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Qualità dell'assistenza domiciliare agli anziani. Esperienze a confronto

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea in Sociologia e Politiche Sociali

Titolo Tesi

Qualità dell’assistenza domiciliare agli anziani.

Esperienze a confronto

Candidata:

Relatrice:

Maria Luisa Galli

Chiar.ma Prof.ssa Rita Biancheri

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INDICE

INTRODUZIONE 2

PRIMA PARTE

CAPITOLO 1 INVECCHIAMENTO E SALUTE UN PROBLEMA ATTUALE 5

1.1 L’invecchiamento della popolazione: dall’alto e dal basso 9

1.2 Quale salute per una buona vecchiaia? 13

1.3 La figura del caregiver: difficoltà e risorse 15

1.4 Una fotografia del territorio versiliese 21

CAPITOLO 2 LE POLITICHE PER LA NON AUTOSUFFICIENZA:

IL MODELLO SOCIO-SANITARIO TOSCANO 27

2.1 I principi fondamentali 31

2.2 Normativa di riferimento sul tema 34

2.2.1 L’istituzione del fondo per la non autosufficienza 38

2.3 Una mappatura regionale dei progetti per la non autosufficienza 40 2.4 Il sistema territoriale dei servizi per la non autosufficienza in Versilia 46 2.5 Caratteristiche e finalità dei servizi in Urgenza: S.AD.U., R.I.T.U., C.D.U. 51

SECONDA PARTE

CAPITOLO 3 LA FUNZIONALITA' DEI SERVIZI: UNO STUDIO EMPIRICO 56 3.1 Strumenti e obiettivi: un’indagine sulla qualità percepita nel servizio

domiciliare in urgenza

60

3.2

Il caso studio: il Servizio di Assistenza Domiciliare in Urgenza (S.A.D.U.) 63

3.3 Le fasi operative della ricerca 67

3.4 Analisi e risultati 69

3.4.1 Analisi dei dati quantitativi 93

3.4.2 Esperienze e spunti di riflessione nelle narrazioni dei caregivers 98

CONCLUSIONI 103

APPENDICE 106

BIBLIOGRAFIA 117

(3)

INTRODUZIONE

L’anno 1999 è stato designato dalle Nazioni Unite “Anno Internazionale delle Perso-ne AnziaPerso-ne”, riconoscendo e confermando come il progressivo invecchiamento della popolazione, rappresenti una delle priorità di lungo periodo del 21° secolo. Arrivare a 65 anni ed avere almeno altre due decadi di vita davanti, sta diventando una pro-spettiva alla portata della maggioranza degli individui a livello globale. Stiamo quin-di vivendo un passaggio unico nella storia dell’umanità verso una società matura, in cui il numero degli over 65 sarà maggiore di quello degli under 25. (http://osservatoriosenior.it).

Tale consistente prolungamento della vita costituisce un “trionfo” e una “sfida” per la società (OMS, 2002). Infatti, l’aumento dell’aspettativa di vita, legata al migliora-mento delle condizioni sociali e ai progressi sanitari, rispetto alle generazioni prece-denti, genera nuovi quesiti collettivi. Non sempre l’aumento dell’età corrisponde ad una qualità di vita migliore; l’insorgere delle patologie cronico-degenerative legate all’invecchiamento possono incidere pesantemente sull’esistenza delle persone e de-terminare una crescita dei bisogni socio-sanitari. Vivere a lungo in condizioni di buona salute è quindi un obiettivo che, là dove presente un sistema di welfare, è tipi-camente tanto individuale, quanto politico e sociale. I «nuovi stati di bisogno non so-no più aleatori: essi cioè colpiscoso-no inevitabilmente e si protraggoso-no a lungo nel tempo...reclamano sempre più interventi (e soprattutto servizi) mirati e individualiz-zati» (Paci, 2005, p. 76). La non autosufficienza implica l’esigenza di sostenere, potenziare e personalizzare gli interventi necessari a portare un aiuto concreto sia alla persona sia ai familiari che se ne prendono cura.

Nel “modello italiano” sono tradizionalmente due le risposte alla non autosufficien-za degli anziani: la prima è quella della “domiciliarità” che mantiene il ruolo centrale della famiglia sostenuta da interventi pubblici; la seconda è quella della residenziali-tà, scelta meno auspicata nell’interesse dell’individuo anziano, poiché la casa è il luogo dove ha vissuto tutta la vita.

Il modello italiano risulta quindi incardinato sulla esternalizzazione del servizio di cura tramite la figura della ‘badante’, che permette di mantenere l’individuo nel pro-prio ambiente di vita e consente alla famiglia di conciliare il tempo tra attività lavora-tive con quelle dell’assistenza. Le persone disposte a svolgere questo tipo di lavoro, a

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Su questo fenomeno anche la public policies della Regione Toscana, ha impiegato risorse per realizzare progetti finalizzati a regolarizzare il lavoro di cura sommerso svolto dalle badanti, tramite contributi economici alle famiglie che ricorrono a questo tipo di servizio.

Il tema della senescenza può essere osservato da più angolature, ma questo elabora-to intende collocare la materia all’interno di una prospettiva ampia del concetelabora-to di sa-lute (stato di benessere fisico, mentale e sociale) in cui il mantenimento di autonomia e indipendenza per le persone anziane è un obiettivo irrinunciabile nel quadro politi-co per l'invecchiamento attivo.

Questa tesi è strutturata in due parti: la prima inquadra le problematiche generali riguardanti il concetto di vecchiaia. In particolare per quanto riguarda la prima parte si analizzano i fattori dell’invecchiamento demografico della popolazione, conside-rando sia le forze endogene, come la diminuita fecondità che riduce il peso delle ge-nerazioni più giovani e la longevità che allunga la vita media, sia le forze esogene rappresentate dai flussi migratori, soffermandomi sulla ricongiunzione familiare. Successivamente, si analizza la tematica della “salute” in un’ottica bio-psico-sociale, individuando le principali abitudini che influenzano negativamente lo stato di benes-sere. Quindi, si descrivono le politiche che, attraverso specifici progetti, aiutano a vi-vere in buona salute, in modo da ritardare l’insorgere di patologie invalidanti, ridu-cendo i costi del sistema sanitario.

Dallo studio sugli anziani emerge l’importanza della figura del caregiver e l’interdipendenza tra la salute degli anziani e il benessere dei caregivers che offrono loro assistenza. Infine, il primo capitolo riporta una fotografa della distribuzione del-la popodel-lazione anziana divisa per fasce di età (anziani e grandi anziani) in Toscana e in Versilia.

Nel secondo capitolo, viene affrontato il complesso tema della non autosufficienza, e si delinea l’organizzazione ed articolazione dei servizi/progetti presenti sul territorio dell’ex-ASL 12 di Viareggio, nell’anno 2016.

Nella seconda parte, si analizza il lavoro di ricerca sulla qualità percepita dagli utenti in relazione all’intervento di Assistenza Domiciliare in Urgenza (S.A.D.U.). La finalità dello studio è quella di verificare se le strategie attuate dagli organi

politi-ci del territorio versiliese siano riuspoliti-cite ad aiutare o a risolvere le problematiche ri-guardanti la non autosufficienza in situazioni di urgenza, supportando adeguatamente le famiglie in momenti di grande criticità. Pertanto, la ricerca cerca di valutare

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l’efficacia e l’efficienza del servizio di assistenza domiciliare in urgenza, confron-tando i risultati dell’indagine effettuata nel 2014 con quella svolta nel 2016.

Per questa analisi, viene utilizzato un questionario tipo semi-strutturato e proposto tramite l’utilizzo del telefono, durante il mese di febbraio 2017.

Le interviste sono state rivolte ai caregivers che avevano usufruito del servizio per i loro cari, in stato di bisogno. Le fasi successive hanno contemplato la raccolta delle risposte, l’analisi delle stesse e la codifica dei dati. Quindi, vengono riportati i risul-tati emersi. Si potrà così, attraverso il campione preso in esame, verificare se l’attuale articolazione del modello aziendale risponde alle esigenze dei cittadini versiliesi e proporre, nelle conclusioni, le eventuali osservazioni e criticità da presentare ai diri-genti locali. Questo come strumento utile alla conoscenza della situazione in cui vi-vono le famiglie con a carico soggetti che necessitano di assistenza continua, in mo-do tale che essi possano rivedere la progettualità del servizio, integranmo-dolo con i sug-gerimenti proposti, al fine di raggiungere una completa soddisfazione ai bisogni ma-nifestati.

