• Non ci sono risultati.

Raffaellismo a Genova: il caso della Lapidazione di Santo Stefano di Giulio Romano

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Raffaellismo a Genova: il caso della Lapidazione di Santo Stefano di Giulio Romano"

Copied!
118
0
0

Testo completo

(1)

1

RAFFAELLISMO A GENOVA:

IL CASO DELLA LAPIDAZIONE DI SANTO STEFANO

(2)

2

Raffaellismo a Genova: il caso della lapidazione di Santo Stefano di Giulio

Romano

Introduzione………...pp. 4-7

Capitolo 1

Situazione storica e pittorica a Genova tra la fine del Quattrocento e gli anni Trenta del Cinquecento

1.1. Inquadramento storico………...pp.8-12 1.2. Andrea Doria: figura di spicco nella prima metà del Cinquecento………..pp. 13-15 1.3. Andrea Doria come mecenate delle arti

-1.1.3. Palazzo Doria………pp. 16-17 -1.2.3. Villa del Principe………..pp. 18-20 -1.3.3. Iconografia di Andrea Doria……….pp. 21-23 1.4. Cultura pittorica nel panorama genovese………. pp.24-29 1.5. Uno sguardo agli anni Trenta: Sacchi, Piaggio e Semino

-1.1.5. Pier Francesco Sacchi: un approfondimento………..pp. 30-31 -1.2.5. Teramo Piaggio e un confronto con Antonio Semino………...pp. 32- 34

Capitolo 2

Un caso di raffaellismo a Genova: la Lapidazione di Santo Stefano di Giulio Romano

Introduzione………p. 35-36 2.1. La chiesa di Santo Stefano………pp. 37-40 2.2. Il committente

-2.2.1. Il rapporto di Giberti con la religione e l’arte………..pp. 41-43 -2.2.2. La commissione della Lapidazione di Santo Stefano………pp. 44-45 2.3. Giulio Romano, “grande discepolo ed erede di Raffaello”……….pp. 46-48 2.4 Si entra nel vivo dell’opera

-2.4.1. Descrizione della tavola………pp. 49-51 -2.4.2. Il viaggio dell’opera al museo Napoléon ……….pp.52-53 -2.4.3. Vicende relative alla cornice………pp. 54-57 2.5. Il ruolo di Raffaello nell’esecuzione dell’opera………pp.58-62

(3)

3

Capitolo 3

Echi di Raffaello e della Lapidazione di Santo Stefano nelle opere a Genova e nel levante ligure tra il 1510 e il 1530

3.1. Gli influssi raffaelleschi nelle opere locali ……….pp.63-64 3.2. Lo Spasimo di Sicilia: echi in Liguria………...pp.65-66 3.2. Gli echi di Raffaello nella produzione pittorica ligure di Pier Francesco Sacchi

-3.2.1. Il San Giorgio di Levanto del Sacchi e quello del Louvre di Raffaello: spunti e confronti ...……….……….pp.67-72 -3.2.2. La Deposizione in Santa Maria di Monte Uliveto: echi della Lapidazione di Giulio Romano

……….………..…………..…pp.73-75 -3.2.3. La pala in Santa Maria di Castello e un confronto con la Madonna di Foligno…………p. 76 3.3. Teramo Piaggio e Antonio Semino: il Martirio di Sant’Andrea……….…..pp.77-78 3.4. La Santa Cecilia in Santa Giulia: un caso di riproduzione fedele da Raffaello……..pp. 79-81

Capitolo 4

La lapidazione di Santo Stefano: un’iconografia

4.1.Una breve storia iconografica della lapidazione di Santo Stefano prima della pala di Giulio Romano

-4.1.1. Il martirio di Santo Stefano negli Atti degli Apostoli………pp. 82-84

-4.1.2. Primi esempi dell’iconografia del martirio in Italia ed Europa………..pp. 85-87 -4.1.3. L’iconografia della lapidazione tra Duecento e Quattrocento……….pp.88-92 -4.1.4. Un secolo rivoluzionario. Il Cinquecento……….pp. 92-94 4.2. Lapidazioni di Santo Stefano in Liguria che prendono spunto da quella di Giulio Romano -4.2.1. Situazione artistica nella seconda metà del Cinquecento e inizio Seicento………pp. 95-96 -4.2.2. Giovanni Battista Paggi, artista rivoluzionario nei primi anni del Seicento………pp. 97-98 -4.2.3. Un allievo del Paggi: Domenico Fiasella e la Lapidazione di Santo Stefano………….pp. 99-100 -4.2.4. Il caso di Gian Andrea De Ferrari………pp. 101-102 -4.2.5. Giochino Assereto e i due bozzetti della Lapidazione di Santo Stefano……….p.103 4.3. Un’eco della Lapidazione del Pippi in Emilia Romagna……….…pp. 104-105 4.4. Una riproduzione fedele in Sicilia: Bernardo Castello e la Lapidazione del 1583………pp. 106-108

Conclusioni………pp. 109-110 Bibliografia………...……….………..pp. 111-117 Sitografia……….………..p. 118

(4)

4

Introduzione

Con questa tesi mi sono proposta di illustrare cosa accade dal punto di vista figurativo a Genova nel periodo compreso tra la fine del Quattrocento e gli anni Trenta del Cinquecento. In particolare mi sono soffermata su un fenomeno che ritengo fondamentale per lo sviluppo artistico dei primi decenni del Cinquecento: il “raffaellismo”.

Nel primo ventennio del secolo in Italia opera Raffaello ed è interessante il fatto che dopo la sua morte, nel 1520 a soli trentasette anni, le opere dell’urbinate riecheggiano in tutta Italia. In modo particolare lo stile si diffonde nel Nord del paese, grazie alla sua cerchia di allievi, tra cui Giulio Pippi, detto il Romano, il quale opera a Mantova a Palazzo Te, Perin Del Vaga, impegnato a Genova e Giovanni da Udine attivo nel Friuli. Polidoro da Caravaggio, invece, si trasferisce al sud e si trova prima a Napoli, poi a Messina.

Questi artisti ereditano, perciò, il frutto delle opere di Raffaello, acquisendo il suo stile e diffondendolo secondo i loro canoni, dando così vita al fenomeno del “raffaellismo”. Il mio lavoro è incentrato su un’unica opera: la Lapidazione di Santo Stefano di Giulio Romano conservata nell’omonima chiesa a Genova. L’opera ha notevole importanza perché è il primo grande dipinto di impronta raffaellesca che arriva in Liguria nel 1521. Nei primi anni, infatti, molti cronisti dell’epoca credono che l’opera sia dello stesso Raffaello o che sia frutto di una collaborazione tra maestro e allievo. Il primo ad attribuire la tavola al Pippi è Giorgio Vasari. L’opera poi viene citata anche da altri studiosi e storici dell’arte nei loro scritti che sono stati di importanza rilevante per questo lavoro. Tra questi figura Raffaele Soprani, storico e pittore vissuto nel Seicento, il quale scrive le Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, e de' forestieri che in Genova operarono, importante fonte di informazioni per la storia dell'arte in Liguria, pubblicata per la prima volta nel 1674. Questa viene poi ripresa da Carlo Giuseppe Ratti, pittore italiano vissuto, invece, nel Settecento. Anche guida di Genova di Federico (o Federigo) Alizeri, storico e docente vissuto nell’Ottocento, è stata un’importante fonte per i miei studi: la Guida illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova e sue adiacenze, pubblicata nel 1875.

I disegni di Raffaello hanno svolto un ruolo fondamentale per la ricerca del materiale, in particolare, quelli contenuti nel volume a cura di Eckhart Knab, Erwin Mitsch e Konrad Oberhuber.

(5)

5 Anche le varie incisioni hanno avuto rilevante importanza, tra cui quelle di Marcantonio Raimondi, tra i maggiori incisori del maestro urbinate.

Per tali ragioni, nella tesi vengono illustrate le caratteristiche delle stile raffaellesco ancora prima dell’arrivo di Perin Del Vaga a Genova nel 1528, artista che è stato ampiamente studiato. L’elaborato inizia con un inquadramento storico dagli ultimi anni del Quattrocento fino al sacco di Roma del 1527.

Un’ampia parte del primo capitolo è dedicata ad Andrea Doria, figura di spicco nella prima metà del Cinquecento. Grande condottiero ma anche mecenate delle arti, egli arricchisce Genova con importanti opere artistiche. Doria fa erigere non solo la bellissima Villa Del Principe, affrescata negli anni 1528-31 da Perino Del Vaga, ma restaura anche il palazzo fatto costruire da Branca Doria duecento anni prima nel centro storico della città.

Il primo capitolo si conclude con una parte dedicata alla situazione artistica genovese, concentrata in particolare sulla pittura. Infatti molti artisti provenienti dal nord e centro Italia, e persino dalle Fiandre, arrivano a Genova a cavallo tra il Quattrocento ed il Cinquecento, importando il loro stile.

Una parte rilevante è dedicata a Pier Francesco Sacchi, artista pavese che opera in Liguria, ritenuto un artista fondamentale per il rinnovamento della pittura nella regione in questo periodo.

