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CINEMA E PITTURA: PASSION

2.3 La pittura nella storia del cinema

2.3.2 Cinema d'avanguardia

Negli anni del cinema muto vi erano anche altre esperienze mutuate dallo sperimentalismo delle avanguardie cinematografiche, dove l'utilizzo del pittorico non era dovuto tanto all'uso di immagini già esistenti nella storia dell'arte, ma piuttosto all'intervento diretto degli artisti, i quali videro nel mezzo cinematografico una via di fuga dalle arti tradizionali e dalle sue ideologie. L'unità del cinema d'avanguardia si basa sul rifiuto esplicito del cinema ufficiale mediante un processo di negazione del cinema-merce, della narratività convertita in puro prodotto industriale, per abbracciare la ricerca di un cinema “puro”, ossia la forma essenziale del cinema stesso. Le

avanguardie artistiche del primo Novecento vivono in una costante tensione tra la spinta a superare l'arte e la necessità di elaborare un lessico capace di essere chiaro e comprensibile verso le condizioni di vita che, in quell'epoca, erano in continuo mutamento. L'obiettivo principale degli artisti-cineasti delle avanguardie storiche è il superamento dell'arte e il cinema è il mezzo con il quale il suo raggiungimento è più immediato, in quanto strumento moderno e “privo” di arte. Difatti molte volte l'interesse dei pittori verso il mezzo cinematografico era dovuto all'assenza di un valore artistico del cinema in quel determinato periodo storico in concomitanza con l'assenza di una storia e di una tradizione; caratteristiche che sono invece intrinseche nelle altre arti. In questo contesto emergono per primi gli artisti surrealisti e futuristi, i quali sperimentarono le arti figurative delle loro correnti con il mezzo cinematografico, facendo spiccare inquadrature intrinseche delle caratteristiche e dell'estetica propria di tali correnti.

Verranno ora presi in analisi i movimenti primari delle avanguardie storiche nel tentativo di dare un quadro generale, ma allo stesso tempo significativo, di ogni corrente cinematografica. Si tratta di uno scenario che appare sfaccettato e per tale motivo deve essere osservato nel suo complesso; difatti in questo contesto le singole opere e i singoli autori citati verranno inseriti in un discorso ampio sull'arte in generale e sul cinema in particolare.

2.3.3 Futurismo

Il Manifesto del cinema futurista, firmato da Marinetti, Corra, Settimelli, Ginna, Balla e Chiti, appare nel 1916, relativamente tardi rispetto alla pubblicazione degli altri manifesti, che si aggirano intorno agli anni dieci del Novecento. Prima della pubblicazione del Manifesto, Ginna e Corra con le loro sperimentazioni di cinema astratto (“musica cromatica”) e Aldo Molinari con Mondo baldoria (1914) possono essere definiti gli anticipatori del cinema d'avanguardia degli anni Venti.

L'apporto di Arnaldo Ginna e Bruno Corra (nomi d'arte suggeriti da Giacomo Balla dei fratelli Arnaldo e Bruno Corra) al tema del cinema e della pittura è legato essenzialmente alla tecnica; i due artisti approfondiscono le ricerche sui rapporti tra

musica e colore utilizzando la tecnica della coloritura diretta della pellicola da cui è stata tolta l'emulsione. Purtroppo delle loro sperimentazioni non vi sono copie a noi pervenute, ma da un loro testo del 1912 (Il pastore, il gregge e la zampogna) si è venuti a conoscenza che furono quattro i film (“cinepitture”) prodotti nel 1911 con la tecnica della coloritura. Il primo, Accordo di colore, viene descritto dai due fratelli come: «lo svolgimento tematico di un accordo di colore tolto da un quadro di Segantini – quello in cui si vedono delle case in fondo e, sul davanti, una donna coricata in un prato –, l'erba del prato tutta commista di fiorellini, è resa, per mezzo del complementarismo, con un brulicare svariato di colori, il prato è vivo, vibra tutto, sembra coperto da una esaltazione di armonia, vi si vede la forza creatrice della Primavera materiata in un febbrile zampillo di luci –, questo accordo cromatico ci impressionò e lo svolgemmo integralmente in centottanta metri di film»99. Si intuisce che la pellicola del film era

stata realizzata con la sovrapposizione di puntini di colore, tecnica che riprende le caratteristiche principali della pittura puntinista e di quella del suo esponente principale Segantini. Il secondo film «è uno studio di effetti tra quattro colori a due a due complementari, rosso, verde, azzurro e giallo»100. Il terzo, composto sempre con la

medesima tecnica «è una traduzione e riduzione del Canto di Primavera di Mendelssohn intrecciato con un tema preso da un Valzer di Chopin»101. Infine, il quarto

viene presentato come «una traduzione di colori della famosa e meravigliosa poesia di Stéphane Mallarmé intitolata Les Fleures»102.

