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Sovranità e rappresentanza nei dibattiti della Costituente romana del 1849

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Indice

Introduzione p. 4

1. Le premesse all’Assemblea costituente i fatti del 1848 p. 9

2. La sovranità p. 20

2.1. La sovranità popolare: l‘affermazione del principio nella seduta

dell‘8 febbraio p. 20

2.1.1. I caratteri di ―eternità‖ e ―origine divina‖ attribuiti alla

sovranità popolare p. 28

2.1.2. La delega dell‘esercizio del potere e l‘elezione come

atto sovrano p. 38

2.1.3. La sovranità è indivisibile p. 42

2.2 Alcune questioni terminologiche p. 46

2.2.1. Il binomio popolo/nazione p. 46

2.2.2. Il binomio repubblica/democrazia p. 52

2.3. Sovranità popolare e questione nazionale p. 61

3. La democrazia rappresentativa p. 70

3.1. Il voto a suffragio universale maschile p. 72

3.1.1. Il suffragio universale p. 73

3.1.2. Il momento elettorale p. 83

3.2. La sovranità dell‘Assemblea e il rapporto tra i poteri p. 91 3.2.1. Attività di controllo sull‘esecutivo: la funzione dell‘Assemblea

e la responsabilità ministeriale p. 95

3.2.2. Il dibattito sul Tribunato p. 101

3.2.3. Separazione dei poteri e bilanciamento p. 108 3.2.4. Assemblea e Consolato nei due progetti di Costituzione p. 117

3.3. La visione mitica dei rappresentanti p. 126

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3.3.2. Vincolo elettorale e opinione pubblica p. 132 3.3.3. Il rifiuto dei partiti e l‘aspirazione all‘unanimismo p. 143 3.3.4. I discorsi di Mazzini del 6 e del 10 marzo p. 150

4. Il popolo p. 159

4.1. Il mito del popolo elettore p. 159

4.2. Il rapporto tra élite e popolo, e la funzione educativa della repubblica p. 165 4.3. Popolo e nazione: il mito di una società senza classi p. 175

Conclusioni p. 182

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Introduzione

Il concetto di sovranità popolare ha indubbiamente delle origini antiche, così come quel-lo di rappresentanza. Il modo in cui entrambi riemergono e si impongono nel discorso politico europeo a partire dagli eventi della Francia rivoluzionaria costituisce indubbia-mente una complessa materia di studio.

In questa analisi ci proponiamo di osservare come queste tematiche emergono all‘interno di un‘esperienza breve e sperimentale come fu quella della Repubblica ro-mana del 1849, attraverso l‘esame dei dibattiti avvenuti in seno all‘Assemblea costitu-ente eletta, a suffragio universale, il 21 e 22 gennaio, e costituitasi il 5 febbraio 1849. La ricerca si struttura in quattro capitoli: il primo vuole essere una sintesi degli eventi del 1848 che portano alla fuga del papa e infine alla decisione di eleggere un‘Assemblea costituente; gli altri tre sono invece dedicati all‘analisi di tre macrotematiche all‘interno delle quali emergono varie questioni diverse.

Si affronta innanzitutto il tema della sovranità, attribuita dai deputati romani, al popolo; un principio che viene di fatto riconosciuto fin dalla fine del 1848 e porta alle elezioni a suffragio universale della Costituente. Nelle riflessioni dei rappresentanti romani la so-vranità popolare assume determinate caratteristiche influenzate dalle idee politiche di stampo democratico emerse nel corso del 1848 nella penisola italiana e più in generale in Europa. Oltre alla questione dell‘origine divina della sovranità popolare, si è cercato di riflettere sul modo in cui tale sovranità si esprime e sulla differenza tra titolarità ed esercizio del potere.