Il secondo capitolo è incentrato sulla Lapidazione di Santo Stefano di Giulio Romano. Dopo una descrizione approfondita della chiesa di Santo Stefano, “contenitore” dell’opera, mi sono soffermata sulla figura molto interessante del committente, ossia Gian Matteo Giberti, ed in particolare sulle ragioni per cui l’opera si può considerare un importante esempio di raffaellismo a Genova prima dell’arrivo di Perino nel capoluogo ligure. Un’ampia parte è inoltre dedicata alla descrizione dettagliata della tavola del pittore romano della quale ho studiato le vicende relative alla cornice della quale non si hanno notizie certe tranne un disegno ottocentesco che la raffigura, poiché è andata perduta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Il terzo capitolo è dedicato agli echi delle opere di Raffaello e della Lapidazione nei dipinti presenti a Genova e nel levante ligure. Presento alcuni lavori ritenuti in questa tesi molto significativi: il San Giorgio e il drago e la Deposizione di Pier Francesco Sacchi e il Martirio di Sant’Andrea attribuito ad Antonio Semino e Teramo Piaggio, artisti rilevanti in quanto iniziano a rinnovare un linguaggio pittorico che era rimasto senza importanti evoluzioni nel capoluogo ligure fino al loro arrivo.

(6)

6 Queste opere sono sparse nella regione: il San Giorgio e il drago si trova in una chiesa a Levanto, la Deposizione si trova nella località di Multedo, vicino a Genova, l’opera di Antonio Semino e Teramo Piaggio a Sant’Ambrogio di Cornigliano. In particolare nelle ultime due opere sopra citate questi artisti hanno ripreso palesemente alcuni elementi proprio dalla Lapidazione di Santo Stefano.

Mi sono concentrata sulla figura di Pier Francesco Sacchi e sui suoi lavori, considerandolo come l’artista che ha saputo rinnovare il suo stile prendendo spunto da Raffaello, soprattutto con l’opera del San Giorgio, che ho esaminato maggiormente e sulla quale ho espresso varie ipotesi. Egli muore a Genova nel 1528, stesso anno in cui vi arriva Perino. Una piccola parte è dedicata anche allo Spasimo di Sicilia di Raffaello che nel 1518 naufraga a Genova e ci sta per un breve periodo. Si tratta di una presenza, anche se durata molto poco, di raffaellismo nella città ligure, precedente la pala di Santo Stefano.

L’ultimo capitolo ha come oggetto l’iconografia della Lapidazione di Santo Stefano. Ho fornito una breve panoramica delle immagini del martirio precedenti alla tavola di Giulio Romano del 1521, dalle prime raffigurazioni tra IX e XII secolo, in Italia e in Europa, a quelle trecentesche di Bernardo Gaddi, fino a quelle del Quattrocento, come Beato Angelico e Gentile da Fabriano, dando maggiormente spazio alle opere del Trecento toscano. Un paragrafo è dedicato anche al Cinquecento e a quelle opere immediatamente precedenti la pala del Pippi.

Mi sono soffermata maggiormente sull’aspetto innovativo della tavola conservata in Santo Stefano e su come viene rivoluzionata l’iconografia del protomartire nell’opera del pittore di Palazzo Te, ponendo l’attenzione sulla teatralità, tratto tipico delle sue opere.

L’ultima parte del capitolo è dedicata alla situazione pittorica nella seconda parte del Cinquecento e gli inizi del Seicento e ho studiato quali artisti liguri prendono spunto dalla tavola del Pippi per rappresentare l’iconografia della Lapidazione di Santo Stefano. La pala di Giulio Romano non ha scosso in maniera particolare la cultura pittorica del periodo. La teatralità, tratto tipico dello stile del Pippi, non è stata colta dagli artisti che lavorano a Genova fino al 1530 circa. Solo la composizione bipartita è stata riproposta proprio dal Sacchi e da altri due artisti che lavorano nel medesimo periodo: Antonio Semino e Teramo Piaggio. Sarà solo nella seconda metà del Cinquecento che artisti come Luca Cambiaso e i fratelli Andrea e Ottavio Semino, figli di Antonio, “modernizzano” il linguaggio pittorico a Genova e in Liguria introducendo la teatralità nelle loro opere e l’uso della luce, in una direzione più “realistica”.

Artisti liguri, come Bernardo Castello, solo negli ultimi anni del Cinquecento sembrano guardare il grande dipinto.

(7)

7 I pittori nei primi anni del Seicento sembrano rinnovare la cultura pittorica in Liguria. Infatti, proprio come in Giulio Romano, anche nelle loro opere la teatralità e la drammaticità sono i tratti protagonisti. Fornisco alcuni esempi come quello di Giovan Battista Paggi, Domenico Fiasella, Giovanni Andrea De Ferrari e Giochino Assereto.

Negli anni successivi alla pala di Giulio Romano, nell’Emilia Romagna è presente una citazione palese della tavola: si tratta di un’opera che nel 1540 si trovava in un paesino della Romagna, realizzata da Benvenuto Tisi, detto il Garofalo.

La tesi si conclude con una parte dedicata ad una ripresa molto fedele della Lapidazione di Giulio Romano da parte di Bernardo Castello, pittore ligure di rilevante importanza. Egli dipinge nel 1583 una pala con la Lapidazione che viene inviata a Palermo per essere collocata nella chiesa di San Giorgio dei genovesi. Con quest’opera che si può comprendere la grande importanza che acquista la pala nell’ambiente ligure, non negli anni immediatamente successivi, ma a partire dagli anni Ottanta del Cinquecento.

(8)

8

1 CAPITOLO

SITUAZIONE STORICA E PITTORICA A GENOVA TRA LA

FINE DEL QUATTROCENTO E GLI ANNI TRENTA DEL

CINQUECENTO

1.1. Inquadramento storico

Guardando alla storia del XV secolo, Genova viene conosciuta per essere la città natia di Cristoforo Colombo. Egli è un personaggio importantissimo in quanto ha cambiato totalmente nel 1492 la visione del mondo e, in generale, la storia dell’umanità. Ma Genova non è solo questo, è molto di più. Dopo decenni di continue lotte politico- civili e dopo aver subito il dominio di principi stranieri e capi di fazione cittadini, alla fine del Quattrocento la città ha ormai perso importanza nelle competizioni politiche fra gli Stati italiani.

In questo periodo è presente nel capoluogo ligure una Repubblica e questo governo è conteso continuamente dalla famiglia degli Adorno1 e quella dei Fregoso2.

Ogni fazione di volta in volta, chiede aiuto ad uno Stato vicino ma si tratta, alla fine, di una continua lotta. Tutto il secolo è costellato da periodi lunghi di stretta dipendenza dalla Francia e dal ducato di Milano e, di conseguenza, la Repubblica si indebolisce.

1 Gli Adorno sono una famiglia genovese, che ricorda come suo capostipite Adorno detto Barisone vissuto nel 1200. Da questo derivano i due stipiti di Adorno e di Lanfranco. Dal primo discendono gli Obizzo, a capo del ramo di Bruges, che ha tra i suoi membri Pietro, i figli di lui Giacomo e Pietro, padre di Anselmo. Dal secondo discendono Gabriele, primo doge della famiglia, Meliaduce, da cui viene il ramo trapiantatosi in Spagna, e Baldassarre, da cui discendono gli Adorno iscritti nel libro d'oro della nobiltà genovese, dopo il 1528.

(http://www.treccani.it/enciclopedia/adorno_%28Enciclopedia-Italiana%29/).

2 I Fregoso sono una famiglia genovese che trae il nome da una piccola località della Val Polcevera, Campofregoso, sui colli sopra Rivarolo. Questi sono mercanti attivi e intraprendenti. Conoscono una rapidissima ascesa col doge Domenico, primo di una serie di ben tredici dogi, che influiscono sulle vicende politiche di Genova. Oltre ai dogi non bisogna però dimenticare i membri minori della famiglia, uomini di armi in Corsica, come Abramo, letterati come Antoniotto ed ecclesiastici come Federico. La famiglia ha inoltre numerose diramazioni a Milano, a Padova e abbandona il suo nome nel 1528, quando viene incorporata negli alberghi dei De Fornari e dei De Ferrari. La famiglia riprende l'antico nome nel 1576, ma non ha più alcuna importanza storica

(9)

9 Genova si presenta come una città feudale dominata da potenti gruppi aristocratici, gli alberghi3. Negli ultimi anni del secolo i francesi la conquistano. Carlo VIII non risparmia

nemmeno la Liguria.

La flotta francese si trova a Rapallo, una cittadina vicina al capoluogo ligure, e avviene una battaglia poco conosciuta ma che vede molti morti e, successivamente, la ritirata del re4. Carlo VIII, che è stato protagonista della Guerra d’Italia, avvenuta tra il 1494 e il 1498, muore nell’aprile del 1498 e gli succede Luigi XII re di Francia. Dopo la vittoria nel 1499 su Ludovico il Moro e sul ducato di Milano, egli riesce a conquistare senza troppa fatica anche Genova. In questo periodo stanno abbandonando la scena storica i protagonisti dell’ultimo quarto del secolo XV, come Isabella di Castiglia e Massimiliano d’Austria e stanno per emergere personaggi che animano il Cinquecento: Martin Lutero, Carlo V e Francesco I. La Francia è la più grande potenza d’Europa e a Genova il governatore Filippo di Cleves, con l’aiuto di Luigi Fieschi, conte di Lavagna, deve capeggiare l’imponente flotta in varie spedizioni contro l’impero ottomano e in Oriente. Nell’agosto del 1502 il re di Francia viene accolto a Genova. L’entrata trionfale avviene il 26 agosto. Il re, che da ospite è diventato occupante, fa costruire ai piedi della torre il forte Briglia, così chiamato per la fatica che i genovesi hanno dovuto sopportare durante la sua costruzione.

