiamenti organizzativi per risolverli. A differenza di Greiner, Kazanjian riconosce i problemi dominanti che si verificano nell’organizzazione come collegati al prodotto e alla tecnologia stessa e non ai problemi interni dell’interazione sociale. Inoltre, Kazanjian suggerisce un’identificazione di

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problemi in anticipo (prevenire i problemi), che differisce dalla reazione successiva da parte della direzione proposta da Greiner. La prima fase Concezione e sviluppo è incentrata sulla creazione e lo sviluppo di una tecnologia o di un prodotto. Durante questa fase non esiste né la struttura né la formalità. L’imprenditore fondatore normalmente dirige quasi tutte le attività intorno alla creazione della nuova idea aziendale e la sua accettazione da parte di sponsor finanziari e, a tal fine, un problema dominante consiste nello sviluppo di un prototipo. Durante la fase successiva, l’attenzione principale è la commercializzazione del prodotto stesso. Alcune funzioni organizzative come la produzione e l’ingegneria vengono create, tuttavia, non esiste una struttura formale e la comunicazione rimane informale. La proprietà è limitata a un singolo proprietario o a un numero limitato di partner. La fase successiva rappresenta un periodo di crescita e cambiamento costante dove l’obiettivo è quello di produrre, vendere e distribuire i prodotti pur rimanendo efficaci ed efficienti al fine di raggiungere la redditività. L’organizzazione comincia a assumere dipendenti specializzati, e la gerarchia insieme alla specializzazione funzionale aumentano. Più tardi, la crescita aumenterà a fianco del tasso di crescita del mercato e le organizzazioni entrano in un periodo di stabilità. Al fine di raggiungere un’ulteriore crescita, l’impresa dovrebbe guardare allo sviluppo di prodotti di seconda generazione. Per quanto riguarda la struttura, “l’impresa si è evoluta da un laboratorio di R&S in una società caratterizzata da stabili funzioni operative e principi burocratici” (1989), in poche parole si afferma che la struttura con il passare delle fasi si è evoluta sempre di più, passando da una struttura molto semplice o meglio concettuale o quasi inesistente, senza un programma operativo ben definito e senza delle precise regole/principi burocratici da seguire, ad un struttura più evoluta ben organizzata, stabile e funzionale caratterizzata da principi burocratici da seguire correttamente.

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Block & MacMillan, 1985

Block e MacMillan suggeriscono un percorso milestone1, affinché il responsabile sviluppi piani di business validi per nuove imprese. Il principio è che i responsabili dovrebbero farsi una serie di domande e, su come avvengono gli eventi, dovrebbero sostituire le ipotesi con i fatti, rivedere le ipotesi precedenti e presentare nuove domande per rispondere ai problemi in futuro. La prima pietra miliare riguarda il “completamento del concetto e del test sui prodotti”. Questo passo è rilevante per evitare maggiori errori in seguito e talvolta aiuta il manager a individuare in anticipo soluzioni alternative. Infatti, le prove in questa fase dovrebbero indagare sulle caratteristiche desiderate del prodotto, sul mercato di riferimento e sulle esigenze del cliente; questo aiuta il manager a riconoscere l’esistenza di un’opportunità effettivamente reale. La seconda pietra miliare è il “completamento del prototipo”. Durante questa fase i responsabili ricevono importanti risposte su ciò che ha causato il blocco nello sviluppo del prototipo e come è possibile superarlo. A volte le soluzioni creative a questi problemi possono creare importanti invenzioni durante questa fase. La terza pietra miliare è il “primo finanziamento” che può accadere per molte ragioni come la sperimentazione del potenziale del concetto, lo sviluppo del prototipo o il finanziamento della produzione e delle vendite. Il processo di finanziamento è utile per gli imprenditori per aiutarli a capire se gli investitori percepiscono la struttura finanziaria della società come accettabile. La quarta tappa è “completamento della prova iniziale o di pilotaggio”, i gestori devono raccogliere informazioni riguardanti i costi dei materiali, le capacità di elaborazione e la formazione necessarie, il timing ecc; tutte le informazioni qui raccolte sono valide quando le operazioni si svolgano a pieno regime. La prossima tappa è “test di mercato”, qui i manager dovrebbero veramente comprendere i motivi per cui i clienti acquistano i prodotti, le loro aspettative di prezzo e i requisiti di servizio. La sesta pietra miliare è “avviamento

