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L’iconografia della lapidazione tra Duecento e Quattrocento

IL MARTIRIO DI SANTO STEFANO: UN’ICONOGRAFIA

4.1. Una breve storia iconografica della Lapidazione di Santo Stefano prima della pala di Giulio Romano

4.1.3. L’iconografia della lapidazione tra Duecento e Quattrocento

Il Duecento non è un secolo ricco di iconografia per quanto riguarda il martirio del santo. Per la rappresentazione della sua figura si ricorda una statua sul portale centrale della cattedrale di Santo Stefano a Sens, la quale rappresenta il giovane diacono vestito con la dalmatica, mentre tiene con entrambe le mani il libro del Vangelo. Una statua sul portale meridionale del transetto della cattedrale di Chartres e una sul portale Nord del transetto della Cattedrale di Meaux. Inoltre, vi è una statua nella porta, chiamata di Adamo, della cattedrale di Norimberga158. Invece, per quanto riguarda la rappresentazione della sua lapidazione, si ricorda un affresco di un pittore conosciuto come Filippo. Si tratta di un’opera che si trova nell’atrio della basilica di San Paolo fuori le mura, datato 1275-99, non in buon stato di conservazione [Fig. 139]159. Qua il santo è in ginocchio, al centro della scena, mentre guarda verso l’alto Dio Padre, rappresentato questa volta con il volto ben visibile. Stefano ha già le pietre addosso e i lapidatori, sulla destra e con facce quasi grottesche e ridacchianti, ne stanno scagliando altre con violenza: i gesti dei due sono, infatti, molto enfatizzati dall’artista. Sulla sinistra un personaggio entro una sorta di edificio aperto, sta guardando il martirio: si può ipotizzare che sia uno degli anziani che, da quanto racconta Luca nel Vangelo, aveva catturato Stefano per portarlo al martirio.

Il Trecento, invece, vede la nascita di molte raffigurazioni, non solo del santo ma anche della sua lapidazione. L’immagine più popolare di Stefano è quella dipinta da Giotto, il quale ritrae Stefano su una raffinata tavola tra il 1330 e il 1335 [Fig. 140]160. Giotto raffigura il santo elegante, vestito con una preziosa dalmatica, il quale regge il libro del Vangelo con una mano molto sottile e geometrica.

Un particolare da notare sono le due pietre, che sembrano quasi uova, che il pittore gli raffigura sopra la testa, simboli del suo martirio. Il protagonista sembra non avvertire né dolore, né il peso e sembra non mostrare nessun accenno di sofferenza.

L’iconografia del martirio è molto diffusa nelle opere trecentesche dei pittori italiani. Si possono segnalare, ad esempio, quelle del pittore fiorentino Bernardo Daddi161.

158 Mariella Liverani, cit., pp. 1387,1388.

159http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it (consultazione 22-09-17).

160 Per molto tempo si è creduto che facesse parte di un polittico con al centro la madonna con il bambini e ai lati i santi, ma la vicinanza allo stile di Santo Stefano con gli affreschi della cappella Bardi in Santa Croce ha smentito tale ipotesi.

161 Daddi nasce probabilmente nel 1290 a Borgo San Lorenzo e muore a Firenze nel 1348. Le notizie riguardo la sua vita sono poche ma si sa che la sua produzione si concentra tra il 1320 e il 1345. Le sue opere mostrano una

89 Egli dipinge due opere che rappresentano proprio la Lapidazione del santo. La prima è un affresco situato nella cappella Pulci- Berardi, nella chiesa di Santa Croce, datato 1324 [Fig. 141].

A sinistra si trova l’arresto di Stefano. Da notare è la bellissima architettura, tipicamente gotica che dà profondità alla scena, collegandosi a quella di destra in cui viene rappresentato, invece, il martirio.

In quest’opera il santo è inginocchiato al centro della scena, lo sguardo è rivolto verso il Dio Padre, che spunta dall’angolo in alto a destra, a figura intera, mentre i lapidatori gli scagliano con violenza le pietre e un uomo barbuto guarda la scena. Lo sguardo di Stefano esprime una sofferenza appena accennata: la bocca è semiaperta e la fronte è corrugata. Anche i volti dei lapidatori sembrano esprimere un’emozione: si veda il volto del personaggio dietro a Stefano: il taglio degli occhi e la fronte corrugata esprimono violenza, enfatizzata anche dalle due braccia alzate che tengono in mano una grossa pietra [Fig. 142].

La scena è priva di scenografia: vi è solo il terreno e uno sfondo blu.

La seconda opera presa in considerazione è una tempera su tavola datata 1345, facente parte di uno scomparto di predella e conservata oggi ai Musei Vaticani [Fig.143]. L’opera si situa nell’attività tarda del maestro fiorentino e faceva parte delle otto tavolette che costituivano la predella di un polittico che tutt’oggi non è stato identificato.

