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Saul Bass: L'arte nei titoli di testa.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione...2

Cap.1 I titoli di testa...6

1.1 Titoli di testa: funzione, struttura e analisi...6

1.2 I titoli di testa prima di Saul Bass...34

Cap. 2 Saul Bass...43

2.1 Primi cenni biografici...43

2.2 La formazione artistica...45

2.3 I lavori per il cinema...52

2.4 Non solo titoli di testa: le locandine...68

2.5 Design, pubblicità e corporate identity...75

2.6 Lo stile e la sua idea di creatività...83

Cap.3 Le maggiori collaborazioni e le analisi dei titoli di testa...98

3.1 La collaborazione con Otto Preminger...98

1.1.1 Analisi dei titoli di testa di The Man with the Golden Arm (1955)...105

3.1.2 Analisi dei titoli di testa di Anatomy of a Murder (1959)...113

3.2 La collaborazione con Alfred Hitchcock...119

3.2.1 Analisi dei titoli di testa di Vertigo ( La donna che visse due volte, 1958). ...121

3.2.2 Analisi dei titoli di testa di North by Northwest (1959)...138

3.2.3 Analisi dei titoli di testa di Psycho (1959)...148

3.3 La collaborazione con Stanley Kubrick: Spartacus (1960)...156

3.4 La collaborazione con Martin Scorsese...169

3.4.1 Analisi dei titoli di testa di Cape Fear (1991)...171

3.4.2 Analisi dei titoli di testa di The Age of Innocence (1993)...180

3.4.3 Analisi dei titoli di testa di Casino (1995)...186

Cap. 4 Gli eredi di Saul Bass...196

Conclusioni...207

Bibliografia...209

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Introduzione

La seguente tesi nasce dalla volontà di studiare il complesso rapporto tra cinema e arti visive da un punto di vista inusuale: quello dei titoli di testa. Il mio interesse per il cinema e per l'arte figurativa mi ha portato a conoscere ed esplorare la vita di Saul Bass, designer americano conosciuto per aver rivoluzionato la concezione e la funzione dei titoli di testa cinematografici, trasformandoli da semplice strumento informativo a vera e propria creazione artistica.

Nella sua lunga carriera, iniziata negli anni Cinquanta e terminata con la sua morte nel 1996, Saul Bass ha lavorato in diversi campi del design, realizzando progetti per l'industria, la pubblicità, la televisione e il cinema. Vista la sua immensa produzione artistica, è stato necessario limitare il campo d'azione di questa tesi allo studio dei suoi titoli di testa.

In particolare, questa tesi ha come obiettivo quello di comprendere in che modo la solida formazione artistica di Bass abbia influenzato i suoi lavori nel campo del title design. Analizzando i suoi titoli di testa più significativi, si sono individuati i maggiori contributi artistici che hanno fatto da fonte di ispirazione.

Il primo capitolo ha la funzione di introdurre il lettore nel mondo dei titoli di testa. Per comprendere la portata del lavoro artistico di Bass è, infatti, necessario conoscere il ruolo e la funzione dei titoli di testa all'interno di un'opera filmica. Partendo dall'opera letteraria di Genette Soglie1 - in cui

l'autore individua tutti gli elementi dell'opera letteraria che, pur non facendo parte del testo stesso, ne facilitano la comprensione, ne permettono la diffusione e sopratutto permettono l'entrata del lettore all'interno del testo - si

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cerca di comprendere in che modo i titoli di testa si configurino come

elemento paratestuale rispetto al film di cui fanno parte.

I titoli di testa come soglia, dunque, come luogo a metà tra il mondo reale e il mondo diegetico della finzione filmica, che hanno il compito di raccontare una storia altra rispetto a quella raccontata all'interno del film, ossia la storia della sua realizzazione; ma allo stesso tempo, devono preparare lo spettatore alla visione del film: la diegesi filmica esce oltre i suoi limiti e lascia le sue ripercussioni nei titoli di testa (e in quelli di coda, ma questa è una altra storia). Si sottolineerà, sopratutto, come non esista una regola generale per la descrizione e l'analisi dei titoli di testa, in quanto il loro aspetto grafico e le loro funzioni cambiano a seconda del film che devono introdurre.

Nella seconda parte di questo capitolo, inoltre, si cercherà di tracciare una breve storia dei titoli di testa dall'epoca del muto fin agli anni Cinquanta.

I titoli di testa dei primi film della storia del cinema presentano un aspetto grafico molto semplice: scritte bianche su fondo nero che solitamente introducono solo la casa il produzione e il titolo del film. Con il crescere dell'importanza del nome degli attori e, sopratutto, della figura del regista e di tutte i professionisti che permettono la creazione del film, i titoli di testa aumentano il loro formato e assumono strutture più complesse, fino a diventare, alla fine degli anni Cinquanta, una vera e propria sequenza autonoma, un film nel film.

Il secondo capitolo è dedicato interamente alla figura di Saul Bass. Grazie sopratutto al ricco e prezioso volume Saul Bass: A life in film e design2, si è

riusciti a ricostruire la sua biografia, concentrando l'attenzione sui momenti più importanti della sua formazione artistica, ossia le esperienze che lo hanno portato a trovare tra le maggiori fonti di ispirazione artisti quali Paul Klee, Joseph Albers, Pablo Picasso e molti altri.

Formatosi con George Kepes, che era allievo di Moholy Nagy, Bass sarà

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particolarmente influenzato dalle sue teorie e molto vicino a diversi artisti del Bauhaus, e conoscerà movimenti artistici quali il Costruttivismo russo e il De Stijl.

Saranno esposti i momenti più significativi della lunga carriera di Saul Bass, un vero e proprio esempio di versatilità artistica. Non essendo possibile affrontare tutte insieme le aree del suo operato, si è deciso di prediligere la carriera cinematografica, cercando di comprendere quali esperienze sono state fondamentali per la creazione di un'estetica autoriale. È stato, quindi, necessario riservare un paragrafo alle sue locandine: anche esse importatissime per comprendere fino in fondo il suo concetto di creatività e le sue influenze artistiche.

Attraverso alcuni suoi lavori verrà introdotta la sua idea di processo creativo e verranno definiti i tratti salienti del suo stile. Si cercherà sopratutto di comprendere se il concetto di stile autoriale possa essere coniugato con il principio di funzionalità alla base di tutti i suoi lavori. L'obiettivo sarà quello di capire se Saul Bass può essere considerato un autore con uno stile proprio, nonostante lui stesso abbia sempre affermato che ogni suo progetto risponde a uno stile e a dei criteri che lo rendono funzionale all'idea più generale che sta alla base di un'azienda o di un film. Questo aspetto verrà affrontato facendo riferimento all'interessante analisi portata avanti da Valentina Re nel suo saggio Ai margini del film, incipit e titoli di testa3.

Il terzo capitolo è dedicato all'analisi artistica dei più notevoli lavori di Saul Bass. Partendo dalle sue più importanti collaborazioni – Preminger, Hitchcock, Kubrick e Scorsese – ho cercato di analizzare i suoi lavori in modo da comprendere come il suo stile sia stato capace di rimanere fedele a dei principi base, pur rinnovandosi sempre dal punto di vista estetico e artistico.

La collaborazione con Otto Preminger sarà la più ricca dal punto di vista produttivo e, come vedremo, si caratterizza per la creazione di veri e propri

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pittogrammi - logogrammi, simboli semplici portatori di riferimenti al tema del film. È il periodo della motion graphic, in cui vengono elaborate quelle che saranno delle costanti nella produzione bassiana.

A partire dalla collaborazione con Hitchcock, Bass inizia a sperimentare nuove soluzioni visive: i titoli di testa di Vertigo, nati con la collaborazione di John Whitney, presentano una complessità figurativa e simbolica maggiore rispetto ai precedenti lavori, ma rispondono sempre alle esigenze filmiche.

Per Spartacus di Kubrick Bass realizza i titoli di testa in live action, mettendo a punto una tecnica più manieristica (ma sempre alla ricerca del'”idea più semplice” che sottenda il significato ultimo del film) che utilizzerà anche per tre dei film nati dalla collaborazione con Scorsese: Cape Fear, The Age of

Innocence e Casinò.