Il tema della rappresentanza è osservato in rapporto al principio della sovranità popolare, in modo da far emergere una visione che attribuisce un valore simbolico, oltre che prati-co, all‘atto elettorale. Quest‘ultimo si configura come elemento di congiunzione tra il popolo e i suoi rappresentanti, e momento di passaggio della sovranità dal primo ai se-condi. L‘assemblea legislativa diventa, in quanto eletta a suffragio universale dal popolo sovrano, l‘elemento centrale della struttura istituzionale democratica, oltre che elemento di congiunzione tra le istituzioni e la società civile, in una generale visione mitizzata del rapporto tra rappresentanti e rappresentati.

Infine si è scelto di dedicare un‘ultima parte al popolo, inteso come il soggetto fonda-mentale intorno a cui ruota tutta la riflessione politica dei deputati romani. Si tratta di un soggetto che emerge nel corso di tutta la ricerca e le cui caratteristiche fondamentali

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stituiscono passaggi obbligati per poter delineare sia l‘idea di sovranità che quella di democrazia rappresentativa.

Filo conduttore all‘interno di questa varietà di tematiche è la visione di repubblica pro-posta dai deputati, che continua a riemergere in tutte le diverse questioni affrontate e si configura come elemento basilare per comprendere pienamente il pensiero politico dei deputati romani e quale sia l‘ideale comunità che aspirano a costruire attraverso la loro attività legislativa.

Nell‘affrontare queste tematiche non si è voluto insistere particolarmente sui diversi schieramenti ideologici rintracciabili all‘interno dell‘Assemblea costituente, preferendo invece fissare l‘attenzione su quegli elementi dell‘elaborazione teorica dei deputati che si impongono in maniera trasversale rispetto alle varie correnti di pensiero presenti in aula; non si è però rinunciato a segnalare posizioni minoritarie o individuali, in quelle circostanze in cui emergono con maggior evidenza.

La ricerca che si vuole qui proporre si incentra, come si è detto, sull‘esame delle attività all‘interno della Costituente romana. La principale fonte su cui ci si è basati sono quindi i verbali dei dibattiti, sviluppatisi all‘interno dell‘Assemblea nell‘intero arco di tempo della sua attività, dal 5 febbraio al 4 luglio 1849. Tali verbali sono stati consultati nella versione a stampa, inclusa nella serie Le Assemblee del Risorgimento, edita nel 1911 su iniziativa del parlamento italiano. In quanto trascrizioni di discorsi orali, i testi presi in considerazione restituiscono le dinamiche proprie delle discussioni parlamentari; è pos-sibile inoltre notare come accanto ai discorsi letti dai deputati, che godono quindi di un certo livello di strutturazione interna, sono presenti interventi sorti in maniera estempo-ranea e a volte dettati dall‘impeto del momento. Si è dunque tenuto conto della natura precipua di queste fonti, soprattutto per i caratteri di frammentarietà e ambiguità che es-sa imprime alle teorie espresse dai deputati.

Oltre a questo tipo di fonte ci si è soffermati in alcuni casi, ma di gran lunga minoritari, su articoli di giornali, oppure, ancora, su atti governativi, sia del periodo immediata-mente precedente all‘insediamento della Costituente, sia del periodo di attività di quest‘ultima. Infine un tipo di produzione documentaria presa in considerazione nel cor-so delle nostre analisi è quella dei manifesti e delle note; si tratta di testi prodotti con una certa frequenza dall‘Assemblea e dall‘esecutivo, e utilizzati per appellarsi sia alla popolazione che ai governi stranieri per dare ragione di una certa politica, difendere la posizione della Repubblica o esprimere determinati principi politici.