Il Daddi raffigura il momento della lapidazione e si può notare che Stefano, nella parte destra, riccamente vestito e con un’aureola decorata, è inginocchiato con le mani giunte mentre guarda verso il basso. Nell’angolo in alto a destra vi è la dextera domini e dei raggi di luce divina stanno colpendo il capo del santo. Sulla sinistra vi sono tre lapidatori che con violenza scagliano delle pietre sul corpo del giovane, mentre uno le sta raccogliendo da terra ed è pronto ad iniziare. All’estrema sinistra un personaggio con una veste gialla e rosa sembra ordinare il massacro ai carnefici, puntando il dito proprio verso Stefano. In quest’opera non è rappresentata una città come abbiamo visto, ad esempio, nell’antico affresco di Auxierre e nemmeno un’architettura. L’unico sfondo presente è quello composto da alberi di frutta e palme, non a caso, dietro il santo inginocchiato.

Un altro affresco molto interessante è quello di Nanni di Jacopo. Si tratta di un’opera datata fine Trecento, la quale si trova nella chiesa di San Francesco a Pistoia [Fig. 144].

vera e propria rivoluzione nella prima parte del Trecento, influenzato da quella di Giotto. Le sue rappresentazioni mostrano un perfetto equilibrio tra spazio e figure ed uno studio della profondità. Da Richard Offener, The works

90 La rappresentazione, di impronta giottesca, è composta nella parte destra da Stefano riccamente abbigliato e inginocchiato che guarda Dio Padre, questa volta raffigurato a figura intera, il quale si sta dirigendo verso il santo. Al centro è collocato un lapidatore, di cui non si conserva più il volto, il quale sta scagliando le pietre sul diacono. A sinistra un giovane e un uomo barbuto guardano la scena, impassibili. Dietro di loro vi è un’architettura: si tratta, probabilmente, della porta della città di Gerusalemme, rappresentata come un tipico paese della Toscana. Non c’è nessuna nota drammatica, né tantomeno sofferente nella scena dipinta dal pittore. Come si può notare, le opere di pittura del Trecento, così come quelle dei secoli IX e X, presentano una simile composizione: la scena è divisa in due parti in verticale: una contiene il santo inginocchiato che guarda il Dio Padre (quasi sempre raffigurato come dextera domini), mentre l’altra vede raffigurati i lapidatori e gli uomini che hanno portato il giovane al martirio. Nel Quattrocento quest’iconografia si sviluppa: non si trova più la classica composizione vista fino ad ora che prevedeva la divisione in due parti della scena, ma una rappresentazione più complessa. Il primo esempio è quello del dipinto di Gentile da Fabriano, uno dei maestri del gotico fiorito in Italia e, in particolare in Toscana. Egli raffigura la Lapidazione nel 1423-25. Si tratta di un tempera e oro su tavola che oggi si trova al Kunsthistorisches Museum di Vienna [Fig. 145]162.

Rispetto a quelli visti precedentemente, il dipinto è più dinamico. Il movimento è espresso dai lapidatori che si trovano a sinistra, i quali stanno scagliando con ferocia le pietre su Stefano, che si colloca, proprio come l’affresco nei Musei Vaticani di Bernardo Daddi, sulla destra, con gli occhi rivolti verso l’alto. Egli è vestito con la dalmatica decorata a motivi vegetali e con colori molto ricchi. Anche le vesti dei lapidatori sono sfarzose e curate nei minimi particolari. Si noti, ad esempio, il personaggio al centro della scena: egli indossa una veste dorata. Il mantello dell’uomo all’estrema sinistra riprende la decorazione di quello che abbiglia Stefano.

In questa composizione si può notare che la novità dell’iconografia è il movimento che enfatizza la drammaticità di quello che sta accadendo. Ancora una volta, però, il volto di Stefano sembra impassibile, così come quelli dei suoi carnefici.

162 Si tratta di uno scomparto di predella ma non è possibile risalire alla pala d’altare da cui proveniva, poiché tra quelle che sono pervenute del pittore, nessuna è compatibile iconograficamente con la lapidazione. Si colloca questo dipinti negli anni romani del pittore per, ad esempio, la posa plastica del lapidatore che prende la mira, mentre va all’indietro. Inoltre, il movimento, così ondeggiante, sembra provenire da “suggestioni antiquarili” nell’età di Martino V a Roma. Da Laura Laureati, Lorenza Mochi Onori (a cura di), Gentile da Fabriano e l’altro

