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CINEMA E PITTURA: PASSION

2.3 La pittura nella storia del cinema

2.3.1 Cinema muto

Fin dagli albori, l'iconografia pittorica della storia dell'arte è intervenuta nel mezzo cinematografico con irruenza. Il cinema delle origini aveva, tra i vari problemi da contrastare, la necessità di risolvere difficoltà di tipo visivo e fu la pittura il principale mezzo di supporto alla risoluzione. La produzione cinematografica ha fin da subito ripreso la pittura del passato sia per trasmettere citazioni figurative, sia per ricorrere a soluzioni compositive e luministiche che derivano da opere celebri. Si iniziò così ad adottare elementi delle altre arti per potenziare il proprio spessore artistico, soprattutto nei primi anni di vita del cinematografo, quando la sua autonomia artistica ed espressiva era ancora di dubbia rilevanza.

Apriamo questo macro-tema sul cinema e la pittura dalle origini più remote del mezzo partendo dall'ideatore dello spettacolo cinematografico: Louis Lumière. I suoi primi spettacoli erano basati su pure riproduzioni della realtà fenomenica e della vita

90 Costa Antonio, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino 2002, p.6.

91 Per maggiori approfondimenti si consiglia: Perniola Mario, L'alienazione artistica, Mursia, Milano 1971, pp.191-266.

quotidiana; come l'uscita degli operai dalla fabbrica, l'arrivo di un treno in stazione o lo scorrere delle persone tra le vie di Parigi.

Lo stesso Godard, nel 1966, nel discorso per l'inaugurazione della retrospettiva Lumière ideata da Henri Langlois affermò:

Quello che interessava a Méliès era l'ordinario nello straordinario, a Lumière invece interessava lo straordinario nell'ordinario. Louis Lumière, passando per gli impressionisti, era quindi un discendente di Flaubert, ed anche di Stendhal, avendone portato lo specchio lungo le strade. Capite ora perché questo grande inventore rifiutasse di parlare di avvenire. Perché il cinema era anzitutto arte del presente, e perché in seguito sarebbe divenuto ciò che avvicina la vita all'arte93.

Questa affermazione emerge anche nell'anno successivo nel film dello stesso Godard La Chinoise, nel quale è lo stesso personaggio interpretato da Jean-Pierre Léaud che esplica: «Lumière era un “pittore”, l'ultimo pittore impressionista, un contemporaneo di Proust»94. In realtà la frase risulta molto più complessa di quanto

possa essere percepita inizialmente. Essa non intende affermare che con l'impressionismo si abbia la fine della pittura nello stesso momento in cui il cinema prende vita, ma pone l'attenzione su Lumière che con la nascita del cinema ha decretato la fine del legame tra la rappresentazione realistica e la pittura per raccoglierla definitivamente in eredità. Vi si afferma quindi una continuità temporale tra le due arti, una riconsiderazione globale del comune “destino visivo” della pittura e del cinema, un destino che Godard ha sempre affermato anche attraverso le sue opere cinematografiche, dove l'immagine riveste molto spesso il ruolo di protagonista pur mantenendo un legame con la parola95.

Di tutt'altro pensiero è Jacques Aumount96, il quale ritiene invece che nel cinema e

nelle riprese di Louis Lumière, a prescindere che potesse conoscere o meno i pittori impressionisti a lui contemporanei, non vi è nessun richiamo di temi, composizioni e soggetti pittorici degli impressionisti. Ogni possibile citazione, conclude, è attribuibile

93 Godard Jean-Luc, Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande, Minimum Fax, Roma 2007, p.95.

94 Citato in Aumont Jacques, L'occhio interminabile. Cinema e pittura, Marsilio, Venezia 1998, p.7. 95 Tale concetto viene espresso da Angelo Moscariello, Cinema e pittura. Dall’effetto-cinema nell’arte

figurativa alla “cinepittura digitale”, Progedit, Bari 2011, pp. 11-12.

96 Aumount tratta di queste affermazioni di Godard in: L'occhio interminabile. Cinema e pittura, Marsilio, Venezia 1998, pp.7-9.

esclusivamente ad una eredità figurativa e l'unico nesso tra immagini pittoriche e la filmografia Lumière sono riscontrabili su temi di carattere generale e quasi sempre banale: le vedute Lumière si avvicinano più a vedute da cartolina che a veri e propri quadri e non vi sono caratteristiche tipicamente artistiche.