Seguendo la terminologia di Gardies4 ho fornito una descrizione dettagliata dei

titoli di testa affrontati per permettere una maggiore comprensione da parte del lettore. Si è esaminato il loro ruolo all'interno del film, le scelte cromatiche dell'autore, l'accompagnamento musicale e, soprattutto, sono stati confrontati con alcune opere d'arte che hanno fatto da fonte di ispirazione.

Nell'ultimo capitolo, infine, si è trattata brevemente la storia dei titoli di testa nel cinema contemporaneo dopo le innovazioni portate da Bass negli anni Cinquanta. Vedremo, soprattutto, in che modo i lavori di Saul Bass hanno influenzato i nuovi artisti dei titoli di testa.

4 A. Gardies, La forme générique. Historie d'une figure révélatrice, in "Annales de l'Université d'Abidjan, serie D, tomo 14, Lettres, 1981.

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Cap.1 I titoli di testa

1.1 Titoli di testa: funzione, struttura e analisi.

Parlando di opere letterarie Italo Calvino scriveva: «Tutto è sempre cominciato già da prima, la prima riga della prima pagina di ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori dal libro»5. Ora proviamo a pensarlo in

termini cinematografici: la prima inquadratura di ogni film rimanda a qualcosa che è già successo fuori dal film. La maggior parte dei film, infatti, inizia con una storia, che non è quella che il film si è preso carico di raccontarci, ma un'altra, iniziata ben prima e fuori dal testo, nel mondo reale: la storia della sua creazione, della sua realizzazione in quanto prodotto. Questa storia altra rispetto al testo filmico è raccontata nei titoli di testa.

Prima di parlare di Saul Bass è, infatti, necessario parlare di titoli di testa, in quanto senza alcuna precisazione sulla loro natura e una contestualizzazione all'interno degli studi cinematografici, difficilmente si comprenderebbe la portata e l'innovazione dell'opera del graphic design.

Per titoli di testa si intende quella sequenza introduttiva (almeno nella prevalenza dei casi) formata da menzioni scritte che ci informano sull'apparato produttivo del film. Ipotizzando una regola generale per la realizzazione dei titoli di testa possiamo individuare gli elementi che di solito fanno parte di questa sequenza: il nome del regista, i nomi degli attori seguiti da quelli di tutti i professionisti che hanno collaborato alla fotografia, ai costumi, alle musiche ecc, il nome dei produttori, il titolo del film e nuovamente il regista. Vedremo come in realtà non esista una regola generale e come questi elementi possano diminuire o aumentare: possono entrare a far parte dei titoli di testa il logo della casa di produzione, dediche, epigrafi, date e luoghi che ci informano

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sul contesto storico e geografico in cui e ambientato il film, scritte informative sul mondo diegetico.

A prescindere da questa generale descrizione, definire la natura dei titoli di testa è una sfida alquanto difficoltosa: Cosa sono realmente i titoli di testa? possono essere considerati già parte del film? Sono un film altro? Un film nel film?

Sempre parlando di inizi letterari Calvino scriveva: «L'inizio è anche l'ingresso in un mondo completamente diverso: il mondo verbale. Fuori, prima dell'inizio c'è o si suppone che ci sia [...] il mondo vissuto o vivibili. Passata questa

soglia si entra in un altro mondo, che può intrattenere col primo rapporti decisi

volta per volta, o nessun rapporto»6.

I titoli di testa, pur non coincidendo sempre con l'inizio del film, possono essere considerati come un luogo mediano tra il nostro mondo reale e il mondo finzionale della diegesi filmica. Un limite da superare prima di accedere completamente al film.

Gardies ne dà una bella definizione, pur con i limiti che essa comporta: «I titoli di testa sono, propriamente, “fuori-testo”: le informazioni che forniscono non riguardano in alcun modo l’economia diegetica del film, ma raccontano [...] un’altra storia, quella del prodotto-film. Situazione paradossale, dunque, perché appartengono pienamente al film senza per questo appartenere al testo»7.

Molti studiosi per descrivere i titoli di testa e la loro funzione hanno fatto

6 I. Calvino, Cominciare e finire, in I. Calvino Lezioni americane, sei proposte per il prossimo

millenio, Oscar Mondadori, Milano 1993, p.138. (corsivo mio).

7 «Le générique est, à propement parler "hors-text": les informations qu'il véhicule ne visent aucunement l'économie diégétique du film, elles racontent, fort laconiquement il est vrai, une autre historie, celle du produit-film. Situation paradoxale, donc, que la sienne puisqu'il appartient pleinement au film sans toutefois appartenir au texte». A. Gardies, La forme générique. Historie

d'une figure révélatrice, in "Annales de l'Université d'Abidjan, serie D, tomo 14, Lettres, 1981, p.

163. (trad. mia)

Ritengo che la defizione sia giusta ma limitata in quanto non tiene conto di tutte le tipologie di titoli di testa: una definizione del genere, per esempio, non si potrebbe applicare nella sua totalità ai titoli di testa continui, ossia sovraimpressi su immagini diegetiche, in quanto essi veicolano sia informazioni extradiegetiche che intradiegetiche.

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riferimento al termine soglia. Questo termine deriva dal titolo del famoso libro

Soglie di Gerard Genette8, in cui si definiscono tutte quelle parti dell'opera

letteraria che, pur non facendo parte del testo stesso, ne facilitano la comprensione, ne permettono la diffusione e sopratutto permettono l'entrata del lettore all'interno del testo. Copertina, titolo, prefazione, illustrazioni e altri elementi, tutti utili al testo per presentarlo e per renderlo presente, direbbe Genette.

Lo studioso francese definisce queste parti, testuali e non, come il paratesto dell'opera: «È attraverso il paratesto dunque, che il testo diventa libro e in quanto tale si propone ai suoi lettori e, in genere, al pubblico. Più che di un limite o di una frontiera assoluta, si tratta di una soglia [...] che offre a tutti la possibilità di entrare o di tornare sui propri passi. "Zona indecisa" tra il dentro e il fuori.»9.

Nonostante Genette usi i termini di paratesto e soglia all'interno della teoria della letteratura e quindi in riferimento ad opere testuali, possiamo trasferire questa terminologia in ambito cinematografico e utilizzarla per dare una definizione di titoli di testa.

I titoli di testa possono essere considerati un elemento paratestuale del film a cui fanno riferimento, in quanto rispondono alle cinque domande che Genette identifica come necessarie per definire il paratesto:

Dove? Domanda necessaria per definirne l'ubicazione. Nel caso dei

titoli di testa la risposta è apparentemente semplice: prima dell'entrata nella diegesi filmica. Ma vedremo come si possano trovare delle eccezioni.

Quando? Questa domanda si riferisce alla data di apparizione del

paratesto ed eventualmente alla sua scomparsa. Bisogna premettere che delle volte un paratesto legato a un opera letteraria può cambiare a

8 G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino 1989. 9 G. Genette, Soglie... p. 4.

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seconda dell'edizione, per esempio la prefazione. Nel caso dei titoli di testa questo non avviene, se non i casi rarissimi e relativi al cinema muto (può succedere, per esempio, nei casi di danneggiamento della pellicola e successivi restauri). Solitamente i titoli di testa sono legati alla data di uscita del film e lo accompagneranno per sempre.

Come? Ossia la sua modalità di esistenza, verbale, testuale, figurativa o

altro. Vedremo in seguito come i titoli di testa, nonostante la loro natura principalmente figurativa, possano variare la loro modalità di esecuzione grazie all'esistenza di varie tipologie.

Da chi? A chi? Questi due interrogativi definiscono le caratteristiche

dell'istanza di comunicazione del paratesto, il destinatore e il destinatario. Nel caso dei titoli di testa il destinatore può essere considerato la casa di produzione che ha realizzato il film, in quanto una delle funzioni principali dei titoli di testa è quella di presentare il film in quando oggetto realizzato da qualcuno. Il destinatario, invece, può essere definito come il pubblico in generale. Vedremo in seguito, come in realtà questa sia una generalizzazione estrema, in quanto si attivano diverse istanze più specifiche durante la fruizione dei titoli. – A quale scopo? Ossia le varie funzioni che veicolano il messaggio del

paratesto. Vedremo come i titoli di testa abbiano una grande funzione principale, ma come ne svolgano contemporaneamente delle altre secondarie.