1Il termine milestone viene tipicamente utilizzato nella pianificazione e gestione di

progetti complessi per indicare il raggiungimento di obiettivi stabiliti in fase di definizione del progetto stesso

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della produzione” questo è il momento di testare le ipotesi svolte durante le operazioni pilota relative alla tempistica, alla qualità, all’accumulazione di inventario ecc. La settima pietra miliare è “vendite Importanti” che si riferisce alla prima vendita rilevante ad un importante account o distributore, i gestori qui hanno la possibilità di raccogliere informazioni sulla concorrenza, dati aggiuntivi sui requisiti di qualità e di servizio del prodotto. La prossima tappa è la “prima azione competitiva” a cui, però, l’impresa dovrebbe essere preparata grazie alle domande precedenti della pietra miliare. La nona pietra miliare è la “prima riprogettazione o re-indirizzamento” del prodotto in un diverso mercato di riferimento, durante questa fase l’offerta iniziale può differire da quello che viene appreso come desiderabile dal mercato. L’ultima pietra miliare è la “prima modifica dei prezzi” e si riferisce alla necessaria revisione dei prezzi dovuta a cambiamenti tecnologici, concorrenziali e costi. Questa revisione induce a riconsiderare la validità delle ipotesi iniziali sui target dei mercati e sulla concorrenza.

1.3 CRITICHE ALLA TEORIA DEL CICLO DI VITA

Alla base di tutte le teorie del ciclo di vita, esiste la cosiddetta analogia organizzativa, le aziende sono confrontate con gli “organismi in via di sviluppo” (Tsoukas, 1991) come le piante (Lippitt & Schmidt, 1968) o gli esseri umani che si evolvono psicologicamente e fisiologicamente verso l’età adulta (Bhidé, 2000). Il tangibile parallelismo con la crescita degli organismi è intuitivo e sembra spiegare il fenomeno complesso e incerto dell’evoluzione dell’azienda fornendo la giustificazione per il loro modello di crescita. La “validità” delle teorie del ciclo di vita è stata ben riconosciuta dagli autori (Levie & Lichtenstein, 2010; Greiner, 1972; Stubbart & Smalley, 1999). Infatti, Eggers e gli altri (1994) forniscono uno studio in cui tutti gli imprenditori fondatori intervistati dovevano collocare la loro azienda in una delle cinque tappe indicate. Tuttavia, affinché il costrutto del ciclo di vita possa essere più di un semplice strumento di gestione e avere l’attributo di una teoria, tre proposizioni vengono condotte dall’analogia organizzativa. Le proposizioni sono state suggerite da Quinn e Cameron (1983) e successivamente

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riorganizzate da Phelps e gli altri (2007) e da Levie e Lichtenstein (2010):

“La prima proposizione è che, come in un organismo in crescita, differenti fasi di sviluppo possono essere identificate in una organizzazione in crescita. Il secondo è che, come in un organismo in crescita, la sequenza e l'ordine in cui un'organizzazione in crescita subisce queste fasi riconoscibili è prefissata e quindi prevedibile. Il terzo è che, come tutti gli organismi della stessa specie si sviluppano secondo lo stesso programma (genetico), tutte le organizzazioni si sviluppano secondo regole prefigurate” (p.319)

Whetten (1989) ha sostenuto che una teoria dovrebbe presentare tre elementi: (cosa)i fattori che provocano la formazione di un dato fenomeno, (come) come l’interrelazione di questi fattori provoca il fenomeno e la relazione della causalità che c’è dietro e (perché) il perché l’interrelazione dei fattori provoca il fenomeno. Levie e Lichtenstein (2010) hanno appositamente applicato questa struttura di teoria, particolarmente adatta alla scienza applicata (Ardichvili, Cardozo & Ray, 2003) alla teoria del ciclo di vita in generale.