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Volendo contestualizzare storicamente l‘esperienza romana nel più ampio panorama del Risorgimento italiano, l‘instaurazione della Repubblica a Roma rappresenta il culmine di quel breve periodo rivoluzionario, cominciato a Palermo nel gennaio del 1848, la cui caratteristica più rilevante risiede forse nella produzione costituzionale di cui i vari go-verni si fanno estensori, sotto la pressione dell‘opinione pubblica. Il biennio 1848-49 rappresenta l‘ultimo di quelle tre esplosioni rivoluzionarie che segnano il periodo della Restaurazione europea a riprova dell‘impossibilità materiale di tornare agli assetti pre-napoleonici. Nel contesto della storia del Risorgimento italiano, il biennio si colloca in una posizione centrale, rappresentando il momento in cui il movimento patriottico, pur non riuscendo a realizzare la sospirata indipendenza nazionale, guadagna comunque importanti posizioni, innanzitutto uscendo dall‘angusto spazio del settarismo, e riuscen-do quindi a dare un più ampio respiro politico alle varie posizioni e teorie presenti al suo interno. Gli exploit insurrezionali precedenti, quello del 1820-21 e quello del ‘30-‘31, si caratterizzano, infatti, per essere il prodotto dell‘attività settaria sviluppatasi fin dai primi anni della Restaurazione in tutte le parti della penisola.

Attraverso queste prime esperienze insurrezionali è possibile vedere il progressivo im-porsi di due concetti che diventano il centro attorno a cui ruotano le istanze politiche dei gruppi dissidenti, ossia il concetto di Nazione e quello di Costituzione. Entrambe queste idee risultano fondamentali anche all‘interno della riflessione politica sviluppata nel bi-ennio del 1848-49, quando esse si esprimono in una forma ormai pienamente sviluppata. Se l‘idea di nazione italiana risulta inizialmente vaga, essa va, infatti, delineandosi nei suoi tratti fondamentali in maniera sempre più definita, nel corso del periodo che va dai primi anni della Restaurazione fino ai moti del ‘48-‘49. Attraverso un‘intensa attività ar-tistico - letteraria, prodotta nel corso di tre decenni, che ruota intorno alle tematiche del-la patria e deldel-la dominazione straniera, viene costruito un preciso immaginario che con-tribuisce a definire la nazione come una comunità unita al suo interno da un vincolo che va oltre il livello culturale e diventa legame di sangue. Questo tipo di elaborazione per-mette, quindi, di pensare la nazione come una «comunità parentale allargata, insediata in un luogo fisico - geografico che le appartiene»1.

Accanto alla questione dell‘indipendenza nazionale, l‘attività insurrezionale del periodo che va dalla Restaurazione al 1848 si muove anche in direzione dell‘ottenimento di forme di governo costituzionali. Anche in questo caso le idee non risultano

1 A. M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentele, santità e onore all’origine dell’Italia unita, Giulio

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mente definite, ma la questione dell‘emissione di carte costituzionali è centrale, come emerge in occasione dei moti del ‘20-‘21, quando una delle prime azioni degli insorti nel Regno delle due Sicilie è quello di reclamare l‘adozione della Costituzione di Cadi-ce.

L‘indipendenza nazionale, a prescindere dall‘assetto istituzionale che si pensa di dare al nuovo Stato, rappresenta quindi, insieme all‘ottenimento di garanzie costituzionali, l‘obbiettivo politico comune alle diverse società segrete di orientamento liberale, che si diramano sul territorio della penisola italiana nel periodo della Restaurazione.

