IL MARTIRIO DI SANTO STEFANO: UN’ICONOGRAFIA
4.1. Una breve storia iconografica della Lapidazione di Santo Stefano prima della pala di Giulio Romano
4.2.5. Giochino Assereto e i due bozzetti della Lapidazione di Santo Stefano
Si hanno poche notizie biografiche riguardo l’artista grazie al Soprani. Egli nasce nel 1600 e a soli dodici anni diventa apprendista di Luciano Borzone. Successivamente viene introdotto dal fratello presso Andrea Ansaldo, il quale diventa il suo nuovo maestro. Quando aveva appena sedici anni, i confratelli dell’oratorio di Sant’Antonio gli fanno la sua prima commissione: una tela con Il Santo che mette in fuga i demoni. Si susseguono altre commissione religiose: quella dei disciplinati di Santa Maria, dell’oratorio di Santa Croce, e, ancora, degli oratori di Santo Stefano, San Germano e Sant’Andrea. Questo tipo di commissioni fanno intuire il carattere della pittura dell’Assereto: “fiera e confusa nel colorito”185. Negli anni Venti egli produce tele
non solo a Genova, ma anche nel levante ligure, come a Chiavari e a Recco. Tra poche notizie biografiche, il Soprani dice che il pittore ligure compie un viaggio a Roma nel 1639, che completa gli affreschi del Bottalla nel palazzo Ayroli nel 1644 e che muore nel 1649186. Assereto dipinge due bozzetti che raffigurano la Lapidazione di Santo Stefano, uno è conservato alla Pinacoteca Nazionale di Lucca e l’altro nei depositi di Palazzo Bianco a Genova [Fig. 156,157]. Confrontando il primo con l’opera del De Ferrari, si può notare uno stesso impianto compositivo e persino le figure e i loro movimenti sembrano citazione di Giovanni Andrea. Anche in questo caso Stefano è a terra con un braccio alzato verso il cielo e l’altro in appoggio al terreno. I due lapidatori a sinistra sembrano ripresi dalla pala di Giulio Romano per le pose e la dinamicità che esprimono.
Ma si veda ora il bozzetto di Genova, datato agli anni venti del Seicetno. In quest’opera Assereto è meno drammatico. Sullo sfondo ci sono delle rovine e i lapidatori esprimono meno violenza rispetto a quello di Lucca. La figura di Santo Stefano riprende quella del Romano: infatti, medesima è la posizione.
Si nota perciò, che molti artisti liguri rappresentando il tema della Lapidazione di Santo Stefano, protagonista di questo ultimo capitolo, si rifanno a quella di Giulio Romano, opera che ha avuto un ruolo molto importante nella cultura pittorica a partire dagli ultimi anni del Cinquecento fino alla prima metà del Seicento.
185 R. Soprani, cit., pp. 272- 273. 186 F. Pesenti, cit., p. 371.
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4.3. Un’eco della Lapidazione di Giulio Romano nell’Emilia Romagna nel
Cinquecento
Un caso molto interessante di rappresentazione della lapidazione è quello di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, il quale dipinge un’opera con questo soggetto nel 1540 [Fig.158]187. Si tratta di una tavola centinata trasferita su tela, che oggi si trova alla Gemäldegalerie, a Berlino. Un documento riportato dallo storico Luigi Napoleone Cittadella attesta che i padri conventuali di San Francesco in Lugo, località nella Romagna, ordinano al Garofalo un quadro per la loro chiesa “siccome forse non affrettavasi a compirlo, què frati l’avranno eccitato a modo che venne stipulata la promessa formale” a rogito del notaio Francesco Catinelli, perché l’opera venisse terminata entro il mese di ottobre:
Providus vir Magister Benvenutus filius que magistri Petri […] obbligando se etc. promisit etv. Venerabili in Theologia Magistro Alexandro de Rubeis nuntio et frati ordinis S. Francisci civitatis Luigi dare finitum et perfectum unum quadrum et seu anchonam, quam ipse Mag. Benvenutus facit. Et hoc per totum mensem Octobris proximum futurum, sun poena restituendi scutos trigints sri pro auro, quos ipse habuit pro ata praedictis fratibus pro facienda188.
L’opera è stata dipinta nella fase tarda e matura del pittore ferrarese, quando si appresta ad un accentuato plasticismo michelangiolesco.
