• Non ci sono risultati.

La pala in Santa Maria di Castello e un confronto con la Madonna di Foligno

ECHI DI RAFFAELLO NELLE OPERE A GENOVA E NEL LEVANTE LIGURE TRA IL 1510 E IL

3.1. Gli influssi raffaelleschi nelle opere local

3.3.3. La pala in Santa Maria di Castello e un confronto con la Madonna di Foligno

Un'opera presente nel complesso conventuale di Santa Maria di Castello, a ridosso della zona portuale del molo di Genova, riprende in maniera piuttosto palese la Madonna di Foligno di Raffaello: la pala con la Madonna Odigitria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Firenze e Tommaso d’Aquino [Fig.120,121]. La tavola è firmata 1526 e si presenta incastonata in una cornice lignea di impronta toscana ed è sorretta da una predella dipinta dallo stesso artista, la quale rappresenta il Compianto sul Cristo morto e santi. Questa era destinata ad ornare la cappella costruita a partire dal 1524 dai fratelli Battista, Gerolamo e Martino Botto nella chiesa di Santa Maria di Castello138. La studiosa Anna Bocco afferma che vi è un certo ritorno agli aspetti della formazione culturale sacchiana. Infatti, la critica sostiene che si rimanda alla pittura dell’Italia centrale, come la pala del Perugino a Bologna e l’Assunta del Pinturicchio nel museo di Napoli. Nella tavola, però, il Sacchi affiora un patetismo che compromette l’intera composizione come la forza espressiva del volto di ciascuno dei tre santi. Anche lo spazio non è colto: nell’opera del perugino vi è la consueta contrapposizione di piani volta a creare un effetto di continuità, Sacchi non sembra apprenderla e risulta arcaizzante139.

Si può ipotizzare, perciò, che il Sacchi abbia visto l’opera di Foligno o qualche disegno, e che si sia ispirato al Raffaello della prima fase fiorentina- umbra. La tavola del pittore pavese, ricorda molto quella di Raffaello, sia per la composizione che la disposizione e gesti di alcuni personaggi. Entrambe le opere presentano una divisione: la parte superiore è dedicata alla Madonna con il bambino e quella sottostante ai santi. In entrambe la vergine sorregge il bambino ed ha dietro di lei una luce, quella divina. La presenza della nuvole è in entrambe le pale ma in quella di Raffaello queste fanno da trono a Maria, mentre invece in quella del Sacchi, ella è seduta dietro ad una cassa di legno, quest’ultima sorretta da nuvolette. La ripresa più palese da parte del Sacchi è però la figura del San Giovanni Battista: nelle due opere egli è situato sull’estrema sinistra, guarda lo spettatore e ha il dito puntato contro il personaggio centrale.

138 La pala ha un’impronta fiorentina: la cappella è intitolata a sant’Antonino, vescovo di Firenze canonizzato nel 1522 e vi è un profondo legame tra i membri della famiglia Botto e l’ambiente religioso fiorentino. Da Zanelli, cit., p. 21.

77

3.4. Teramo Piaggio e Antonio Semino: il Martirio di Santa Andrea ha risentito

della Lapidazione di Santo Stefano?

Teramo Piaggio e Antonio Semino, insieme a Pier Francesco Sacchi, sono gli artisti che meglio colgono il rinnovamento della cultura pittorica nell’arco del ventennio 1510-1530. In particolare è proprio la Lapidazione di Santo Stefano l’opera che viene vista e assimilata da questi pittori. Il Sacchi né da prova con la Deposizione di Multedo e i due artisti con il Martirio di Sant’Andrea, una tavola conservata nella chiesa di Sant’Ambrogio di Cornigliano, a Genova, datata 1532 [Fig.122]. L’opera si pensa sia frutto di una collaborazione tra i due artisti. Come segnala la studiosa Elena Parma Armani, nell’opera di Cornigliano vi è la volontà di sperimentare le novità che Giulio Romano ha portato a Genova con la pala di Santo Stefano140.

Lo studioso Mario Bonzi cita una frase che attesta la collaborazione dei due alla tavola141.

Così come fa anche il Sacchi, i pittori si limitano a citare il modello in maniera superficiale con un impianto monumentale nel quale le figure creano un senso di affollamento e disordine. Inoltre nell’opera non è presente la teatralità, la quale è invece la novità che avrebbe dovuto sconvolgere la cultura figurativa del periodo in Liguria. La figura del martire crocifisso, non esprime nessun tipo di sofferenza o drammaticità, a differenza del Santo Stefano del Pippi. Le figure in primo piano non sembrano esprimere alcun sentimento. Si veda, per esempio, la ragazza all’estrema sinistra, la quale guarda il giustiziato con estrema pacatezza e tranquillità, o la figura all’estrema destra, che con la mano appoggiata al mento, guarda lo spettatore, anziché il martirio.