Prima di analizzare a fondo le risposte a queste cinque domande così da comprendere la loro vera natura, è bene sottolineare come nonostante si possano definire un elemento paratestuale, i titoli di testa comportano una grande differenza con alcune caratteristiche proprie dei paratesti. Abbiamo detto che «tra le principali funzioni del paratesto, vanno rilevate quella di “presentare” e “rendere presente” il testo: i titoli di testa presentano certamente

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il film (innanzi tutto nominandolo), ma in che modo possono “renderlo presente”? Partecipano, i titoli di testa, a quell’attività di seduzione dello spettatore di cui si fanno carico, in primo luogo, le strategie promozionali?»10.

Nel saggio L'entrata dello spettatore nella finzione11, Roger Odin sottolinea

come la decisione di vedere un film avvenga per gradi e come sia dettata da dei "dispositivi" esterni al film, quali la pubblicità, i circuiti di distribuzione, la critica, ma anche la programmazione del cinema più vicino a casa. Se vediamo i titoli di testa di un film, significa, quindi, che abbiamo già scelto di vedere quel film, difficilmente ci alzeremo dalla sala solo perché i titoli non rispecchiano le nostre aspettative.

È solo in questo senso che i titoli non rientrano completamente nella definizione di paratesto, in quanto son talmente legati al film da divenirne un tutt'uno. Parafrasando e modificando una frase importante di Genette si potrebbe affermare che molto spesso i titoli di testa sono essi stessi un film: se non sono ancora il film, essi sono già film12.

Inoltre, anche Genette individua dei paratesti che vivono intorno al testo, definendoli peritesti (note, illustrazioni, titoli dei capitoli ecc.), e lui stesso afferma che in tutte le arti di può trovare un equivalente del paratesto letterario e fa come esempio proprio quello dei titoli di testa del cinema13.

Valentina Carla Re, nel suo approfondito studio dei titoli di testa intesi come "margini" del film14, cita un altro esempio che dimostra la valenza paratestuale

dei titoli di testa, ossia la prefazione scritta da Christian Metz al libro Le

generique de film di Nicole de Mourgues15. Qui, Metz utilizza un espediente

10 V.C. Re, Ai margini del testo. Incipit e titoli di testa, Campanotto Editore, Paisan di Prato 2007, p. 12.

11 R. Odin, L'entrata dello spettatore nella finzione, in L. Cuccu e A. Sainati (a cura di) Il discorso

del film. Visione, narrazione, enunciazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1987, pp.

263-284.

12 La frase originale è: «Molto spesso, dunque, il paratesto è esso stesso un testo: se non è ancora il testo, esso è già testo». G. Genette, Soglie..., p. 9.

13 G. Genette, Soglie..., pp. 400-401.

14 V.C. Re, Ai margini del testo..., Paisan di Prato 2007.

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grafico proprio dei titoli di testa:

LE EDIZIONI MERIDIENS KLINCKSIECK presentano

LE GENERIQUE DE FILM

Un libro concepito e diretto da Nicole de MOURGUES

[...]

Prefazione: Christian METZ Una produzione MK

© 1994 [...]

La Re ci fa notare come questo gioco proposto da Metz faccia riflettere sulla «natura paratestuale dei titoli, su cui Metz invita ad interrogarsi rimodellando un frontespizio (chiaro elemento paratestuale) fittizio proprio sulla forma dei titoli di testa»16. Lei sottolinea, inoltre, come «il fatto che il processo inverso

(titoli che mimano il paratesto editoriale) sia una pratica elaborata fin dai primi decenni della storia del cinema (e poi frequentemente ripresa), del tutto priva di quell’elemento trasgressivo che l’operazione di Metz invece comporta, non fa che confermare la valenza paratestuale della sequenza dei titoli»17.

Una volta definita la natura di paratesto dei titoli di testa intesi come luogo "mediano" tra la realtà e la finzione, «limite al tempo stesso dentro e fuori del testo»18, possiamo analizzarne le varie tipologie e funzioni, sempre in

riferimento alle cinque domande individuate in precedenza.

I titoli di testa presentano il film, sono dunque all'inizio, la prima cosa che vediamo quando si abbassano le luci della sala cinematografica. Ma è proprio così? Il film inizia sempre con i titoli di testa?

Per poter rispondere a queste domande, è necessario, in primo luogo,

16 V.C. Re, Ai margini del testo..., p. 18. 17 Ibidem.

18 M. Veronesi, Le soglie del film. Inizio e fine nel cinema, Kaplan, Torino 2005, p. 7 (corsivo nel testo).

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distinguere tra titoli di testa discontinui e titoli di testa continui19.

Si definiscono discontinue quelle sequenze di titoli di testa che non appartengono alla diegesi narrativa, sono un spazio altro rispetto al film; per esempio tutte le sequenze, che analizzeremo a fondo, realizzate da Bass a partire dalla fine degli anni Cinquanta.

Sono, invece definiti continui i titoli di testa che prevedono l'inserimento delle menzioni scritte all'interno delle immagini diegetiche. I film in cui sono presenti titoli del genere sono tanti visto anche il maggior risparmio di denaro che comportano rispetto alla realizzazione di titoli discontinui, ma per fare un esempio particolare e significativo, lontano dal cinema americano, penso al bellissimo incipit di C'eravamo tanto amati (Ettore Scola, 1974).

Questa prima distinzione comporta già una differenza sostanziale: una sequenza di titoli discontinua, solitamente (ma vedremo come questo non è sempre vero), è posizionata prima del film, inteso come mondo diegetico. Una sequenza continua, invece, non è prima del film, ma inizia insieme ad esso. Supponiamo comunque che valga la regola che i titoli di testa siano sempre posizionati prima dell'incipit del film, sorge un ulteriore interrogativo: dove

iniziano i titoli di testa?

Negli ultimi anni, infatti, si è sviluppata una «forte tendenza del testo cinematografico contemporaneo ad anticipare

il proprio inizio»20, integrando

all'interno dei titoli di testa anche il logo della casa di produzione.

19 F. Carlini, Popcorn Time. L'arte dei titoli di testa, Le Mani, Genova 2009. pp. 34-47.

20 F. Betteni-Barnes, Ai confini della realtà narrativa: il logo cinemaografico tra credits, spettatore e

testo filmico, in V. Innocenti, V.C. Re (a cura di), Limina. Le soglie del film/Film's Thresholds,

Forum, Udine 2004, p.122 (corsivo nel testo).

Fig. 1: Il logo della Twenty Century Fox modificato all'inizio di Edward Scissorhand (Edward mani di forbice, Tim Burton, 1990.

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«"Loghi" delle case di produzione e distribuzione modificati graficamente, sempre più di consueto, infatti, aprono i titoli di testa di lungometraggi di animazione e non solo, e tale operazione rende più curiosa e complessa la dialettica riguardante l'esordio filmico, dal momento che le variazioni riscontrate rivelano come il "paratesto-logo" si ritrovi ad essere partecipe

anche del mondo diegetico del film»21.

La Betteni-Barnes ci spiega come il logo cinematografico sia stato, per gran parte della storia del cinema, la prima istanza ad apparire sullo schermo, staccata dai titoli di testa solitamente tramite una dissolvenza in nero, e con una propria tipologia grafica e una propria sigla sonora. La studiosa dimostra come, a partire dagli anni Novanta, il logo si sia trasformato in una "zona indecisa" alla pari dei titoli di testa, assumendo una veste grafica sempre riconoscibile ma modificando in parte alcuni elementi; per esempio, sovrapponendo la colonna sonora del film alla sigla musicale del logo, o modificando quest'ultimo con elementi visivi che rimandano alla diegesi o al genere del film.

Questo espediente è riscontrato dalla Betteni-Barnes soprattutto all'interno del genere fantastico o nei film d'animazione (pensiamo al logo della Dreamworks nel lungometraggio del 2001, Shrek), con l'obiettivo di «innescare l'inizio del

processo di lettura, connotando innanzi tutto il genere della finzione»22.