Di conseguenza, dopo che sono stati pubblicati più di 100 studi sul ciclo di vita organizzativo in oltre 40 anni, sembra che non sia stato raggiunto alcun consenso sulle prime due proposizioni: l’identificazione e il numero di tappe. Ciò è chiaramente dimostrato dal numero cumulato di modelli di fase del ciclo di vita pubblicato che sono aumentati del 53% solo tra il 1990 e il 2006 (Levie e Lichtenstein, 2010). Hanks e gli altri (1993) nella loro revisione della letteratura hanno esaminato la domanda “che cosa costituisce una fase del ciclo di vita?” E hanno suggerito una definizione che ha paragonato uno stadio ad una “configurazione univoca di variabili relative al contesto organizzativo e alla struttura” (p.7). Tuttavia, non esiste un consenso sull’elemento centrale di questa definizione: l’identificazione dei modelli di configurazione delle fasi (Phelps e gli altri, 2007). Hanks e gli altri (1993) hanno trovato difficile dimostrare empiricamente che le teorie aggregate potrebbero essere raggruppate in sei categorie: il loro studio ha individuato due gruppi di aziende più grandi e più

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piccole che non erano riconoscibili in qualsiasi fase precedentemente suggerita. Il principale difetto dei modelli scenici è che molti autori avanzano diverse visioni di ciò che in realtà sono le caratteristiche di una fase particolare, a seconda di ciò che è concepito per cambiare durante l’evoluzione attraverso fasi dovute al “funzionamento di meccanismi latenti che governano la formazione, la crescita, la trasformazione e la maturità delle fasi” (Stubbart & Smalley, 1999, p. 279), senza generare finalmente la conoscenza cumulativa. Questo è collegato alla terza proposizione perché le imprese crescono attraverso fasi. Se si può trovare qualche conoscenza cumulativa, questo è stato criticato da un punto di vista teorico. In effetti, Levie e Lichtenstein (2010) hanno identificato quattro principali fonti teoriche della letteratura complementari nel senso che non si basano su citazioni comuni. Il primo è il modello inizialmente studiato da Greiner (1972) che si basa su “evoluzioni e rivoluzioni”. Phelps e gli altri (2007) hanno definito la “prospettiva dei problemi” che si riferisce all’approccio multidimensionale attraverso il quale l’organizzazione è ritenuta evoluta per tutta la crisi. La trasformazione organizzativa presenta una sfida di gestione e consente il passaggio alla fase successiva. La seconda fonte è chiamata “fase dello sviluppo aziendale” e si riferisce al modello di Christensen e Scott (1964) che suggerisce un progresso dell’impresa dalla struttura informale, alle burocrazie e poi alla diversificazione. La terza fonte “morfogenesi” si riferisce al lavoro di Normann (1977) che è stato in seguito l’ispirazione del modello sviluppato da Kazanjian (1988). Questo insieme di teorie suggerisce che le organizzazioni si evolvano a seconda delle circostanze ambientali attraverso un processo di apprendimento. La quarta fonte: “ciclo di vita organizzativo”, si basa su Lippitt e Schmidt (1968) modello di evoluzione fondato sul costrutto organico. Levie e Lichtenstein hanno contestato ciascuna di queste quattro fonti fornendo inconsistenze teoriche nella citazione sottostante di altri autori come supporto per i modelli. Infatti, Christensen, Scott e Chandler (1962) fornivano solo una limitata visione storica delle imprese americane; Lippitt e Schmidt fondarono la validità dell’analogia organica sul lavoro di Gardner (1965), che forniva l’analogia solo come esempio e chiariva che il ciclo dell’organizzazione, diversamente dalle piante, non è affatto prevedibile; e

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Normann ha citato Rhenman (1973) che nel suo libro non ha effettivamente suggerito alcuna tappa, invece ha argomentato contro di loro. Per quanto riguarda la seconda proposizione, né alcuni attributi generali delle teorie come il numero di fasi o la durata di ciascuna fase sono stati fissati da teorie convergenti. Infatti, il numero di fasi dei vari modelli varia da 2 a 11. Levie e Lichtenstein (2010) hanno analizzato le caratteristiche comuni dei modelli del ciclo di vita proposti in letteratura pubblicati tra il 1962 e il 2006 e hanno valutato che poiché senza l’accordo sul numero di tappe, “le tappe non riescono a riflettere con precisione un modello nell’ambiente sociale” (p.322). Come illustrato di seguito nella figura 1, nel corso degli anni non esiste un’unanimità nel dire che l’organizzazione si evolve attraverso un numero preciso di tappe e teorici continuano a proporre nuovi modelli talvolta totalmente sconnessi alle teorie esistenti. Pertanto, questo accumulo di conoscenze non è fruttuoso e non sembra dare alcun contributo in termini di teorie dominanti. I teorici hanno anche trovato difficoltà a dimostrare la validità empirica dei modelli a più stadi.