Genova diventa terreno di battaglia tra francesi e spagnoli. I genovesi devono contribuire con galee e navi in aiuto dei primi, ma questi non vogliono interrompere i rapporti con la Spagna in quanto erano suoi alleati.

Il governo spagnolo ha proibito ai genovesi di caricare merci sulle loro imbarcazioni nel regno di Castiglia e fa sequestrare navi e merci in Sicilia. Dall’altra parte, invece, il re di Francia preme per dichiarare Genova nemica della Spagna e per punirla le toglie i rifornimenti che venivano dalla Provenza.

Proprio la Francia, però, si stava indebolendo a causa delle continue sconfitte nel Napoletano.

3 Nel Trecento i nobili che si sono sentiti minacciati dai popolari, si sono raggruppati in diversi lignaggi per formare gli alberghi, gruppi ben organizzati e governati. Questi prendono origine dai gruppi sociali che nell’Italia comunale riunivano tutti i membri di uno stesso lignaggio. Da Piero Boccardo, Andrea Doria e le arti. Committenza e

mecenatismo a Genova nel Rinascimento, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1989, p. 9.

4 In quel periodo Genova si ritrova a combattere i transalpini nelle forze della Lega. Nel 1495 la flotta franco- genovese ha piantato una base a Rapallo, una piccola località poco distante dalla città, per assicurare gli approvvigionamenti all'esercito di Carlo VIII e soprattutto il trasporto delle artiglierie. Nel maggio del 1495, la flotta francese comandata dal Sire De Molans si scontra con l’esercito genovese, comandato da Gian Ludovico Fieschi e Giovanni Adorno, i quali li sconfiggono. Il successo che ottengono viene incrementato pochi giorni dopo, quando un convoglio di dodici velieri viene catturato vicino a Sestri Levante, località vicina a Rapallo. Dopo questa battaglia Carlo VIII si ritira.

(10)

10 Morto nel 1503 papa Alessandro VI, viene eletto a Roma Pio III, il quale si spegne dopo un brevissimo periodo di pontificato. Il conclave stabilisce che il nuovo papa sia Giuliano della Rovere, eletto con il nome di Giulio II5. Egli è savonese e tenta in tutti i modi di liberare la Liguria dal dominio francese. Nel 1504 arriva la peste nella città e dura due anni.

Nel 1505, il tintore Paolo da Novi, in seguito eletto doge, guida una rivolta per liberare la città dal dominio francese. Dopo la riconquista transalpina della città, viene però destituito e giustiziato6.

Così nel XVI secolo, Genova come del resto gran parte dell'Europa, è contesa tra l'imperatore Carlo V e Francesco I. La città si trova ben presto occupata da forze dell'una e dell'altra fazione, e le famiglie genovesi, da secoli impegnate in scontri l'une contro le altre, si schierano, di conseguenza, contribuendo a lotte e congiure.

Un esempio è la famiglia Fieschi, una delle più importanti a Genova7. La sua opposizione alla maggioranza dei popolari è una delle cause che alimenta l’ira del popolo contro la prepotenza dei nobili. Così negli anni 1506-1507 si formano i moti. Secondo lo storico Emilio Pandiani, questi moti genovesi si trasformano da sommossa a rivoluzione a causa della momentanea debolezza del governo francese che domina a Genova. Infatti, durante la peste il governatore si era allontanato, il suo luogotenente era morto e l’unica autorità presente era il podestà Obertino Solari8. In questo periodo si susseguono varie sommosse In particolare è da ricordare la

ribellione dei popolari, che avviene il 18 luglio del 1506 e vede protagonisti Gian Luigi Fieschi e Visconte Doria9.

5 Da notare è il fatto che in questo periodo i papi sono liguri: Sisto IV è savonese, Innocenzo VIII è genovese è Giuliano della Rovere è savonese. Tutti si sono succeduti nell’arco di un quarantennio.

6 Paolo da Novi nasce nel 1443 probabilmente a Novi Ligure. Egli è stato un tintore della seta e viene eletto dal popolo primo doge, il quarantaduesimo della Repubblica di Genova. Nel suo breve dogato, durato solo diciassette giorni, egli cerca di promuovere delle riforme a favore del popolo. Ma quando i francesi si riaffermano sulla scena politica, Paolo viene tradito dalla famiglia Fieschi, la quale diffonde documenti falsi riguardo il suo tradimento nei confronti della Repubblica. Egli viene decapitato nel luglio 1507 di fronte a Palazzo Ducale, a Genova. Da Marcello Staglieno, Intorno al doge Paolo da Novi e alla sua famiglia, in <<Atti della Società ligure di storia

patria>>, XIII, Genova, Società ligure di storia e patria,1879, pp. 487-494.

7 I Fieschi sono una famiglia genovese, il ramo più importante dei conti di Lavagna, cittadina a pochi chilometri da Genova. Tra i suoi primi membri sono da ricordare Ugo che dà il nome alla famiglia. La seconda metà del XV secolo è il momento di maggior splendore della famiglia, durato solo pochi decenni e chiuso con la congiura del 1547 capitanata da Gianluigi il Giovane contro i Doria.

http://www.treccani.it/enciclopedia/fieschi_%28Dizionario-di-Storia%29/ (consultazione 10-05-17).

8 Emilio Pandiani, Genova e Andrea Doria nel primo Quarto del Cinquecento, Genova, edizioni LUPA, 1949., p. 31.

9 La sommossa, voluta dalla borghesia ricca, ma attuata dal popolo minuto, scoppia il 18 luglio 1506. Fieschi cerca di soffocarla sul nascere, scendendo verso la città con i suoi uomini da Carignano, ma viene sconfitto. Il popolo si abbandona al saccheggio dei palazzi dei nobili, che trovano ospitalità presso il Fieschi. Il giorno dopo la folla attacca Carignano ed obbliga Fieschi ad abbandonare la città. Egli ritornato nel suo palazzo, è costretto a lasciare

(11)

11 Nell’ottobre il moto raggiunge la sua fase più viva. Lo scopo dei ribelli è quello di abolire i feudi nelle due riviere e accentrare il governo a Genova. I Fieschi perdono la riviera di Levante e le signorie quella di ponente.

Nel 1507 Luigi XII riesce a riconquistare Genova. Dopo la grave ribellione della città il re decide di rafforzare il suo potere costruendo la fortezza di Codefà, a capo del Faro, dove sorge oggi la famosa Lanterna[Fig.1]10.

Nel dicembre del 1508 nasce la lega di Cambrai tra il papa Giulio II, l’imperatore Massimiliano, il re di Francia Luigi XII, il re d’Aragona Ferdinando, i duchi di Ferrara e di Mantova contro la Repubblica Veneziana.

Tra il 1508 e il 1510 avvengono nella città altri moti per scacciare i francesi. Giulio II abbandona la lega di Cambrai e si schiera contro i francesi. Così la città deve sopportare le conseguenze della situazione politica, nuovamente cambiata. Il ligure Baldassarre De Biase, a capo della squadra veneto-pontificia tenta un attacco notturno sul porto, ma viene sconfitto dal capitano francese Prégent de Bidoux.

Nel 1512 a Genova avviene un fatto molto importante: l’assedio della Lanterna. Dopo la battaglia di Ravenna avvenuta nell’aprile dello stesso anno e l’improvvisa ritirata dell’esercito francese verso il ducato di Milano, la Liguria rimane ancora nella mani della Francia, ma gli eserciti della Lega la vogliono conquistare.

Una figura importante di questo periodo è Giano Fregoso. Egli appartiene all’omonima famiglia genovese ma da anni è condottiero a servizio della Repubblica di Venezia.

Nello stesso anno, infatti, i partigiani di Giano riescono a scacciare da Genova i francesi. Il doge Fregoso deve difendersi dall’assalto di Prégent che fino al giorno prima ha comandato la flotta genovese11.

La situazione viene nuovamente invertita.

Dal caos di questo periodo spicca la figura di Andrea Doria, maggiore responsabile della rinascita della città. Dopo la partecipazione all'impresa della Briglia, nel quale al contingente francese insediato nella fortezza omonima, posta sotto la Lanterna, viene impedito l'arrivo di rifornimenti via mare.

Genova. http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-luigi-fieschi_(Dizionario-Biografico)/ (consultazione 16-05-17)

10Emilio Pandiani, cit., pp.86- 87.

11 Prégent de Bidoux è un ammiraglio francese vissuto a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento e riporta notevoli successi sui turchi, sui veneziani e sugli inglesi.

(12)

12 Andrea Doria diviene capitano di mare, e si schiera dapprima al comando dei francesi che ha combattuto in gioventù, e in seguito della flotta pontificia, contro Carlo V. I Genovesi, capitanati proprio da Andrea Doria, liberano la città dai francesi, la assalgono dal mare nel 1512 e con una cannonata tranciano a metà la torre, che rimane tronca per trent’anni, lasciando Genova priva del suo faro12. L’assedio alla fortezza di Capo del Faro intanto continua e la vigilanza della squadra genovese rende praticamente impossibile ai francesi l’approvvigionamento della guarnigione.