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CAPITOLO I

INVECCHIAMENTO E SALUTE UN PROBLEMA ATTUALE

Il fenomeno dell’invecchiamento è universale, riguarda tutte le donne e tutti gli uomini in quanto esseri umani e si manifesta combinandosi con le caratteristiche sociali, sessuali, etniche e culturali. E’ quindi un processo inevitabile (non possiamo non invecchiare), che investe ogni aspetto dell’esistenza dell’essere umano: trascurarne l'influenza sul corso di vita significa ignorare i cambiamenti dovuti al trascorrere del tempo e dell’età.

L’ageing è un processo che riguarda tutto il ciclo di vita, dalla nascita alla morte, sebbene è durante la vecchiaia che assume una forma più visibile rispetto alle età precedenti. Infatti, con il raggiungimento di 65anni la società chiede all’individuo di avere un ruolo diverso rispetto a quello che ha vissuto fino a quel momento e di adattarsi ai cambiamenti che ne derivano, ridefinendo la propria identità. Oltre a cessare alcuni comportamenti abituali, dismettere alcune competenze, modificare alcuni atteggiamenti, sarà costretto ad apprendere nuovi contenuti e modi di agire derivati da regole formali e giuridiche stabilite dalla società per gli anziani. L’adulto maturo dovrà quindi iniziare una fase di addestramento che s’inserisce nell’attesa di una socializzazione che non termina mai (Dubar, 2004, p.120); oltre alla costatazione che la vecchiaia è l’ultima transizione della vita, quella che non richiede uno sguardo all’età successiva, ma una riflessione su quella precedente (Licursi, 2013).

Il processo di invecchiamento si determina attraverso il passaggio di alcune tappe importanti che implicano un cambiamento dello status come: l’uscita dal mercato del lavoro, la partenza dell’ultimo figlio dalla casa d’origine (il nido vuoto), la nascita del primo nipote, la perdita del coniuge ed infine il peggioramento della condizione di salute (Golini, Rosina, 2011; Vezzuto, 2013; Mascagni, 2015). Questi eventi si combinano con variabili di natura sociale, fattori biologici e psicologici, determinando il cambiamento di status: la vecchiaia appunto.

La società disegna i diversi modi di invecchiare, anche attraverso differenze di genere. E’ riconosciuto che per la donna l’andare in pensione non rappresenti, per una molteplicità di fattori, quella rottura traumatica che pare essere per l’uomo e venga accettato, pertanto, in modo più sereno. Le ragioni di questa diversità di

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atteggiamento possono facilmente essere comprese se si pone attenzione al diverso ruolo che l’uomo e la donna giocano all’interno del sistema produttivo e come, per la donna, il peso del lavoro extradomestico, si è intrecciato e sovrapposto ai compiti che tradizionalmente le erano stati attribuiti all’interno della famiglia e della casa. La donna anziana di oggi è quindi più abituata ad affrontare le situazioni della vita, giocando più ruoli, dentro e fuori del suo ambiente domestico. Ciò ha indubbiamente posto la donna in una situazione più protetta: anche se spesso è il risultato di un percorso di vita più intenso e faticoso, aver mantenuto attività, reti e impegni su vari fronti, le permette di ritrovare con molta più facilità un “suo” ruolo al momento del pensionamento (Dentizzi, Gatteschi, 1986).

Un altro elemento rilevante in termini di differenza di genere che questa volta gioca a vantaggio degli uomini, è legato alle risorse economiche: l’indagine Inps e Istat 2012 riscontrano come gli uomini abbiano a disposizione pensioni mediamente più “ricche”.

Un’altra divergenza si rileva nel modo di affrontare e vivere la vecchiaia e deriva dal livello d’istruzione. Sempre i dati Istat, rilevano nel 2012, che le donne over 65 sono meno istruite degli uomini, questo determina una diversa capacità di leggere la realtà con i cambiamenti che questa produce, come ad esempio, nel mondo tecnologico e informatico (Licursi, p. 31).

L’individuo, col passare degli anni, non deve soltanto modificare il proprio ruolo nella società, ma deve trasformare il proprio essere. Infatti, le tappe evolutive che scandiscono il divenire dell’identità della persona non sono più nettamente e rigida-mente articolate nella successione crescita-maturità-declino, bensì in un’organizzazione flessibile di fasi o stadi e ognuna di queste è caratterizzata da momenti di crescita e di declino. Questi stadi sono intesi come processi congiunti e lo sviluppo psico-sociale è determinato da fattori individuali, familiari e ambientali ed è definito dalle diverse condizioni di vita storico sociale e culturale, come indica

Bonino (2001), riprendendo il precedente studio di Baltes e Reese del 1986. Da qui deriva l’esistenza di un approccio interdisciplinare di ricerca che definisce il

processo di invecchiamento utilizzando termini quali arco di vita, corso di vita, ciclo di vita, a seconda della disciplina che se ne occupa. La prima espressione è usata dal-la psicologia per indicare i processi evolutivi deldal-la personalità; dal-la seconda daldal-la so-ciologia ed indica l’anello di congiunzione tra individuo e società. L’ultimo termine è utilizzato dalla psicologia sociale e indica l’intrecciarsi delle dinamiche all’interno

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del gruppo familiare (life-span psychology). In questa visione psicologica, l’individuo non è da considerarsi come una persona destinata ad una sorta di “regres-so” con il sopraggiungere della senescenza, perché il cambiamento, lo sviluppo e il declino caratterizzano ogni tappa dello sviluppo umano e non solo la vecchiaia. Alla luce del nuovo approccio multidimensionale si giunge alla conclusione che la senescenza sia da considerarsi come un’età in cui le funzioni fisiche e mentali non sono totalmente compromesse. L’immagine della società occidentale propone un’altra concezione della vecchiaia e la vede come un malaugurato incidente e non già un naturale compimento del ciclo di vita. Infatti, domina l’ideologia del mito dell'eterna giovinezza e il desiderio di sentirsi giovani, a discapito della figura dell'anziano che viene così ad essere discriminato. A tale proposito Robert Bluter nel 1969 conia il termine ageism, con il quale definisce tutti i pregiudizi a cui gli anziani vanno incontro: il grave decadimento delle capacità intellettive, l’essere meno pro-duttivi, scarsamente autosufficienti, smemorati e privi di sessualità (Avalle, Maran-zana, Sacchi, 2000). Per effetto di questo approccio riduttivo la popolazione anziana è «isolata in un mondo a parte e omogeneizzata; le viene rifiutato ogni ruolo sociale ed è fatta oggetto di politiche specifiche uguali per tutti» (Henrard, 2002, p. 187).

La gerontologia sociale segna la nascita di nuova scienza che cerca di confutare la precedente opinione ed ha per oggetto lo studio dei fenomeni biologici peculiari della senescenza e della senilità (modificazioni anatomiche, funzionali, immunologiche, psicologiche, ecc.) oltre a quelli relativi all’autonomia. Quest’ultima è intesa come la capacità di invecchiare con successo (successful ageing), indica la capacità di restare fisicamente autonomi, di vivere senza dover essere accuditi per le necessità e le attività della vita quotidiana.

Le nuove ricerche riportano l’attenzione ad un’analisi e a una progettazione sociale dell’invecchiamento, ricollocandola nell’evoluzione del ciclo personale della vita e nell’assetto societario. La senescenza diventa così una tappa molto complessa nell'arco dello sviluppo di vita e grazie ai progressi medici ed a un benessere diffuso almeno nella società occidentale industrializzata, il declino dell’individuo si verifica abbastanza gradualmente. Tuttavia, con il trascorrere del tempo si verifica il declino dell’individuo. Infatti, con l’avanzare degli anni si riducono alcune funzioni psico-fisiche legate soprattutto alla comunicazione tra il sistema nervoso centrale e quello periferico; quindi, nell’età della senescenza le malattie tendono a cronicizzarsi e

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inevitabilmente incidono sulla qualità di vita. Si assiste a una diminuzione dell’efficienza funzionale biologica, accompagnata da modifiche organiche che predispongono con l’avanzamento dell’età una serie di disturbi tali da richiedere interventi socio-sanitari e di tipo riabilitativo (Olivieri, 2015). Il mettere in evidenza la diminuzione della capacità psicofisica e sensoriale porta ad una visione di natura pessimistica della vecchiaia eludendo tutte le potenzialità che questa età racchiude in sé. Forse oggi la patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo: infatti, invecchiare è una delle paure maggiormente diffuse negli individui.