Durante il periodo del muto, si tratta di un arco di tempo che va dal cinematografo dei Lumière (1895) fino al 1927, anno che segna la nascita del sonoro con il film The

Jazz Singer (Il cantante di jazz), l'immagine fotografica in bianco e nero97 suggeriva un

raffronto tra cinema e incisione. Questa concetto viene espresso nel testo di Bruno Rehlinger del 193898, nel quale egli traccia diversi tentativi di associazione tra film e

incisione o film e grafismo ritenendo che, nonostante sia cosciente delle differenze essenziali, l'esito di questa associazione non riguardi tanto il piano tecnico, quanto invece quello estetico; il film difatti allude alla sfera spirituale mentre l'incisione ne rappresenta la scrittura.

Ma l'argomentazione che più ci interessa trattare all'interno del legame tra cinema e arte negli anni del muto è il rapporto tra le fonti iconografiche e la ricostruzione narrativo-spettacolare delle vicende filmiche, che è riconducibile nel film di carattere storico e nel kolossal storico-religioso. In Italia le produzioni storiche furono assai limitate, da ricordare vi sono Quo vadis? (1913) di Enrico Guazzoni e Gli ultimi giorni

di Pompei (1913) di Eleuterio Rodolfi. Per entrambi i film, ambientati nell'epoca

romana, i registi assumono come modello iconografico per le scenografie, le architetture, i costumi e per le acconciature, la pittura che va dal neoclassicismo fino all'Ottocento; nessun richiamo invece alla iconografia romana, che sarebbe stata quella più adatta nei confronti della storicità delle vicende. Il 1914 fu l'anno del successo internazionale del film di Giovanni Pastrone, Cabiria. Il celebre kolossal, che vide la partecipazione di Gabriele D'Annunzio per le didascalie, è stato forse l'unico film storico del cinema muto italiano, per il quale la raccolta di una immensa documentazione iconografica è servita solamente all'autore per trasfigurare e scremare le immagini più che per utilizzarle come fonti artistiche e storiche. Queste fonti vennero

97 Il Technicolor in tricromia fu lanciato nel 1932 con il cartone animato Flow-ers and trees, che inaugurava la serie delle Silly Sympho-nies di Walt Disney.

98 Qui citato in Aumont Jacques, L'occhio interminabile. Cinema e pittura, Marsilio, Venezia 1998, p.112.

mescolate alle scenografie e agli allestimenti, che invece appartenevano al teatro d'opera, in modo ostentato creando nel pubblico un forte senso di attrazione e stupore verso questo nuovo modo di messa in scena.

Per la messa in scena di film di carattere storico-religioso, fu cospicuo il numero di registi che richiamarono opere pittoriche di artisti rinascimentali, nel tentativo di dare al proprio lavoro un carattere artisticamente elevato. Tuttavia sono pochi i risultati eccellenti a causa degli stessi autori che non furono in grado di dare rilievo espressivo alle infinite possibilità offerte dalla pittura. Tra i più noti vi è Cecil Blount de Mille che, con il suo senso plastico e il gusto di una messa inquadro artisticamente estesa ha fatto spesso uso di citazioni pittoriche. Per esempio, La crocifissione del Tintoretto appare in

The King of Kings (Il Re dei Re, 1927) e diviene immagine ispiratrice per

un'inquadratura dell'analoga sequenza della crocifissione tratta dal film. Ma se per il Tintoretto le figure si fondono organicamente nella scena, nell'inquadratura di De Mille esse si degradano e si sgranano. Per i registi del cinema storico-religioso, quindi, risultava del tutto naturale ricorrere ai pittori come Piero della Francesca, Leonardo o Paolo Uccello per studiare i tagli delle scene; a Mantegna, Tintoretto e a Tiepolo per gli scorci; a Giotto, Masaccio, Caravaggio e Magnasco per lo studio di atmosfere drammatiche. La raffigurazione pittorica ha influenzato anche il modo di recitare e di atteggiarsi degli attori, i quali traevano ispirazione dalle opere pittoriche per riprodurre le posture ed interpretare al meglio film ambientati in epoche passate.