• Non ci sono risultati.

Analisi dei titoli di testa di Cape Fear (1991)

Nel documento Saul Bass: L'arte nei titoli di testa. (pagine 171-180)

3.4 La collaborazione con Martin Scorsese

3.4.1 Analisi dei titoli di testa di Cape Fear (1991)

Nell'acqua si vede di più.

(L'Atalante, Jean Vigo,1934)

Cape Fear (Cape Fear – il promontorio della paura, 1991) è il secondo film

che nasce dalla collaborazione tra Martin Scorsese e Elaine e Saul Bass, e presenta dei titoli di testa molto differenti dal lavoro precedente messo a punto

271F. Carlini, Popcorn Time..., pp. 147-148.

Fig. 85: Saul Bass, titoli di testa di Cape Fear (Cape Fear – il promontorio della paura, Martin Scorsese,

per Goodfellas. Remake del film del 1962 diretto da J. Lee Thompson, l'opera di Scorsese presenta molti rimandi al cinema di quegli anni, e fin dai titoli possiamo trovare diversi elementi ripresi dall'universo hitchcockiano, che Bass conosceva bene.

I titoli di testa di Cape Fear (fig. 85) iniziano fin dal logo della casa di produzione272, la Universal, che viene distorto come se si trovasse sott'acqua

(fig. 86). È appunto l'acqua l'elemento chiave di questa sequenza e la sua importanza è segnalata da subito.

Una volta che il logo della

Universal con una dissolvenza

in nero scompare, lo schermo si trasforma in una distesa d'acqua, apparentemente calma. Un cartone fisso alla sinistra dello schermo ci informa riguardo i produttori: il lettering è particolare, tagliato a metà, la parte superiore della scritta non coincide con quella inferiore ed è obliquo verso destra. Sullo stesso sfondo e sempre periferica verso sinistra compare la scritta A MARTIN SCORSESE picture e lo sfondo d'acqua si muove a una velocità sempre più marcata. Sotto i riflessi dello specchio d'acqua compare l'immagine di un uccello rapace, che sembra volare in un cupo cielo fuori campo sovrastante l'acqua. Appaiono i cartoni che ci informano sui nomi degli attori protagonisti, il lettering è sempre distorto. L'acqua inizia a assumere colori e movimenti inusuali: sembra quasi macchiarsi di rosso. Compare il titolo del film, fisso al centro dello schermo: CAPE FEAR.

272Per un approfondimento sull'importanza delle modifiche apportate al logo cinematografico vedi: F. Betteni-Barnes, Ai confini della realtà narrativa..., pp. 121-128.

Fig. 86: Logo della casa di produzione Universal, nei titoli di testa di Cape Fear (Cape Fear – il promontorio della

Dalle increspature dell'acqua compare in dissolvenza un occhio che si guarda attorno spaventato – nel mentre continuano le scritte riguardanti gli attori. L'occhio riflesso scompare, e i movimenti dell'acqua si fanno sempre più inquietanti, in un crescendo di tensione, accentuata dal fatto che dal profondo dell'acqua sembrano comparire forme indefinite, mentre le menzioni informative continuano ad apparire sullo schermo. Dall'inquadratura sull'acqua in orizzontale si passa a una ripresa verticale, in modo da confondere lo spettatore circa il punto di vista. Dalle profondità dello schermo appare un viso distorto dalle forme dell'acqua e in sovrimpressione appare la scritta che ci informa che Elaine e Saul Bass hanno collaborato alla realizzazione dei titoli. Il movimento dell'acqua si modifica continuamente, mentre cambiano anche le scritte informative. Si forma un vortice d'acqua che sembra contenere al suo interno la sagoma di un uomo, i colori cambiano e ricompare il rosso, sempre più evidente. Poi tutto sembra tornare alla normalità, l'acqua è di nuovo in uno stato di calma apparente come nei primi minuti della sequenza. Appare però il riflesso dell'ombra di un uomo e l'acqua inizia ad agitarsi. Dall'alto lo schermo inizia a tingersi di rosso e sembra cadere una goccia di sangue. Il rosso invade tutto lo schermo e compare la scritta direct by MARTIN SCORSESE. Attraverso una dissolvenza incrociata scompaiono l'acqua e la scritta e appare un dettaglio su due occhi: l'immagine vira dal rosso al negativo per poi diventare in bianco e nero, la MdP con uno zoom all'indietro si allontana e scopriamo che gli occhi appartengono a una ragazzina. Nel mentre l'inquadratura è diventata a colori: siamo entrati nella finzione.