Quest’ultima nell’agosto del 1514 decide di capitolare. Grazie ad Andrea Doria vengono nuovamente battuti i francesi e Prégent viene sconfitto duramente.

L’azione del condottiero in quegli anni è molto attiva e fortunata ed è anche coraggiosa la sua difesa di Genova che in questo periodo si trova attaccata continuamente dal papa e da Carlo V, a cui si sono affiancate le famiglie Adorno e Fieschi. La città non regge questa violenza e viene saccheggiata all’alba del 27 giugno del 152213. Tra la fine del Quattrocento e il primo ventennio del Cinquecento Genova è perciò terreno di continui scontri con i francesi e di violente sommosse. Andrea Doria domina la scena a partire da questo periodo fino alla sua morte.

12 Emilio Pandiani, cit., pp. 86- 87. 13 Emilio Pandiani, cit. p. 219-222.

(13)

13

1.2. Andrea Doria: figura di spicco nella prima metà del Cinquecento

“Re del mare” e “padre della Patria”, Andrea Doria viene così soprannominato dai contemporanei e dai suoi concittadini [Fig. 2].

Egli appartiene alla famiglia genovese omonima, la quale è tra le più importanti nella storia di Genova. Questi sono un’antica stirpe di nobili e sono proprietari di feudi sulla riviera di Ponente e di una curia.

I Doria sono, perciò, una delle più antiche famiglie feudali della città. Le prime notizie risalgono ai primi anni del XII secolo. Nel 1147-49 Ansaldo di Martino guida la flotta genovese contro i Mori di Spagna. Alcuni membri di questa famiglia nel Duecento partecipano, in gara coi Pisani, alle lotte e agli intrighi per il possesso della Sardegna. Il più famoso fra tutti è Branca Doria, il quale fa costruire il palazzo che affaccia tutt’oggi su piazza San Matteo a Genova. Nel Trecento i Doria portano all'apogeo la potenza navale genovese e nel secolo successivo la famiglia detiene un vasto dominio ghibellino sulla riviera occidentale. Nato il dogato popolare, fino al 1528, i Doria rimangono esclusi da ogni diretta azione politica, distinguendosi spesso invece al comando della flotta genovese. Con Andrea la famiglia riprende nuova potenza. Come già detto in precedenza, nel XVI secolo Genova è contesa dall’imperatore Carlo V e Francesco I di Francia. Andrea Doria è in qualche modo responsabile della rinascita della città, per lungo periodo sotto assedio e terreno di molte sommosse14.

Egli nasce nel 1466 ad Oneglia, vicino ad Imperia, di cui è signore suo padre Ceva Doria, il quale si trova a un certo punto costretto a vendere i suoi titoli feudali. Così Andrea rimane orfano a diciassette anni. Il giovane nobile per migliorare la sua condizione decide di diventare un soldato.

Nel 1485 si reca a Roma dal cugino Nicolò, il quale è un parente di Innocenzo VIII, e ottiene un posto da ufficiale nel 1492. Andrea inizia la carriera di soldato di ventura al servizio dei Montefeltro, degli Aragonesi, di Giovanni della Rovere, nipote di Sisto IV nonché fratello del futuro papa Giulio II.

14 Piero Boccardo, Andrea Doria e le arti. Committenza e mecenatismo a Genova nel Rinascimento, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1989, pp. 13-15.

(14)

14 Nel 1503 egli ottiene il comando delle truppe genovesi che stanno prendendo parte ad una rivolta in Corsica e riesce a sconfiggere il capo dei rivoltosi, Rinuccio della Rocca. L’episodio che lo vede in assoluto protagonista è quello della Briglia. All'epoca, Genova era sotto il controllo dei francesi, i quali mantenevano in città due guarnigioni, a Castelletto e la Briglia, una fortezza fatta costruire dal re Luigi XII di Francia. Questa è ubicata sullo stesso colle dove sorgeva la torre del faro. Dopo la Battaglia di Ravenna, a Genova si afferma il partito antifrancese guidato da Giano Fregoso. Ma i francesi perdono di nuovo potere dopo la sconfitta a Novara ad opera degli svizzeri, alleati del papa. Andrea Doria ritorna così nel capoluogo ligure, aiutando Ottaviano Fregoso ad insediarsi come nuovo doge e distruggendo la Briglia. Andrea Doria diventa un “uomo di mare” quando ha già quarant'anni e viene riconfermato a capo della flotta. Egli inizia nel 1513 con due galee di sua proprietà a pattugliare il mar Ligure ed il Tirreno, contro i corsari barbareschi che costituiscono una seria minaccia per la navigazione e le coste.Intanto la situazione italiana è nuovamente mutata. A Melegnano i francesi del nuovo re Francesco I sconfiggono gli svizzeri nel 1515. Ottaviano Fregoso accetta allora di consegnare Genova a Francesco, che lo nomina governatore della città. Il mutamento istituzionale lascia Andrea Doria al comando della flotta, a combattere contro i corsari. Il successo più clamoroso avviene sull'isola di Pianosa, dove, assieme al cugino Filippino Doria, distrugge la flotta del corsaro Godoli e nel 1519 trionfa con la cattura del corsaro Gad Alì.

Nel 1522, durante la guerra tra Spagna e Francia, avviene il tragico sacco della città ad opera dei lanzichenecchi, che nel 1527 faranno quello di Roma. Nello stesso anno, a sessant'anni, egli sposa Peretta Usodimare, vedova del marchese Alfonso del Carretto. Poco dopo inizia la costruzione del lussuoso palazzo di Fassolo. Carlo V lo nomina principe di Melfi e in seguito duca di Tursi, in Basilicata.

Andrea Doria, che è ancora ammiraglio di Francesco I re di Francia, sceglie di passare al servizio di Carlo V di Spagna: una scelta strategica per sé e per Genova, le cui sorti vengono così decise per i successivi centocinquant'anni. Da un lato, l'Imperatore ha bisogno della flotta di Andrea Doria e dei prestiti di famiglie genovesi come i Centurione e i Grimaldi. Dall'altro, l'accordo con la Spagna lascia la possibilità a Genova dell'instaurarsi di un periodo di pace tra le fazioni sempre in lotta.

(15)

15 Andrea promuove così la riforma istituzionale che vede Genova come una Repubblica aristocratica, con la divisione delle grandi famiglie in ventotto Alberghi, ai cui componenti è riservato il privilegio di governare, mentre la carica del doge diventa biennale. I cittadini lo vedono come un liberatore della patria.

Ma pur restando di fatto il padrone dello Stato, Andrea preferisce non diventarlo ufficialmente, certo che l'oligarchia locale non accetterebbe una signoria o un principato.

Nel Mediterraneo continua la lotta contro i pirati turchi e berberi, che culmina nel 1535 con la presa di Tunisi. Si fronteggiano Andrea Doria e il Barbarossa, che comanda la flotta di Solimano il Magnifico15. Si arriva ad una tregua e Doria riceve il Barbarossa che è venuto a riscattare il suo alleato Dragut, preso prigioniero. Anche questo spazio al compromesso era un tratto tipico del carattere di Andrea, implacabile invece nella repressione della congiura dei Fieschi, la quale avviene nel 154716.

Doria si spegne nel palazzo di Fassolo e viene sepolto nella chiesa di San Matteo, quella affacciata sulla piccola piazza del quartiere dei Doria, dove si trova anche la sede del Senato. Anche dopo la morte di Andrea, la famiglia primeggia in patria per magnificenza, politicamente però uguali al resto della nobiltà, con essa alternandosi, per sei volte, al dogato, con Gianbattista, Niccolò (1579-1581), il primo che ha titolo di Serenissimo, Agostino, Ambrogio, Giovanni e Giuseppe. Alla fine del Settecento i Doria hanno parte cospicua nelle vicende rivoluzionarie, prendendo posizione sia tra gli oppositori sia tra i fautori dei Francesi. Anche nei tempi recenti i Doria sono in evidenza nella vita genovese e italiana.

15 Paolo Lingua, Andrea Doria. Principe e pirata nell’Italia del Cinquecento, Genova, Fratelli Frilli Editori, p. 106.

16 Gianluigi Fieschi escogita la congiura quando ha ventitré anni ma, in realtà, è solo una pedina nella mani del papa e dei francesi, che gli avevano promesso una somma di denaro se avesse messo in atto la congiura. Durante l’attacco alla Darsena Giannettino, che era vestito con la sua armatura, finisce in acqua durante il passaggio sui legni dalla sua galea ad una doriana. Il peso della sua armatura in ferro non gli permette di venire a galla e affoga senza che nessuno se ne accorga. Da Paolo Lingua, cit., p, 126-127.

(16)

16

1.3. Andrea Doria mecenate delle arti

1.1.3. Palazzo Doria

Oltre ad essere un grande condottiero via terra e via mare, Andrea Doria è anche un importante mecenate delle arti. Egli viene inserito addirittura dall’Ariosto nell’Orlando furioso17.

Nella piazza di San Matteo sorge già nel 1125, voluta dal monaco benedettino Martino, la chiesa di San Matteo, riconosciuta in seguito, chiesa gentilizia della famiglia Doria.

