ECHI DI RAFFAELLO NELLE OPERE A GENOVA E NEL LEVANTE LIGURE TRA IL 1510 E IL
3.1. Gli influssi raffaelleschi nelle opere local
3.3.1 Il San Giorgio di Levanto del Sacchi e quello del Louvre di Raffaello: spunti e confront
L’opera di Pier Francesco Sacchi con il San Giorgio e il drago è una tavola situata nel primo altare a destra di chi entra, nella chiesa della Santissima Annunziata a Levanto [Fig.95]. Il convento, contenitore dell’opera, è stato costruito anteriormente al XV secolo, da una piccola comunità religiosa dell’Ordine dei Frati Minori Francescani. E’ l’ordine a fondare un nuovo insediamento nella zona dove anticamente transitava una via di comunicazione (una mulattiera) che permetteva il collegamento tra il borgo marinaro di Levanto ed il suo immediato entroterra con i numerosi centri storici. La chiesa viene edificata per ordine di Tagliacarne tra il 1449 e il 1460122.
Già sul finire del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento il corpo conventuale subisce un successivo ampliamentoche va ad interessare la seconda parte del chiostro; il primo chiostro risale invece alla primitiva fondazione del sito. Una domenica del 1613 si verifica un fatto molto grave: durante la messa crolla la navata sinistra e causa la morte di diciassette persone. Così si allunga una campata e si innalza il soffitto. Oltre ad altri interventi nei secoli successivi l'intero complesso subisce più recentemente restauri e recuperi, soprattutto nel complesso recupero tra il 1980 e il 1992 dove si è cercato di portare, nel limite possibile, l'edificio alle forme primitive123 [Fig. 96].
L’opera misura 205 x 280 centimetri circa e si presentava con una cornice lignea dorata, che viene perduta dopo il trasferimento a Parigi da parte delle truppe napoleoniche. Gli studi più recenti collocano l’opera nel ventennio del Cinquecento e la attribuiscono al Sacchi, ma per secoli la tavola è oggetto di discussioni a riguardo di chi sia l’autore124.
122 In particolare è Battista Tagliacarne a porre la prima pietra. Secondo la lettura di un documento, lo studioso Wadding afferma che la costruzione nuova viene avviata nel 1449. Da Alfonso Casini,Più di mille anni di storia di Levanto, Edizioni Ipotesi, Genova, 1978, cit., p. 109.
123 Alfonso Casini, Cento conventi. Contributi alla storia della provincia francescana ligure, Genova, 1950. 124 La studiosa Anna Bocco colloca la pala intorno al 1523 e afferma che in questo periodo Sacchi vive un momento di “felicità creativa nella sua produzione”. Da Anna Bocco, Contributi per la valutazione dell’opera di Pier
68 Studiosi e cronisti dei secoli passati attribuiscono l’opera ad artisti che operano prevalentemente nell’ultima parte del Quattrocento, quali Andrea del Castagno, Mantegna, Carpaccio, Sacchi, il Francia e il Veronese.
Si pensava che “il padre” dell’opera fosse Andrea del Castagno, al quale è legato un racconto interessante riguardo la chiesa, ma forse mai accaduto veramente125. Lo storico Cust attribuisce l’opera al Carpaccio. Nell’ Archivum Franciscanum Historicum egli scrive a proposito del San Giorgio affermando che “il quadro, erroneamente attribuito ad Andrea del Castagno, ricorda la maniera del Carpaccio”, riferendosi anche al quadro con il medesimo soggetto conservato a Venezia. Egli poi cambia la sua posizione dicendo che l’autore del dipinto potrebbe essere uno sconosciuto artista ligure che apporta influenze lombardo- venete, non escludendo Pier Francesco Sacchi. Sono gli studi di Antonio Morassi e Ubaldo Formentini a concludere che l’opera sia proprio dell’artista pavese, per le caratteristiche dello stile. Anche uno dei maggiori studiosi del Sacchi, Mario Bonzi, attribuisce quest’opera all’artista e i più recenti volumi e saggi sull’arte del Cinquecento in Liguria parlano della tavola come opera del Sacchi.