Cicerone a proposito della vecchiaia affermava «non è verosimile che la natura abbia descritto bene tutte le parti della vita per poi buttare via l’ultimo atto, come un poeta senza arte…» (Cicerone).

In risposta ad una visione pessimista della vecchiaia e del processo di invecchiamento, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alla fine degli anni 90 ha invitato a rielaborare in forma positiva tale concetto aprendogli la prospettiva di un percorso di vita “sano e attivo”, che “permette agli individui di realizzare il proprio potenziale per il benessere fisico, sociale e mentale, attraverso l’intero corso dell’esistenza e di prendere parte attiva alla società, fornendo loro al contempo protezione, sicurezza e cure adeguate quando richiedano assistenza1”. L’obiettivo diventa, dunque, quello di promuovere una vita sana, attraverso una migliore alimentazione, una maggiore attenzione al movimento fisico, a cure mediche appropriate alle patologie legate all’età ed infine a maggiore igiene fisica ed ambientale.

Tutto ciò ha determinato un periodo della vita, la terza età, aperto a nuove possibilità espressive, come afferma Mirabile «a 50 e oltre è ancora possibile progettare un lungo futuro regalato alla vita dall’economia e dai progressi della scienza» (Mirabile, 2011). E’ l’età dove si può sperimentare la dimensione di un "tempo liberato" dal lavoro (Laslett, 1992) una libertà, che nelle età precedenti2 non

si può esercitare, perché il tempo è regolato da esigenze stabilite da altri e dove i

1 A cura del Ministero della Salute, Dipartimento della Sanità Pubblica e dell'Innovazione, Direzione

Generale per i rapporti Europei e Internazionali, Ufficio terzo, Strategia e piano d'azione per l'invecchiamento sano in Europa, 2012-2020, Malta, Settembre 2012.

2 Nel Capitolo su «La Teoria generale della terza età» Laslett definisce le tre età come segue: 1) «la

prima età» della dipendenza, della socializzazione e della educazione è dedicata all’apprendimento alla preparazione alla vita attiva e ai futuri ruoli familiari; 2) «la seconda età» della maturità, indipendenza, responsabilità familiare e sociale è dedicata alla famiglia, ai figli e al lavoro per mantenerli; 3) «la terza età» della realizzazione personale alla quale si aggiunge subito una quarta età della dipendenza e della decadenza (Pugliese, 2011).

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vincoli influenzano i comportamenti della vita quotidiana. Laslett, infatti, sostiene che è con la terza età3 che finalmente ci si può «dedicare a se stessi, ad arricchirsi

interiormente, a sviluppare al meglio le proprie capacità, un lavoro da cui non si andrà mai in pensione» (Palomba, Misiti, Sabatin, 2001).

Comprendere il fenomeno della senescenza come una fase della vita, che anziché valutarne il declino, ne esalti e valorizzi la fase di crescita, ha portato l’Unione Europea, nel settembre 2011, a designare il 2012 come l’anno dell'invecchiamento attivo. L’obiettivo è stato quello di aumentare la consapevolezza del valore di questa fase della vita, evidenziando l’utile contributo degli anziani alla società e all’economia, per individuare e diffondere buone pratiche. Si definiscono, inoltre, le aree che permettono di favorire un ageing “sano” e “attivo”: tra queste l’area del contributo retributivo (attività retribuita oltre l’età pensionabile); delle attività sociali (lavoro volontario, attenzione per i nipoti ecc.); quella della vita autonoma e indipendenza (l’esercizio fisico, l’accesso ai servizi) e infine l’area delle abilità, cercare il benessere sociale attraverso l’istruzione e le competenze informatiche (http://www.epicentro.iss.it/passi-argento/).

1.1 L’invecchiamento della popolazione: dall’alto e dal basso

Invecchiare è un fenomeno che acquista sempre maggiore importanza in una realtà, come quella attuale, che già da alcuni decenni sta vivendo una particolare sorta di «bomba demografica» (Laslett, 1992, p. 9). Infatti, in questo nuovo secolo si ha una stratificazione demografica inedita per l’umanità; si delinea un profilo nell’assetto sociale di compresenza di cinque generazioni (bisnonni, nonni, genitori, figli e nipoti), una piramide di età che nella nostra società rischia di rovesciarsi per la contrazione delle nascite. La consapevolezza dell’allungamento della vita apre nuovi spazi a visioni critiche: «dall’immagine di un mondo troppo sovrappopolato si passa

a un’immagine di un mondo troppo popolato da vecchi» (Pugliese, 2011). Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione riguarda tutti i paesi, ricchi e

poveri, ma certamente l’andamento nei paesi occidentali è senza precedenti a tal

3 Per Laslett la terza età non ha un inizio o un termine preciso: «I suoi limiti reali non possono venire

semplicemente calcolati in termini di calendario». Ci sono circostanze diverse riguardanti i singoli, i contesti regionali e le congiunture socio-temporali (Pugliese, 2011).

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punto che, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ritenuto necessario realizzare iniziative per affrontare le nuove problematiche, fino ad arrivare a dedicare il 1999 come l’anno Internazionale delle Persone Anziane, con il tema “Verso una Società per Tutte le Età” con le finalità di considerare “le persone anziane non solo come pensionati, ma come agenti e beneficiari dello sviluppo” (Kofi, 1998).

Ciò che colpisce maggiormente nel panorama del 21° secolo è il fatto di assistere a una redistribuzione demografica senza precedenti attraverso una riconfigurazione della piramide delle età inedita. Infatti, nei prossimi 5 anni, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di individui di età uguale o superiore a 65 anni supererà quello dei bambini al di sotto dei 5 anni e se non subentreranno variazioni importanti dei trend in atto e/o nuovi fattori, entro il 2050 la proporzione di anziani sarà quasi raddoppiata. L’incremento della popolazione anziana sarà più evidente nei Paesi in via di sviluppo, ma soprattutto nei Paesi industrializzati il segmento di popolazione, che aumenterà maggiormente, sarà quello degli ultraottantenni, il cui numero assoluto, entro il 2050, risulterà in pratica quadruplicato (Galluzzo, Gandin, Ghirini, Scafato, 2012). È, quindi, corretto parlare di Ageing Population, in altre parole della popolazione che invecchia (quota percentuale di persone over 65).

L’incremento previsto è conseguenza di quattro fenomeni: la progressiva e costante riduzione dei tassi di mortalità; la diminuzione della natalità; l’immigrazione di intere famiglie e la diminuzione dei giovani. La riduzione della natalità è dovuta al calo della fertilità e le principali cause che hanno determinato questo abbassamento sono le modifiche socio-culturali. Tra queste osserviamo, in particolare, l’età media in cui le donne affrontano la prima gravidanza, è di 31 anni, ma è da sottolineare che sono in aumento le over 40; al diverso ruolo delle donne nel mondo produttivo e alla trasformazione degli stili di vita della nostra società (alcol, fumo, sedentarietà, obesità e uso di sostanze stupefacenti). Questi ultimi hanno portato a una riduzione del tasso di fertilità sia nel genere femminile sia in quello maschile4.

4 La letteratura medica sottolinea sempre di più il ruolo di fattori psico-sociali di infertilità dovuti a

fenomeni complessi come lo stile di vita, la ricerca del primo figlio in età tardiva, l’uso di droghe, l’abuso di alcool, il fumo, le condizioni lavorative, l'inquinamento. Per quanto concerne i fattori psichici (infertilità psicogena) sul genere maschile l'unico dato su cui i ricercatori sembrano concordare riguarda lo stress cronico. Soggetti sottoposti a condizioni altamente stressanti straordinarie o quotidiane croniche, presentano una variazione in difetto del loro sperma, che dura finché esiste lo stress. Per quanto riguarda il genere femminile una prima ricerca interessante che ha aperto la strada a numerosi altri studi sul fenomeno (Deutsch,1971) è dell’analista Deutsch, che ha individuato alcuni tipi di donna con difficoltà alla gravidanza. L’infantile: appare come una bambina, sempre bisognosa di appoggiarsi a qualcuno; la materna: è la mamma per eccellenza, di solito ha un partner-bambino, che cura come un figlio, quindi rifiuta la maternità per amore del marito;

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Figura 1. Schema riepilogativo dei fattori che determinano l’invecchiamento.