La studiosa Anna Maria Fioravanti Baraldi afferma che il Garofalo in queste opere ha “uno stile grandioso, ben adatto a rinforzare il raffaellismo giovanile in chiave romanizzante”189. Per
questo infatti egli prima di creare la Lapidazione per Lugo guarda sicuramente quella di Giulio Romano fatta per l’abbazia di Santo Stefano.
Vasari ci racconta che i due artisti hanno stretti rapporti di amicizia. Frequentano entrambi Mantova nel 1524 e alla corte estense. Confrontando le due opere si può notare che le riprese sono palesi.
187 Benvenuto Tisi da Garofolo, detto il Garofalo, nasce nell’omonima cittadina nel 1476. Fa fa parte della Scuola ferrarese, e lavora infatti alla corte degli Estensi. Il soprannome Garofalo deriva dal nome del paese in cui forse nasce e lui stesso occasionalmente firma i suoi quadri con un piccolo disegno di un garofano. Muore a Ferrara nel 1559.
188 Luigi Napoleone Cittadella, Benvenuto Tisi da Garofalo: pittore ferrarese del secolo XVI , Ferrara, Domenico Taddeo e figli Editori, 1872, p. 44.
105 Il Garofalo riprende quasi alla lettera lo stesso schema compositivo, così complesso. Egli compie due viaggi a Roma: il primo nel 1500 e il secondo nel 1512 su invito del concittadino Girolamo Sacrati, presso lo corte di papa Giulio II, dove conosce Raffaello. I contatti con il maestro lo portano a cambiare il suo stile da lombardo ad uno più classico stilizzato, influenzato anche da Giulio Romano. Si può ipotizzare che proprio durante il suo secondo viaggio a Roma sia venuto a contatto con i disegni per l’arazzo con la Lapidazione per le pose dei lapidatori e quella Santo. O ancora, più probabile, che egli abbia preso visione del disegno seicentesco di Raffaello, ora all’Albertina, di cui si è parlato nel capitolo secondo, in cui è rappresentato un lanciatore. In effetti, sembra ripreso fedelmente sia il torturatore con le braccia alzate e sia quello in primo piano che sta per scagliare con violenza una pietra. Della Lapidazione di Santo Stefano non esiste alcuna incisione e non si hanno notizie di un viaggio a Genova da parte del Tisi. Si ha notizia della presenza del cartone della Lapidazione negli anni venti del Cinquecento a Roma. Si può ipotizzare, perciò, che il pittore ferrarese abbia visto proprio questo cartone è abbia ripreso da questo la composizione bipartita, la quale è una citazione palese, è la dinamicità e teatralità, qualità tipiche dello stile di Giulio Romano, che vengono espresse nuovamente dal Garofalo.
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4.4. Una riproduzione fedele in Sicilia: Bernardo Castello e la Lapidazione del
1583
Si può concludere questa tesi parlando di una delle riproduzioni più fedeli della pala di Giulio Romano: quella di Bernardo Castello, conservata nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi a Palermo [Fig. 159].
Il pittore nasce a Genova nel 1557. Egli impara la pittura nella bottega di Antonio Semino e, a quattordici anni, si rivolge agli insegnamenti di Luca Cambiaso, a cui rimane sostanzialmente fedele fino alla sua maturità artistica. Castello presiede la corporazione dei pittori a Genova e si scontra con il Paggi, in quanto egli non voleva riconoscere la nobiltà della pittura190. Durante la sua carriera egli produce numerose opere e viene lodato da famosi letterati del suo tempo, con i quali intrattiene rapporti di amicizia e ai quali regalava disegni e quadri. Tra questi si segnalano Gabriello Chiabrera, si ricordino le numerose lettere scritte dal poeta al pittore, e Torquato Tasso, per il quale Castello produce le illustrazioni per la Gerusalemme liberata, sia per la prima edizione, pubblicata nel 1590, che per la seconda, del 1617. Alcuni di questi disegni vengono poi incisi a bulino da Agostino Carracci.
Oltre che a Genova, egli lavora anche a Roma nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, nel Palazzo Colonna e nel Palazzo del Quirinale.
Databile al 1583 è la Lapidazione di Santo Stefano nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi a Palermo.