Come sostiene lo studioso Alfonso Casini, la pala dai “cento colori” si presenta con un’incredibile vivacità e movimento, che campeggia in tutta la scena.
La tavola è dominata da San Giorgio sul suo cavallo, vero protagonista dell’opera [Fig. 97]. La sua mano destra impugna la spada con forza e nervosismo pronto a scagliarsi contro il suo nemico per salvare la principessa, una stupenda figuretta, raffigurata nel momento della fuga, con le vesti svolazzanti.
Il santo, un giovane sbarbato, ha il volto fiero e deciso. Nel cavallo e nel suo cavaliere c’è lo slancio aggressivo contro il drago. Egli diventa un tutt’uno con l’animale e la sua armatura è rappresentata con guizzi luminosi che si armonizzano con le sfumature chiare del corpo del cavallo. Il drago, già ferito alla gola a morte, accenna ad una furiosa reazione e tenta di avvinghiare con la sua coda la gamba posteriore del cavallo. I numerosi occhi presenti sulle lance esprimo drammaticità e un tentativo di reazione.
Di estrema bellezza è anche il paesaggio, il quale sembra quasi rinascimentale126 [Fig.98].
125 I cronisti dell’Annunziata tramandano un racconto dicendo che l’hanno ripreso dalle Vite del Vasari. Questo riguarda la storia che Antonello da Messina, scoperto l’arte del dipingere ad olio, lo confida a Domenico Veneziano. Questo va a Firenze e confida a sua volta il segreto al suo discepolo Andrea Del Castagno, il quale volendo essere l’unico a saperlo, lo uccide. Per sfuggire alla giustizia egli si rifugia al convento dell’Annunziata a Levanto e vi dimora sette anni e lascia nella chiesa il quadro con il San Giorgio. Il Vasari, però, non ha mai parlato né della fuga di Andrea da Firenze, né del suo rifugiarsi a Levanto. Si tratterebbe, perciò, di una leggenda raccontata da Davide Bertolotto ne Il viaggi nella Liguria Marittima. Da Alfonso Casini, cit., p. 151.
69 Si può ipotizzare che il Sacchi nell’esecuzione dell’opera abbia visto la tavola di Raffaello con il medesimo soggetto, oggi conservato al Louvre [Fig. 99, 100].
Stando alle fonti bibliografiche si sa che Sacchi è tornato nella sua terra di origine, il pavese, nel 1516, per sistemare le carte notarili alla morte del padre. Egli però fa ritorno sporadicamente in Lombardia e guarda gli artisti locali del periodo come il Boccaccino, Agostino da Vaprio, il Butignone e il Bergognone127.
Il San Giorgio e il drago di Raffaello, faceva parte di un dittico insieme al San Michele e il drago, datato 1503-1505. Ne parla il Lomazzo in un suo sonetto in cui afferma che il dittico viene venduto da un mercante milanese al conte Ascanio Sforza di Piacenza. L’opera, perciò, prima di arrivare in Emilia, si trova a Milano.
Successivamente, il dittico entra a fare parte delle collezioni del cardinale Mazzarino e poi di quelle del re Luigi XIV di Francia128. Varie copie, inoltre, attestano che il dittico si trova a Milano tra il 1520 e il 1523.
E’ ipotizzabile che il Sacchi abbia visto il dittico perchè in quegli anni artista e opera stavano nella stessa area geografica. Confrontando le tavole si può notare che le posizioni del santo e del cavallo sono molto simili: l’animale si sta impennando e il cavaliere viene ritratto in entrambe le opere come un giovane sbarbato con lo sguardo fiero che sta per scagliarsi contro il drago con una spada impugnata nella mano destra. Da notare è il particolare delle lance a terra sul terreno, sembrano riprese palesemente. Anche la fanciulla sulla parte destra dell’opera, in secondo piano, è raffigurata come nell’opera del maestro urbinate: sta scappando, impaurita, verso destra con le braccia alzate e la veste svolazzante [Fig. 101, 102].