Lo spettacolare incremento dell’aspettativa di vita costituisce senza dubbio un altro elemento importante. Infatti, i primi e più importanti fattori a determinare l’aumento dell’attesa di vita sono le innovazioni nella produzione industriale e nelle tecnologie, e alla distribuzione dei beni di consumo, tutti fattori che hanno positive e consistenti ripercussioni sulle opportunità nutrizionali e, quindi, sulle aspettative di salute e di benessere per un gran numero di persone. Questo comporta nuove criticità come un costo maggiore per il sistema socio-sanitario e previdenziale oltre alle difficoltà sociali e psicologiche delle famiglie che diventano composte solo da anziani. Il terzo fattore che ha portato all’invecchiamento riguardala diminuzione dei giovani nella fascia di età 15-24 anni, questi ultimi sono diminuiti del 6% e quindi oggi si passa al rapporto 2 anziani per un giovane (Osservatorio Sociale Regione Toscana, 2014). Questo si connette a una crescita degli incidenti stradali e allo stile di vita, contrassegnato da un consumo di droghe e alcol, che sembra causare la guida “distratta” nei ragazzi e la stanchezza per le poche ore di sonno, le quali non l’indaffarata: è colei che dedica la sua vita ad altri interessi, come la carriera, un altro affetto o è appagata da relazioni sessuali intense. Non è contraria alla maternità, ma diventa sterile per evitare il conflitto che si verrebbe a creare; la virile - aggressiva: rimane sterile perché rifiuta la sua femminilità (Fantini, 2011).

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permettono un recupero psico-fisico della persona. Oltre alle cattive abitudini sono

da rilevare le morti precoci per gravi patologie (es. oncologiche e cardiache). Il quarto fattore riguarda il flusso migratorio che ha portato ad un innalzamento della

popolazione di circa il 4% (IRPET, 2016). La popolazione straniera residente ha visto crescere il suo peso in modo molto considerevole, quadruplicando il proprio valore negli ultimi quindici anni. La presenza degli stranieri si è strutturata, consolidata e stabilizzata nel territorio nazionale, permettendo la ricongiunzione con i familiari regolarmente soggiornanti nel nostro paese. Tra i componenti delle famiglie degli stranieri vi sono anche persone ultra65enni, che hanno ottenuto aiuti per il loro sostentamento. Infatti, l’Inps versa un sussidio di 5.824,91 euro l’anno, proprio perché in età avanzata per poter lavorare (www.stranieriinitalia.it).

L’invecchiamento della popolazione è il risultato, quindi, di due vittorie dell’umanità e della scienza: una sensibile riduzione delle morti precoci e il controllo delle nascite. Nel primo caso, prendendo a prestito la terminologia tipica della demografia, si definisce invecchiamento dall’alto, quando la popolazione anziana aumenta grazie alla riduzione della mortalità precoce: ci sono più over65, perché si muore meno. La popolazione, quindi, aumenta per un maggior benessere e maggiori possibilità di cure mediche e questo comporta non solo un aumento del numero degli anziani, ma anche dei grands agée (Pugliese, 2011). Per quanto concerne l’invecchiamento dal basso esso comprende complessi processi come il tasso di fecondità e di natalità che variano da paese a paese. Questi due fenomeni hanno operato in modo diverso nel corso del tempo determinando effetti divergenti. L’allungamento della vita (dall’alto) ha avuto luogo secondo una costante per un periodo molto lungo, mentre l’invecchiamento dal basso è un risultato molto più recente.

E’ importante sottolineare, che il secondo tipo di invecchiamento si può ridurre con politiche sociali mirate al fine di incrementare il tasso di natalità tramite, ad esempio, misure di sostegno alle giovani famiglie o a politiche finalizzate ad interventi che aiutino l’insediamento di bambini con cittadinanza straniera.

Da questa analisi emergere una considerazione di notevole rilievo: i fenomeni demografici non sono un semplice prodotto dei fenomeni naturali, ma su di essi influiscono le politiche di welfare.

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1.2 Quale salute per una buona vecchiaia?

All’avvicinarsi dei settant’anni – soglia percepita e riconosciuta dell’età "indiscutibilmente" anziana – da molte donne e da molti uomini la salute viene considerata la dimensione «più importante» (Mascagni, 2015): si entra in una fase della vita in cui si comincia a temere fortemente il concretizzarsi dell’equazione "vecchiaia uguale dipendenza" e dunque, dove mantenere salute e benessere risulta il prerequisito fondamentale per aiutare l'individuo a mantenere la propria autonomia. Alla salute si associano principalmente tre dimensioni: il pieno benessere psicologico, fisico e la possibilità di condurre liberamente la propria vita.

Oltre all’accezione negativa di semplice assenza di malattia, suggerito fin dal 1948 dalla stessa OMS, l’essere in salute viene identificato positivamente come uno «star bene con se stessi» complessivo, che supera e completa il semplice buon funzionamento dell’organismo, guardando anche alla dimensione psicologica. Anche in questa fase della vita sono numerosi e diffusi i comportamenti negativi capaci di arrecare gravi danni allo stato di salute. L’OMS ne propone una stima in termini di DALYs (Disability Adjusted Life Years): in modo da analizzare le conseguenze permanenti (patologiche e/o menomanti) sullo stato di salute riconducibile ad alcuni comportamenti a rischio. Nella TAB.1, sono riportati i primi dieci comportamenti negativi e i fattori di rischio per la salute in Italia (ivi, p. 111).

Tabella 1.1 – Incidenza dei fattori di rischio sulla vita media in salute.

Fattore di rischio Incidenza percentuale sull’indice DAYLs 1. Consumo di tabacco 12,2 2. Ipertensione 10,9 3. Consumo di alcool 9,2 4. Ipercolesterolemia 7,6 5. Sovrappeso 7,4 6. Scarso consumo di frutta e verdura 3,9 7. Sedentarietà 3,3 8. Consumo di sostanze stupefacenti 1,8 9. Comportamenti sessuali a rischio 0,8

10. Carenza di ferro 0,7

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Dalla tabella risulta evidente che l’uso di tabacco, alimentazione scorretta, inattività fisica, abuso di alcool sono i principali fattori di rischio di malattie croniche. Secondo i dati dell’OMS, in Europa l’86% dei decessi e il 77% della perdita di anni di vita in buona salute sono provocati da patologie croniche–malattie cardiovascolari, tumori, diabete mellito, malattie respiratorie croniche, problemi di salute mentale e disturbi muscolo scheletrici (http://www.salute.gov.it/giugno-2015). Tali patologie sono, quindi, efficacemente prevenibili attraverso la modifica dei comportamenti non salutari, ma a tal fine sono necessarie strategie e politiche che non solo agiscano favorendo l'empowerment dei cittadini, ma rendano possibili anche cambiamenti dei contesti ambientali e dei determinanti sociali, economici e culturali che influiscono fortemente sulle scelte dei singoli. La propensione ad abitudini di vita virtuose risulta, infatti, riconducibile «a un insieme di elementi e condizioni. Si intrecciano diverse variabili legate al capitale culturale, alla struttura familiare e dalle dotazioni materiali e immateriali disponibili dal quartiere di residenza, quindi non solo alle responsabilità individuali» (Mascagni 2015, p.112).

Nel territorio versiliese, ad esempio, sono state create iniziative come i gruppi di cammino al fine di favorire la pratica socializzante del camminare e disincentivare la sedentarietà.

Per quanto riguarda il fumo, in considerazione del fatto che ogni anno in Toscana si registrano 2.100 nuovi casi di tumore al polmone e fumare è tra i principali fattori che incidono sui decessi, l'Agenzia Regionale della Sanità (ARS) calcola che ogni anno nella nostra regione il fumo causi 6.000 morti. Nasce così presso il Distretto di Viareggio il Centro Antifumo. Il Centro, attraverso una serie di modalità operative, coinvolge vari attori quali la Unità Funzionale Ser.T., U.O. di Pneumologia, U.O. Promozione della salute e realizza interventi di tipo integrato: prevede l’intervento di specialisti pneumologi ospedalieri per la diagnosi e la cura di patologie fumo-correlate, di specialisti nel settore delle dipendenze al fine di affrontare la dipendenza da nicotina con le terapie adeguate e di psicologi per terapie di gruppo. Il Centro si occupa inoltre, in collaborazione con l’U.O. Promozione della salute, di specifiche azioni di sensibilizzazione sul tema “fumo e patologie correlate” attraverso incontri ad hoc organizzati nelle scuole ed in sedi di aggregazione sociale messi a disposizione da Enti pubblici e dal Terzo Settore. Si tratta di programmi che rientrano nel campo dell’educazione alla salute e a stili di vita corretti, secondo un approccio life course finalizzato ad un invecchiamento in buona salute.

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Come puntualizza Weber «ogni stilizzazione della vita, in qualsiasi forma si manifesti ha un’origine di ceto, o viene comunque mantenuta su base di ceto» (Weber, 1922). Lo stile di vita in senso weberiano ricomprende e si compone, oltre che della condotta di vita, anche di un altro elemento, quello della chance di vita. Ciascun individuo nella scelta del proprio stile di vita gode infatti di una libertà più o meno ampia determinata dalla chance di vita, ovvero la probabilità di realizzare le proprie scelte in relazione alle condizioni date, che vanno ad esempio, dal curare l’alimentazione e/o seguire particolari diete e/o praticare attività fisica. Iona Heath afferma, infatti, che per raggiungere una condizione sul benessere degli individui occorre «la necessità di dare alle persone la possibilità di una migliore distribuzione

di risorse e opportunità, rispetto a quanto vediamo accadere tutti i giorni. E’ fondamentale per ogni persona avere la possibilità di vivere in modo produttivo e

appagante per dare un senso alla propria vita. Avere un lavoro, essere in grado di gestire determinate situazioni familiari, guadagnare abbastanza, sono tutti determinanti della salute, molto più incisivi che l’andare dal medico al primo sintomo, o sottoporsi a ogni sorta di screening diagnostico per prevenire presunte malattie, alimentando il fenomeno dell'overdiagnosis che ci trasforma tutti in sani ammalati» (Heath, 2016). Infatti, gli esseri umani nella società odierna sono sottoposti dai media a una valanga di informazioni mediche, hanno mille paure legate alla propria condizione di salute, sono in cerca di consigli su che cosa dovrebbero o non dovrebbero fare per restare sani. Su tale argomento precisa Antonio Delvino, ex direttore generale dell’Azienda Usl1 Massa e Carrara «viviamo in un’epoca caratterizzata da un tale eccesso di informazioni da rischiare di creare un rumore di fondo che determini la sostanziale mancanza di informazioni» (Delvino, 2009).

1.3 La figura del caregiver: difficoltà e risorse

Il termine caregiver è di origine inglese e si può tradurre come “persona che offre as-sistenza ad un'altra”, è un “fornitore di cure” e pertanto si fa carico del benessere del soggetto che necessita di assistenza. Il caregiver assume la responsabilità complessi-va della condizione di salute della persona che non è più in grado di compiere auto-nomamente gli atti di vita quotidiana. E’ una risorsa di fondamentale importanza in quanto con i propri interventi aiuta nella quotidianità i soggetti che vivono in un con-testo di sofferenza fisica e psicologica.

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L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD) definisce con il termine di informal care l’assistenza fornita da caregivers informali quali coniugi/partner, familiari, parenti, amici, vicini ed altri non necessariamente legati da un rapporto già esistente con l’assistito. Questo tipo di assistenza informale è di solito fornita a domicilio dai parenti più stretti quali i figli ed è tipicamente gratuita. L’anziano quando vede aumentare la situazione di dipendenza si rende conto di costituire un peso per i familiari che se ne devono prendere cura, così la salute costituisce più che in altre età della vita, una preoccupazione fondamentale per la persona che invecchia. Dall’altro lato la famiglia si trova a doversi far carico dei propri congiunti e gestire situazioni del tutto nuove e talvolta improvvise. Il concetto di “famiglia come risorsa” trova sostegno in un’ampia letteratura: tutti i riferimenti presi in esame partono dal presupposto che il nucleo di appartenenza sia (ed anche “debba essere”) una risorsa nel supportare un proprio membro affetto da una condizione di patologia, proprio come se ciò fosse scontato. Questa visione familistica, rende il complesso degli interventi socio-assistenziali istituzionali subalterni all’organizzazione domestica; il mancato investimento e l’effettivo riconoscimento da parte delle politiche pubbliche, ha costretto i caregivers ad un ruolo di supplenza di fronte alle carenze del welfare. In particolare le donne5 come figlie, nuore, mogli, assumono il ruolo significativo di informal caregiver ed esercitano una funzione surrogatoria degli interventi necessari per il proprio congiunto, assistendolo giorno dopo giorno, ventiquattrore su ventiquattro, scontrandosi con il loro tempo e le energie psico-fisiche che l’oneroso impegno assistenziale richiede. Oltre a tutto ciò, sulle donne grava maggiormente il peso di una famiglia che cambia struttura. Infatti, i fattori che hanno determinato la crisi dell’organizzazione familiare sono diversi: il primo riguarda le trasformazioni nelle forma di convivenza, il secondo è determinato dall’età del caregiver ed il terzo è l’inserimento della donna nel mondo del lavoro, che ostacola il caregiving o

l’assistenza alle persone che richiedono cure continue (Ascoli, 2011). La pressoché totale scomparsa della famiglia a tre generazioni (sono sempre di meno

i nonni che condividono l’abitazione con figli e nipoti) determina che in età avanzata una volta perso il coniuge si rimane a vivere da soli. Inoltre, aumenta l’età del caregiver, spesso persone anch’esse anziane, e talvolta con problematiche di salute.

5 Ad oggi permangono diffusi stereotipi di genere nell’attribuzione dei carichi di cura, per i quali i figli

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Ne consegue una diminuzione del potenziale di supporto fornito dalle reti familiari che non permette più di soddisfare la domanda di assistenza verso i parenti anziani con handicap gravi. Infine, con la diminuzione del tempo dedicato all’assistenza si rende necessario il ricorso ad una esternalizzazione dei compiti di cura e al ricorso alle assistenti familiari (le cosiddetti badanti, in prevalenza straniere), oppure all’istituzionalizzazione. Le assistenti familiari sono oggi, dopo la famiglia, la risorsa di aiuto di gran lunga più utilizzata dalla popolazione anziana. Le badanti rispondono alle necessità delle famiglie di avere una persona che sia in grado di garantire la propria presenza durante l’arco della giornata e della notte, permettendo all’anziano di essere assistito nella propria abitazione. E’ necessario sottolineare che le assistenti familiari rappresentano la «controprova» e il rimedio alle carenze del nostro welfare (Brino, Maggiorotto, 2011), in quanto grava fondamentalmente sulle famiglie, caricate di un peso economico notevole. L’intervento del welfare si limita a un trasferimento monetario di piccola entità per remunerare l’assistente familiare. Il ricorso alle “badanti” è una soluzione che presenta alcuni rischi sia per l’anziano che per l’assistente familiare: può isolare l’anziano dal calore della famiglia (se la delega alla cura è totale), allontanarlo dalla comunità locale e sociale ed obbligarlo ad accettare una figura esterna alla famiglia che si occupi di lui, mentre per quanto riguarda l’assistente familiare, sradicata dal proprio contesto socio-culturale, si trova a far parte di un contesto estraneo che non riesce a conoscere, in quanto relegata, per quasi tutta la giornata in casa, con la possibilità di comunicare solamente con l’assistito (Lazzerini, 2011). Hochschild sostiene che siamo di fronte a nuove filiere di cura, alla catena globale della cura, per la complessità e il numero di caregivers coinvolti (Hochschild, 2004). Si ritiene che oggi si possa tentare di utilizzare le innegabili “criticità” per ripensare la relazione con le famiglie ed i caregivers, il cui ruolo deve essere valorizzato, riconosciuto e concretamente sostenuto con azioni concertate e condivise, a partire dal nostro welfare. Nei confronti della famiglia, il Servizio pubblico può e deve diventare interlocutore privilegiato ed offrire un buon livello di qualità della vita alle donne e agli uomini over 75 e/o non autosufficienti e ai loro caregivers.

L’analisi proposta dei mutamenti familiari e il tema della non autosufficienza e della necessità di delegare attività quotidiane facendo affidamento su badanti o istituzioni riflettono quanto sia importante il ruolo dei caregivers (siano essi congiunti o terzi

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esterni alla rete parentale, professionisti o “volontari”) nella vita dell’anziano. Il ruolo di caregiver all’interno della famiglia, implica spesso l’intrecciarsi di carichi di cura, di responsabilità legate all’accudimento di necessità individuali, familiari e sociali: significa dover gestire la difficile combinazione tra prendersi cura del proprio caro e cercare di tutelare il proprio stato di benessere. Su questi ultimi aspetti incidono sia la dimensione economica, sia quelle del potere e della salute (Mascagni, 2016). Riguardo alla prima questione è evidente che la disponibilità di risorse materiali offre sicurezza, possibilità di autonomia e rende possibile l’appropriarsi di spazi personali grazie all'utilizzo di servizi privati. Per quanto riguarda invece la dimensione del potere – in riferimento all’ambito delle dinamiche familiari – questo implica la divisione dei compiti e le dinamiche di disuguaglianza nello svolgere le attività di cura e le scelte di presa in carico. Infatti, nella presa in carico della persona non autosufficiente tendono a replicarsi quei modelli più tradizionali e disuguali nella divisione del lavoro di cura: è ancora troppo spesso la donna a doversi far carico di tali obblighi morali e di assistenza (ivi, p. 2). Per quanto riguarda infine la dimensione della salute del caregiver, l’assumere il compito di accudire in modo continuativo una persona gravemente malata comporta un impegno psico-fisico

oneroso, anche se può essere opzione desiderabile dal caregiver. Gli ostacoli e le criticità che si pongono al caregiver (identificato con un familiare)

sono dunque diverse a seconda della dinamica della malattia dell’accudito. Nella fase iniziale i figli devono prepararsi psicologicamente ad accettare l’idea che il proprio genitore diverrà non autosufficiente e sono impreparati a gestire le difficoltà legate all’assistenza del proprio caro a domicilio. Infatti, il caregiver incontrerà innumerevoli sfide di tipo psicologico, economico e burocratico. La prima causa una condizione di sofferenza per la mancanza di riposo e per il sovraccarico di responsabilità, la seconda aggiunge la criticità di natura economica per le maggiori spese da fronteggiare e la terza sfida, di tipo burocratico, è necessaria per l’attivazione di risorse e di servizi disponibili. Altra difficoltà è ridefinire i ruoli all’interno del proprio nucleo familiare e ristabilire gli equilibri all’interno di esso. Il caregiver assume inoltre il gravoso compito della responsabilità sia della cura sia dei compiti assistenziali e, tenendo conto dell’inesperienza, diventa maggiore la quantità di tempo e l’impegno quotidiano, oltre alla necessità di acquisire le competenze necessarie per l’espletamento di tale ruolo. L’assistenza ad un anziano include attività pratiche e di sostegno psicologico, infatti, se occorre soddisfare la

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necessità di fare la spesa, cucinare, provvedere all’igiene personale o somministrare i farmaci è necessario altresì impegnarlo in attività di socializzazione, rendendolo partecipe alla vita familiare (es. con racconti del passato) per un effetto benefico per la sua esistenza. La compagnia è quindi inserita nella sfera dell’assistenza ed è importante se legata ad un buon rapporto affettivo. Il fronteggiare quotidianamente i bisogni dell’anziano, può essere fisicamente ed emotivamente faticoso, oltre che economicamente dispendioso. E’ facile comprendere che affrontare situazioni assistenziali molto complesse, possa indurre il caregiver a reazioni emotive psicologiche, quali, ad esempio, rabbia, ansia, stanchezza6 e tanto altro. Tali reazioni sono conosciute come fenomeno burden 7cioè il “carico”, il “fardello”, il “peso”, psicologico e fisico che influisce negativamente sulla salute del caregiver e sull’assistenza al familiare malato. Colui o colei che assiste vive pertanto una condizione di profondo stress psico-fisico, che aggrava fortemente lo stato generale di salute, aumentando la vulnerabilità a contrarre malattie psico-fisiche come il burnout8. Quindi il senso di fatica, di oppressione che il caregiver si trova a fronteggiare da solo è la conseguenza di quelle patologie croniche, degenerative o invalidanti, le quali coinvolgono non soltanto la persona colpita ma, in modo totale, anche tutti coloro che sono in relazione con essa. Il Care Giver Burden Inventory (CBI)9è una scala di valutazione multidimensionale mediante la quale è possibile rilevare il carico soggettivo sperimentato dai caregivers. Novak e Guest svilupparono tale strumento considerando il burden non più come una sola dimensione, da esprimere con un unico punteggio globale, ma andando ad esplorare più aspetti della vita del caregiver. L’utilizzo di questo strumento nell’analisi del materiale qualitativo

6 Dai dati Censis (2007) emerge che la maggior parte dei caregiver lamenta un sonno insufficiente

(52,9%), stanchezza (62,3%) ed effetti negativi sullo stato di salute in generale (36,9%). Il 36,6% rivela di aver cominciato ad assumere farmaci da quando si prende cura del malato, un uso sempre maggiore di psicofarmaci. Per quanto riguarda le relazioni sociali, il progredire della malattia comporta un aumento delle ore di assistenza e di vigilanza: molti familiari non hanno quindi più tempo da dedicare agli amici, hobby, divertimenti. (Lazzarini, Gamberini, Palumbo, 2011).

7 Il concetto di burden, il livello del carico assistenziale, è stato definito nel 1980 da Zarit, gerontologo

americano, come il senso di disagio psicofisico, sociale e finanziario del caregiver, la persona che assiste un familiare anziano, ed è rilevabile attraverso scale di valori approntate a tal fine e per ciò create e adattate negli anni alle varie realtà da indagare, http://www.uildm.or.

8 La sindrome di burnout secondo lo studio di Freudenberger, Richelson (1980) – è lo stadio di

profonda frustrazione delle energie e delle capacità che colpisce le professioni che esercitano professioni di aiuto o che si trovano ad e/o accudire soggetti fragili. Si tratta di un esito patologico del sovraccarico di attività, della mancanza di controllo della situazione, della scarsa qualità delle relazioni interpersonali, dei processi stressogeni associati alla costante richiesta di flessibilità, che produce esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un sentimento di ridotta realizzazione.

9 Test ideato da Novak M, Guest C. (1989), Application of a multidimensional caregiver burden in-ventory. Gerontologist 1989; 29: 798-803.

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è stato utile come linea guida, griglia interpretativa, al fine di rilevare il carico assistenziale percepito dal caregiver, soggetto privilegiato al quale somministrare il questionario.

Tabella 1.2 – Le tipologie di Burden analizzate nel Test (cfr. Allegato).

Il CBI si presenta come un questionario a scelta multipla, suddiviso in 5 diverse se-zioni che corrispondono a 5 diversi dimensioni di stress: carico oggettivo, carico psi-cologico, carico fisico, carico sociale ed infine carico emotivo, alle quali si può attri-buire un punteggio da 0 (stress minimo) a 4 (stress massimo). Il punteggio totale che si può ottenere per ciascun gruppo va da 0 a 20, ad eccezione del carico fisico com-posto da 4 items. Il punteggio globale quindi può variare da un punteggio di 0 (as-senza di stress) fino a 100 (massimo livello di stress percepito). Al caregiver viene richiesto di rispondere barrando la casella che più si avvicina alla sua condizione per-sonale.

In conclusione il CBI è una scala di valutazione composta da 24 items complessivi, di rapida compilazione, auto-somministrabile (self report), di facile comprensione e permette di ottenere un profilo del burden del caregiver. I caregivers con lo stesso

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punteggio possono presentare diversi livelli di stress. Questo permette all’operatore di adoperare interventi diversificati e mirati sul soggetto a seconda dei punti deboli emersi nel Test. Infatti, l’analisi aiuta l’operatore sociale a comprendere lo stato emo-tivo in cui versa il caregiver e attivare una risposta concreta alla sua necessità, atti-vando il progetto di assistenza domiciliare o inserendo l’anziano in un centro diurno, al fine di poter alleggerire il carico assistenziale quotidiano e permettergli quindi un recupero psico-fisico.