Nonostante le evidente differenze stilistiche con molti dei lavori precedenti di Bass, i titoli di Cape Fear presentano un analogia fondamentale con quelli di

Psycho. Valentina Re fa notare come in entrambi i film venga utilizzata la

tecnica dell'off-set lettering, attraverso cui le lettere vengono tagliate orizzontalmente, con l'obiettivo di «installare, fin dai titoli, il senso di una

precisa atmosfera»273.

A tal proposito Saul e Elaine Bass spiegarono: «La sequenza doveva dare in maniera molto semplice l'idea di un disfunzionamento. Per rendere tale idea, abbiamo tagliato le lettere a metà, in senso orizzontale, e quindi abbiamo fatto slittare in direzioni opposte i due segmenti, in modo da ottenere una sfasatura. Era una sottolineatura semplice delle implicazioni dell'azione narrativa»274.

Molto vicini ai titoli di Cape Fear sono anche quelli realizzati per Seconds (Operazione

diabolica, J. Frankenheimer, 1966) in cui

compaiono inquietanti dettagli di un volto distorto e malleabile (fig. 87). Lo stesso Bass ha ammesso di aver riutilizzato alcune riprese fatte per Seconds per ricreare i minacciosi primi piani del volto umano che vediamo nella sequenza iniziale di Cape Fear.

La scelta del lettering spezzato e della distorsione ha l'obiettivo di rinforzare il significato di quelli che sono i quattro temi principali dei film, riportati nei titoli di testa sotto forma di simboli e metafore275.

Il primo tema è rappresentato dall'acqua, il liquido che dietro di sé nasconde la verità e, soprattutto, una moralità perversa. Lo stesso liquido che inghiottisce il protagonista Max Cady (Robert De Niro) alla fine del film.

273V.C. Re, Ai margini del testo..., p. 121.

274«The sequence was intended to give a very simple signal of dysfunction. We did this by cutting the letterforms in half horizontally and offsetting them. It was a simple reinforcement of the

implications of the live action». Saul Bass in P. Kirkham, Looking for the simple idea..., pag. 18, trad. it. in V.C. Re, Ai margini del testo..., p. 121.

275 http://www.artofthetitle.com/title/cape-fear/ Fig. 87: Saul Bass, fotogrammi

tratti dai titoli di testa di Seconds (Operazione diabolica, J.

Il secondo motivo è reso metaforicamente dagli occhi, simbolo di attenzione, vigilanza, paura, ma anche di connessione umana: importantissimi all'interno del film gli sguardi tra le vittime e il carnefice.

Ancora, il terzo tema è la vendetta, il risentimento: il terribile Max Cady è simboleggiato nei titoli di testa da un falco, un uccello rapace che attende solo di colpire le sue vittime per potersi vendicare degli anni passati in prigione. Ultimo ma non meno importante è il colore rosso, simbolo della rabbia e del sangue. Nella descrizione dei titoli abbiamo visto come l'arrivo al rosso non è immediato (come avveniva, per esempio, in Vertigo, dove il rosso aveva un altro significato) ma avviene per gradi: «Gli interi titoli consistono in acqua, e l'acqua cambia[…]. Il verde, l'oro e il blu cambiano e finalmente diventano rosso. L'acqua diventa sangue»276. La stessa cosa avviene nel film, la

tranquillità familiare è distrutta con un crescendo che culmina nel sangue e nella morte.

Tutti questi quattro elementi principali non sono distinti ma collaborano tra loro per ricreare il significato generale del film. «Insieme, questi simboli rappresentano un ritratto ambiguo dell'orientamento morale del film, senza assegnare nessuna etichetta esplicita a ciascun elemento. Sono, invece, miscelati come una serie di dissolvenze che attraverso il tempo transitano dal giorno alla notte, creando un insieme di messaggi emozionali contrastanti, rispecchiando le motivazioni dei personaggi centrali del film»277.

Per sottolineare l'importanza dell'unione di questi elementi e il loro riferirsi a un'ambiguità morale che fa da sfondo a tutto il film, i coniugi Bass scelgono di immergerli e rifletterli nell'acqua, elemento che tutto unisce e tutto mescola.

276«The entire titles consists of water, and the water changes […]. The green, golds and blues changes and finally becomes red. The water becomes blood». Saul Bass in P. Kirkham, J. Bass,

Saul Bass..., p. 272. (trad. mia)

277 «Together, these symbols present an ambiguous portrait of the film’s moral compass, assigning no clear label to any one element. Instead, they are blended as a series of timed cross-fades

transitioning from day to night, creating a mélange of conflicting emotional messages, mirroring the motivations of the film’s central characters» http://www.artofthetitle.com/title/cape-fear/ (trad. mia)

L'importanza dell'elemento dell'acqua all'interno della storia dell'arte è notevole, dovuta al fatto che, tra i quattro elementi, l'acqua è quello che, per motivi mitologici e filosofici, ha ricreato attorno a sé una fitta simbologia. Acqua come generatrice di vita, ma anche simbolo di morte e di imprevidibilità.