91 Un altro esempio da prendere in considerazione è l’affresco di Paolo Uccello e Andrea di Giusto Manzini, nella Cappella dell’Assunta del Duomo di Prato, datato 1430-35 [Fig. 146]. In quest’opera si trovano raffigurazioni della storia della Vergine e di Santo Stefano. Gli affreschi sono organizzati su tre registri: uno inferiore, uno mediano e una lunetta superiore, divisi da fasce decorative in cui sono inserite quindici testine. La volta a crociera presenta delle personificazioni delle Virtù, mentre il sottarco di ingresso è decorato da quattro figure di santi a figura intera. Oltre all’affresco con la Disputa di Santo Stefano, vi è quello con la Lapidazione. Paolo Uccello raffigura solamente le architetture e il paesaggio sullo sfondo. Vi è una ricchezza cromatica che domina in tutte le storie del ciclo, in particolare, le architetture (il verde sembra richiamare il serpentino nelle architetture di Prato). Inoltre, nello sfondo della città vi è un richiamo alla Sagrestia Vecchia di Brunelleschi163. Al centro della scena domina la porta, la quale, come si è già visto, ritorna in più rappresentazioni di quest’iconografia.

L’affresco è di notevole qualità e, come si può notare, la divisione in due si perde, per lasciare posto ad una rappresentazione più amalgamata: il primo piano Stefano, nella stessa posizione, intorno i lapidatori che gli stanno scagliando le pietre e altri personaggi che guardano la scena. La veste verde e oro con decorazioni del santo è di notevole pregio, così come quelle dei personaggi all’estrema sinistra.

Gli affreschi di Beato Angelico all’interno della Cappella Nicolina, nel Palazzo Vaticano, datati 1448, rappresentano uno dei cicli capitali della pittura del Quattrocento in Italia. I santi Stefano e Lorenzo sono i due protomartiri protagonisti dell’intero ciclo. Qua il pittore ha un’assoluta padronanza dei mezzi espressivi164. Proprio come negli affreschi di Bernardo Gaddi nella cappella Pulci- Berardi, Beato Angelico divide la scena in due grazie all’architettura, dividendo la scena dell’Espulsione di Stefano dalla città da quella del Martirio [Fig.147]. A differenza del pittore del Trecento, l’Angelico nell’affresco della Lapidazione fa continuare lo sfondo paesaggistico creando una vera e propria continuità di scena.

Inoltre, egli riprende la consueta composizione con il santo inginocchiato nel lato destro e i lapidatori con altri personaggi a sinistra.

163 Franco e Stefano Borsi, Paolo Uccello, Le opere e i segni, Milano, Leonardo Editore, 1992, p. 166- 188. 164 La decorazione ricopre l’intera superficie della cappella. La fascia inferiore presenta una serie di “velari” dipinti con stemmi niccolini. Le storie soprastanti sono disposte lungo due registri con un andamento in senso orario dalla parete a destra dell’altare ovest a quella dell’ingresso, per concludersi in quella a sinistra dell’altare. In basso entro riquadri rettangolari vi sono raffigurate le storie di San Lorenzo, mentre in alto entro lunettoni quelle di Santo Stefano. Da Gerardo De Simone, Alessandro Zuccari Giovanni Morello, Beato Angelico. L’alba del Rinascimento, cat. mostra, Milano, Skira editore, 2009, pp.132- 133.

92 Rispetto alle raffigurazioni viste nella pagine precedenti, qua il pittore fiorentino non inserisce la dextera domini, che solitamente viene raffigurata nell’angolo in alto a destra.

L’ultima opera del Quattrocento presa in considerazione non è un affresco o un dipinto, ma una miniatura. L’autore è un artista appartenente alla cerchia dei miniatori di Beato Angelico. Si tratta di Zanobi Strozzi, il quale realizza delle miniature per un messale voluto da Cosimo il Vecchio e destinato alla Biblioteca di San Marco. In particolare, la numero 515 rappresenta la Lapidazione di Santo Stefano [Fig. 148]. Si tratta di un corpo della lettera rosa, decorato da sottili cirri bianchi e da una cornice con piccole losanghe, stretto da anellini rossi dai quali esce la decorazione fogliata. Sul fondo della lettera vi è rappresentato proprio il martirio di santo Stefano, con la figura centrale del santo e tre soldati che gli scagliano contro le pietre, mentre tre anziani in secondo piano sembrano guardare la scena e commentarla. La figura del santo, in veste blu da diacono, si erge nella sua plasticità, mentre i diversi atteggiamenti dei soldati danno dinamicità alla scena e si contrappongono alla ieraticità di santo Stefano. Il paesaggio è rappresentato in modo fiabesco, con una siepe di rose gialle in primo piano, le mura di una città dietro la scena, un degradare di montagne azzurrine con paesini arroccati sui pendii e il castello alla loro sommità. I bordi delle maniche e del collo della veste del santo sono decorati con la scrittura cufica e nel pettorale vi è una decorazione a racemi: risulta lui il protagonista della scenetta165.

165http://www.polomuseale.firenze.it/coralisanmarcomostra/miniature.aspx?idMiniatura=118&idcodice=2 (consultazione 18-09-17).

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