In questi stessi decenni in Italia, come si è detto, il movimento patriottico, nonostante la censura e la repressione, riesce lentamente a svincolarsi dal mondo delle sette e a co-struire delle proposte politiche sempre più definite. Un progresso che ottiene un‘importante spinta dall‘attività di Giuseppe Mazzini, che con la Giovine Italia (1831) fonda la prima associazione politica scevra di molti dei meccanismo tipici delle orga-nizzazioni carbonare, innanzitutto il sistema dell‘affiliazione gradualistica e la differen-ziazione dei livelli di conoscenza dell‘attività cospirazionista. Si tratta di una caratteri-stica che permette una maggiore diffusione dei principi patriottici e, nello specifico, de-gli ideali mazziniani. Si forma in tal modo, nede-gli anni trenta, un pensiero che alle istanze indipendentiste associa una precisa elaborazione politica di stampo democratico - re-pubblicano. Le idee mazziniane hanno in questo periodo una grande forza attrattiva per tutti coloro che gravitano intorno agli ambienti nazional-patriottici, ma subisce un leg-gero declino in seguito ai fallimenti cui vanno incontro i tentativi insurrezionali pro-mossi da Mazzini, o ispirati alle sue teorie. Negli anni quaranta si va quindi definendo una proposta alternativa, di stampo ―moderato‖, che trova una prima elaborazione nel testo di Gioberti Del primato morale e civile degli italiani. Altri pensatori ostili alla proposta democratica e insurrezionale di Mazzini svilupperanno ulteriormente questa li-nea di pensiero moderata, che si esprime innanzitutto nell‘idea di promuovere in ambito politico un cambiamento dell‘assetto istituzionale attraverso un‘attività riformistica e la concessione di garanzie costituzionali, mantenendo la forma monarchica. Mentre sul fronte dell‘indipendenza nazionale la proposta è quella di sostituire all‘azione insurre-zionale popolare prevista da Mazzini, una guerra condotta da un esercito regolare contro l‘Austria, patrocinata dal papa o dal Piemonte, a seconda delle teorie. Si tratta di una proposta che affascina molti, ma che, soprattutto nella variante giobertiana, acquisisce credibilità solo in seguito all‘ascesa al soglio pontificio di Pio IX, che fin dalle sue pri-me attività di governo si guadagna la fama di ―papa liberale‖.

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Nelle diverse fasi del 1848-49 trovano spazio entrambe queste proposte politiche; quella moderata domina la prima metà del 1848, e con la concessione, da parte dei regnanti, di carte costituzionali in tutti gli Stati della penisola, passa dallo stato della possibilità a quello della concreta realizzazione. Tuttavia il fallimento della guerra regia contro l‘Austria e, parallelamente, la presa di distanze del papa dalla questione nazionale in-frangono il sogno moderato, mentre l‘area democratica ricomincia a guadagnare posi-zioni. Da questo punto di vista la Repubblica romana si presenta, quindi, come l‘apice della curva che segna l‘avanzare della proposta democratico-repubblicana.

La caduta della Repubblica segna la chiusura di questo exploit rivoluzionario, che, per quanto breve, risulta assolutamente decisivo per le conseguenze politiche che da esso derivano. Uno dei lasciti di maggior rilevanza del 1848 è, ad esempio, lo Statuto Alber-tino che, una volta realizzata l‘unificazione italiana sotto l‘egida del Piemonte, diventerà la carta costituzionale dell‘Italia unita.

La Repubblica romana, e la Costituzione che viene prodotta nel suo contesto, non go-dranno della stessa fortuna, configurandosi unicamente come una breve parentesi demo-cratica nella storia degli Stati preunitari. Tuttavia è possibile osservare che nonostante l‘esito dell‘esperienza repubblicana romana non abbia permesso di osservare in che mo-do le idee sviluppate dai deputati, e cristallizzate nella Costituzione emanata il 3 luglio, si sarebbero potute sviluppare, lo studio di queste riflessioni sulle strutture politiche di uno Stato repubblicano ci permette di cogliere molti elementi del pensiero democratico dell‘epoca, e lascia emergere alcuni nodi concettuali problematici legati alle idee di so-vranità e rappresentanza, che, a prescindere dall‘esperienza romana, hanno avuto degli sviluppi futuri.

Bisogna inoltre considerare il fatto che alcuni dei protagonisti della Repubblica romana proseguono, anche dopo l‘unificazione italiana, l‘attività politica o quella giornalistica e letteraria, e sarebbe certamente interessante scoprire quanto del pensiero sviluppato in occasione di quell‘esperienza abbia inciso sull‘elaborazione politica successiva all‘interno della penisola italiana. Vista in tale ottica la Repubblica romana offre quindi degli interessanti spunti di studio anche in una prospettiva che vuole andare oltre la sua breve storia.