La tela si trova nella terza campata, nella Cappella di Santo Stefano Protomartire, entro un altare che la custodisce [Fig. 160]. Mettendo a confronto l’opera del pittore ligure con quella di Giulio Romano, si può notare la notevole somiglianza tra le due. Le dimensioni dell’opera sono ridotte rispetto a quella del Pippi ma vi è la stessa composizione bipartita e le pose dei lapidatori, di Santo Stefano e del Dio Padre nella parte superiore sono praticamente identiche. Anche il paesaggio è ripreso fedelmente. In questo dipinto Bernardo sembra non riuscire a riprodurre quella teatralità presente nella pala di Giulio.
Quello che è certo è che dopo la commissione, il pittore ligure si sia recato presso la chiesa di Santo Stefano e che abbia visto la tavola del Pippi, rimanendone molto affascinato.
190 Come racconta il Pesenti, il Paggi incoraggiava gli artisti in direzione di una pittura innovativa, uscendo dalle costrizioni delle corporazioni artigianali, a cui era molto legato, invece, Bernardo Castello. Pesenti, cit., 12 .
107 Interessante è il fatto che un dipinto di un artista genovese si trova in una chiesa a Palermo. I rapporti tra Genova e la Sicilia esistono già dai tempi dei Normanni, e durano per lungo tempo, fino Novecento191. Così, proprio in Sicilia sono presenti tutt’oggi opere di artisti liguri. Infatti, le famiglie che avevano il potere commissionavano opere d’arte per dimostrare la loro importanza e supremazia non solo a Genova, ma anche al sud.
Tra le opere liguri si ricorda, ad esempio, quella con La Madonna Patrona di Genova attribuita a Domenico Fiasella, la quale si trova proprio all’interno di San Giorgio dei genovesi [Fig. 161]. La raffigurazione della città dall’alto e il suo entroterra montuoso sono rappresentati con una precisione quasi cartografica, questo perché il quadro serviva a informare chi non conosceva Genova, aveva, perciò, una funzione di cartina. Fa contrasto, invece, il gruppo sacro nella parte superiore: si tratta quasi di un’apparizione ed ha una funzione di devozione192.
Alla fine del Cinquecento la chiesa di San Giorgio dei genovesi viene acquistata dalle più importanti famiglie della città ligure193.
191 I genovesi sbarcano in Sicilia già nel XII secolo. Lo storico Carmelo Trasselli segnala che già nel 1162 Genova ottiene da Federico Barbarossa la città di Siracusa e che la città ligure è in lotta con Pisa per il possesso delle basi sull’isola. I Doria e i Ventimiglia erano tra le famiglie più potenti anche in Sicilia e detenevano il borgo marinaro fortificato di Castellammare. Nel Cinquecento avviene un rapido succedersi di dominazioni degli Sforzi, degli Adorno e, tra il 1512 e il 1518, i Campofregoso e di dure battaglie contro i francesi. Da Carmelo Trasselli, I
rapporti tra Genova e la Sicilia: dai Normanni al Novecento, in Genova e i genovesi a Palermo, Atti delle
manifestazione culturali tenutesi a Genova (13 dicembre 1978- 13 gennaio 1979), Genova, Sagep Editore, 1980, pp. 15-24.
192 Maria Grazia Paolini, Pittori genovesi in Sicilia: rapporti tra le culture pittoriche ligure e siciliana, cit., pp. 51- 52.
193 È documentata la fondazione della Confraternita di San Luca presso l'omonima chiesa, primitivo luogo di culto presso La Cala. Prima di questa sede, la comunità di genovesi a Palermo teneva le funzioni, patrocinava e seppelliva i morti nella cappella di loro proprietà ubicata nell'aggregato monumentale della chiesa di San Francesco d'Assisi. Nel 1576, abbattuta la chiesa di San Luca, l'attuale luogo di culto fu edificato tra il 1576 e il 1596 dall'architetto piemontese Giorgio Di Faccio con la collaborazione del marmista Battista Carabio a poca distanza dalle mura civiche e da Porta San Giorgio, poli monumentali oggi scomparsi. La costruzione della chiesa è diretta conseguenza dell'importanza economica raggiunta alla fine del XVI secolo dai genovesi nella città, i quali avevano superato i pisani nel settore bancario del Regno di Sicilia.