La studiosa porta come esempio significativo la filmografia di Tim Burton, spiegando come questo regista, dal 1989, abbia deciso di personalizzare il logo cinematografico di ogni suo film, rendendolo funzionale al suo film e al suo genere e creando quello che si può definire un marchio "autoriale" (fig. 1). All'interno della filmografia di Saul Bass noteremo come egli utilizzi questa operazione di modifica del logo cinematografico nei titoli di testa di Cape

Fear (Cape Fear – Il promontorio della paura, M. Scorsese, 1991)23: qui il

21 Ibidem. 22 Ivi, p. 123.

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famoso simbolo della Universal sembra essere immerso nell'acqua, così da innescare fin da subito nello spettatore uno stato d'angoscia creato dalla mutevolezza dello stato liquido, che sarà presente in tutti i titoli e ritornerà all'interno del film.

Ritorniamo a parlare dei titoli di testa veri e propri, dimenticando il presupposto che si trovano all'inizio del film. In realtà, infatti, non è sempre così: molti film presentano quella che viene definita la pre-credits sequence, ossia una sequenza diegetica che li precede. Lo spettatore, in questo modo, si trova catapultato senza mediazioni (o quasi) all'interno della finzione narrativa: solitamente, le pre-credits sequences sono precedute solamente dal marchio della casa di produzione e, in alcuni casi, da un indicazione di luogo e anno.

La Re, nel già citato libro, distingue due tipologie di pre-credits sequence. In primo luogo, questa sequenza può essere intesa come prologo la quale funzione è quella di introdurre lo spettatore nel mondo diegetico, presentando la storia e i personaggi, insomma l'universo narrativo che ci apprestiamo a esplorare. «In genere, la sequenza prologo sottolinea questa specifica funzione attraverso l’impiego di marche enunciative (lo sguardo in macchina, la voce di appello) che mettono in evidenza il valore comunicativo della sequenza, il coinvolgimento degli attori del processo comunicativo, il fatto che si stia svolgendo un discorso che non è ancora il film, ma che parla del film»24. La

Re cita come esempio significativo di sequenza-prologo quella del film

Frankestein (James Whale, 1913), in cui un "presentatore" su un palcoscenico

a sipario ancora abbassato mette in guardia gli spettatori su ciò che si apprestano a vedere.

La seconda tipologia di pre-credit sequence è quella che coincide con l'incipit del film: in questo modo lo spettatore si trova catapultato all'interno della diegesi, senza comprendere a pieno ciò che avviene e spesso i suoi dubbi

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verranno sciolti solo verso la fine del film. È ciò che avviene in Casino (Casinò, Martin Scorsese, 1995), ultimo film per cui Bass ha realizzato i titoli di testa e di cui ci occuperemo meglio in seguito25. Ma si possono citare

numerosi esempi: limitiamoci in questa sede a citarne due tratti dalla filmografia di Quentin Tarantino. In Pulp Fiction (id., 1994), la sequenza introduttiva - anticipata solo dal logo della Miramax e dalla definizione della parola "pulp" - pur non inserendo lo spettatore all'interno della storia, anticipa alcuni degli elementi chiave del film, quali l'ambientazione e la tipologia di personaggi con cui avremmo a che fare, destabilizzando lo spettatore che comprenderà la giusta collocazione temporale di questa sequenza solo alla fine. Nel film Reservoir dogs (Le Iene , 1993), invece, Tarantino sfrutta il potenziale della pre-credit sequence arrivando a una soluzione stilistica molto innovativa: realizza dei titoli di testa discontinui ma, inserendoli all'interno della pre-credits sequence, si crea una sensazione di continuità (fig. 2). Il film inizia con una conversazione tra alcuni uomini seduti al tavolo di un bar: «Non sappiamo chi siano, non possiamo riconoscerli: ci troviamo letteralmente proiettati al centro di una situazione che non sappiamo contestualizzare»26.

Questa situazione diegetica è intervallata da una dissolvenza in nero su cui compare la scritta che ci informa che si tratta di un film di Quentin Tarantino; le restanti menzioni verbali sono invece sovraimpresse sopra le immagini diegetiche che ci mostrano i protagonisti. A proposito di questi titoli di testa la Re individua, quindi, una terza tipologia di titoli di testa definendoli

intercalati, nel senso che appaiono come «cartelli autonomi che si

distribuiscono lungo la sequenza di apertura, frammentandola e scandendola»27.

25 Vedi il paragrafo 3.4.3 di questa tesi. 26 V.C. Re, Ai margini del testo..., p. 49. 27 Ivi, p. 50.

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Negli ultimi anni, inoltre - nonostante l'affermarsi di una valenza artistica dei titoli di testa grazie al contributo di Saul Bass e di altri titolisti quali Kyle Cooper, Pablo Ferro, Maurice Binder e altri - si è sviluppata una tendenza a eliminare o ridurre visibilmente le menzioni introduttive per trasferirle alla fine del film. La necessità di catapultare lo spettatore all'interno del mondo diegetico in maniera destabilizzante ha fatto si che, in molti film, i titoli di testa si limitino a indicare il titolo del film e il regista.

Il film precursore di questa tendenza è indubbiamente Citizen Kane (Quarto

Potere, Orson Welles, 1941). Per questo film, innovativo sotto diversi punti di

vista, Welles sceglie di eludere i titoli di testa: la scelta del regista è dettata dalla complessità dell'incipit del film che renderebbe la presenza dei titoli di testa eccessiva. Lo stesso Welles spiega: «In Citizen Kane è il copione che costringe a far così. Guarda quante cose ci sono all'inizio, prima che cominci la storia: lo strano prologo con l'atmosfera da sogno, poi il cinegiornale "News on the March" e poi la scena nella sala di proiezione; passa molto tempo prima dell'inizio vero e proprio. Ora immagina di aggiungere anche i titoli di testa. Era un'altra attesa. Non avrebbero capito a che punto si era del film»28. Il

regista riprende questa scelta stilistica nel suo secondo film The Magnificent

Amberson (L'orgoglio degli Amberson, 1942) e decide di dare più importanza

28 Orson Welles in O. Welles, P. Bogdanovich, Io sono Orson Welles, Baldini e Castoldi, Milano 1999, p. 113, citato in F. Carlini, Popcorn Time..., p.19.

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ai titoli di coda, non scritti ma recitati da lui stesso.

Vediamo come nel cinema contemporaneo siano diverse le scelte che portano all'elusione completa o parziale dei titoli di testa. Pensiamo alla saga di Harry

Potter: nel secondo film della serie Harry Potter and the Chamber of Secrets

(Harry Potter e la camera dei segreti, Chris Columbus, 2002) i titoli di testa sono composti solo dallo scudo del logo della Warner Bros e dal titolo del film, entrambi accompagnati dalla colonna sonora del film. Gli elementi grafici e sonori utilizzati son gli stessi che lo spettatore ha conosciuto nel film precedente della saga, e la grande pubblicità che ruota attorno a produzioni di questo genere è elemento sufficiente perché lo spettatore sappia come approcciarsi al film: non è necessario aggiungere altro, non è neccessario accompagnare lo spettatore nell'entrata nella finzione.

Diverso è l'obiettivo della scelta fatta da Francis Ford Coppola per Apocalypse

Now (id., 1979). In questo film le scritte iniziali son completamente abolite:

«Non ci sono parole nelle prime inquadrature, solo le immagini del Vietnam con la sua giungla, il fuoco, il napalm, il fumo, gli elicotteri, la morte, i ricordi, [...] mentre la colonna sonora stringe il cuore degli spettatori con le note di

The End dei Doors, missate con il rumore ritmato e incombente degli

elicotteri»29. L'impatto dello spettatore con il film è violento, senza mediatori

di nessun genere, perché violento e traumatico è il mondo diegetico che ci si appresta a vedere.

Dopo aver chiarito dove i titoli di testa si collocano in relazione ai film, è bene soffermarci sul loro aspetto e sul come essi si presentano allo spettatore.

Nella maggior parte dei casi i titoli di testa presentano una doppia modalità di esistenza che lega l'aspetto verbale con l'aspetto figurativo. Le menzioni scritte che presentano il titolo e i professionisti che hanno lavorato al film, sono sempre accompagnate da immagini, siano esse diegetiche (nel caso dei titoli

continui) o extradiegetiche (nel caso di titoli discontinui).