Esplorando il rapporto tra cinema e acqua, Augusto Sainati ritiene quest'ultima come l'elemento privilegiato per il cinema, in quanto generatore di immagini. «L'acqua ha di per sé un valore simbolico marcato: non soltanto perché l'acqua è madre, contenitore di ciò che sarà un uomo, fonte e mezzo di vita, ma anche perché culturalmente l'acqua è connotata come luogo di perdita. Nell'acqua si nasce, ma nell'acqua ci si inabissa anche, ci si perde. L'acqua è il limite e la possibilità di superare il limite [...]. Anche le immagini hanno questo rapporto fecondo e ambivalente con l'acqua. Nell'acqua le immagini si compongono, ma nell'acqua la visione non è più la stessa e si dissolve»278.

L'acqua di Cape Fear è un' acqua dalla simbologia negativa, fonte di ambiguità e pulsioni subacquee: Max Cady nell'acqua supera il limite, perde ogni integrità morale e, infine, ci si inabissa, scompare nelle sue profondità. Inoltre, nei titoli di testa l'acqua assume diversi andamenti: orizzontale, verticale, obliquo, calmo, distorto. Quest'acqua così incontrollabile e imprevedibile ricorda un quadro di Paul Klee, Acqua Selvaggia, realizzato dal pittore nel 1934 dopo aver lasciato il Bauhaus ed essere tornato in esilio a Berna, sua città natale, a causa del regime nazista (fig. 88). Probabilmente Bass conosceva il quadro ma affermare che possa esserci un riferimento diretto e pensato sarebbe avventato, tuttavia le analogie tra le due opere sono tante. Riflettiamo sul contesto in cui nasce il quadro di Klee: esilio, dittatura, e l'inizio di una malattia (sclerodermia progressiva), quella del pittore, che negli anni successivi lo porterà a limitare la sua attività artistica. Come quella di Bass, l'acqua di Klee, dietro i colori e il movimento, cela pulsioni negative,

nasconde tutto ciò che di terribile sta accadendo in quegli anni. Bisogna notare, inoltre, come nella sua ricerca artistica precedente Klee aveva sempre accompagnato la rappresentazione dell'acqua con quella dei pesci279, simbolo

di vita in relazione con il loro ambiente naturale – Ruscello con trote (1916),

Luogo pescoso (1922), Pesci nel torrente (1926) . Nel quadro del 1934 i pesci

scompaiono, la vita è nascosta, e l'acqua si rivela essere un elemento incontrollabile che tutto travolge.

La descrizione che Bass fa dei propri titoli di testa ben si adatta a descrivere l'opera di Klee: «L'acqua diventa un colpo di frusta emozionale di forma e colore con inquietanti correnti sotterranee»280 .

Anche in questo film, inoltre, com'era già avvenuto per Vertigo in particolare, ma anche per Spartacus, Saul Bass farà particolare attenzione agli insegnamenti del cinema d'avanguardia francese degli anni Venti. Registi come Jean Epstein, Germaine Dulac, ma anche il dadaista René Clair,

279Per un approfondimento vedi: O. Okuda, Paul Klee e “l'obiettivo di dare forma” alle correnti (del

tempo), in H.C. Von Tavel (a cura di), Paul Klee, ed. Mazzotta, catalogo della mostra, 13 marzo -

27 giugno 2004, Complesso del Vittoriano, Roma.

280«The water becomes an emotional whiplash of form and color with disturbing emotional undercurrents»Saul Bass in P. Kirkham, J. Bass, Saul Bass..., p.272. (trad. mia)

esibiscono all'interno dei loro film - si veda rispettivamente Coeur fidèle (1923), Thèmes et variations (1930) e Entr'acte (1924) - un amore per le immagini d'acqua che parte dal desiderio di scoprire un nuovo modello percettivo281 (figg. 89, 90, 91). A riguardo Deleuze scrive: «Ciò che la scuola

francese trovava nell'acqua era la promessa o l'identificazione di un altro stato di percezione: una percezione più che umana, una percezione che non era più tagliata sui solidi, che non aveva più il solido come oggetto, per condizione, per ambiente»282 .

Molto vicino ai film sopracitati e ai titoli realizzati da Bass è anche un film del 1929 di Ralph Steiner, H20, un vero e proprio studio sull'acqua diviso in sei parti, ognuna delle quali esalta il movimento di questo elemento, seguendo i ritmi e le distorsioni. L'acqua diviene elemento dinamico e totale protagonista del film.