Innalzare un nuovo edificio religioso tra la porta di uscita della città e il nuovo molo del porto, voluto dal senato cittadino, aumentava la supremazia bancaria e mercantile dei genovesi. Ono molte le famiglie genovesi che fanno prestiti per emarginare la crisi politica ed economica spagnola durante i regni di Carlo v e Filippo II. In qualità di banchieri e mercanti contribuiscono a risanare la città di Palermo le famiglie Castello, Costa, Doria, i Lomellino, i Malocello, i Pallavicino, e gli Spinola, cioè le più importanti famiglie genovesi. Da Giuseppe Cosentino, Chiesa
di San Giorgio dei Genovesi, <<Archivio Storico Siciliano della Società di Storia Patria di Palermo». Anno III,
1878. https://archive.org/stream/lachiesadisgiorg00pate/lachiesadisgiorg00pate_djvu.txt (consultazione 2-10- 17)
108 Un membro di una famiglia che aveva un altare di sua proprietà ha commissionato proprio al Castello, il quale in quel periodo era uno degli artisti più attivi a Genova, la realizzazione del dipinto con la Lapidazione di Santo Stefano per poterla porre al suo interno: si tratta della famiglia Malocello.
Questi sono un’importante famiglia attiva a Genova sin dal Duecento194.
Bernardo Castello dipinge un’altra opera che ha come soggetto la Lapidazione di Santo Stefano e che è destinata ad arrivare in Sicilia. Infatti, esiste un’altra versione fornita per l’oratorio palermitano di Santo Stefano datata 1619 [Fig. 162]. La costruzione dell’oratorio viene avviata nel 1580 su commissione di un gruppo di mercanti genovesi riuniti nella Confraternita dedicata proprio a Santo Stefano con sede presso la chiesa di Santo Stefano del Piano. Questi ottengono una porzione di terreno e ne acquistano un altro vicino per erigere l’oratorio. Dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale le autorità ecclesiastiche hanno spostato le opere che si trovavano all’interno, tra cui quella di Castello, e le hanno portate presso il Museo Diocesano, dove si trovano tutt’oggi195.
Si può ipotizzare che la Confraternita di Santo Stefano abbia commissionato al pittore un quadro con un soggetto che li rappresentasse.
Sembra che anche in questo caso Castello abbia visionato l’opera del Pippi a Genova. Anche se questa seconda rappresentazione sembra meno fedele alla tavola di Giulio Romano, medesima è la bipartizione su due livelli, e la composizione dei personaggi. Le pose dei due lapidatori al centro sembrano riprese fedelmente, così come quella di Saul, che si trova in posizione speculare rispetto all’opera del Pippi. Il tutto sembra però meno teatrale e meno drammatico.
Bernardo Castello con la Lapidazione del 1583 e quella del 1619, diventa un artista che porta sia il linguaggio di Giulio Romano, sia, in parte, quello raffaellesco, in Sicilia, rinnovando, così, la cultura pittorica nella regione.
194 I Malocello sono una delle più antiche e nobili famiglie della città. Discendono dalla nobiltà viscontile che aveva contribuito alla nascita del Comune di Genova. Essi hanno sempre preso parte attivamente alla vita economica della città, così che già nella prima metà del Duecento erano presenti tra i mercanti e i banchieri operanti a Siviglia e in generale nella Spagna meridionale, a Lisbona e Ceuta.
Secondo quanto comunemente accettato dalla storiografia, fu proprio su questo ambiente di mercanti e banchieri genovesi che si appoggia la Corona portoghese per dare inizio allo sviluppo della sua marineria atlantica, necessaria premessa per le esplorazioni geografiche dei secoli successivi. Tra i Malocello si ricorda uno dei membri che ha avuto più rilievo nella storia: Lanzarotto, vissuto nel Trecento. Anche se esistono poche notizie che lo riguardano, si sa che egli era un navigatore e che scopre le isole Canarie intorno alla metà del secolo.
http://www.treccani.it/enciclopedia/lanzarotto-malocello_(Dizionario-Biografico)/ (consultazione 2-10-17) 195 Pierfrancesco Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori. Confraternite, compagnie e congregazioni dal XVI al
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Conclusioni
In questa tesi ho parlato del fenomeno del raffaellismo in Liguria, in particolare a Genova e nel levante ligure, fornendo degli esempi ritenuti significativi. L’oggetto principale è una tavola di Giulio Romano del 1521 conservata nella chiesa di Santo Stefano, la quale risulta dopo vari studi, essere il primo esempio di raffaellismo in Liguria.