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A proposito di questa doppia natura, nel già citato saggio30, Odin si occupa

proprio del conflitto che si crea nello spettatore durante la visione dei titoli di testa. «Lo spettatore è indotto a mettere in azione contemporaneamente due diverse modalità percettive: vedere, leggere»31, creando quel conflitto che

potremmo dire come costitutivo dei titoli di testa. La prevalenza di una modalità di percezione sull'altra è data dalla forza enunciativa dei determinati elementi dell'inquadratura. Spieghiamo meglio questo aspetto. Odin affronta questo problema analizzando i titoli di testa di Une partie de campagne (La

Scampagnata, Jean Renoir, 1936) dove all'immagine dell'acqua che scorre

sono sovrapposte le scritte dei titoli. «Di fatto, la lunga inquadratura dell'acqua che scorre, con la sua messa in quadro piatta e le sue tinte neutre (grige) non regge il confronto con il testo dei titoli. Troppo omogenea, troppo uniforme, troppo poco informativa rispetto alla sua durata, essa finisce per non attirare più l'attenzione dello spettatore e per essere relegata al ruolo di semplice "sfondo" per il testo scritto»32. La vittoria del leggere rispetto al vedere, quindi,

è dovuta in questo caso alla maggiore forza enunciativa delle menzioni scritte rispetto all'immagine.

Naturalmente il conflitto tra leggere e vedere cambia a seconda della tipologia dei titoli di testa. È evidente come esso sarà più forte all'interno di titoli di testa di tipo continuo, dove lo spettatore deve allo stesso tempo leggere i titoli

di testa e vedere il film, e minore in determinati tipi di titoli di testa discontinui.

Consideriamo, per esempio, i titoli di testa che adottano le modalità librarie per la presentazione del film: «l’opzione più comune prevede che le menzioni dei titoli si presentino come scritte diegetiche, stampate sulle pagine di un oggetto-libro (che esiste solo per figurativizzare la sua funzione di paratesto editoriale), sfogliate da una mano (visibile o meno) di fronte alla macchina da

30 R. Odin, L'entrata dello spettatore nella finzione..., pp. 263-284. 31 Ivi, p. 267. (corsivo nel testo)

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presa, generalmente fissa, frontale o in leggero plongée (nel caso si voglia marcare nell’immagine un punto di vista soggettivo: qualcuno – chiaro simulacro spettatoriale – che apre un libro, comincia a sfogliarlo)»33. Questo

metodo di presentazione del film è legato sopratutto a opere che hanno un'importante origine letteraria - per esempio L'innocente (Luchino Visconti, 1976) tratto dal romanzo di D'annunzio – ma negli anni si è diffuso in maniera crescente anche in film di altro genere, tanto da diventare un topos consolidato nella creazione di titoli di testa.

Attraverso questo espediente grafico il conflitto tra leggere e vedere è apparentemente annullato, in quanto si offre allo spettatore non la sensazione di vedere un qualcosa, bensì quella di leggere un libro, integrando le scritte come se fossero diegetiche.

Un altro metodo per eludere questo conflitto è quello di inserire scritte diegetiche all'interno del mondo finzionale: è quello che fa Jacques Tati per i titoli di testa di Mon oncle (Mio zio, 1958). Descriviamoli brevemente: la prima inquadratura è un totale su un cantiere in cui è presente una gru, un edificio in costruzione e una serie di cartelli che dovrebbero contenere le informazioni sul lavoro del cantiere e invece ospitano le prime scritte relative alla produzione del film. Con una panoramica verso il basso la MdP ci accompagna per leggere tutti i cartelli sottostanti, fino a mostrarci un uomo che lavoro con il martello pneumatico, scopriamo così da dove arriva il rumore diegetico che abbiamo sentito fin ora. Con un movimento simile al precedente la MdP scopre un'altra serie di cartelli in altra angolazione del cantiere, fino all'ultimo cartello che ci informa che ci apprestiamo a vedere un film di Jacques Tati. Attraverso una dissolvenza in nero la MdP ci mostra un vecchio muro su cui compare la scritta, sempre diegetica e scritta con il gesso, del titolo del film, Mon oncle (Fig. 3).

In titoli di questo genere il conflitto è sempre presente ma meno apparente

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perché si punta sulla forza enunciativa delle immagini, contenenti al loro interno le scritte, che lo spettatore potrebbe anche ignorare. Le scritte diventano un tutt'uno con l'immagine diegetica, non un qualcosa in più.

«In titoli come quelli di Mon oncle, dunque, abbiamo esattamente [...] un’infrazione, che non si colloca sul piano percettivo ma su quello cognitivo/enunciazionale: la configurazione enunciativa delle scritte, infatti, si colloca, per assurdo, ad un livello inferiore (diegetico) rispetto a quella delle immagini, ed informazioni di natura extradiegetica, sul film, vengono apparentemente veicolate da scritte diegetiche, nel film» 34.

Vedremo poi, nel terzo capitolo, come anche Bass riesca a far si che il conflitto tra leggere e vedere venga meno, realizzando sequenze introduttive in cui i caratteri tipografici delle menzioni scritte sono trattati come veri e propri elementi grafici che si muovono all'interno dello schermo al ritmo di altre forme e simboli.

Esiste, però, un'ulteriore modalità di esistenza dei titoli di testa, che non presuppone affatto questo conflitto verbale/figurativo, ossia i titoli di testa parlati. Abbastanza rari nella storia del cinema, esempi di titoli di testa parlati si possono trovare all'interno del cinema moderno che nasce con il Neoralismo italiano e si sviluppa definitivamente con la Nouvelle Vague francese: gli esempi più famosi sono Fahrenheit 451 (id., François Truffaut, 1966), Le

Mépris (Il disprezzo, Jean-Luc Godard, 1963) e Uccellacci e Uccellini (Pier

34 Ivi, p. 39 (corsivo nel testo).

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Paolo Pasolini, 1966). In Fahrenheit 451, Truffaut sceglie di far recitare i titoli a una voce femminile per sottolineare quello che è l'argomento del film, ossia la distruzione e la proibizione dei libri, dell'atto del leggere. Lo spettatore è quindi interpellato attraverso una voce over.

In Uccellacci e Uccellini, invece, ci troviamo di fronte a un vero e proprio componimento poetico contemporaneamente scritto sullo schermo e cantato da Domenico Modugno. L'attore protagonista Totò e le diverse maestranze che hanno collaborato al film sono presentate attraverso diciture inedite: non leggeremo/sentiremo "Musiche di Ennio Morricone" bensì "Ennio Morricone musicò", cosi da dare allo spettatore l'impressione che si stia realmente raccontando la storia del prodotto-film, evidenziandone la natura rappresentativa. È bene riportarne alcuni pezzi:

ALFREDO BINI presenta l’assurdo TOTÒ l’umano TOTÒ il matto TOTÒ il dolce TOTÒ nella storia UCCELLACCI E UCCELLINI raccontata da PIERPAOLO PASOLINI coll’innocente col furbetto DAVOLI NINETTO […]

nel triste girotondo nel lieto girotondo

LUIGI SCACCIANOCE architettò DANILO DONATI acconciò ENNIO MORRICONE musicò

MARIO BERNARDO e TONINO DELLI COLLI fotografò FERNANDO FRANCHI organizzò

SERGIO CITTI da filosofo aiutò […]

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ALFREDO BINI

dirigendo rischiò la reputazione PIERPAOLO PASOLINI35.

Esistono però anche casi di titoli di testa parlati in voce in, ossia interna al mondo diegetico. Per questo caso particolare, la Re prende come esempio la filmografia di Sacha Guitry, sottolineando che «l’ingresso nei suoi film diventa un rituale, con se stesso a fare da officiante e da garante, che, rivolto allo spettatore, si presenta e introduce i propri collaboratori»36.

Vedremo in seguito, quando ci occuperemo delle diverse funzioni a cui sono abilitati i titoli di testa, come la tipologia parlata risponda meglio di altre a determinate finalità, come l'interpellazione dello spettatore. Prima di affrontare questo aspetto, è meglio però chiarire a chi si rivolgono i titoli, quale modalità percettiva mettono in moto nello spettatore durante la loro visione.

Nel famoso saggio Nascita di una finzione: la costituzione dello spettatore nei

titoli di testa di "Via col Vento", Ruggero Eugeni si occupa, tra le altre cose,

proprio di questo aspetto: dell'analisi dei titoli di testa come «luogo di costruzione e posizionamento dello spettatore»37(fig. 4). Come primo passo

egli distingue due tipi di spettatori diversi che vengono costruiti dalla sequenza dei titoli di testa: lo spettatore di finzione e lo spettatore di evento. Il primo è lo spettatore che si occupa di attivare la costruzione del mondo diegetico, «cercando di colmare le ampie zone di vuoto e le discontinuità che esso presenta mediante un'attività previsionale»38; il secondo tipo di spettatore,

invece, si occupa di ricevere tutte quelle informazioni che riguardano la storia della realizzazione del film in quanto "oggetto", emmettendo su di esso un giudizio di valore.