140 La mancanza di testimonianza figurative precedenti al Martirio, non permettono di poter ricostruire con dati certi la formazione dei due artisti. Da Elena Parma Armani, cit., p. 57.

141 Mario Bonzi cita la frase “ANTONI CEMINI ET THERAMI ZOALII SOCIOR (UM) OPUS 1532”, la quale sembra attestare sia la collaborazione certa fra i due, sia la data dell’opera. Egli sostiene che le l’opera sia colorita in modo accurato e che, però, “il tinteggiare tira al pavonazzo e ne risultò una specie di centone, nel quale mal si accumunano elementi contrastanti”. Inoltre egli attribuisce a Teramo Piaggio l’uomo all’estrema destra, quello di schiena e l’apostolo con la veste gialla a sinistra (ricorda il Cristo incoronato di spine negli affreschi di Santa Maria delle Grazie, a Zoagli, a cui aveva lavorato da solo). Ad Antonio Semino attribuisce, invece, la figura del protomartire, “di struttura tozza e rossiccio”, la donna “accoccolata in terra con il putto”, la “cavalcata dei borghesi, scenetta saporosa di vita cinquecentesca” e “la fantasiosa montagna a piramide, sul gusto di Pier Francesco”. Da Mario Bonzi, cit., p. 310.

78 Il paesaggio sembra la parte del dipinto che si avvicina di più alla tavola di Giulio Romano. Le architetture e i personaggi sullo sfondo sembrano essere ripresi dalla pala, anche se sono studiati in maniera meno minuziosa.

L’opera dei due pittori rappresenta solamente un’eco della tavola di Giulio, ma quest’ultima risulta non capita a pieno dai due artisti che operano nella prima parte del Cinquecento.

79

3.5. Un caso di ripresa molto fedele da Raffaello: La Santa Cecilia in Santa

Giulia di Centaura a Lavagna

Dopo la morte di Raffaello molti artisti nel Cinquecento vogliono esprimere e propagare il suo stile. Dopo il sacco di Roma i suoi seguaci e il suoi allievi si spargono in tutta Italia. Alcuni artisti invece tendono semplicemente a riprendere piuttosto fedelmente le opere dell’artista urbinate. Fino al XVIII secolo vi è un’interrotta presenza di copie, specialmente nei palazzi signorili di Genova e questo dimostra una grande diffusione e successo dei temi raffaelleschi in Liguria. Quello più diffuso è quello della Madonna con il bambino. Si prenda come esempio la ripresa della Madonna della Quercia, commissionata da Francesco Pallavicini, collocata nel Santuario di Nostra Signora Incoranata, vicino a Genova. O, ancora, quella della Bella Giardiniera, documentata nella collezione Gaetano Cambiaso e, precedentemente, presente nel palazzo Doria-Tursi, uno dei più importanti nel centro storico della città [Fig. 123]. Un tema mitologico viene ripreso da un artista per fare l’affresco centrale nella volta dell’atrio nella villa cinquecentesca Cambiaso Dietsch ad Albaro: Galatea [Fig.124]. Probabilmente l’artista si è servito dell’incisione di Marcantonio Raimondi con il medesimo soggetto [Fig. 125].

Un caso di riproduzione fedele da Raffaello è quello della pala rappresentante Santa Giulia fra Maria Maddalena, Cecilia, Barbara e Caterina d’Alessandria, situata sull’altar maggiore dell’abside dell’omonima chiesa, in un paesino non lontano da Genova. Si tratta di una delle più antiche riprese [Fig.126]. Come sostiene la studiosa Farida Simonetti, il pittore ha un desiderio di fornire un prodotto aggiornato e qualificante, così egli si appoggia sulla Santa Cecilia di Raffaello, dipinta intorno al 1514, oggi conservato alla pinacoteca nazionale di Bologna.

In effetti, la citazione è palese. La tavola è attribuita ad un ignoto pittore emiliano del secolo XV142 [Fig.127]143.

142 Farida Simonetti, Franco Boggero, La diffusione dei temi raffaelleschi attraverso le copie e le trasposizioni, in

Raffaello e la cultura raffaellesca in Liguria, cit., p. 151.

80 Il critico d’arte Mario Labò nota una stretta connessione con la pala di Raffaello. Per questo motivo si pensa che l’artista che ha dato vita all’opera sia emiliano che ha visto la Santa Cecilia dal vero. Esiste anche un’incisione di Marcantonio Raimondi, la quale potrebbe essere stata vista dall’ignoto pittore: sono presenti cinque personaggi e sono rappresentati gli strumenti musicali, riprendendo quelli dipinti da Giovanni da Udine nell’opera di Raffaello [Fig. 128]. L’affresco in Santa Giulia sembra una ripresa piuttosto fedele: la cintola con il cordone, la pettinatura con un piccolo mazzocchio e le canne dell’organo che escono dal telaio della Santa sono riprese in maniera meticolosa [Fig.129, 130].

L’Alizeri è il primo critico a dare un nome all’autore dell’opera: Andrea Fontana144.

L’opera, entro una cornice di marmo, presenta Santa Giulia al centro, seduta di fianco, su un trono, anch’esso di marmo, ben scolpito, mentre sta dando un pane di cera a Santa Caterina, la quale è inginocchiata e riconoscibile dalla ruota dentata, di fianco a lei: entrambe le sante guardano lo spettatore145. Sull’estrema destra spunta Santa Barbara e la sua torre. Nella parte di sinistra vi sta Maddalena e la Santa Cecilia, una copia palese da quella raffaellesca: uguale e la posizione, con lo sguardo rivolto verso l’alto e con le mani che reggono un’arpa. Identiche le vesti dalle ampie maniche e legate alla cintola con un cordone; identiche le pettinature col piccolo mazzocchio sulla sommità del capo. In terra vi è vasto assortimento di strumenti musicali: risultano copiati esattamente uno ad uno.

Sembra che il pittore abbia dimenticato Santa Giulia: è Santa Cecilia la vera protagonista del quadro. Ne sono la prova gli strumenti musicali sparsi a terra e gli angeli in atteggiamento di cantori, anche questi molto simili a quelli del pittore urbinate [Fig. 131, 132].

Tutti questi elementi vengono ripresi e citati in maniera piuttosto goffa e poco curata. Lo stile è quello di un artista minore, nemmeno troppo bravo e, per questo motivo, poco conosciuto. Le cinque sante sono in atteggiamento di preghiera entro una specie di cappella: attaccatp ad una parete vi è un quadretto con una Madonna e il bambino.

144L’attribuzione è citata dall’Alizeri ne Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, l’opera viene datata 1533 e si afferma che il committente dell’opera sia Gian Battista Fieschi dei Conti di Lavagna. L’Alizeri trova una quietanza del 1533 in cui si afferma che «Dominicus Fontana pietor magistri Andree» riceve 8 scudi d'oro «pro pretio unius ancone seu maiestatis confeete lignaminibus 'ad requisitionem reetoris et mas- sariorum diete Ecclesie Sanete lulie». La chiesa, il prezzo e il legname sembra corrispondere all’opera, anche se non viene precisato il soggetto.

Di Andrea Fontana si sa poco e niente. Il cognome Fontana è molto diffuso in Emilia, si ebbe anche una famiglia di pittori: il più famoso fu Alberto Fontana pittore modenese morto nel 1548. Da Mario Labò, Un plagio

raffaellesco emiliano in Santa Giulia di Centaura, in <<Cronache d’arte>>, 1925, pp. 253-257.

145 Si tratta di pani di cera che dal circa gli anni Ottanta del Quattrocento, il mare portava sulla spiaggia della Riviera del Levante ligure. Questa venne riconosciuta come cera della Corsica, dove Giulia aveva subito il martirio. Questa, così, diventa la reliquia della santa. Da Mario Labò, cit., p. 257.

81 Le sante sono dunque oggetto di culto perché sono rappresentate con l'aureola; ma le stesse sono anche raffigurate in atteggiamento di orazione, entro delle architetture curate con meticolosità: particolarità iconografica che ci ricorda la Madonna col bambino del Costa in San Petronio a Bologna [Fig. 133].

Scompriamo nell'artista uno di quei pittori ambulanti che viaggiavano per le campagne, con una scorta di modelli rubacchiati146.

Un’abilità pittorica si può riscontrare nei particolari ornamentali: disinvoltura negli effetti, pro- spettiva sicura nella linea e nel chiaroscuro.

Colori sgargianti dal tappeto alle vesti; le donne sono rivestite di panni semplici: da notare a questo riguardo l'estrema rozzezza delle vesti.

Soltanto la protagonista, Santa Giulia, reca a questo riguardo un qualche segno distintivo ma unicamente per la mole. Dunque l'abilità del pittore si mostra essenzialmente nei particolari architettonici e decorativi: è quindi possibile che ci troviamo dinanzi ad uno di quei manovali che aiutavano i maestri nei lavori di rifinitura ed ornamentazione.

Sotto l'ancona c'è la seguente iscrizione: <<Opus hoc ad Honorem Divae luliae propriis sumptibus construxit Anno Domini 1784>>.

Evidentemente in questa data viene rifatta al quadro la cornice in marmo. Il Ravenna dice a questo riguardo che anticamente ci fosse un'altra iscrizione che venne poi cancellata. Più che cancellata è probabile che sia stata barbaramente asportata tutta una striscia di marmo in basso ed anche ai lati, nella quale le figure rimangono incomplete147.

146 Mario Labò, cit., p. 255.

82

CAPITOLO 4