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1.Le premesse all’Assemblea costituente: i fatti del 1848

Negli anni quaranta l‘idea di unificazione dell‘Italia si esprime sotto forma di progetti molto diversi a volte in conflitto tra loro. Tra gli altri emerge, grazie all‘opera di Gio-berti, la proposta neoguelfa, ossia l‘idea di una lega degli Stati italiani guidata dal papa. Nel 1846, con l‘elezione al soglio pontificio di Papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), le speranze neoguelfe trovano una concreta possibilità di realizzazione, con-fermata subito dalla concessione dell‘amnistia ai detenuti per reati politici. Da questo momento comincia un periodo di rinnovamento dello Stato con l‘attuazione di diverse riforme in campo amministrativo, «decisione di grande significato perché a Roma nella Restaurazione si era determinata una situazione particolarmente complessa, per il nodo inestricabile tra il carattere sovrannazionale della Chiesa universale e la funzione del dominio temporale, […]: perciò la direzione della vita pubblica era rimasta riservata a-gli ecclesiastici, e le riforme chieste dalla borghesia avevano come presupposto la lai-cizzazione dell‘amministrazione»1

.

Tale politica trova il suo culmine nella concessione di uno Statuto (14 marzo 1848)2, in base al quale il potere temporale viene così articolato: l‘esecutivo è esercitato dal ponte-fice, insieme al Collegio dei cardinali dichiarato nello Statuto «Senato inseparabile» dal pontefice, e da un ministero responsabile eletto dal papa; il potere legislativo viene con-diviso da due camere, una vitalizia di nomina regia, e l‘altra eletta a suffragio ristretto, e lo stesso pontefice, a cui spetta l‘approvazione finale delle leggi, votate dalle camere e approvate dal Collegio dei cardinali. Il papa detiene inoltre la facoltà di sciogliere il par-lamento. Da notare, infine, che la trattazione delle questioni religiose non è permessa al-le istituzioni laiche. Tuttavia in alcune materie l‘inevitabial-le commistione di laico ed ec-clesiastico porta a continue frizioni sulla questione delle competenze, un caso esemplare

1 A. Scirocco, Costituzioni e Costituenti del 1848: il caso italiano, in Ballini (a cura di), 1848-1849.

Co-stituenti e costituzioni. Daniel Manin e la Repubblica di Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere e arti,

Venezia, 2002, p. 84

2 Secondo la maggior parte delle ricostruzioni fu la rivolta scoppiata a Palermo nel gennaio del 1848, che

spinse Ferdinando II alla concessione di una carta costituzionale nel Regno delle Due Sicilie, ad avviare la stagione delle costituzioni ottriate, emanate in Italia nei primi mesi del 1848: 10 febbraio, Carta costi-tuzionale del Regno delle due Sicilie; 15 febbraio, Statuto del Gran ducato di Toscana; 4 marzo, Statuto del Regno di Sardegna; 14 marzo, Statuto fondamentale del Governo temporale degli Stati della Chiesa. Cfr. P. Casana, Le costituzioni italiane del 1848-49, Giappichelli, Torino, 2001; Scirocco, Costituzioni e

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è quello della politica estera, che continua a essere esercitata da istituzioni ecclesiastiche, nonostante la presenza di un ministero laico ad hoc.

Un altro fattore che contribuisce ad alimentare il mito neoguelfo è l‘appoggio dato alla guerra antiaustriaca scoppiata nel Lombardo - Veneto nel marzo 1848; tra il 23 e il 26 marzo infatti a Roma cominciano le operazioni per la partenza, verso il confine setten-trionale, di un contingente militare, formato da regolari e volontari.

Ma in realtà il papa mantiene in questa prima fase un atteggiamento ambiguo, egli infat-ti non si pronuncia mai ufficialmente né a favore né in opposizione alla guerra, invitan-do alla concordia, senza però smentire chi lo tira in causa come protettore della causa nazionale. È un fatto comunque che non si spinge fino a concedere un esplicito sostegno morale all‘impresa, rifiutando sempre di contraddire il carattere apostolico della sua fi-gura.