Molta importanza riveste il palazzo Doria che sorge sulla piazza omonima, vicino alla chiesa [Fig.3].

Viene descritta così dall’Alizeri, uno dei più importanti cronisti dell’Ottocento:

A Genova ogni cosa ci parla dei Doria, e ciascun palazzo ha memoria d’eroi. […] Diam d’occhio allo storico palazzo di cui la Repubblica fe’ dono ad Andrea Doria nel 1528. Ma il nostro pensiero risalga più in alto alle origini e, se possibil, ai fregi rarissimi18.

Questo sorge nel cuore della contrada che la consorteria della famiglia ha reso, nel corso dei secoli, l’emblema del loro potere e prestigio. La costruzione del palazzo risale all’età di Branca Doria19. Nel 1276, infatti, si presume che il palazzo fosse di recente costruzione: questa coincide

con la data del rinnovo della piazza del secondo Duecento.

17 Andrea Doria viene inserito dall’Ariosto nel XV canto dell’Orlando Furioso. Il testo dice:

“Come con questi, ovunque andar per terra. Si possa, accrescerà l’imperio antico; Così per tutto il mar, ch’in mezzo serra; Di là l’Europa e di qua l’Afro aprico, sarà vittorioso in ogni guerra, poi ch’Andrea Doria s’avrà fatto amico. Questo è quel Doria che fa dai pirati. Sicuro il vostro mar per tutti i lati”.Il poeta ha scritto altri versi per descrivere quanto sarebbe stata importante l’alleanza (nata nel 1528 e destinata a durare ininterrotta per trent’anni) tra l’imperatore Carlo V e il grande navigatore ligure. Da Paolo Lingua, cit., p. 106.

18 Federigo Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova, Genova, Luigi Sambolino Editore,1876, pp. 102-103.

19 Branca Doria è conosciuto per la citazione che fa di lui nella Divina Commedia di Dante Alighieri collocandolo all'inferno sebbene ancora vivente. E, subito dopo averlo ritratto come personaggio infernale, il sommo poeta coglie lo spunto per scagliarsi contro i genovesi: Ah Genovesi, uomini diversi / d'ogni costume e pien d'ogni magagna / perché non siete voi dal mondo spersi? (Inferno, canto XXXIII) L'individuazione del palazzo si fonda sul documento rinvenuto da Arturo Ferretto che, relativamente all'eredità venuta a Branca Doria dalla divisione dei beni paterni, veniva a possedere questa casa grande del valore di Lire 200, situata nel vico di San Matteo presso il pozzo e confinante sul retro con la canonica di San Matteo e sul lato con la casa di altri Doria, eredi questi di Gavino e Pietrino Doria. Il passaggio risale all'"Anno 1276, 3 maggio".

(17)

17 Il palazzo viene realizzato da maestranze antelamiche attive a Genova in quel periodo. Questo ha funzione di rappresentanza ed è dotato al pianoterra di un ampio portico a quattro arcate. Successivamente viene costruito un vasto cortile con una scala e delle colonne ornate da capitelli minuziosamente lavorati20.

Questa per Andrea Doria è una sorta di residenza in città in quanto si trova vicino al palazzo del governo; fino ad ora egli non ha avuto nessuna dimora all’interno delle mura cittadine. Il pianterreno ha un rivestimento lapideo del 1486 nel quale si alternano fasce di lastre di pietra nera di Promontorio a fasce di lastre di marmo bianco di Carrara: si ripropone la tradizionale tipologia genovese del paramento bicromo21.

Al di sopra del marcapiano a gotici archetti trilobati si trova un paramento ad intonaco dipinto e delle cornici quadrifore delle finestre situate al primo piano e bifore al secondo. Inoltre, sono presenti due logge “sovrapposte”.

Quella inferiore presenta arcatelle tribolate che vengono sorrette da sottili colonnine binate. Quella al secondo piano ha colonne più semplici e vengono sormontate da arcate.

Il palazzo sembra sia stato rimaneggiato negli anni Novanta del Quattrocento. Questo si può intuire, ad esempio, dal portale in pietra nera di Promontorio collocato nell’atrio opera dell’artista pavese Giovanni Antonio Amedeo [Fig. 4].

Da segnalare è anche un altro portale, questa volta in marmo, quello esterno [Fig. 5]. Quest’ultimo presenta una finissima decorazione a candelabra e la data di costruzione è collocata tra il 1510 e il 151522.

20 Noemi Gabrielli, Un edificio genovese del Quattrocento: il Palazzo di Andrea Doria a San Matteo, in <<Bollettino d’Arte>>, XXVII, Roma, Istituto Poligrafico e zecca dello stato, 1933, pp. 75- 81.

21 La tradizione del paramento bicromo si riscontra, ad esempio, in varie chiese genovesi. Tra le più importanti si segnala la cattedrale di San Lorenzo e la chiesa di Santo Stefano di cui si parlerà più avanti. Entrambe presentano una facciata composta da fasce nere e bianche che si alternano.

(18)

18

1.2.3. Villa del Principe

Andrea Doria ha apportato molti restauri a vari palazzi ed è stato il committente della cosiddetta Villa del Principe a Fassolo, sua residenza e tra le più importanti erette nel Cinquecento in Italia [Fig. 6]. Infatti, la costruzione avviene tra il 1521 e il 1530. È preso a modello la villa di Paolo Giovio. Questa residenza simboleggia lo “status” del re e viene costruita in questa zona in quanto è militare ed ha una posizione strategica essendo vicina al mare. Ma questa ha anche un valore di “fastosa villa di piacere”, destinata all’ “honesto otio”23. La villa raggiunge il culmine

con la permanenza all’interno dell’imperatore Carlo V e di suo figlio Filippo nel 1533. Lo studioso Piero Boccardo spiega che i lavori di regolarizzazione e ampliamento dell’edificio, così come la progettazione delle volte ad ombrello delle sale minori dell’ala ovest, sono state ideate da Perino24.

Gli interni del palazzo vengono decorati dal 1529 al 1533 ma l’apparato iconografico non è interamente dell’allievo di Raffaello. Le decorazioni, infatti, vengono fatte sul modello raffaellesco. Nella Loggia degli Eroi [Fig.7], ad esempio, viene utilizzato il sistema dei cartoni e probabilmente sono eseguiti da Luca Penni e Prospero Fontana25.

Questo è l’ambiente in cui si mostra maggiormente la matrice culturale romana importata da Perino e dalla sua équipe all’interno della residenza. Questa deve aver provocato una rottura definitiva per gli artisti genovesi con la tradizione locale.

Lo spazio architettonico, ad esempio, risulta essere una novità in ambito genovese: vi è il classico equilibrio dei moduli utilizzati nel ritmare le cinque campate coperte da piccole volte che scandiscono l’ambiente e si presentano inoltre dei capitelli di ordine toscano severo.

23 E’ interessante il fatto che sulla facciata vi è l’iscrizione “honesto otio”, proprio come quella di palazzo Te a Mantova, fatto costruire da Federico II Gonzaga nel 1524. Da Laura Stagno (a cura di), Il palazzo del principe,

Genesi e trasformazione di una villa di Andrea Doria a Genova, Roma, Carrocci Editore, 2004, pp. 8-10.

24 Piero Boccardo, cit., p. 29.

25 Prospero Fontana nasce a Bologna nel 1512. E’ il Borghini a documentare il suo soggiorno a Genova durante il quale è attivo nel palazzo Doria e nel palazzo della Signoria.

Nell'ambito della produzione grafica relativa al cantiere di palazzo Doria sono stati riconosciuti all’artista alcuni disegni: Saturno, Vulcano e altre figure e Pelias che convince Giasone ad andare alla ricerca del vello d'oro, che ne confermano la presenza a Genova al seguito di Girolamo da Treviso. A Genova Fontana conosce un ambiente artistico ricco di prestigiose presenze come quella di Giulio Romano, Perino, Pordenone: l'esperienza si riflette in alcuni dipinti di devozione privata, collocabili sulla metà del quarto decennio, come l'Adorazione dei pastori che riprende motivi della pala Basadonne di Perino. http://www.treccani.it/enciclopedia/prospero-fontana_(Dizionario-Biografico)/ (Consultazione 25-05-17).

(19)

19 Una caratteristica dello stile genovese è l’utilizzo della pietra nera di Promontorio, ma per quanto riguarda i telai delle porte e si rimanda ai canoni dell’ornamentazione classica romana, per la realizzazione dei frontoni e le mensole. Nell’appartamento di Peretta, situato nella parte a levante, vi sono degli affreschi con figure più allungate, tipiche degli allievi di Raffaello, come il Penni. Per quanto riguarda la decorazione plastica, questa si avvicina molto a quella tipica di Giulio Romano, Giovanni da Fiesole e Silvio Cosini26. Il ciclo decorativo realizzato all’interno della Villa comprende in origine la grande volta piatta del vestibolo, quella a botte dello scalone, e al primo piano, quelle della loggia.

Perino porta a Genova le esperienze romane. Nelle sue opere riprende partizioni decorative e i motivi a grottesca, tipici della Domus Aurea.