35 Ivi, p. 95. 36 Ivi, p. 123.

37 R. Eugeni, Nascita di una finzione. La costituzione dello spettatore nei titoli di testa di “Via col

Vento”, in G.P. Caprettini e R. Eugeni (a cura di) Il linguaggio degli inizi. Letteratura cinema folklore, Il Segnalibro, Torino 1988, p. 228.

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Eugeni sottolinea come tra queste due tipologie di spettatore non esista alcun rapporto ma siano collocati sullo stesso piano gerarchico: «le loro attività procedono parallele e indipendenti; ma sono sopratutto quelle dello spettatore di evento che, per la loro maggiore complessità e articolazione, hanno un ruolo dominante»39.

Egli, inoltre, sempre a proposito dei titoli di Gone with the wind (Via col

vento, Victor Fleming, 1939) individua una terza tipologia di spettatore: lo spettatore di finzione storica, che partecipa alla costruzione del mondo

diegetico, ma a partire dalle conoscenze relative al proprio mondo di riferimento. Questo tipo di spettatore non è attivato da tutti i titoli di testa, ma è chiamato in causa quando un determinato cartone ci informa sulla situazione storica e sul contesto culturale in cui è ambientato il film. Nel caso di Gone

with the wind un cartone dei titoli di testa è dedicato proprio a questo, a

informare lo spettatore sulla situazione degli Stati Uniti d'America nel 1860, e di come, dopo l'elezione di Abramo Lincoln come presidente, le divergenze ideologiche ed economiche tra il Nord e il Sud sfociarono nella secessione del Sud e nella nascita degli Stati Confederati d'America, di cui faceva parte anche

39 Ivi, pp. 233-234.

Fig. 4: Fotogrammi tratti dai titoli di testa di Gone With the Wind (Via col vento, Victor Fleming, 1939).

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la Georgia, luogo in cui è ambientato il film. Di fronte a questo cartone, allo spettatore viene richiesto di emmettere un giudizio di verità alla base delle proprie conoscenze pregresse, indipendenti dal mondo testuale.

Eugeni ritiene che, nei titoli di testa di Gone with the Wind, questi tre tipi di spettatore siano chiamati in causa con l'obiettivo di ricreare all'interno di un'unica performanza, ossia l'agire spettatoriale, il desiderio di finzione, «che è, insieme, il voler vedere una storia, il voler conoscere una storia, e il voler credere a una storia»40.

Ecco che, a piccoli passi, siamo arrivati all'ultima domanda tra quelle individuate da Genette: A quale scopo?

L'attivazione del desiderio di finzione è solo una delle diverse funzioni a cui i titoli di testa sono abilitati, ma la si può considerare come la più importante, quella su cui i maggiori studiosi di cinema si sono concentrati. In particolare André Gardies e Roger Odin si sono occupati di questo aspetto41.

Nel già citato saggio sull'analisi dell'incipit di Une partie de campagne, Odin sottolinea come i titoli di testa siano fondamentali per l'attivazione del

desiderio di finzione nello spettatore. Vediamo come arriva a tali conclusioni.

Egli parte della considerazione che «i titoli di testa sono dunque l'esplicita inscrizione, nel film stesso, di un certo numero di marche dell'enunciazione di

questo film»42. Considerando che l'obiettivo di un film di finzione è quello di

cancellare tutte le possibili marche dell'enunciazione e far si che il racconto sembri che si racconti da solo senza la mano di intermediari, si può dedurre che «i titoli di testa si oppongono al film».

Ed è proprio questo che sostiene Gardies, quando parla di un conflitto tra film e titoli di testa che si crea proprio perché quest'ultimi «esibiscono ciò che

40 Ivi, p. 249. Sul problema del sapere, vedere, credere, Eugeni cita a sua volta F. Casetti, Dentro lo

sguardo. Il cinema e il suo spettatore, Bompiani, Milano 1986, p. 80-87.

41 Su questo argomento si è soffermata Valentina Carla Re in V.C. Re, L'ingresso, l'effrazione.

Proposte per lo studio di inizi e fini, in V. Innocenti, V.C. Re (a cura di), Limina. Le soglie del film..., pp. 105-120.

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l'altro (il film maschera con cura»43.

I due studiosi sembrano quindi d'accordo sul dichiarare che i titoli di testa, a una prima lettura, si presentano come il nemico numero uno dell'"impressione di realtà"44 specifica del cinema di finzione. Ma mentre Gardies sembra

ritenere – almeno nella prima parte dei suoi scritti – che per risanare questo conflitto siano necessarie «procedure di occultamento»45 da parte del film nei

confronti dei titoli, quali sovraimpressioni, utilizzo della pre-credits sequence o slittamento dei titoli in coda al film; Odin sostiene il contrario: ossia che i titoli di testa sono «un'elemento essenziale per il buon funzionamento dell'effetto finzione»46 e porta a sostegno della sua teoria le parole di Metz

riguardanti tutte quelle figure che sembrano "rinnegare" l'effetto finzione, ma che in realtà, ponendo una distanza tra l'azione e noi, confortano «il nostro sentimento di non essere ingannati da quell'azione: così rassicurati possiamo permetterci di lasciarci ingannare un po' di più»47. Prosegue Odin: «Ciò che i

titoli di testa proclamano, ed è importante che questo ci sia detto proprio all'inizio del film, è lo statuto immaginario di ciò che il film ci farà vedere, della diegesi. Dopo questo avvertimento, niente potrà più disturbare seriamente il nostro godimento della finzione: né quegli elementi che paragonati alla logica del mondo ordinario dovrebbero apparire come delle flagranti incoerenze, quei "fenomeni incredibili" che ogni film, perfino il più realista, comporta necessariamente: passaggio da un'inquadratura a un'altra, presenza della musica; né la rappresentazione degli avvenimenti più fantastici, più inverosimili, più comici o più tragici. I titoli di testa sono ciò che permette veramente l'entrata dello spettatore nella finzione»48.

43 A. Gardies, Genèse, générique, générateurs, in "Reveu d'esthétique", vol.4, 1976, p. 86. 44 Per il concetto di "impressione di realtà" si può vedere J. Aumont, A. Bergala, M. Marie, M.

Vernet, Estetica del film, Lindau, Torino 1998, pp. 17-23. 45 A. Gardies, Genèse, générique, générateurs..., p.86. 46 R. Odin, L'entrata dello spettatore nella finzione..., p. 272.

47 C. Metz, Il significante immaginario, in Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, Marsilio, Venezia 1980, p. 76, citato in R. Odin, L'entrata dello spettatore nella finzione..., p.272. 48 R. Odin, L'entrata dello spettatore nella finzione..., pp. 272-273 (corsivo nel testo).

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Abbiamo detto che Gardies sembra essere di tutt'altro parere, ma anche lui in realtà individua alcune possibilità che possono far sì che il conflitto tra film e titoli di testa sparisca: «Nel caso in cui il film si presenti come film e non come rappresentazione di una realtà esistente al di fuori di lui, il conflitto iniziale sparisce, dato che i titoli di testa e il film parlano entrambi della loro realtà filmica. I titoli di testa diventano qui sequenza del film. Si vedano sequenze importanti come quella di L’Homme qui ment (L'uomo che mente, 1968) di Alain Robbe-Grillet. Questa importanza la deve al suo carattere singolare, pienamente assunto: in quanto sequenza, è articolazione del film; in quanto titoli di testa, designano il loro rapporto con il film, quello di una genesi»49.

Gardies ritornerà, qualche anno più tardi, allo studio dei titoli di testa soffermandosi ancora sulla presenza di un conflitto tra le due parti e sottolineando come questo sia strumentalizzato per far sì che si instauri un contratto tra lo spettatore e il genere del film che si appresta a vedere. Inoltre, egli sottolinea come la riflessione intorno ai titoli di testa sia complessa: per rispondere alla domanda "nei titoli di testa possiamo già considerarci all'interno del film?" egli ritiene non sia possibile trovare una risposta univoca ma che sia sempre necessario valutare in che modo la sequenza dei titoli partecipa all'inizio del film, in che modo dialoga con il mondo diegetico e che legami intrattiene con i significati del testo50.