Debitrice del cinema d'avanguardia e del successivo cinema sperimentale è la ricerca artistica, iniziata negli anni Sessanta, legata al mondo della videoarte e delle arti elettroniche.

L'avvento delle arti elettroniche e lo sviluppo della videoarte ha cambiato il modo di concepire l'opera d'arte e il cinema e ritengo che nei titoli di testa di

Cape Fear si possa avvertire questo cambiamento. Nonostante la sequenza sia

281M. Fierro, Il corpo dissolve(nza): immersione ed emersione d'immagini, in, Nunzia Palmieri (a cura di) “Diluvi”, n.1, Aprile 2010, Elephant Castle, rivista elettronica del Centro Arti Visive dell' Università degli studi di Bergamo. http://cav.unibg.it/elephant_castle/web/saggi/il-corpo-dissolve- nza-immersione-ed-emersione-d-immagini/22

282G. Deleuze, L’immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1984, pp. 100-101.

Figg. 89, 90, 91: Da sinistra, fotogrammi tratti dai film Coeur fidèle (Jean Epstein, 1923), Thèmes et

realizzata in pellicola e con delle tecniche abbastanza semplici – dell'acqua in un contenitore e un phon – il risultato finale presenta forti analogie con le immagini elettroniche.

Strettamente legato alle sperimentazioni video e all'immagine elettronica è il concetto di flusso, inteso come corrente ininterrotta di punti luminosi sullo schermo, come un'immagine instabile e in movimento costante283. Nasce

da qui lo stretto rapporto del mondo digitale con l'elemento dell'acqua: «La mobilità estrema dell’immagine elettronica [...] interpreta infatti – con una profondità e una contiguità “liquida” che colpì molto i primi artisti e cineasti avvicinatisi al nuovo mondo dell’immagine elettronica – la fluidità dell’acqua con il suo trascorrere trasparente sulle cose, insofferente di ogni limite e costrizione»284. Numerosi videoartisti si

interessarono, e continuano a farlo, alla fluidità dell'acqua legata alle immagini digitali285: pensiamo alle opere dell'italiano Fabrizio Plessi, alle installazioni

dello Studio Azzurro (una lunga ricerca che porta alla creazione del Museo dell'Acqua a Siena nel 2010) e, in particolare, ricordiamo Bill Viola che si è dedicato sopratutto al rapporto corpo/acqua (fig. 92) - The reflecting pool (1977), The crossing (1996), Dissolution (2005), Ocean without a shore (2007) – esplorando l'acqua come “spazio altro” che crea nello spettatore un

283S. Lischi, Visioni Elettroniche. L'oltre del cinema e l'arte del video, Biblioteca di Bianco&Nero, Roma 2001, p.8.

284M. M. Gazzano, Materia e memoria: le arti elettroniche e la riconsiderazione del presente-futuro, http://200.21.104.25/kepes/downloads/Revista6_11.pdf

M.M. Gazzano, Kinēma. Il cinema sulle tracce del cinema. Dal film alle arti elettroniche, andata

e ritorno, Exorma, Roma 2012, pp.137-147.

285In particolare vedi: Stati Liquidi, catalogo della XVI edizione della Mostra Internazionale di Video d'Arte e Cinema e Oltre, INVIDEO, Milano, 10-14 Novembre 2004.

desiderio di immagine286.

Desiderio di immagine che si crea anche nello spettatore di Cape Fear mentre guarda i titoli di testa. Film che nasce dall'acqua e finisce nell'acqua, in Cape

Fear si crea quella che Di Marino definisce la circolarità della cornice287: il

film si ritrova “chiuso” attorno a un elemento, l'acqua, che rinvia al contenuto del film e ne diviene la chiave di lettura. «Se […] i titoli di Elaine e Saul Bass (di sicuro tra i più belli degli ultimi vent'anni) insistono sulle proprietà percettive e cinestetiche dell'acqua, è perché evidentemente nessun'altra immagine avrebbe potuto offrirci in modo più profondo il reale come vibrazione: il promontorio della paura è un luogo che non esiste (anche il cartello “Cape Fear next exit” è un riflesso nell'acqua) e pertanto ogni tentazione di lettura fisica va allontanata»288, ma bisogna intendere il film

come «materia-flusso, la promessa o l'indicazione di un altro stato di percezione»289. Probabilmente lo stesso stato di percezione di cui parlava

Deleuze riguardo al cinema francese d'avanguardia, e che appartiene al protagonista Max Cady, il cui spirito distorto è già presente nei titoli.

Nel documento Saul Bass: L'arte nei titoli di testa. (pagine 171-180)