Figura 1. Numero di fasi prescritte dalla letteratura

Fonte: Levie & Lichtenstein, 2010, p.323.

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Per quanto riguarda la durata di ciascuna fase, alcuni autori suggeriscono che durano circa tre anni (Abetti, 2000) mentre altri suggeriscono che essa sia di 10 o più anni (Miller & Friesen, 1984) o da 3 a 15 anni (Greiner, 1997). Tuttavia, la maggior parte degli studi non indica un numero preciso di anni per ciascuna fase e alcuni dicono che “l’età da sola non conferisce una maggiore complessità ambientale o amministrativa e, quindi, non provocherà grandi tendenze evolutive nella struttura e nella strategia” (Miller & Friesen, 1984). Come conclusione, la sequenzialità delle fasi non è stata fortemente dimostrata: sia Rutherford (2003) che Bailey & Grochau (1993) non hanno trovato alcuna correlazione tra l’età dell’organizzazione e le fasi del ciclo di vita. Galbraith (1982) ha definito la dimensione come un fattore che indica il passaggio tra stadi, tuttavia questo parametro manca di specificità (Hanks e gli altri, 1993). Un altro punto centrale contro le teorie del ciclo di vita è la limitata evidenza empirica, come Hanks e gli altri hanno dichiarato: “la maggior parte dei modelli del ciclo di vita dell'organizzazione sono teorici piuttosto che basati su studi empirici” (1993, p.11). L’evidenza dei casi da studi di casi non è appropriata per definire la validità di un modello di ciclo di vita poiché non fornirà una sufficiente generalizzazione sulla crescita delle imprese (Westhead & Storey, 1997). Inoltre, la tendenza generale dei ricercatori a concentrarsi sulla conoscenza approfondita di un numero limitato di studi di casi li porta a citare un noto schema generale che si applica al caso specifico, ma se questi schemi generali sono sospetti una volta sperimentati empiricamente, l’argomento del caso risulta sospetto (Ragin, 2000). Anche se limitata, alcune prove empiriche sono presenti ma contestate, Phelps e gli altri (2007) discutono contro le due linee esistenti di studi empirici che sono suggeriti per portare la convalida ai modelli delle fasi. Da un lato, gli studi longitudinali che si riferiscono all’analisi empirica effettuati in un periodo di tempo o in sezione trasversale, sono considerati in un lasso di tempo troppo limitato, normalmente da 3 a 5 anni, ad eccezione di Miller e Friesen (1984) che analizzavano dati storici di 36 imprese vecchie di 20 anni o più, ma non hanno trovato alcuna evidenza della “progressione comune del ciclo di vita attraverso lunghi periodi di tempo” (p. 1176). D’altra parte, gli studi ipotetico-deduttivi cercano di assegnare le imprese