Il programma iconografico è simile a quello di Paolo Giovio, si basa su un intento celebrativo ripreso dalla storia romana e dal mito. Nell’atrio, ad esempio, si trovano i Trionfi di Lucio Emilio Paolo e i Fatti di Furio Camillo [Fig. 8]. Nella Loggia, invece, gli eroi romani sono i protagonisti, ritratti come “eroi della patria”. I saloni, invece, presentano degli affreschi a tema strettamente mitologico: quelle di Nettuno che placa le acque e Giove che fulmina i giganti [Fig. 9], famoso e studiato esempio di raffaellismo a Genova. Questa è una delle sale più celebri della residenza.

In questa, come l’intero ciclo iconografico della villa, gli artisti tendono ad esaltare le virtù e la potenza della famiglia Doria, così come hanno fatto i Gonzaga con Palazzo Te e i Medici con Palazzo Vecchio27. I committenti, infatti, si sono fatti ritrarre come dei ed eroi per rimarcare il

loro potere e le loro qualità quasi “sovrannaturali”. Andrea, infatti, è ritratto come Giove, dio per eccellenza. A questo affresco fa da contraltare quello con il Naufragio di Enea, oggi purtroppo perduto, il quale si trovava nell’appartamento di levante. Secondo Gorse qui si concludeva il ciclo celebrativo che ha preso avvio nell’atrio. Giove e Nettuno, grandi protagonisti degli affreschi a Fassolo, dovrebbero, in realtà, rappresentare proprio il committente.

È attuato un programma iconografico che mira a vedere allegorizzate le divinità nelle mitiche imprese di Andrea: da un lato Nettuno rappresenta le avventure per mare, dall’altro Giove incarna la sua suprema autorità nel portare la patria in una situazione pacifica.

26 Silvio Cosini è noto anche come Silvio da Fiesole ed è uno scultore vissuto tra la fine del Quattrocento e morto dopo il 1549. Si hanno poche notizie dell’artista se non che ha lavorato alla decorazione della sagrestia di San Lorenzo a Firenze, sotto la supervisione di Michelangelo (Maria Pedroli, voce Silvio Cosini, in Dizionario

biografico degli italiani, vol. 30, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1984).

(20)

20 Questi sono presentati come gli artefici della pace ristabilita, cioè come restauratori dell’età dell’oro28.

La villa si trova vicino al mare, questo provoca parecchia umidità all’interno della sala. Gli artisti hanno utilizzato la tecnica ad olio su muro e, di conseguenza, gli affreschi si sono rovinati, alcuni addirittura sono andati persi. Inoltre è molto danneggiata anche la volta di una sala a levante, sfondata da una bomba nel 1944, mentre sono scarse le possibilità che ci siano ancora tracce delle decorazione in due stanze che si trovano nella parte esposta a ponente29.

28 Che il soggetto di Giove che fulmina i Giganti alluda al ruolo di salvatore della patria di Andrea, è provato anche da un busto di Ottaviano Augusto posto in una nicchia sopra la porta di accesso alla sala e numerosi elementi emblematici che decorano il camino posto al centro della parete di fronte all’ingresso. Da Piero Boccardo, cit., pp. 57-58.

(21)

21

1.3.3. L’iconografia di Andrea Doria

In questo paragrafo viene fornito qualche esempio di ritratto di Andrea Doria per capire quale era l’immagine che il principe intendeva dare di sé e delle sue scelte di gusto. Si è già visto in precedenza che con il ciclo decorativo della Villa del Principe, Andrea vuole esaltare il suo potere facendosi ritrarre come Giove, o, ancora, come il dio del mare Nettuno, in quanto era considerato il “pirata” più potente di quel periodo se non di tutto il Cinquecento. Le opere d’arte che hanno come soggetto il condottiero sono svariate, dai ritratti in pittura, alle sculture fino alle medaglie.

Per quanto riguarda la pittura, un quadro significativo è quello di Agnolo Bronzino, il quale ritrae nel 1540 Andrea Doria in veste di Nettuno [Fig.10]. A differenza degli altri ritratti di signori e condottieri, come Guidobaldo Della Rovere o del granduca Cosimo I de' Medici, immortalati nelle sfavillanti armature da parata, qui Bronzino sceglie una raffigurazione allegorica rappresentando il capostipite della dinastia Doria nelle vesti mitologiche del dio dei mari. Sullo sfondo scuro si delineano parte di una vela e il possente albero maestro di una nave, con evidente allusione al ruolo dominante dell'ammiraglio, il cui nome è inciso sull'albero stesso a lettere dorate. Il protagonista è rappresentato a mezza figura, con un'espressiva torsione della testa verso destra mentre il busto è orientato di tre quarti a sinistra.

Il dio ha una barba fluente, evidente citazione michelangiolesca del Mosè, ed esibisce fieramente il torso nudo appena coperto da un panno che nasconde, non completamente, il pube. Lo sguardo è lontano e assorto.

L'artista, celebre per l'impiego di colori smaglianti e tonalità contrastanti, realizza invece questo dipinto con una vasta gamma di bruni e di grigi, affidando la celebrazione dell'eroe al crudo realismo con cui descrive l'anatomia del corpo anziano, ritratto senza nascondere gli evidenti segni dell'età ma celebrandone anche il vigore e la prestanza ancora evidenti30.

Esiste un altro dipinto attribuito sempre al Bronzino [Fig.11], che doveva fare parte delle verae imagines di Paolo Giovio. Nella tela è presente una variante: Nettuno tiene in mano un remo invece che il tridente. Questo potrebbe ritrarre effettivamente Andrea Doria in quanto il remo può significare il suo potere come “pirata” in mare31.

30 Carlo Falciani, Antonio Natali (a cura di), Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, Firenze, Mandragora, 2010, p. 264.

(22)

22 Anche il ritratto, un olio su tavola, di Sebastiano del Piombo è un’opera molto importante [Fig.12]. Più recente di quella di Bronzino, l’opera viene datata nella primavera del 1526 e si trova nella Villa del Principe. A differenza del primo, qua Andrea Doria viene ritratto in tutta la sua potenza in veste di persona “normale”.

Il dipinto è conforme al modello tipologico del “ritratto ufficiale” in cui, cioè, la rappresentazione del soggetto in dimensioni nuove ed imponenti ha lo scopo di dare risalto al carattere pubblico del personaggio e quindi si mette in evidenza il potere di Doria. Da notare sono le vesti, gli attributi, la posa e, soprattutto, l’espressione del volto. Anche il fregio marmoreo è molto importante. Questo ha una funzione di parapetto e presenta un notevole numero di elementi classici, ripresi dall’antico. Vi sono riprodotti degli strumenti navali, come un’ancora, un timone un acrostolio e un chenisco e sono accumunati dal fatto che appartengono tutti all’ambito marino: sono una chiara allusione all’attività di Andrea di navigatore32.

Jan Massys raffigura Andrea Doria in un dipinto oggi conservato a Palazzo Bianco [Fig.13]. L’olio su tavola si avvicina molto a quello di Sebastiano del Piombo per la posa di Andrea, lo sguardo, la fisionomia e i colori. Entrambi lo raffigurano vecchio, stanco ma possente, abbigliato con una tunica nera, e sullo sfondo una tenda verde.

Anche il ritratto di un anonimo è molto interessante: Doria è raffigurato seduto su una sedia e di fronte ha un gatto che lo fissa attentamente33 [Fig.14]. Gli animali vengono dipinti spesso

nelle opere commissionate dai Doria: un esempio è il ritratto del successore di Andrea, Gianandrea con il cane Roldano, fedele amico del principe34[Fig.15].

La figura dell’ammiraglio è stata anche scolpita da Baccio Bandinelli [Fig. 16]. Vasari ne parla così:

fu scritto dal duca Alessandro (dè Medici) dal principe Doria, che operasse con Baccio che la sua statua si finisse, ora che il gigante (l’Ercole e Caco)era del tutto finito; e che ora per vendicarsi con Baccio, se egli non faceva il suo dovere35.

32 Boccardo sostiene che non ci sia un’allusione al dio dei mari. Egli sostiene invece che questi elementi derivanti dal classico alludano al qualità di praefectus classis di Andrea. Da Boccardo, cit., p. 106-107).

33 Il loro storico rivale era un gattofilo convinto. Andrea Doria si fece ritrarre con uno splendido e imponente gattone che si chiamava Dragut. La Storia ci racconta che si volesse ricordare con questo nome la sconfitta dell’omonimo pirata saraceno che infestava il Mediterraneo e con i suoi legni aggrediva le flotte. Fu proprio il nostro Dria – ammiraglio genovese valorosissimo – a porre fine alle scorrerie e a catturare il perfido Dragut. 34 Il Pater Patriae doriano era un amante degli animali. Famoso un dipinto in cui viene ritratto il suo cane, detto il Gran Roldano. Quando l’animale morì venne sepolto nel giardino della villa di Fassolo. Secoli dopo, le ricerche portarono alla luce la fossa ed i resti del quadrupede. Non si sa per quale scherzo del destino, ma venne di moda tra le dame genovesi portare al collo come ciondolo un dente del Gran Roldano.

35 Vasari nella vita di Baccio Bandinelli racconta che l’esito di questo sollecito, che dimostra che Andrea era effettivamente interessato, deve essere stata la convenzione scritta nel giugno del 1536 a Firenze tra Doria e Bandinelli. Ma la commissione non era stata pienamente soddisfatta. Da Piero Boccardo, cit., p. 112.