Con le loro cinepitture, Ginna e Corra gettano le premesse per quelle ricerche dell'avanguardia storica che si svilupparono nel corso degli anni Venti e Trenta con risultati di grande significato tecnico-espressivo.

Ginna, con Corra, Balla, e Marinetti, nel 1916 realizzarò Vita futurista, purtroppo anch'esso andato in parte perduto. Il film, girato in un caffè a Firenze, vede come attori gli stessi protagonisti del Futurismo che si divertono a importunare la clientela. Ma in questo caso, nonostante sia il film futurista più conosciuto, il mezzo filmico viene utilizzato sopratutto per documentare una rivoluzione da attuare nella concretezza della

99 Il testo dei fratelli Ginna e Corra è riprodotto in Verdone Mario (a cura di), Manifesti futuristi e scritti

teorici di Arnaldo Ginna e Bruno Corra, Longo, Ravenna 1984, pp.162-163.

100 Ivi. 101 Ivi. 102 Ivi.

vita quotidiana.

Altra pellicola significativa e pervenuta ai giorni nostri è Thaïs (1917) di Anton Giulio Bragaglia, che appare di fondamentale importanza per le magnifiche scenografie ad opera del pittore Prampolini, che segnano e anticipano quelle scenografie tipiche del cinema espressionista tedesco. Si tratta di scenografie composte da forme geometriche realizzate con forti contrasti di bianco e nero che creano un'illusione sullo spazio. Ma l'integrazione del pittorico nel filmico si rivela ancora debole, le scenografie e il corpo dell'attrice restano semplicemente accostati, a differenza di Das Cabinet des Dr.

Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1919), film che analizzeremo in seguito, dove

vi è un intervento sulla scenografia, sul corpo dell'attore stesso e sulla sua gestualità. In conclusione, come afferma Rondolino nel suo testo sulla storia del cinema: In altre parole sia Bragaglia sia Ginna e i suoi amici fiorentini utilizzavano ancora il cinema come un mezzo di riproduzione fotografica in movimento di una realtà precostituita; il loro interesse precipuo era rivolto a questa realtà piuttosto che alla nuova realtà che poteva scaturire dal mezzo espressivo correttamente e originalmente impiegato. Da mezzo di riproduzione il loro cinema non era ancora giunto al livello di mezzo di produzione.103

2.3.4 Dadaismo

Anche all'interno della corrente dadaista, gli artisti utilizzarono il mezzo cinematografico nel tentativo di realizzare i punti di un programma che si può racchiudere in questi due slogan di Tristan Tzara, fondatore del Dadaismo insieme a Hugo Ball: «C’è un grande lavoro distruttivo, negativo da compiere» e «L’arte non è una cosa seria, dico sul serio»104. Il Dadaismo sviluppò una poetica basata sul caso e

parallelamente sull'idea di opera globale, cioè sul superamento di ogni tecnica artistica per un nuovo rapporto tra arte e vita. Gli artisti dada si avvicinarono al cinema in quanto esso risultava il mezzo più efficace per sviluppare quella poetica del caso che si basava

103 Rondolino Gianni, Storia del cinema (vol. 1), Utet, Torino 1997, p.158.

104 Tzara Tristan, Sept manifestes Dada, Lampisteries, Pauvert, Paris 1963; trad. it. Manifesti del

dadaismo e Lampisterie, Torino 1975; qui citati in Costa Antonio, Il cinema e le arti visive, Einaudi,

sull'uso incondizionato di qualsiasi tecnica e sul reimpiego di oggetti di uso comune in diversi contesti ambientali; allo stesso modo il cinema consentiva l'integrazione di diversi linguaggi espressivi e il superamento dei linguaggi artistici tradizionali.

Per quanto concerne il cinema legato alla corrente dada, il film più significativo è

Retour à la raison (1923) di Man Ray, dove l'artista non impressiona immagini

attraverso la cinepresa, ma attraverso il “contatto” di oggetti con caratteristiche comuni ed infine espone la pellicola alla luce. L'oggetto viene impressionato nella pellicola per poi apparire su sfondo nero. La tecnica riprende quella dei rayogrammi che Man Ray già utilizzava in fotografia. Il film può essere associato alla tecnica dell'assemblaggio, come un ready-made, procedimento tipico del movimento dadaista, in quanto vi si uniscono elementi casuali (spilli, pepe, sale) con altri che appaiono invece raffinati e ricercati (l'ornamento di una tenda sul corpo nudo di una modella). Inoltre, gli strappi reali della pellicola createsi durante la proiezione del film possono essere ricondotti agli strappi del tessuto narrativo dello stesso.