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del campione a stadi priori, ma il risultato è una diversità di modelli che forniscono alcune strutture e pratiche di gestione specifiche in risposta a differenti fasi. Ogni modello sembra trovare un punto di svolta non contestabile per affrontare, fronteggiare e gestire al meglio le diverse fasi dei cicli di vita anche senza una forte coerenza tra il cambiamento che avviene nella fase secondo il modello e le caratteristiche delle precedenti fasi. Questa congruenza è stata riscontrata sulla priorità della gestione (Shim e gli altri, 2000), il dinamismo dell'ambiente (Gupta e Chin, 1993), i modelli strutturali (Kazanjian & Drazin, 1990), tipi di problemi e specializzazione funzionale (Hanks e Chandler, 1994). Poiché tutti gli autori indicano qualcosa di diverso e non complementare agli altri, è chiaro che l’assenza di consenso su quali sono i fattori di cambiamento del palcoscenico non rende i modelli del ciclo di vita come parte di una teoria forte. Se prendiamo una prospettiva diversa sulla validazione empirica dei modelli di fase, tornando alle quattro fonti teoriche identificate da Levie e Lichtenstein (2010), sembrano similmente non essere testati empiricamente. Il modello di Greiner l’evoluzione e la rivoluzione è stato testato da Tushman, Newman e Romanelli (1986), che non hanno trovato alcuna prova di imprese in seguito alla sequenza di Greiner o a qualsiasi sequenza. Il modello Scott è stato riconosciuto come non affidabile nel descrivere le imprese non americane e multinazionali, confermando la validità del modello solo come immagine storica delle imprese americane. Il modello di Kazanjian, basato su Normann, è stato criticato perché riguarda solo un campione limitato (nuove tecnologie ad alta tecnologia). La quarta fonte, che Levie e Lichtenstein chiamano il ciclo di vita organizzativo, fa parte del modello costruito e testato da Miller e Friesen (1984) che non ha trovato alcuna correlazione sequenziale tra stadi e infatti non forniva sostegno alla letteratura teorica di Scott (1971) ma anche di Greiner (1972) e Adizes (1979). Birch, Haggerty e Parsons (1995) esaminarono i dati longitudinali di 10 milioni di aziende statunitensi e scartarono le somiglianze antropomorfiche nel modello dell'evoluzione delle imprese. Hanno concluso che: “le relativamente poche imprese che sopravvivono e si evolvono mostrano il proprio modello distintivo” (p.5). I modelli del ciclo di vita sono stati analizzati similmente su campioni di nuove imprese ad alta

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tecnologia e non hanno confermato la loro utilità per descrivere l’evoluzione di questi tipi di imprese. McCann (1991) ha analizzato la progressione di 100 nuove imprese ad alta tecnologia indipendenti e ha concluso che le complessità di queste imprese non sono state ben descritte da un modello deterministico di crescita. Garnsey, Stam e Heffernan (2006) hanno analizzato un campione di 93 nuove imprese ad alta tecnologia per oltre 10 anni e hanno scoperto che meno di un terzo del campione ha seguito un percorso di crescita.

1.4 UN APPROCCIO EVOLUTIVO

Alcuni autori hanno fornito degli schemi interpretativi per descrivere l’alternativa di sviluppo delle imprese ai modelli del ciclo di vita. Aldrich (1999) si riferisce alla teoria del ciclo di vita come prospettiva di “sviluppo”, cioè quando un’organizzazione si evolve pensa a sviluppare il suo potenziale. La prospettiva “evolutiva” sfida l’esistenza di fasi del ciclo di vita prevedibili e sostiene che i modelli di cambiamento organizzativo sono il risultato dell’interazione tra fattori interni ed esterni. L’approccio evolutivo considera lo sviluppo dell’organizzazione come conseguenza di alcune variazioni generate all’interno dell’organizzazione. Successivamente, vi è una selezione di alcune delle variazioni che si sono verificate, questo processo di selezione può essere interno attraverso sistemi di incentivazione e imitazione o esterno attraverso delle forze di mercato. Alcune delle variazioni selezionate vengono mantenute e duplicate attraverso meccanismi interni all’organizzazione (specializzazione, standardizzazione ecc.), o grazie a legami organizzativi, quali i movimenti dei lavoratori e l’apprendimento inter-organizzativo. Successivamente viene presentata l’alternativa degli schemi del ciclo di vita, suggeriti dai due documenti più citati nel paragrafo: Phelps, Adams & Bessant (2007) e Levie & Lichtenstein (2010). I due articoli forniscono critiche complementari sulle teorie del ciclo di vita e suggeriscono due differenti linee di base per affrontare le complessità della crescita organizzativa.

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Phelps, Adams & Bessant, 2007