(23)

23 La statua, incompiuta, raffigura Andrea Doria in veste, ancora una volta, di Nettuno. Questa presenta alcune imperfezioni formali. Il committente stanco di non essere ascoltato dallo scultore, lo abbandona e fa costruire il suo monumento funebre ad un altro artista, Giovanni Angelo Montorsoli.

La scultura del Nettuno rimane a Carrara e con lei anche svariati disegni.

Terminato il monumento nel gennaio del 1540, egli passa alla realizzazione della statua di Andrea, di dimensioni colossali (oggi ne rimangono solo dei resti conservati a Palazzo Ducale) [Fig. 17]. La veste, di aspetto solenne, è all’antica, e il soggetto si erge in piedi su un basamento costituito da spoglie e da due teste di turchi, il quale aveva sconfitto. Viene collocata nell’ottobre del 1540 ma sempre Vasari racconta:

se bene la detta statua era stata fatta per dovere essere posta in su la piazza Doria (San Matteo), fecero nondimeno tanto i genovesi, che a dispetto del frate ella fu posta in su la piazza della Signoria36.

La statua viene poi spostata sul lato destro di Palazzo Ducale. Oggi la statua si presenta mutilata della testa e degli arti, durante i disordini rivoluzionari del giugno 1797.

Andrea Doria viene ritratto anche nelle medaglie. Una di queste è stata incisa da una di Alfonso Cittadella (forse) ed è nota attraverso una copia proveniente dal Sylloge Numismatum elegantiorum di Luckius di Strasburgo del 1620 [Fig.18]. Questa presenta sul recto l’ammiraglio a mezza figura in nudità eroica con un remo sulla sinistra e alle spalle un albero di nave. È la stessa immagine dei dipinti di Bronzino. Sul verso è raffigurato, invece, un emblema costituito da una raggiera di frecce che si dipartono da una stella. Si hanno poche notizie certe su questa medaglia visto che vi è pervenuta solamente una copia seicentesca. Leone Leoni, però, è l’artista che crea le medaglie in bronzo dorato che raffigurano Andrea di profilo37 [Fig.19,20].

36 Giorgio Vasari, Le vite de più eccellenti pittori, scultori e architettori, vol. V, a cura di Rosanna Bettarini, Paola Barocchi, Verona, Stamperia Valdonega, 1984, p. 253.

(24)

24

1.4. Situazione artistica nel panorama genovese

Tra il Quattrocento e il Cinquecento la Liguria, e in particolare Genova, vive un periodo di transizione, non ben definito. La cultura pittorica genovese è caratterizzata da una forte connotazione lombarda del secondo Quattrocento data principalmente dalla conquista francese del Ducato di Milano. In questo periodo operano artisti come Giovanni Masone (chiamato anche Mazone) da Alessandria, il quale è il più anziano, Luca Baudo da Novara, Lorenzo Fasolo, il figlio Bernardo e Pier Francesco Sacchi da Pavia. Per quasi tutto il corso del Cinquecento gli artisti per poter operare nel territorio genovese devono essere iscritti alla propria corporazione di mestiere, come quella dell’Arte della Pittura38.

La generazione di pittori lombardi attivi a cavallo tra i due secoli ha semplicemente tradotto in maniera un po’ impacciata le ultime novità artistiche presenti sul territorio milanese: è riuscita a sopravvivere una tradizione pittorica più conservatrice ed arcaica. Questa situazione appare mediata dalla presenza parallela di artisti fiamminghi. Le opere di questi artisti vanno ad arricchire in qualche modo la cultura figurativa del periodo, così carente. I lombardi cercano di rinnovare la pittura, la scultura e l’architettura: essi diventano una sorta di elemento di continuità della tradizione artistica a Genova. Una testimonianza di questa fase è il Palazzo Doria che affaccia su piazza San Matteo, di cui si è già parlato. Nei primi anni del XVI secolo a Genova è presente una situazione un po’ “ritardataria” in cui si ripetono vari stili. Come afferma la storica dell’arte Ezia Gavazza, non si può parlare, perciò, di “rinascimento genovese” perché la cultura artistica locale rimane aderente durante il Quattrocento a forme tradizionali e non avverte il clima nuovo che invece era presente nell’Italia centrale: la cultura artistica risulta in ritardo39.

Secondo gli storici dell’arte Piero Boccardo e Elena Armani, sono le singole commissioni, ad esempio, dei francesi e degli spagnoli, alle botteghe di scultura attive a Genova, ad emergere nell’ambiente culturale e artistico genovese. Inoltre, hanno anche una grande rilevanza l’emulazione del patronato artistico dei tre papi, Sisto IV, Innocenzo VIII e Giulio II, tutti e tre liguri.

38 Tra i vari committenti vi sono i consoli dell’arte dei calzolai. L’artista più importante di questa corporazione è Nicola da Canepa, discepolo di Luca Baudo, attivo come pittore e come doratore. Una delle corporazioni più importanti è, invece, quella dell’Arte dei battiloro, famosi per la produzione di cornici lignee per i polittici. Da Elena Parma Armani, La pittura in Liguria. Il Cinquecento, Genova, Fondazione Cassa di Risparmio, 2006, pp. 13-14.

39 Ezia Gavazza, Note sulla pittura del “manierismo” a Genova, in <<Critica d’arte>>, Firenze, Vallecchi editore, 1956, p. 96.

(25)

25 Anche varie famiglie hanno un ruolo molto importante in questo ambiente, una di queste è quella dei Fieschi. Lorenzo, ad esempio, commissiona alla fine del Quattrocento agli scultori toscani Donato Benti e Benedetto da Rovezzano, la cantoria marmorea per la chiesa di Santo Stefano a Genova [Fig.21]. Il soggetto è mitologico e rappresenta Orfeo mentre suona la lira seduto su una montagna, collocato in un ambiente bucolico.

La cantoria, insieme ad altre opere commissionate dal Fieschi, è uno dei pochi esempi conosciuti di patronato artistico conosciuti a cavallo fra i due secoli40.

Nel 1500 Antonio Lomellino41, chiama Carlo Braccesco a decorare la sala del suo palazzo sul modello della dimora di Gian Luigi Fieschi.

Francesco Lomellino, invece, viene ritratto da Pace Gaggini, nel 1509, in una scultura in marmo, conservata nel Palazzo San Giorgio [Fig.22]. Egli è protettore del Banco omonimo ed è anche patrono di una cappella nella chiesa di San Teodoro. Per quest’ultima, egli commissiona due ancone marmoree, opera del Gaggini e del Tamagnino. Inoltre, commissiona a Filippino Lippi una pala, ora conservata a Palazzo Bianco. Questa è datata 1503 e sono andate perdute la predella e la cornice42 [Fig.23]. Molti artisti a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento trovano nella feconda attività di Giovanni Mazone un modello molto apprezzato da una committenza che tende a vedere preziose testimonianze del proprio prestigio. Nato ad Alessandria nel 1433 da una famiglia di artigiani pittori, Mazone ha una posizione di rilievo nella cerchia degli artisti a Genova, soprattutto negli anni Ottanta del Quattrocento. Egli è presente nel capoluogo ligure dal 1453 e le sue opere più apprezzate sono, ad esempio, il Polittico dell’Annunciazione [Fig.24] e quello di San Nicola da Tolentino [Fig.25], nelle quali l’artista addolcisce lo spigoloso linguaggio proprio del primo, creando nel secondo pose più rilassate delle figure. Giovanni ha una flessione del gusto verso forme più ammorbidite, cui corrispondono la composizione unitaria e la scelta di motivi classicheggianti nella costruzione del trono43. Il Polittico del Volto Santo [Fig.26] ne è un esempio e si trova nella chiesa di Santa Giulia di Centaura, a Lavagna.

40 Elena Parma Armani, Una svolta internazionale, in AA.VV., La Scultura a Genova e in Liguria. Dalle origini al Cinquecento, volume I, Genova, Campomorone, 1987, p. 272.

41 I Lomellini (o Lomellino) furono una delle principali famiglie aristocratiche genovesi. Guadagnarono grandi ricchezze grazie all'attività commerciale e marinara ed in particolare grazie alla pesca del corallo nell'isola di Tabarca.

42 Lo studioso Castelnovi attribuisce la committenza a Baldassarre Lomellino. Altri pensano che sia stato, invece Francesco Lomellino a ordinarla che in data ravvicinata commissiona i lavori di restauro della cappella. Il nome del patrona motiva anche il soggetto della pala, San Francesco. (da Boccardo, cit., p. 24.).

43 Giuliana Algeri e Anna De Floriani, La pittura in Liguria. Il Quattrocento, Gruppo Carige, Genova, 1991, pp. 287-288.

(26)

26 L’opera risale al gennaio del 1500 ma è realizzata probabilmente alla fine degli anni venti del Cinquecento da un suo seguace.

Sul finire del penultimo e nel corso dell’ultimo decennio del Quattrocento, il linguaggio figurativo genovese si arricchisce di aspetti decorativi e formali che si possono definire quasi “rinascimentali”. Si fa strada un linguaggio più intenso, moderno, dove viene adottato un repertorio ornamentale classico e una meditata rielaborazione di fattori plastici e prospettico- spaziali.

Questo cambiamento deriva dal contatto degli artisti con la cultura padana e, ancora di più, da quella lombarda. Non a caso, operano in questo periodo al Nord, Bramante ma, soprattutto, Leonardo.