1.4 Una fotografia del territorio

La dimensione anagrafica costituisce una misurazione per l’organizzazione e il funzionamento delle società e dei relativi sistemi di welfare. Il tema ‘popolazione’ è di fondamentale importanza per l’attività di programmazione propria di un ente territoriale come la regione e i comuni. Infatti, l’età scandisce le fasi della vita degli individui, determinando le necessità sociali ed economiche. La demografia, quindi, si può definire come l’insieme delle analisi descrittive e investigative per lo studio delle caratteristiche strutturali e dinamiche delle popolazioni umane, nei loro aspetti biologici e sociali e nelle loro interazioni. Il presidente della Regione Toscana ha riconosciuto che «la nostra regione è particolarmente longeva per effetto delle buone politiche sanitarie attuate nel corso degli ultimi anni» (Rossi, 2013). Per questo motivo Rossi ha delegato all'ARS lo studio, la consulenza e il supporto per l’analisi della popolazione degli anziani. Questo osservatorio rielabora le tracce informatiche fornite dalle prestazioni sanitarie, dai registri di patologia e dall’Istat. Dai dati pubblicati dall'ARS, risulta che in Toscana al 1 gennaio 2014 gli ultra65enni erano circa 916.640 di cui 1.336 gli ultracentenari10 e si prevede che tra due anni gli ultra

85enni saranno 2 milioni e 400 mila (ARS, 2014; Bissoni, 2012). Si calcola, quindi, che siano 629mila, quasi un terzo del totale, le famiglie toscane

con almeno un anziano a carico (Dell’Amico, 2015).

Dagli studi dell’Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana (IRPET) l’indice di vecchiaia risulta uguale a 190% rispetto alla media nazionale che è del 130%; queste stime rilevano che la Toscana ha un aumento cospicuo del

10 In Toscana l’ultracentenaria più vecchia risiede a Montelupo Fiorentino, si chiama Giuseppina Projetto di anni 112 anni, in www.comune.montelupo-fiorentino.fi.it.

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numero di anziani, in rapporto al resto del paese, ed è la seconda regione più longeva dopo la Liguria (IRPET/Popolazione, 2016).

Gli anziani in condizione di disabilità che vivono in famiglia sono circa due milioni, e quegli ospiti nelle strutture residenziali oltre 300.000, un numero destinato ad aumentare in modo cospicuo negli ultimi anni, in conseguenza dell’ulteriore invecchiamento della popolazione (ivi, p. 5).

Gli abitanti della Versilia residenti nel territorio compreso tra la catena montuosa delle Alpi Apuane e la riviera, si divide in Bassa e Alta Versilia e comprende i comuni di Pietrasanta, Forte dei Marmi, Seravezza, Stazzema per la “Versilia Storica”, mentre, per la parte restante i comuni di Viareggio, Camaiore, Massarosa. La Versilia fa parte della provincia di Lucca che comprende la zona della Garfagnana, Piana di Lucca e la Valle del Serchio e complessivamente ha 225.994 residenti di cui 89.046 solo a Lucca (Istat, 2015). Secondo l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) i residenti complessivi al 31 dicembre 2015 sono 166.770. In questa cifra va considerato che il comune con meno cittadini è Stazzema con appena 3.193, Viareggio è il maggiore con i suoi 62.467 abitanti.

Per quanto riguarda l'analisi della struttura per età vengono considerate tre fasce: giovani 0-14 anni, adulti 15-64 anni e anziani 65 anni ed oltre. In base alle diverse proporzioni fra tali fasce di età, la struttura di una popolazione viene definita di tipo progressiva, stazionaria o regressiva a seconda che la popolazione giovane sia maggiore, equivalente o minore di quella anziana. In riferimento a questo dato la popolazionetoscana risulta essere, sempre secondo l’Istat e con riferimento al 2015, di tipo regressivo. Infatti, i giovani sono al 12.9% rispetto agli anziani che risultano al 24.8%. Questo dato si sposta di poco nella provincia di Lucca che si abbassa dello 0.4% nelle due fasce di età. Questa media si discosta nelle zone in cui è diviso il territorio e secondo la relazione sanitaria di Lucca del 2015 si nota che la Valle del Serchio ha l’11,5% di giovani e il 27,6% degli ultra 65enni, nella Piana di Lucca invece il 13,4% nella prima fascia e il 23,7% nella terza; infine la Garfagnana oscilla tra il 12.6% giovani e il 26.8% di anziani (Della Cerra, 2015). Nei comuni versiliesi il maggiore scostamento tra le due fasce di età è nel comune di Stazzema, dove i giovani sono l’11% e gli anziani il 30.9%, questo dato riflette la struttura fisica del territorio montuoso, mentre il comune di Massarosa risulta quello con minore differenza 13.3% e 21.9%. Gli altri rimangono nella media di Lucca e della Toscana. Altri indicatori fondamentali per focalizzare la popolazione sempre in relazione

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all’età sono: l’indice di vecchiaia, e di dipendenza strutturale. Il primo rappresenta il grado di invecchiamento di una popolazione ed è il rapporto percentuale tra il numero degli ultra sessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni. L'indice di vecchiaia della regione analizzata, al primo semestre 2016, è di 195,4 anziani ogni 100 giovani, nella provincia l’indice sale a 2016. L’indice di vecchiaia

nella Versilia storica ha maggior rilevanza nel comune di Forte dei Marmi con il

303,2% e minore nel comune di Massarosa con 165,5% anziani per ogni 100 giovani. Il secondo rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva

(0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni) questo dato è utile per finalizzare le risorse economiche. La Toscana ha 60,4% individui a carico ogni 100 che lavorano mentre a Lucca ci sono 59,7%. In Versilia la media dei comuni con la popolazione attiva rispetto a quella non attiva è del 51.0%, ma fa eccezione Forte dei Marmi che, con il 71,0%, supera abbondantemente il dato della regione. Ultima osservazione necessaria al fine di comprendere la demografia anagrafica è la distribuzione degli anziani nella fascia di età compresa tra i 65 e gli 84 anni e gli ultra-ottantacinquenni fino ai 100 anni e oltre (i cosiddetti oldest old),lo studio di tali rapporti è importante per valutare alcuni impatti sul sistema sociale, ad esempio sul sistema lavorativo o su quello sanitario. Dalla analisi dei dati sopra riportati emerge evidente che la Versilia ha una popolazione regressiva con l’aumento degli anziani, i quali grazie alle politiche socio-sanitarie hanno una maggiore speranza di vita, come afferma Della Cerra, Direttore Ufficio Relazioni col Pubblico, nella relazione sanitaria del 2015 nell’ambito territoriale dell’ex-Azienda Usl 12 di Viareggio.

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Figura 1.3 – Distribuzione della popolazione anziana in Toscana suddivisa per fasce di età: 65-84 (in blu) 85-100 (in rosso).

Popolazione abitanti: Arezzo 345.110; Firenze 1.013.348; Grosseto 223.652; Livorno 337.951; Lucca 391.228; Massa-Carrara 197.722; Pisa 420.913; Pistoia 291.963; Prato 253.123; Siena 269.388. Fonte: Istat al 1° gennaio 2016.

La cartina delle province della Toscana rileva la distribuzione anagrafica concernenti i “giovani anziani (65-75)” e “anziani” (76-84) in blu e i “grandi anziani” (ultra85enni) in rosso11. Dalla cartina si evince che la provincia di Firenze con un numero di abitanti pari a 1.013.348, numero decisamente superiore rispetto alle altre province, che in media hanno un numero di abitanti pari a 303,450, non mostra percentuali superiori sia per quanto riguarda la fascia di età 65-84, sia nella fascia di età 84-100, seppur mostra con Siena la percentuale più alta di persone anziane nella fascia di età 95-99 pari al 0,3% a fronte dello 0,2% nelle altre circoscrizioni. Inoltre, la provincia di Siena è l’unica che rileva la presenza di persone ultracentenarie

11 Mia elaborazione su www.tuttaitalia.it, Statistiche demografiche - Popolazione per età, sesso, stato civile, 2016.

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(0,1%). La circoscrizione di Arezzo mostra nel territorio una presenza minore di “giovani anziani” e “anziani” (10,5%), mentre è in linea con le altre province per la presenza sul territorio di over 84enni.

Figura 1.4Distribuzione della popolazione anziana in Versilia suddivisa per fasce di età: 65-84 (in blu) 85-100 (in rosso).

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Popolazione abitanti: Camaiore 32.513; Forte dei Marmi 7.510; Massarosa 22.471; Pietrasanta 24.007; Seravezza 13.073; Stazzema 3.193; Viareggio 62.467. Fonte: Istat al 1° gennaio 2016.