Dopo varie ricerche è emerso il fatto che il disegno della pala era stato, in parte, ideato proprio da Raffaello, artista al quale era stata commissionata la tavola nel 1519 da Gian Matteo Giberti, commendatario della chiesa. Infatti, prima delle Vite del Vasari, all’arrivo della pala nella città, molti cronisti ritenevano che il dipinto fosse di mano di Raffaello, o che in parte fosse sua e del suo allievo Giulio Romano. Attraverso una ricerca tra vari disegni del pittore urbinate, sono arrivata alla conclusione, perciò, che l’idea della composizione della tavola in Santo Stefano non sia del tutto frutto di Giulio Romano, il quale per raffigurare la Lapidazione ha tratto ispirazione proprio dai disegni del suo maestro. Tra le fonti principali vi sono la copia di un anonimo del Seicento dal bozzetto dell’arazzo per la Cappella Sistina del 1517, l’arazzo stesso di Piete van Alsten, la figura del tormentatore di spalle con la pietra in mano di Windsor e il disegno della Lapidazione di Santo Stefano conservato all’Albertina di Vienna attribuito a Raffaello.
Inoltre sia per l’impostazione della scena, bipartita e teatrale, sia per le espressioni e posizioni di alcuni personaggi, è possibile ritenere che per dare dare vita al suo capolavoro Giulio Romano abbia osservato, inoltre, una delle ultime opere del maestro: la Trasfigurazione. Per queste ragioni si può affermare che la Lapidazione di Santo Stefano sia un precocissimo esempio di raffaellismo a Genova prima dell’arrivo di Perin Del Vaga nella città nel 1528, per affrescare la Villa del Principe al servizio di Andrea Doria.
Nel Cinquecento, due dei più importanti allievi di Raffaello portano il suo stile e rinnovano la pittura a Genova e più in generale in Liguria: Giulio Romano negli anni venti e successivamente Perin del Vaga, che vi risiede fino al 1536, per poi tornare a Roma. Successivamente si ho illustrato in questo lavoro alcuni echi delle opere di Raffaello e della Lapidazione di Giulio Romano in quelle locali nel periodo compreso tra il 1510 e il 1530 circa, poco dopo l’arrivo di Perino nella città della lanterna.
110 Pier Francesco Sacchi, artista di origine pavese ma che lavora in Liguria durante tutta la sua vita.
Il pittore porta in Liguria lo stile lombardo, quello leonardesco e si accosta alla pittura fiamminga, così attenta al particolare. Si noti che in questi anni Sacchi, grazie anche alle incisioni, ai disegni che circolavano nel nord Italia, rinnova il suo stile, direzionandosi verso quello di Raffaello.
Dopo uno studio iconografico della lapidazione di santo Stefano, dal IX secolo, fino al Cinquecento, mi sono concentra sul modo di rappresentarla dopo l’arrivo della pala, arrivando alla conclusione che le novità del dipinto del Romano vengono colte sono verso la fine del secolo e all’inizio del Seicento. Le opere prese in considerazione sono dei maggiori artisti del “secolo d’oro” genovese: Giovanni Battista Paggi, il suo allievo Domenico Fiasella, Giovan Andrea De Ferrari e Gioachino Assereto. Questi artisti dipingono delle lapidazioni cogliendo la teatralità e la drammaticità espressa da Giulio Romano, il quale è stato sicuramente un punto di partenza, rinnovando perciò il linguaggio pittorico a Genova. Il fatto che non sono pervenute copie della lapidazione di Giulio ha ridotto il campo della ricerca ad artisti che lavorano in Liguria e che, perciò, hanno visto dal vivo la pala o che hanno avuto contatti diretti con l’artista. Interessante è il caso di Benvenuto Tisi, il quale raffigura una lapidazione per una chiesa di Lugo, in provincia di Ravenna nel 1540: egli ha dei contatti con lo stesso Giulio e ha potuto, probabilmente, vedere dei suoi disegni. Ho concluso la tesi con una riproduzione molto fedele della pala di Giulio Romano: quella di Bernardo Castello, il quale dipinge una lapidazione di Santo Stefano nel 1583, destinata alla chiesa di San Giorgio dei genovesi a Palermo. L’opera, inviata nella città, diventa un esempio non solo di raffaellismo in Sicilia, così come lo è la pala di Giulio Romano a Genova ma nel centro storico di Palermo arriva anche lo stile del Pippi.
Gli echi della pala, perciò, approdano persino al sud Italia, e possono quindi essere il punto di partenza per uno studio ulteriore delle influenze dello stile del pittore in tali luoghi.
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Bibliografia
Marco Agostini, Giovanna Baldissin Molli (a cura di), Atti del Convegno di studi su Gian Matteo Giberti