I titoli di testa si configurano come il luogo decisivo in cui si stipula il contratto di finzione con lo spettatore. Quest’ultimo, attraverso «la fornitura di informazioni di ordine diverso, che producono differenti attività interpretative

49 «Mais, que le film se donne comme un film et non comme la représentation d'une réalité existant en dehors de lui, et le conflit initial disparaît, puisque générique et film parlent tous deux de leur propre réalité filmique. Le générique y devient séquence du film. Voire séquence majeure comme dans L'Homme qui ment d'Alain Robbe-Grillet. Cette importance, elle la doit à son caractère singulier pleinement assumé; séquence, elle est articulation du film; générique, elle désigne son rapport au film, celui d'une genèse». A. Gardies, Genèse, générique, générateurs..., p. 87 (precisazioni tra parentesi e trad. mia).

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e, quindi, differenti posizionamenti del soggetto spettatoriale»51 nei confronti

del film, si trasforma da semplice soggetto che guarda in soggetto con dei desideri e delle aspettative.

I titoli di testa si occupano, quindi, del concetto più generale di interpellazione dello spettatore52, aspetto di cui Metz si è occupato in L'enunciazione impersonale o il luogo del film. Egli definisce le diciture dei titoli di testa

come "appelli scritti", vere e proprie marche enunciative (alla pari dello sguardo in macchina e la voce over) che rimandano al "farsi" del film, e che sottendono nel loro manifestarsi la frase implicita State per vedere53. Possiamo

notare poi come nel caso dei titoli di testa parlati l'effetto di interpellazione sia maggiore, in quanto la voce richiama l'attenzione dello spettatore e si sottolinea il marcarsi dell'enunciazione. Pensiamo ai titoli di testa parlati in voce in di Sacha Guitry, che solitamente sono combinati con lo sguardo in macchina: l'effetto di interpellazione sarà altissimo, in quanto sembrano rivolgersi direttamente al pubblico54.

Strettamente legata alla funzione di interpellazione dello spettatore è la funzione metadiscorsiva delle marche enunciative in generale: «Nel cinema, quando l’enunciazione si marca nell’enunciato ciò non avviene, o almeno non avviene principalmente, attraverso impronte deittiche, ma attraverso costruzioni riflessive […]. Il film ci parla di se stesso, o del cinema, o della posizione dello spettatore, ed è allora che si manifesta quella sorta di sdoppiamento dell’enunciato che, in tutte le teorie, costituisce l’elemento essenziale in mancanza del quale non si potrebbe nemmeno pensare all’enunciazione»55.

51 V.C. Re, Ai margini del testo..., p. 38.

52 Per un approffondimento sul concetto di "interpellazione" dello spettatore vedere F. Casetti,

Dentro lo sguardo..., in particolare pp. 34-39.

53 C. Metz, L'enunciazione impersonale o il luogo del film, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995, p. 77.

54 Per un analisi dei titoli di Sacha Guitry vedere V.C. Re, Ai margini del film..., p. 123, e N. Herpe,

Les Génériques de Guitry, in "Positif, Dossier Sacha Guitry", n. 411, maggio 1995, p. 86.

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Abbiamo già detto che i titoli di testa presentano il film in quanto tale, parlandoci del suo processo di produzione. La funzione che assolvono, quindi, può dichiararsi più precisamente metacinematografica, in quanto ci dicono esplicitamente che "questo è un film", "un film di"; mentre le altre marche dell'enunciazione assolvono una funzione più propriamente metadiscorsiva: ci parlano del "farsi" del film in quanto processo discorsivo e finzionale.

La Re individua numerosi esempi in cui la funzione metacinematografica dei titoli di testa è messa in evidenza, anche grazie all'unione di quest'ultimi con un'altra marca dell'enunciazione autoriflessiva, ossia quella di "mostrare il dispositivo": «L'"esibizione del dispositivo" è estremamente utilizzata in epoca moderna per marcare ed esibire il limite tra testo e fuori testo, per sottolineare l’artificiosità del processo rappresentativo rifiutando qualunque convenzione che cerchi di nasconderla o "naturalizzarla"»56. La Re cita soprattutto il cinema

di Jean Luc Godard: caratterizzato da un atteggiamento autoriflessivo e dall'esibizione del dispositivo, in molti suoi film questo è evidente fin dai titoli di testa. Pensiamo per esempio a Una femme est una femme (La donna è

donna, Jean-Luc Godard, 1961): i brevi titoli presentano uno stravolgimento

della norma e una messa in evidenza del dispositivo sopratutto nella dicitura che informa lo spettatore sui diversi generi da attribure al film che viene definito una "commedia, francese, musicale, teatrale, sentimentale, genere Lubitsch". Inoltre, sentiamo una voce femminile che con la frase "Luci...Motore...Azione!" non solo dà il via alla rappresentazione, ma anche al processo di produzione e di visione da parte delle spettatore.

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La messa in evidenza dei titoli di testa come marca dell'enunciazione è un procedimento che ricorre sopratutto in quel cinema d'autore segnato dall'abbandono e dal sovvertimento delle regole del "cinema dei padri", di cui Godard fu ed è maestro. Un altro autore a cui piace far notare allo spettatore che si trova di fronte a una rappresentazione è Ingmar Bergman: pensiamo al prologo che introduce Persona (1966) o ai titoli di testa di Vargtimmen (L'ora

del lupo, 1967) in cui sono presenti, così come in Godard, quelle voci del set

che avviano il processo di produzione e di lavorazione del film57.

Conseguente alla funzione metacinematografica è un'ulteriore funzione che si può attribuire ai titoli di testa, ossia quella della valorizzazione dell'oggetto film. Parlando di se stesso in quanto evento, prodotto del lavoro di qualcuno, nei titoli di testa il film avvia quello che Eugeni definisce «programma

narrativo di costruzione di un oggetto di valore»58. Si tratta, insomma, di una

vera e propria narrazione della storia del film in quanto frutto del lavoro del qualcuno, con l'obiettivo di produrre una valorizzazione dell'oggetto tale da convincere lo spettatore ad emettere un giudizio positivo che preceda la visione. Eugeni individua, inoltre, i tre mezzi attraverso cui può avvenire il processo di valorizzazione all'interno dei titoli di testa:

57 V.C. Re, Ai margini del film..., p. 31.

58 R. Eugeni, Nascita di una finzione..., p. 232 (corsivo nel testo).

Fig. 5: Fotogrammi tratti dai titoli di testa di Una femme est una femme (La donna è donna, Jean-Luc Godard, 1961).

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-«Il sottolineare l'impiego di un oggetto di valore»59: è ciò che avviene ogni

qualvolta nei titoli si metta in evidenza la derivazione letteraria del film. Diciture del tipo "tratto dal romanzo di..." investono il film di un valore

estetico maggiore, dovuto all'importanza del libro o della fonte a cui è ispirato.

-«L'aumento del grado di realtà»60: anche questo è un mezzo molto spesso

legato alla derivazione letteraria del film; il passaggio da un mondo di parole a un mondo di immagini, infatti, aumenta il grado di realtà e di conseguenza, incrementa il valore di verità del film agli occhi dello spettatore. Ritengo però si possa parlare di incremento di valore di verità anche quando all'interno dei titoli troviamo diciture del tipo "tratto da una storia vera": di fronte a menzioni di questo tipo lo spettatore sarà maggiormente disposto ad accettare la finzione come "reale", fondata su una verità.

-Infine, come terzo mezzo di valorizzazione, Eugeni individua quello di «mettere in luce i valori economici investiti nell'iniziativa della produzione»61:

compito affidato a tutte quei cartoni che si occupano di informarci sugli aspetti produttivi del film.

È bene specificare che le tre tipologie di valore individuate da Eugeni si riferiscono all'analisi dei titoli di testa di Gone with the Wind, all'interno dei quali sono presenti tutte e tre e lavorano insieme per la valorizzazione del fim. Se ne potrebbe dedurre che tali valori siano presenti nella maggior parte dei titoli di testa (in particolare i valori economici), ma con la dovuta cautela: la loro messa in evidenza dipenderà dal genere del film e dalla tipologia dei titoli di testa (se i titoli sono assenti, come abbiamo visto accadere in Apocalypse

Now, il processo di valorizzazione del film avverrà in un altro modo).

Ritengo, inoltre, che la valorizzazione dell'oggetto film all'interno della prima sequenza avvenga anche tramite un altro espediente: ossia con la messa in evidenza del nome dell'autore. Questa può avvenire con diverse strategie,

59 Ibidem. 60 Ibidem. 61 Ibidem.

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vedremo in seguito come Hitchcock in North by Northwest (Intrigo

Internazionale, 1959) scelga di comparire come comparsa proprio dietro la

dicitura del suo nome, in modo da metterla in evidenza62.

I titoli di testa, quindi, delle volte si assumono anche il compito di definire l'identità autoriale del film. Abbiamo precedentemente visto come Tim Burton a partire del 1989 – anno in cui raggiunge il successo definitivo con Batman – decida di modificare il logo della casa di produzione di tutti i suoi film con elementi visivi che rimandano alla trama del film. Questo espediente si può definire il suo marchio di riconoscimento, la sua firma, la sua decisione di farsi notare fin dal marchio iniziale che apre il film.

Solitamente però l'identità autoriale è marcata nei titoli di testa attraverso l'utilizzo di format semplici ed essenziali: tutti saremo in grado di riconoscere un film di Woody Allen grazie ai suoi titoli sobri, caratterizzati da caratteri bianchi su sfondo nero. Lo stesso discorso si può fare per i titoli di testa di Nanni Moretti, anche essi facilmente identificabili come firma dell'autore. Pur riconoscendo il film come opera di Woody Allen o di Nanni Moretti, difficilmente, però, lo spettatore sarà in grado di capire il genere del film o riceverà impulsi riguardo la trama. Questo genere di titoli che concentrano l'attenzione sull'identità autoriale solitamente ignorano quella che è un'altra funzione fondamentale dei titoli: quella di riassumere l'essenza e il significato del film.

Quest'idea di titoli come metafora dell'intero film si è sviluppata sopratutto a partire dagli anni Cinquanta, quando «l’attività di Bass cambia radicalmente la natura dei titoli»63, sperimentando nuove modalità espressive derivanti dal

mondo della grafica pubblicitaria e dell'arte. I titoli di testa non parlano più solo del film in quanto prodotto ma diventano metafora ambigua del mondo narrativo (la Re parla a tal proposito di valore metatestuale64), potenziando in

62 Vedi il paragrafo 3.2.2 di questa tesi. 63 V. C. Re, Ai margini del film..., p. 13. 64 Ibidem.

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questo modo il contratto di finzione che sancisce la relazione tra il film e lo spettatore.

«...quello che i titoli potevano fare era creare l’atmosfera ed evocare il nucleo centrale della storia del film; esprimere la storia in maniera metaforica. Vedevo i titoli come un metodo per il condizionamento del pubblico, in modo tale che, nel momento in cui il film cominciava, gli spettatori avessero già una risonanza emozionale. Avevo la forte sensazione che il film cominciasse davvero con il primo fotogramma»65.

Nei successivi capitoli analizzeremo più a fondo il lavoro di Saul Bass e la sua concezione innovativa dei titoli di testa. A tal proposito, prima di passare oltre, vorrei soffermarmi sulla terminologia che userò per affrontare le analisi dei suoi titoli di testa. In particolare, farò riferimento ai termini presenti nel seguente schema realizzato da Gardies nel saggio Le forme générique.

Historie d'une figure révelatrice66 e tradotta e modificata da Eugeni67:

65 «..what a title could do was to set mood and to prime the underlying core of the film's story; to express the story in some metaphorical way. I saw the title as a way of conditioning the audience so that when the film actually began, viewers would already have an emotional resonance with it. I had a strong feeling that films really began on the first frame». Saul Bass in P. Haskin, Saul, Can You Make Me a Title? Interview with Saul Bass, in “Film Quarterly”, vol. 50, n.1, autunno 1996, p. 13. (trad. mia)

66 A. Gardies, La forme générique..., p. 165. 67 R. Eugeni, Nascita di una finzione..., p. 250.

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Come precisa Eugeni, tale griglia è funzionale sopratutto alla descrizione di titoli di testa "classici", come sono appunto quelli di Gone to the Wind di cui lui si occupa. Per la descrizione dei titoli realizzati da Bass, in realtà, la terminologia individuata dai due studiosi è troppo generica data la loro complessità visiva, ed è stato necessario individuare nuovi termini.

Rituale inaugurale di (quasi) ogni film, i titoli di testa si configurano come un limite, una soglia da attraversare che abitualmente cambia la propria conformazione, le proprie funzioni, rimanendo, però, sempre fedele allo spettatore, prendendolo per mano e accompagnandolo nel mondo della finzione.

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1.2 I titoli di testa prima di Saul Bass.

I titoli di testa possono essere considerati una costante della storia del cinema, nonostante il loro aspetto sia molto cambiato nel corso degli anni. Ai tempi del muto, infatti, il loro compito si limitava a introdurre il nome della casa di produzione e il titolo del film ed erano caratterizzati da uno schema semplice ed essenziale: solitamente scritte bianche su fondo nero (fig. 6). Con il crescere dell'industria cinematografica, negli anni Dieci del Novecento, i titoli di testa iniziano ad assumere una forma più complessa. Si diffonde l'idea di cinema come evento artistico e, di conseguenza, assumono importanza coloro che hanno partecipato alla realizzazione del film. In modo particolare gli attori e le attrici diventano volti molto noti al pubblico: inizia in questi anni a diffondersi il divismo, e la fama degli interpreti diviene di fondamentale importanza per attirare gli spettatori. Anche il nome del regista inizia ad acquisire importanza e a comparire nei titoli, ma ci vorrà ancora qualche anno perché gli venga affidato il posto d'onore nei titoli e nei cartelloni pubblicitari. La Veronesi sottolinea come, già nella seconda metà degli anni Dieci, i titoli di testa presentino al loro interno i seguenti elementi:

– Nome del produttore- presenta: – Attrice/Attore principale

– Titolo del film

– Soggetto di/Tratto da – Regia

– Didascalia che introduce le coordinate spazio-temporali dell'azione – Didascalie che introducono i personaggi principali alternate con le

inquadrature degli stessi nel contesto diegetico68.

Per la maggior parte dei film di questi anni, l'aspetto della sequenza dei titoli è ancora caratterizzato dalla semplicità del decennio precedente, magari

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accompagnando le scritte con decorazioni ornamentali. Iniziano però a farsi avanti soluzioni originali e aspetti grafici particolari, molti dei quali diventeranno delle vere e proprie costanti nella produzione dei titoli di testa.

Una delle prime tipologie di titoli di testa che si diffonde nelle seconda metà degli anni Dieci consiste nell'inserire inquadrature del film in cui sono ritratti gli interpreti, accompagnandole da didascalie esplicative sul loro nome e ruolo. La Veronesi sottolinea la matrice teatrale di questa modalità di composizione, «che trova le sue radici nel teatro del Cinquecento e che ha come insigne capostipite il prologo della Clizia di Machiavelli, nel cui esordio l'autore chiamava in scena i suoi personaggi per una presentazione»69. Gli

esempi più famosi e originali si rifanno a due film diretti entrambi da Apfel e De Mille: in The Ghost Breaker (Oscar Apfel, Cecil B. De Mille, 1914) i personaggi principali sono presentati direttamente dal protagonista tramite una galleria di ritratti di antenati che in seguito al suo passaggio si trasformano negli interpreti in carne e ossa; in Cameo Kirby (Oscar Apfel, Cecil B. De Mille, 1914), invece, i personaggi emergono dalle carte da gioco che vengono scoperte una alla volta dal protagonista del film70.

Un'altra modalità di composizione che affonda le sue radici negli anni Dieci è quella che prevede la sovraimpressione delle scritte dei titoli sulle pagine di un libro, in modo da lasciar intendere la narratività del film, l'idea di raccontare una storia.

69 Ivi, p. 18. 70 Ivi, p. 19.

Fig. 6: Fotogrammi tratti dai titoli di testa di The Gold Rush (La febbre dell'oro, Charlie Chaplin, 1925).

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