Nella cartina riportata, in riferimento alla distribuzione della popolazione anziana nei sette comuni della Versilia riferita all’anno 2016 (Tuttaitalia.it). E’ da sottolineare che nessun comune riporta la presenza di persone con più di 100 anni, mentre in tutti e sette i comuni si evidenzia una piccola percentuale (0,1-0,2) di ultra-novantacinquenni, Forte dei Marmi con il numero maggiore percentuale dello 0,4. E’ inoltre evidente che quest’ultimo comune nonostante abbia un numero di abitanti notevolmente inferiore (7.510) al comune di Viareggio (62.467), mostra una percentuale più alta della presenza sia di “giovani anziani (65-75)” e “anziani” (76-85) sia dei “grandi anziani (ultra85enni)”. Presumo, che questo dato derivi dagli spostamenti territoriali della popolazione anziana, in quanto il comune di Forte dei Marmi è quello economicamente più virtuoso con i conseguenti benefici socio-sanitari.

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CAPITOLO II

LE POLITICHE PER LA NON AUTOSUFFICIENZA:

IL MODELLO TOSCANO

Le nuove scienze hanno ipotizzato un aumento di 40 anni12 rispetto all’attuale

vita media. A fronte di questa previsione sarà necessario riempire il vuoto che c’è tra l’aspettativa di vita degli over65enni e le reali problematiche della quotidianità. L’innalzamento della speranza di vita è un segnale positivo del miglioramento delle condizioni di vita complessive. Ma una popolazione sempre più longeva è anche quella con un elevato numero di abitanti a rischio di non autosufficienza, come dimostrano i dati sull’indennità di accompagnamento, che ne vedono un’elevata concentrazione, soprattutto tra gli anziani (Saraceno, 2017). Infatti, nonostante i progressi, soprattutto quelli sanitari, gli individui maturi invecchiano e aumenta il numero di persone anziane con diverse malattie e patologie croniche, che vedono a rischio la propria indipendenza13. Il rischio di dipendenza fisica e psicologica cresce con l’età e diviene particolarmente elevato dopo i 75 anni (Gaymu, 2008).

Sul tema della non autosufficienza, vige tutt’oggi una certa confusione; parole quali disabilità, menomazione, handicap, impedimento e persino vecchiaia o malattia cronica sono state considerate, in alcuni casi, come equivalenti, o parzialmente coincidenti alla stessa condizione. Tale concetto è legato certamente allo stato di salute e/o all’età della persona e si esprime nell’incapacità totale o parziale, transitoria o permanente di compiere le normali azioni della vita quotidiana.

Per “misurare” la non autosufficienza sono state elaborate diverse scale di valutazione con riferimento alle aree di bisogno individuate dalla Classificazione

12 Il limite biologico sarà di 120 anni con un’aggiunta di 40 anni di vita media. Tale evidenza emerge dal 1° Congresso Nazionale, svoltosi a Verona nel 2011, dalla Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe).

13 L’indipendenza implica la capacità di svolgere in autonomia le normali attività di base della vita quotidiana come vestirsi, provvedere all’igiene personale, l’uso del WC, gli spostamenti in casa, l’alimentazione e in quelle strumentali come la capacità di usare il telefono, di fare acquisti, di preparare il cibo, la responsabilità nell’uso dei farmaci (scheda infermieristica sulla dipendenza del paziente nelle attività di base della vita quotidiana e in quelle strumentali).

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Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (ICF14) approvata

dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Con l’ICF abbiamo una nuova connotazione del concetto di disabilità che viene intesa come un fenomeno multidimensionale, una situazione che ogni persona può vivere, quando presentando una particolare condizione di salute, incontra ambienti sfavorevoli. Questo strumento analizza le varie componenti della salute e si basa sui seguenti criteri:

a) Lo stato di salute funzionale organico, con riferimento alla dipendenza

nelle attività di base e in quelle strumentali della vita quotidiana (BADL15 e IADL16),

al quadro clinico ed infine al bisogno infermieristico. La BADL prende in esame sei semplici attività del vissuto quotidiano come lavarsi, vestirsi, alimentarsi, la mobilizzazione, controllo fisiologico e relativa autonomia nell’uso dei servizi igienici. La IADL considera invece le attività che richiedono alcune abilità nell’utilizzo degli strumenti come, ad esempio, uso del telefono, dei mezzi di trasporto, preparazione dei pasti, uso del denaro.

Per quanto riguarda il quadro clinico viene compilata una scheda clinica a cura del medico curante, la quale raccoglie i dati anamnesi clinica della persona e ha l’obiettivo di evidenziare le varie patologie che determinano l’attuale stato di non autosufficienza e le altre patologie rilevanti. Per completare l’analisi occorre rispondere al bisogno dell’anziano compilando la scheda infermieristica, la quale rappresenta uno strumento di sintesi utile a individuare il bisogno infermieristico (esecuzioni esami, medicazioni ulcere), in cui è necessario proporre il tipo di assistenza, la frequenza degli interventi e gli operatori necessari;

b) le condizioni cognitive-comportamentali, con riferimento allo stato mentale, ai disturbi del comportamento ed ai disturbi dell’umore.

14 L’ICF pubblicato nel 2001, si differenzia dalla precedente Classificazione ICDH in quanto non si

basa più sulle conseguenze della malattia (menomazione, disabilità, handicap), ma sulla rassegna delle componenti della salute. La nuova classificazione ha finalmente iniziato ad analizzare la vita delle persone, delle modalità con cui esse si trovano a convivere con le loro patologie e le affrontano cercando di migliorare la propria condizione. La disabilità non è più considerata come un problema di pochi, ma vengono proposte modalità per valutare l’impatto sociale e fisico sul funzionamento della persona, http://www.disabilitaintellettive.it/.

15 Basic Activities of Daily Living in JN Morris e Coll. Giornale di Gerontologia, 1999. Le nuove

schede di valutazione sociale e infermieristica sono state approvate con Decreto dirigenziale 2259/2012 in sostituzione delle medesime schede approvate con decreto dirigenziale n. 1354/2010 e s.m.i.

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Gli strumenti per rilevare e valutare tali capacità sono: il test Pfeiffer e le scale MDS-HC17 comportamento/umore. Il Pfeiffer è un test ideato per rilevare la presenza

del deterioramento o meno delle funzioni intellettive in relazione alle ripercussioni nella vita quotidiana del paziente e comporta un minimo di colloquio con esso, per riuscire ad avere un quadro delle sue potenzialità.

Con le scale MDS-HC-comportamento vengono esplorati gli indicatori quali: vagare senza alcun motivo razionale, usare un linguaggio offensivo, essere fisicamente aggressivo ecc.

Per quanto riguarda la scala MDS-HC-umore gli indicatori analizzati sono quelli di depressione, ansia e tristezza;

c) la situazione socio-ambientale e familiare, con riferimento alla rete assistenziale presente nella vita della persona, alla sua situazione economica, alla condizione abitativa ed al livello di copertura assistenziale fornito quotidianamente. Da questi parametri viene compilata una scheda sociale con lo scopo di raccogliere i dati per valutare l'adeguatezza della condizione ambientale (rete assistenziale, economica di base ed abitativa) ed il livello di capacità/copertura assistenziale rispetto al bisogno di cura diretta della persona, dell'ambiente di vita e delle relazioni e attività di socializzazione. Questa è l'area di indagine dove si valuta la presenza dei parenti prossimi, gli ambienti per un eventuale percorso domiciliare (come ad esempio la presenza di barriere architettoniche esterne/interne) e dove si affronta il tema del disagio di chi presta assistenza diretta al proprio parente. In particolare, viene analizzata la rete familiare e non familiare individuando tra di essi il soggetto disponibile ad organizzare l’assistenza ed assumersi la responsabilità del percorso assistenziale, della cura e della presa in carico dell’anziano: si tratta in genere del caregiver principale. Dalla compilazione delle prime due aree si determina un punteggio che valuta i livelli funzionali del soggetto ovvero l’indice di “gravità”, per la quale i servizi socio-sanitari territoriali devono intervenire con prestazioni appropriate. L'insieme di questi criteri determineranno la fattibilità o meno di un progetto domiciliare e costituiranno la base informativa per l'elaborazione del progetto assistenziale che vede “al centro” la persona e la sua famiglia.

Il complesso tema della non autosufficienza ha portato con sé l’emergere di nuovi bisogni socio-sanitari, imponendo al Governo e alle regioni uno sviluppo del sistema

17 Minimum Data Set – Home Care.

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