Molti considerano come manifesto del cinema dada Entr'acte (1924), diretto da René Clair e scritto dal pittore Francis Picabia. Nel film appaiono numerosi artisti legati alla corrente, come ad esempio Man Ray, Marcel Duchamp ed Erik Satie, che ne curerà le musiche. La pellicola venne presentata in una delle numerose serate della corrente dadaista al Théâtre des Champs Elysées nel dicembre del 1924, dove l'accoglienza risultò fin da subito positiva. Il film era stato concepito per essere proiettato come prologo o durante l'intervallo di uno spettacolo del balletto di Rolf de Maré e ciò ne spiega il titolo, che per l'appunto in francese significa proprio “intervallo”. Nella prima parte si possono vedere Picabia e Satie che, dopo aver caricato un cannone, sparano in direzione dello spettatore; successivamente appaiono Marcel Duchamp e Man Ray intenti nel gioco degli scacchi per poi, con l'utilizzo della tecnica della dissolvenza incrociata, veder apparire nella scacchiera Place de la Concorde, in un gioco di relazione tra oggetti e spazi urbani. Dopo una serie di episodi esilaranti, appare Börlin vestito da cacciatore tirolese che colpisce, con un fucile, un uovo che è sospeso grazie ad un getto d'acqua; da questa sequenza esce poco dopo un piccione che si posa sul suo cappello. L'immagine di Börlin si sdoppia, ma appare Picabia che a sua volta gli spara, uccidendolo. Al suo funerale, grottesco ed esilarante, durante il corteo funebre accade

un incidente che fa “scappare” la bara, che alla fine si apre e ne esce Börlin, vivo, che farà scomparire tutti i presenti tramite una magia. Appare la scritta Fin, lo schermo si lacera e ricompare Picabia; dopo un vero intervallo lo spettacolo riprende con scritte pubblicitarie e a colori. Entr'acte richiama l'idea dada che l'arte debba essere libera e il cinema è il mezzo per superare il valore estetico e le barriere tra arte e vita. Ma c'è un forte richiamo anche al cinema primitivo, in particolare a quello di Méliès, ai suoi trucchi e alla sua spettacolarizzazione filmica.

Anémic cinéma (1926) di Marcel Duchamp è anch'esso uno dei film, che può

essere ricondotto all'obiettivo dada di superamento del concetto di arte. Duchamp, padre dell'arte contemporanea, aveva già realizzato nelle due versioni del 1911 e 1912 il film

Nu descendant un escalier, con l'utilizzo delle cronofotografie di Etienne Marey, ovvero

una sequenza di fotografie di un corpo in movimento. «Le aveva utilizzate, secondo un principio fondamentale della sua poetica, come una sorta di proiezione nella dimensione della pittura di un fenomeno (il movimento che si sviluppa nella quarta dimensione, il tempo, considerata letteralmente “invisibile”)»105. In Anémic cinéma vediamo nove

dischi rotanti con spirali alternati a nove dischi con scritte tracciate, fatte in modo tale che si possano creare altre spirali; esse furono realizzate in precedenza come oggetti in movimento e in seguito trasferite su pellicola cinematografica con l'obiettivo di ricercare un'illusione tra la profondità-rilievo data dalle spirali e l'effetto superficie dato dalle scritte. L'intento di superare la pittura e l'arte da parte di Duchamp è reso possibile grazie alla macchina cinematografica, che unisce il movimento circolare dell'apparecchio con la profondità che si appiattisce in superficie e viceversa.

2.3.5 Surrealismo

Il cinema surrealista nasce dalle ceneri del cinema dada e fin dall'inizio fu caratterizzato da una predilezione per l'arte figurativa in opposizione alla musica e al cinema astratto. La tradizione cinematografica surrealista pone particolare attenzione a quei caratteri tipici del cinema popolare e di consumo, come l'erotismo o il

105 Haas (de) Patrick, Cinéma intégral. De la peinture au cinéma dans les années vingt, Transédition, Paris 1985; qui citato in Costa Antonio, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino 2002, p.174.

meraviglioso, e ai generi legati ai serials con la mitizzazione dei relativi protagonisti106.