Il modello di crescita suggerito identifica sei “stati” che non sono prevedibili, lineari o di sviluppo ma dipendenti dal percorso e dalla situazione dell’impresa. Il modello si basa su alcuni dei precedenti studi (Kazanjian, 1988; Greiner, 1972), i quali sono stati integrati con le nozioni dei punti critici delle imprese (Gladwell, 2000) e con le nozioni di “capacità di assorbimento” (Cohen & Levinthal, 1990), che si riferisce alla capacità dell’azienda di riconoscere la necessità di nuove conoscenze, di acquisirle e di sfruttarle. Seguendo la prospettiva evolutiva, le imprese possono incontrare sei punti critici che possono derivare da problemi di crescita interna o cambiamenti nell’ambiente. Le imprese hanno bisogno di diverse capacità e talvolta decidono di acquisirle esternamente (per esempio attraverso consulenti), ciò suggerisce che “le imprese sono in grado di acquisire, assimilare, trasformare e applicare conoscenze per raggiungere e affrontare i problemi” (Phelps et al., 2007, p. 13). Il modello, esemplificato di seguito in figura 2, è composto da quattro “stati di apprendimento” che si riferiscono all’impegno dell’impresa per ricercare e utilizzare nuove conoscenze e sono: l’ignoranza, la consapevolezza, l’acquisizione di conoscenze e l’attuazione. In questo modo la direzione è in grado di affrontare in modo trasversale “i Punti critici”, che rappresentano i problemi che l’impresa può affrontare: la gestione del personale, l’orientamento strategico, i sistemi formalizzati, le nuove entrate sul mercato, i finanziamenti e i miglioramenti operativi. Per quanto riguarda il primo problema, gli autori suggeriscono che se la direzione è in grado di sviluppare competenze quali la comunicazione, il lavoro di squadra e l’empowerment allora l’impresa è in grado di andare verso la delega e l’assunzione di professionisti e, di conseguenza, la crescita dell’impresa non inibirà la gestione delle risorse umane. Il secondo punto critico si riferisce alla necessita di implementare una strategia più articolata e pianificata. La terza problematica riguarda il processo di formalizzazione che implica il coordinamento e il controllo. Da una parte, la formalizzazione può essere vantaggiosa per l’azienda perché consente di concentrare gli sforzi e le risorse sull’innovazione e sull’efficacia, ma dall’altro lato può scoraggiare questa innovazione quando le strutture e i sistemi diventano

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troppo “ossificati” e l’impresa non è in grado di espandere il suo ambiente di riferimento. Le imprese dovrebbero essere in grado di bilanciare questi effetti opposti. In quarto luogo, l’impresa che entra in nuovi mercati dovrebbe sviluppare la consapevolezza delle esigenze dei clienti e sviluppare quindi competenze di marketing e vendite, che normalmente mancano nei primi periodi. Inoltre, l’impresa dovrebbe essere in grado di attirare finanziamenti attraverso una buona strategia commerciale e la gestione dei rischi, questo rappresenta il quinto “punto critico”. Infine, le imprese dovrebbero sviluppare le capacità che consentano all’impresa di attuare le migliori pratiche per migliorare la qualità, le operazioni e l’efficienza. Questa necessità può essere riconosciuta internamente attraverso l’osservazione delle lacune di produttività ad esempio, o derivare da pressioni esterne. Le nuove imprese trovano difficoltà nell’attuazione di tali pratiche a causa dei costi, asimmetrie informative, indecisioni o mancanza di motivazioni. Questo “modello di capacità” è considerato più pertinente per le piccole e giovani imprese. A differenza della prospettiva del ciclo di vita, questo modello non presuppone la linearità o la prevedibilità degli stati ma punta invece alla necessità di sviluppare le conoscenze giuste per affrontare le sfide specifiche dell’impresa.

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Figura 2. "Il quadro di capacità di assorbimento / ribaltamento per gli stati di crescita"

Fonte: Phelps, Robert, Richard Adams, and John Bessant, 2007, p. 14

Levie & Lichtenstein, 2010

Come indicato in precedenza, Levie e Lichtenstein hanno contestato lo schema del ciclo di vita dal punto di vista teorico, la loro analisi ha poi prodotto uno schema degli stati dinamici dell’imprenditorialità. Gli autori hanno sviluppato un modello che ritiene che le organizzazioni non si evolvano attraverso un numero preciso di fasi e che l’evoluzione delle imprese non è una conseguenza di un intrinseco programma di sviluppo “genetico”. Al contrario, si basa sulle nozioni della scienza, della complessità e sul concetto di “percezione e sfruttamento” delle opportunità. Gli autori definiscono “uno stato dinamico come una rete di credenze, relazioni, sistemi e strutture che trasformano la “percezione e lo sfruttamento” delle opportunità in un valore tangibile per i clienti di un’organizzazione, generando nuove risorse che mantengono lo stato dinamico” (p.333). Infatti, il desiderio e l’aspirazione dell’imprenditore lo rendono disposto a sostenere

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