Tuttavia la partenza delle truppe dallo Stato Pontificio, viene interpretata negli ambienti patriottici come equivalente a un‘esplicita dichiarazione di sostegno alla guerra; un so-stegno che, nella retorica dei patrioti, contribuisce ad avvalorare l‘idea che la lotta an-tiaustriaca sia una guerra santa, voluta da Dio e benedetta dal papa.3

Il 29 aprile 1848 segna però una svolta fondamentale nella politica papale, infatti con un‘allocuzione Pio IX si dissocia dalla guerra antiaustriaca, riaffermando il carattere u-niversale del suo mandato ecclesiastico; l‘invio delle truppe pontificie in sostegno a Carlo Alberto viene giustificato come azione di difesa dello Stato pontificio; inoltre ri-fiuta categoricamente la possibilità di porsi a capo di una lega italica, mettendo fine a qualsiasi speranza neoguelfa.4

Il ritiro dell‘appoggio alla guerra anti-austriaca spinge tutti i ministri laici a dimettersi. Per evitare la crisi istituzionale, il 4 maggio Pio IX affida il ministero a Terenzio Ma-miani, personaggio di spicco dell‘ala moderata del movimento patriottico, favorevole al proseguimento della guerra contro l‘Austria. Si apre così un periodo di costante frizione tra ministero e deputati da una parte e autorità pontificie dall‘altra. Il ministero e il con-siglio dei deputati cercano di riaffermare ad ogni occasione la necessità di proseguire la guerra, mentre il papa continua a negare il suo appoggio alla causa nazionale. Il

3Sull‘attribuzione di sacralità alla guerra e sull‘utilizzo di immagini tratte dalla Bibbia e dalla storia delle

crociate cfr.. E. Francia, 1848. La rivoluzione del Risorgimento, Il Mulino, Bologna 2012, pp.142-154.

4L‘improvvisa ritirata dal progetto indipendentista era stata sollecitata dalla notizia di diffusi sentimenti di

ostilità nei confronti del papa in Austria. Per una dettagliata descrizione delle motivazioni che indussero il papa alle dichiarazioni del 29 Aprile, cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. III, La

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sto si acuisce nei mesi fino alla dichiarazione di dimissione del ministero Mamiani. La crisi che ne deriva porta alla formazione, dopo la breve parentesi del ministero Fabbri, di un nuovo ministero retto da Pellegrino Rossi, che entra in carica il 16 settembre, du-rante un periodo di sospensione del Consiglio dei deputati.

Rossi, anti-piemontese e contrario alla ripresa della guerra antiaustriaca, propone un programma che ha come caposaldo il ripristino dell‘ordine e dell‘autorità dello Statuto, lottando contemporaneamente contro reazionari e democratici. Ma la sua politica non è ben vista a Roma e nelle Provincie, soprattutto per l‘atteggiamento mostrato nei con-fronti della causa indipendentista. La tensione nello Stato cresce fino a sfociare nell‘omicidio dello stesso ministro, avvenuto il 15 novembre nell‘atrio del Palazzo della Cancelleria.

Dopo l‘omicidio, il Circolo popolare romano elabora una serie di richieste da presentare al papa, tra cui c‘è anche quella di formare un nuovo ministero. La sera del 16 novem-bre la situazione a Roma è agitata al punto che Pio IX è costretto a concedere quanto-meno il ministero richiesto, composto da esponenti del movimento patriottico, tra cui lo stesso Mamiani. Pio IX dichiara, però, fin da subito di non essere disposto a riconoscere gli atti del nuovo ministero, la cui elezione viene sentita dal pontefice come un‘imposizione. Intanto si prepara alla fuga da Roma, che realizza nella notte del 24 no-vembre.

Secondo l‘analisi proposta da Candeloro, la seconda metà del 1848, con la sconfitta di Carlo Alberto e il ritiro dalla lotta per la causa italiana di Pio IX e Ferdinando II, vede la crisi dell‘ala moderata del movimento patriottico: «[…] il riformismo gradualistico dei moderati – afferma Candeloro – fu ben presto superato dalle agitazioni e dalle insurre-zioni popolari, sicché i moderati stessi dovettero adeguare via via il loro programma ad una situazione che si trasformava con una celerità assai superiore alle loro previsioni […]»5

. A Roma la fuga di Pio IX rappresenta il punto di non ritorno dell‘escalation de-mocratica, che porta infine alla convocazione di un‘Assemblea costituente dello Stato romano, da eleggere a suffragio universale maschile.