Molto importante è l’attività di Vincenzo Foppa, pittore nato vicino a Brescia nel 1427, considerato tra i principali protagonisti del rinascimento lombardo.

Nel 1461 Foppa si reca a Genova e affresca la cappella dei priori di San Giovanni nella Cattedrale e realizza inoltre, un Polittico in San Domenico. Purtroppo queste opere sono andate perse.

Nella città ligure, attraverso forse l'esempio di Donato de' Bardi, egli viene a un più stretto contatto con la pittura fiamminga, come è evidente dalla Madonna col Bambino [Fig.27] per la chiesa del Carmine di Pavia, firmata e datata 1463. Egli soggiorna a Genova e a Savona tra il 1488 e il 1490 ed è fondamentale per la formazione di artisti come Luca Baudo e Ludovico Brea. Altri pittori di matrice nordica che hanno importato il loro linguaggio in Liguria sono, ad esempio, Michele da Genova e Carlo Braccesco. Il primo è un miniatore di formazione lombarda e veneta attivo anche per i Campofregoso mentre il secondo è un artista nato a Milano e attivo a Genova tra il 1478 e il 1501.

I due possono essere messi a confronto. Si prenda come esempio il Trittico dell’Annunciazione, oggi conservato al Louvre, di Braccesco [Fig.28]. L’opera raffigura l’Annunciazione tra San Benedetto e un vescovo, Santo Stefano e sant’Alberto carmelitano. Nella scena centrale è stata più volte messa in risalto l’ampiezza del paesaggio che va a sfumarsi sul basso orizzonte, contro cui si delineano, impregnandosi di luce, i corsi d’acqua, gli edifici e i filari degli alberi. Il pittore è attento al dettaglio ed ha un gusto per un decorativismo, visibile soprattutto nelle vesti. Gli elementi architettonici, inoltre, presentano una profusione di motivi classicheggianti. Si noti, ad esempio, l’inginocchiatoio della Vergine: le code dei due delfini attergati si trasformano in motivi vegetali intrecciati.

(27)

27 Nei due scomparti laterali il pittore vuole concentrare l’attenzione del destinatario sui valori spaziali che vengono evocati dalle pose rotanti dei santi entro delle nicchie chiuse da i panni damascati. Si trovano perciò nell’opera due tendenze: quella decorativa e quella naturalistica. Una miniatura di Michele da Genova, presente nell’Antifonario P del convento di San Giovanni Evangelista a Parma [Fig.29], rappresenta una fedele derivazione dall’Annunciazione del Braccesco, la quale presenta le stesse tendenze stilistiche. Anche Michele da Genova assimila la cultura figurativa rinascimentale lombarda e veneta. Un esempio sono le miniature all’interno della Bibbia destinata ai Fregoso.

Due Graduali, uno conservato alla biblioteca universitaria di Genova e l’altro nella parrocchia di Sant’Andrea a Levanto, sono testimonianze dell’opera in Liguria.

Inoltre, quattro tondi affrescati nel refettorio del convento della Santissima Annunziata di Levanto, sono opere dipinte da Michele e presentano caratteristiche simili a quelle del polittico del Braccesco appena descritto. Nei loculi sono rappresentati coppie di santi circondati da corone dall’alloro [Fig. 30].

I medaglioni sono caratterizzati dalla presenza di stilemi decorativi e fisionomici tipici di Michele e l’impostazione delle figure riprende l’Annunciazione del Braccesco44.

Anche Luca Baudo è un pittore degno di nota. Egli nasce a Novara tra il 1460 e il 1465 e opera a Genova tra il 1501 e il 1507. In questo periodo a Baudo vengono commissionate svariate opere come l’Annunciazione oggi all’Hermitage e la Natività, conservata al Poldi Pezzoli, a Milano. Un’ancona datata 1502-1503 raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Pantaleo per la chiesa della Madonna della Vittoria rivela nella disposizione dei personaggi una precisa dipendenza dai consolidati modelli quattrocenteschi. Anche se, per esempio, nella tavola raffigurante i Santi Pietro e Paolo, conservata nell’oratorio dei Santi Pietro e Paolo, sempre a Genova, il tratto incisivo e rigido del Baudo, viene attenuato da una stesura di colore più morbida, che è caratteristiche del suo stile tardo. Parallelamente a Luca Baudo, opera a Genova un altro artista, Giovanni Barbagelata. Egli affresca la cappella della Vergine nella cattedrale di San Lorenzo e la cappella di Persio nella chiesa del Carmine45. In seguito alla morte di Barbagelata e Baudo, all’inizio del Cinquecento arrivano sulla scena pittori come Ludovico Brea e Bernardino Fasolo, i quali diventano artisti significativi nell’ambito della produzione artistica ligure.

44 Algeri, De Floriani, L’ultimo decennio del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento: verso un nuovo linguaggio, da Giuliana Algeri, cit., pp. 383-395.

45 Gianluca Zanelli, Genova e Savona nel primo Cinquecento, da La pittura in Liguria. Il Cinquecento, da Elena Parma, cit., pp. 27-28.

(28)

28 Protagonista del rinnovamento del linguaggio figurativo in Liguria dell’ultimo ventennio del Quattrocento è Ludovico Brea. Nato nel 1450 circa a Nizza, il suo momento di massimo avvicinamento allo stile rinascimentale ligure avviene negli anni Novanta del Quattrocento. Egli collabora con Vincenzo Foppa al Polittico della Rovere in Santa Maria di Castello a Savona [Fig. 31,32] e realizza il Polittico in San Bartolomeo degli Armeni a Multedo. Al centro vi stava il Calvario, tavola conservata oggi nella Galleria di Palazzo Bianco a Genova, affiancato dai santi Nicola e Vincenzo Ferrer con donatore. La struttura del dipinto, le cornici a trafori, le ridotti proporzioni della figura del committente rispetto ai personaggi sacri sono tutti esempi di un arcaismo ancora presente nell’opera.

Nel Calvario ci sono però delle novità nello stile di Brea: il calibrato disporsi delle figure plastiche e la determinazione dello spazio che conferisce al dipinto ariosità e ampiezza46. Un altro importante pittore è Bernardino Fasolo. Figlio dell’artista Lorenzo, egli nasce a Pavia forse nel 1486. Dagli scritti dell’Alizeri, si sa che Bernardino è a Genova negli anni Novanta del Quattrocento. Nel 1511 rileva la bottega di Luca Baudo. Tra le sue opere più rilevanti si ricordano il Polittico con San Sebastiano fra i santi Rocco e Pantaleo [Fig. 33], conservato nella chiesa di Nostra Signora del Monte a Genova e la tavola che raffigura la Madonna col bambino, oggi conservata al Louvre, del 1518. Entrambe le opere sono testimonianza del fatto che il suo linguaggio figurativo è intriso di morbide e delicate definizioni dei visi e dei contorni delle figure, preziosi passaggi luministici e soffusa atmosfera47. Queste caratteristiche

riprendono lo stile leonardesco. Bernardino Fasolo non è lontano dallo stile di un altro pittore molto rilevante nel panorama genovese nei primi trent’anni del Cinquecento: Pier Francesco Sacchi.

Anche Leonoro dell’Aquila opera in questo periodo lasciando lavori non indifferenti. Questo artista non è molto conosciuto e opera principalmente nell’entroterra genovese. Egli nasce a Finale, si hanno poche notizie della sua vita. Nel 1512 dipinge l’Assunzione della Vergine, conservata nella cattedrale di Bastia, in Corsica [Fig.34]48.

46 Algeri, De Floriani, cit., pp. 393- 411. 47 Elena Parma Armani, cit., pp. 29-30.

48 Da ricordare è che in quel periodo la Corsica è una colonia genovese. Infatti nell’isola si possono trovare varie opere di pittori genovesi, come Leonoro dell’Aquila e Agostino Bombelli, un pittore ligure di rilevante

Riferimenti

Documenti correlati

Sostanze pericolose (agenti chimici) ... Movimentazione manuale dei carichi ... Affaticamento visivo ... Punture, tagli ed abrasioni ... Urti, colpi, impatti, compressioni ...

prezzo in settimana e fine settimana e festivi 80 € RELUX SPA; PERCORSO NUXE arricchito con massaggio di 45 minuti (a scelta: rilassante, profondo, sotto affusione). prezzo

Ristorante principale “Allium”, spazioso e con vetrate panoramiche, con servizio a buffet e show cooking, serate a tema- con turni per pranzo e cena, spazioso e con

2) di approvare l'allegato schema di avviso, da pubblicarsi all'Albo Pretorio Comunale, che forma pane integrante e sostanziale del presente provvedimento, nel quale sono riportati

g) essere in possesso del nulla-osta preventivo incondizionato al trasferimento per mobilità volontaria rilasciato dall’Amministrazione di appartenenza. In

Zanantoni, il quale ottenne di farne praticare nel 1807 1’ analisi chi- mica, procurarono qualche fama a queste acque termali. Senoncliè le premure del Zanantoni per allora

piede della grotta ^di S. Stefano e 1' odierna strada, carrozzabile, non sono altro che un miscuglio di terra nera, di frammenti di cocci e di detriti di roccia calcare accumulati

L’asilo nido della Cooperativa Gialla è un servizio educativo e sociale che concorre con le famiglie alla crescita e alla formazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra