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La commissione della Lapidazione di Santo Stefano

UN CASO DI RAFFAELLISMO A GENOVA: LA LAPIDAZIONE DI SANTO STEFANO DI GIULIO

2.2.2. La commissione della Lapidazione di Santo Stefano

La tavola, di enormi dimensioni, 403x288 centimetri, viene commissionata nel 1519 da Gian Matteo Giberti a Raffaello, ma, dopo la sua morte, viene eseguita da uno dei suoi allievi migliori: Giulio Romano [vedi fig. 46]. La Lapidazione di Santo Stefano viene collocata sull’altare maggiore dell’omonima chiesa, probabilmente nel 1521.

La datazione dell’opera è stata decisa sulla base di un’iscrizione nella cornice, purtroppo persa durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Inoltre la tavola è ritenuta un dono per la città da parte di Leone X. È il Ratti che nella sua guida del 1766, riprende quanto detto dal Vasari ed interpreta correttamente l’iscrizione che incorniciava il dipinto, sostenendo che va riferita al Giberti, il quale poteva dirsi praefectus di Leone X in quanto da lui nominato commendatario di Santo Stefano73.

L’iscrizione diceva: LEONIS X P(ONTIFICIS) M.(AXIMI) FRATISQUE JULII CARD. (INALIS) MEDICES BENEFICIO TEMPLO PRAEF.

Vicino questa vi stava anche il triregno e lo stemma dei Medici: non a caso il pontefice fa parte di questa potente famiglia.

Questo testimonia il fatto che l’opera viene eseguita durante il pontificato di Leone X, che Giberti è prefetto del papa, nominato il 29 Marzo del 1519 e che il quadro è collocato nella chiesa entro il 1521, anno di morte del papa. Quindi l’opera deve essere stata eseguita tra queste due date.

Ma quali sono le possibili ragioni per cui Giberti compie questa committenza?

Un saggio di Farida Simonetti spiega quale potrebbe essere stata la motivazione di questa committenza.

Dall’anno 1517 al 1520 avviene un concorso indetto da Giulio de Medici per la creazione di un’opera da offrire alla cattedrale di Narbonne, di cui egli è vescovo.

Le due opere concorrenti sono la Trasfigurazione di Raffaello [Fig. 57] e la Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo [Fig.58].

Sicuramente la Lapidazione richiama in molte parti l’opera del maestro urbinate, la quale è datata 1516-1518. Entrambe le scene sono scandite su due livelli: quello terreno e quello divino. Anche la disposizione circolare dei personaggi è ribadita dal concatenarsi dei gesti di ognuno.

73 Farida Simonetti, La Lapidazione di Santo Stefano, in Raffaello e la cultura raffaellesca in Liguria, interventi

di restauro e problemi di conservazione e fruizione, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, (7 dicembre-

45 Infatti, lo storico dell’arte Adolfo Venturi descrivendo l’opera di Giulio Romano sostiene che sia “tutta popolata di immagini uscite dalla Trasfigurazione […] sembra un centone di motivi raffaelleschi”74.

Egli evidenzia anche un legame con l’opera di Sebastiano del Piombo, la Resurrezione di Lazzaro, soprattutto nell’impostazione del paesaggio, con il fiume e le rovine, e nelle luci e ombre che lo percorrono.

È probabile che Giberti abbia usato questi due capolavori, non appena nominato commendatario, ed abbia voluto emulare il gesto di Giulio de’ Medici inviando anch’egli un’opera prestigiosa, quasi teatrale, al suo benefizio, in modo da ribadire il suo ruolo di personaggio centrale nella vita culturale della corte papale, anche al di fuori dell’ambiente romano. L’immagine che il Giberti vuole dare di sé e quella di un uomo con autocontrollo e con precoce ostentazione, unite alla dissimulazione. Queste caratteristiche inducono il Castiglione a giudicarlo come “un cervelletto indiavolato et malignetto con una humanità finta”75.

Giberti sceglie Raffaello per l’esecuzione di questa tavola. Egli è l’artista che meglio avrebbe risposto alle esigenze di un committente così “religioso” e legato alla corte del papa. La morte prematura, però, non gli ha permesso di iniziare il lavoro.

Giulio è uno dei migliori allievi di Raffaello quello più affermato, il quale avrebbe reso al meglio gli intenti del committente.

74 Adolfo Venturi, Storia dell’arte, vol. IX, Milano, Rizzoli, 1926, p. 366. 75 Adriano Prosperi, cit., pp. 37-38.

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2.3. Giulio Romano, “grande discepolo ed erede di Raffaello”

Gombrich, uno dei più importanti storici dell’arte del Novecento, definisce questo artista come “un grande discepolo ed erede di Raffaello, un maestro erudito, virtuoso d’invenzione, un esecutore mancante di perfezione ed un genio licenzioso, il quale contrasta con il divino Raffaello”76.

Giulio Pippi de' Jannuzzi o Giannuzzi, detto più comunemente Giulio Romano, nasce nel 1499 a Roma e muore a Mantova nel 1546 e proprio queste due città sono gli scenari di un gran numero di sue opere77. Vasari, il quale ha conosciuto di persona l’artista, ne parla così78: Fra i molti discepoli di Raffaello di Urbino, dei quali la maggior parte riuscirono valenti, niuno n’ebbe che più lo imitasse nella maniera, invenzione, disegno, e colorito, di Giulio Romano, né chi fra loro fusse di lui più fondato, fiero, sicuro, capriccioso, vario, abbondante ed universale: per non dire al presente che egli fu dolcissimo nella conversazione, gioviale, affabile, grazioso, e tutto pieno d’ottimi costumi; le quali parti furono cagione che egli fu di maniera amato da Raffaello, che egli fusse stato figliuolo non più l’arebbe potuto amare […]79.

Egli è un architetto, pittore e, più in generale, è un artista completo come era normale per un artista di corte che deve occuparsi di ogni aspetto legato alla residenza e alla vita di rappresentanza del proprio signore. Un esempio è Federico Gonzaga, committente di Palazzo Te, capolavoro nato dall’ingegno del Romano. Egli deve fornire modelli grafici per gli arazzi, opere scultoree e oggetti in argento, coordinando collaboratori e artigiani. Egli è l’allievo migliore all’interno della bottega di Raffaello e collabora insieme a lui agli affreschi nelle Stanze Vaticane, in particolare a quello dell’Incendio di Borgo80. Nel periodo intorno al 1518 sono documentati i suoi primi disegni di architettura, in particolare di studi di angoli per il Palazzo Branconio dell'Aquila che Raffaello progettò per farne dono a un amico, lasciando allo stesso Giulio la piena libertà nella creazione del cortile interno. Dati i complessi rapporti stilistici all'interno della bottega, è difficile, a volte, distinguere in alcuni dipinti la mano di Raffaello da quella dell’allievo.

76 Ernest Gombrich, Anticamente moderni e modernamente antichi, da <<Note sulla fortuna critica di Giulio

Romano pittore>>, Milano, Electa, 1989, pp. 11-13.

77 L’ipotesi della sua data di nascita è incerta: si pensa che sia nato tra il 1492 e il 1499 e la ricerca più recente di Hartt e Frommel propende per quest’ultima data.

78 Vasari fa visita a Giulio a Mantova nel 1544. 79 Vasari, cit., p. 732.

47 Esempi possono essere il Ritratto di Lorenzo de’ Medici [Fig. 59], olio su tela del 1518, conservato a New York in una collezione privata (ex collezione Ira Spanierman), attribuito oggi a Raffaello e bottega e, in particolare, a Giulio Romano.

Per quanto riguarda i soggetti sacri, si ricordano due olii su tavola: la Sacra Famiglia con sant’Anna e san Giovannino detta La Perla o la Sacra Famiglia con san Giovannino, chiamata anche Madonna della quercia, entrambe datate 1518-19 ed esposte presso il Museo Nacional del Prado [Fig.60,61]. Alla prematura morte di Raffaello nel 1520 ne eredita, per testamento, la bottega e le commissioni già avviate, assieme al collega Giovan Francesco Penni con il quale collabora per molto tempo. Dal Vasari sappiamo che Raffaello ha riunito attorno a sé un’ampia cerchia di artisti. Con il suo carattere amabile e cordiale, il maestro collaborava insieme agli allievi in perfetta armonia. Dopo il 6 aprile del 1520, i discepoli dovevano sentirsi soli. La generazione dei più giovani abbandona il lungo procedimento preparatorio che esigeva l’urbinate: questo prevedeva varie fasi e un accurato studio del nudo dal vero. Così avviene una rottura del cosiddetto Rinascimento maturo romano e la nascita del Manierismo81. In tale periodo si occupa di coordinare gli affreschi di Villa Madama e di completare la sala di Costantino nelle stanze Vaticane in cui gli viene riconosciuta l'esecuzione di alcune scene come la Visione della croce e la Battaglia di ponte Milvio datate 1520-24. Dopo aver collaborato ai progetti di Raffaello, per esempio al cortile del Palazzo Branconio dell'Aquila, i suoi primi autonomi progetti di architettura sono a Roma: il palazzo Adimari Salviati, a cui lavora dal 1520, la Villa Lante sul Gianicolo, vi è impegnato dal 1518 al 1527 ed il Palazzo Maccarani dal 1521 al 152482.

Giulio non lavora solamente a Roma ma anche a Mantova: Palazzo Te è uno dei capolavori realizzati nel Cinquecento nel Nord Italia.

Il Pippi lo costruisce tra il 1526 e il 1534. Così come ha fatto Andrea Doria con la Villa del Principe, Federico Gonzaga fa costruire questa imponente residenza per esaltare le proprie virtù. Il palazzo, infatti, esprime chiaramente la natura dei Gonzaga. L’arte era solo una delle passioni di Federico: egli aveva, per esempio, la predilezione della caccia e quella per i cavalli, come dimostra la grande sala chiamata appunto, Sala dei Cavalli. L’iconografia della residenza, mostra il principe raffigurato come un amante dei piaceri della vita.

81 Achim Gnann, I giovani artisti a Roma dopo il Sacco di Roma, da Konrad Oberhuber, Achin Gnann (a cura di),

Roma e lo stile classico di Raffaello, cat. mostra (20 marzo- 30 maggio 1999), Milano,Electa, 1999, pp. 31-33.

48 Giulio Romano è considerato l’artista che preannuncia il barocco perché le sue figure sono cariche di espressività ed elabora, attraverso gli studi delle opere del suo maestro, uno stile carico di teatralità, caratteristica principale dei suoi capolavori.

Questa viene riportata proprio nella Lapidazione di Santo Stefano.

Inoltre, Giulio può essere considerato il fondatore di uno stile che viene studiato dall’Accademia d’Europa. Con la sua arte, infatti, avviene una sorta di rinascita dell’antico, in quanto il Pippi è affascinato dall’antichità. Si ricordano le rovine di Roma raffigurate dall’artista proprio nella Lapidazione. Come spiega lo storico dell’arte Hartt, “Giulio era cresciuto ai piedi del foro romano, fra il Colosseo e la colonna Traiana, fra l’arco di Costantino e il Campidoglio e aveva, perciò, un immediato accesso alle vestigia dell’antichità classica romana”83. Giulio ha

l’ambizioso desiderio di affascinare lo spettatore e di lasciarlo a bocca aperta, lo stesso intento che dominerà l’arte barocca. Prendendo ad esempio il ritratto della viceregina di Napoli [Fig.58], egli presenta una varietà e molteplicità di punti di vista.

Differenzia pittoricamente i diversi materiali con una vasta gamma cromatica e fa risaltare i diversi piani di profondità aggiungendo dei magici contrasti chiaroscurali. Facendo così, egli si distacca dall’opera del suo maestro84.

Come sostiene Gombrich “la sua arte mostra di aver saputo combinare aspetti del tutto contrastanti e di aver offerto alla fantasia umana nuovi mezzi per dare una forma permanente ai sogni e agli incubi della nostra mente”85.

83 Hartt, Giulio Romano, New Heaven, Yale University Press, 1958, p.3.

84 Sylvia Ferino Pagden, Giulio Romano pittore e disegnatore a Roma, da Hartt, cit., pp. 65-68. 85 Gombrich, cit., p. 11.

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2.4. Un’analisi dell’opera