Molti elementi della composizione, perciò, fanno pensare che Pier Francesco Sacchi sia venuto a contatto con la tavoletta del Louvre, o, perlomeno, con i disegni che poteva possedere il mercante milanese o Ascanio Sforza. In base a questa ipotesi si può supporre che la data dell’opera del Sacchi sia intorno al 1520-21, ma comunque dopo il 1516, in relazione al fatto che sicuramente Sacchi è stato in quella zona in quell’anno e in quanto la tavola di Raffaello è datata 1505 circa, ed è stata prima in Toscana e poi in Lombardia.
Come sostiene la studiosa Anna Bocco, tesi in cui mi ritrovo molto d’accordo, “Sacchi assimila
127 Mario Bonzi, Pier Francesco Sacchi nel quarto centenario della morte, in <<La grande Genova. Bollettino
municipale>>, anno VIII, 31 gennaio, 1928, p. 3.
128 Jurg Meyer Zur Capellen, Raphael: a critical catalogue of his paintings. The beginning in Umbria and
70 i moduli raffaelleschi anche se li trasforma in più romantici e fantasiosi e comincia a subire il fascino della pittura divulgata dagli allievi e collaboratori di Raffaello”129.
Il pittore pavese, li assimila ma non crea opere drammatiche ma piacevoli allo sguardo. Esiste un’incisione di Marcantonio Raimondi raffigurante il San Giorgio e il drago, ma risulta un po’ troppo lontana dall’opera del Sacchi, in quanto il cavaliere e la figura della principessa risultano sullo stesso piano e risultano entrambi protagonisti della scena [Fig. 103]. Inoltre, anche il paesaggio cambia completamente e la figura femminile sembra perdere quella finezza ed eleganza che erano proprie di quella di Raffaello e dell’artista pavese.
Un’incisione di Raimondi su cui invece ci si può soffermare è quella che rappresenta Marco Curzio a cavallo [Fig.104, 105]. La figura del giovane patrizio a cavallo presenta delle similitudini con quella del San Giorgio del Sacchi. Infatti, la posizione del cavallo e lo sguardo concentrato del condottiero sembrano ripresi palesemente nell’affresco di Levanto. Il Sacchi quindi potrebbe aver visto l’incisione del Raimondi durante i suoi viaggi nel pavese. Non a caso l’opera dell’incisore si trovava nei pressi di Bologna, è sempre rimasta nell’Emilia ed è datata 1515-30 ca130. Inoltre, come sostiene lo studioso Alfonso Casini, il cavallo del Sacchi riprende quello raffaellesco nella scena di Eliodoro cacciato dal tempio, nelle Stanze Vaticane [Fig. 106]131.
Un’altra ipotesi, anche se non si hanno notizie certe in merito è il fatto che il Sacchi abbia visto un disegno del San Giorgio e il drago, conservato oggi alla Galleria degli Uffizi, una penna e tracce di matita nera su carta bianca, con tracce di puntinatura e una lacerazione in corrispondenza della zampa del drago, datato al 1505 [Fig.107]. Questa ipotesi è molto improbabile in quanto il disegno si distacca molto dall’opera del Sacchi: il volto di San Giorgio esprime drammaticità e violenza, mentre, invece, quello del pittore pavese esprime indifferenza. Un’importanza rilevante per quanto riguarda gli echi raffaelleschi, lo hanno i sei santi che sono collocati nella cornice dorata che circonda l’opera. Si tratta di otto splendide figure. Le prime due partendo dall’alto rappresentano San Giovanni Battista e San Gerolamo, entrambe a mezzo busto.
Le altre sei rappresentano San Bernardino da Siena, San Giovanni da Capistrano, San
129 Anna Bocco, Contributi alla valutazione dell’opera di Pier Francesco Sacchi, in <<Arte Lombarda>>, 1 Luglio 1968, Vol. XIII, pp.43-50.
130 L’opera del Raimondi entra nel 1824 a far parte della collezione di Luigi Malaspina Sannazaro, appassionato d’arte e cultura, il quale possedeva proprio a Pavia una serie di stampe e incisioni. Poco prima della sua morte, egli lascia le opere in donazione alla pinacoteca nazionale di Pavia. Si può dedurre, perciò, che il bulino con il Marco Curzio non ha mai lasciato l’Emilia. http://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/F0130-00465/
(consultazione 12-09-2017). 131 Alfonso Casini, cit., p. 149.