«L'idea stessa di cinema diventa per gli artisti quasi più importante dei film surrealisti stessi, proprio per le analogie che individua tra le configurazioni filmiche e quelle oniriche e tra le associazioni libere […] e le tecniche del montaggio cinematografico»107. L'incontro tra il cinema e la corrente surrealista appare come una

necessità reciproca nata per chiarire le proprie identità. Gli autori surrealisti privilegiavano i contenuti e le immagini diventano puro supporto di un messaggio antiborghese, anarchico, anticlericale oppure diventano addirittura esaltazione dell'individualismo, dell'amore o della morte.

Tra le prime produzioni surrealiste troviamo La coquille et le clergyman (1927) di Germaine Dulac, un film che richiama le associazioni inconsce di un universo visionario, privo di regole e di consequenzialità. Ma sono Un chien andalou (Un cane

andaluso, 1929) e L'âge d'or (1930) di Luis Buñuel e Salvador Dalí, in cui si trovano le

principali peculiarità della corrente. Nei due film non si trova tanto la pittura, ma semmai soluzioni cinematografiche di procedimenti teorici redatti in sede pittorica, come il Manifesto del Surrealismo di André Breton, o metodi per la costruzione della forma pittorica, come il metodo teorizzato da Dalí della paranoia critica.

La sequenza iniziale di Un chien andalou si apre con l'immagine di un uomo che guarda la luna velata da una nuvola; in quella successiva appare la stessa nuvola che «taglia» in due il tondo della luna, subito dopo appare un rasoio tenuto in mano dall'uomo della scena iniziale che, con lo stesso, “taglia” l'occhio di una donna. Queste due scene sono racchiuse tra due frasi temporali che le accompagnano: “C'era una volta” e “Otto anni dopo”. Due frasi che sono tipiche dei canoni del cinema narrativo, ma che appaiono invece più affini alla pittura di Dalí o di Magritte, i quali, pur organizzando prospetticamente lo spazio e lavorando in modo accademico, sono in grado di far emergere incongruenze e accostamenti, creando shock e spaesamento nello spettatore. In questo caso è il montaggio che viene utilizzato per creare incongruenze tra

106 Il serial nasce nel 1908 in Francia con il personaggio di Nick Carter di V. Jasset per raggiungere il successo nel 1923 con Fantômas; l'obiettivo era quello di costruire e fidelizzare il pubblico del cinema e allo stesso tempo di raggiungere una forma più distesa di narrazione basata sulla suspance e sulla presenza di enigmi. Il divismo legato agli attori cinematografici si affermò negli anni dieci grazie al legame tra cinema e mass media (giornali, riviste, radio, rotocalchi).

le scene, mentre, per definizione teorica, la funzione predominante è quella di creare una comprensione grazie alla vicinanza di varie sequenze. A questo proposito, Antonio Costa osserva:

Ecco evidenziata quindi l'analogia del procedimento compositivo, nel rispetto delle procedure specifiche delle due arti: la pittura realizza l'incongruità e lo shock dell'accostamento agendo essenzialmente su una sintassi spaziale (simultaneità), mentre il cinema realizza lo stesso effetto agendo su una sintassi basata sulla messa in successione.108

Infatti, il libero accostamento di immagini prese da contesti diversi ed unite secondo i percorsi suggeriti dall'inconscio e senza alcun controllo logico-razionale, è accomunato al deliberato proposito di colpire lo spettatore e di aprire un nuovo tipo di percezione estetica. Il procedimento pittorico e quello cinematografo in questo film emergono senza che l'uno prenda il sopravvento sull'altro.

È però con L'âge d'or che gli artisti surrealisti iniziano a considerare Buñuel come il regista che è stato in grado di rappresentare la corrente surrealista in modo totale. Rispetto all'opera precedente, L'âge d'or è una storia, composta da varie scene collegate tra loro, di due giovani innamorati che sono però ostacolati da varie Istituzioni. I temi del film sono quelli tipici del movimento: l'attacco alle istituzioni borghesi, quali la Chiesa, l'Esercito, lo Stato, la famiglia, che rifiutano l'affermazione dell'individuo e della sua natura, ad esempio le pulsioni sessuali. Dal punto di vista estetico, l'opera è un fiorire continuo di invenzioni stilistiche di natura pittorica, come le scene voyeuristiche tipiche di Dalí, ad esempio quella che mostra la giovane coppia infilarsi le dita in bocca l'uno all'altra per vederle poco dopo mutilate.