71 Bonaventura, San Francesco, Sant’Antonio da Padova e Ludovico vescovo [Fig. 108,109]. Queste ultime sono dipinte a figura intera e sono raffigurate con mistiche e dolci pose, rivelando santità e i simboli del proprio apostolato. Sembrano una sorta di miniature e il loro volto presenta uno smalto luminoso e cromatico.
Non si esclude che anche durante il lavoro a queste figure, il Sacchi abbia guardato delle opere raffaellesche. A questo riguardo si segnala la Pala Colonna e, in particolare, la sua predella132. Quest’ultima viene ceduta nel 1603 a Cristina di Svezia, per passare, successivamente, nelle collezioni del duca di Orleans.
L’opera è composta da tre scomparti con la raffigurazione dell’Orazione nell’orto, la Pietà e l’Andata al Calvario [Fig. 110]. Si noti attentamente la terza scena: il personaggio sul cavallo bianco ricorda molto proprio quello del Sacchi [Fig.111].
Ai lati della predella della Pala Colonna vi erano figure intere di santi. Ne sono pervenute solamente due che rappresentano Sant’Antonio da Padova e San Francesco [Fig.112]. Paragonando i santi del Sacchi con quelli di Raffaello, si può ipotizzare che l’artista pavese abbia visto queste tavolette o degli studi preparatori. In particolare, Sant’Antonio ha la medesima posizione e anche il volto è simile. Il Sacchi sembra quasi aver riprodotto la stessa figura, ma in maniera speculare [Fig.113].
Anche se non ci sono notizie di un soggiorno umbro da parte del Sacchi non sembra un caso questa ripresa. Si può ipotizzare che l’artista del San Giorgio abbia visto alcuni schizzi o disegni preparatori, tipici di Raffaello.
Inoltre, il dipinto del Sacchi è sovrastato da un fregio nel quale appaiono mostri marini cavalcati da puttini, due dei quali sostengono un medaglione che racchiude l’effige di Santa Chiara [Fig. 114].
132 Nel 1504 le monache del convento di Sant'Antonio a Perugia commissionano la pala a Raffaello, richiedendo all’artista, come ricorda Vasari, di rappresentare Gesù Bambino vestito. L'opera, avviata in Umbria viene venne completata entro il 1505 circa.
La tavola principale mostra una sacra conversazione con la Madonna col Bambino, san Giovannino e i santi Pietro, Caterina d'Alessandria, Margherita (o Cecilia) e Paolo sormontata da una lunetta con l'Eterno tra due
angeli. La vicenda della Pala Colonna è molto interessante. L’opera, dopo essere stata per quasi due secoli
all’interno del museo, viene smembrata e venduta. Una parte arriva a Cristina di Svezia, la quale si trovava a Roma. Ma, viste le troppe spese, vende l’opera alla famiglia Colonna, alla fine del Seicento. Successivamente, la pala si ritrova in Inghilterra, a casa della baronessa Burdett- Coutts, la quale deteneva una ricca collezione. Nel 1901 la acquista il ricchissimo banchiere Pierpont Morgan, che poi la lascia al Metropolitan Museum di New York. Da Jurg Meyer Zur Capellen, cit., p. 172.
72 Quello che si può supporre è che Pier Francesco Sacchi non sia rimasto indifferente di fronte alle opere e allo stile raffaellesco, sia guardando l’opera del pittore urbinate, sia di fronte la Lapidazione di Santo Stefano del suo più importante allievo, Giulio Romano.
Ma non è solo con il San Giorgio che Sacchi prende come spunto dalle opere raffaellesche. Un'altra opera, conservata, questa volta, in una frazione di Genova, presenta molte similitudini con la tavola della Lapidazione, la Deposizione.
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3.3.1. La Deposizione in Santa Maria di Monte Uliveto: echi della Lapidazione di Giulio