Il periodo che segue la fuga del papa, è caratterizzato da una prima fase in cui, da Roma si tenta una politica di riconciliazione col pontefice, che si scontra però con l‘ostinato ri-fiuto di Pio IX di ricevere le delegazioni e tornare nella Stato.

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Intanto dalle provincie, dove la situazione è più agitata che a Roma, su iniziativa dei circoli popolari arriva la richiesta di convocazione di un‘assemblea costituente, vista come unico mezzo per risolvere la crisi parlamentare.

La rottura definitiva col papa arriva il 3 dicembre, quando a Roma si viene a conoscenza di un breve del 27 novembre, in cui Pio IX nomina una commissione governativa, so-stenendo l‘illegittimità del ministero in carica. Il 4 dicembre arriva la risposta di en-trambi i Consigli, che sostengono la non validità della nomina perché anticostituzionale. Anche se si fanno ancora nuovi tentativi di riconciliazione col pontefice, è ormai chiaro che bisogna trovare una diversa soluzione alla crisi governativa. Il Consiglio dei deputa-ti stabilisce quindi di nominare una commissione che elabori delle proposte per risolve-re la situazione. L‘11 dicembrisolve-re la commissione sottopone ai deputati un progetto che prevede la creazione, da parte del Consiglio, di una Giunta di Stato che assuma tutti i poteri di pertinenza del pontefice. Il progetto viene approvato, ma per ovviare alla inco-stituzionalità di un‘azione del genere, la giunta viene dichiarata temporanea e automati-camente sciolta in caso di ritorno del papa.

Il nuovo esecutivo, formato da Tommaso Corsini, Filippo Camerata e Giuseppe Gallet-ti6, entra in carica il 20 dicembre e si dichiara immediatamente favorevole alla convoca-zione di una Assemblea degli Stati romani. Come detto, la richiesta di una costituente legittimata dal voto universale, arriva soprattutto dalle provincie, e trova una prima con-cretizzazione nel progetto presentato da Bonaparte al consiglio il 18 dicembre.

La stessa Giunta, il 23 dicembre, invita il ministero appena eletto a presentare in Consi-glio una legge per l‘elezione di un‘Assemblea costituente. Già il 26 dicembre viene pre-sentato il progetto di legge, ma proprio in quei giorni a Roma si viene a conoscenza di un motu proprio del pontefice, in cui la nomina della Giunta viene considerata atto sa-crilego. Quest‘ennesima condanna, da parte del papa, della politica tenuta a Roma spin-ge molti moderati a dimettersi o ad allontanarsi dalla vita politica. In aula è ormai im-possibile raggiungere il numero legale per prendere una decisione in merito al progetto della costituente. Per uscire da questa situazione di stallo il 28 viene sciolto il Consiglio, mentre il giorno successivo viene reso pubblico il decreto di convocazione

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La scelta per i tre membri della Giunta cade sui capi dei tre comuni principali ossia il Senatore di Roma, Corsini, il Senatore di Ancona, Camerata, e il Senatore di Bologna Gaetano Zucchini, quest‘ultimo però non accetta l‘incarico e di conseguenza viene sostituito col bolognese Galletti.

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dell‘Assemblea costituente degli Stati romani, firmato da due membri della Giunta, Camerata e Galletti, e dai ministri7.

La convocazione di un‘Assemblea di deputati degli Stati romani diventa nel mese di di-cembre il pensiero fisso dell‘opinione pubblica e anche del nuovo esecutivo, dal mo-mento in cui entra in carica la Giunta.

Di fatto le forze democratiche, che trovano un centro di coesione nei circoli, assumono negli ultimi mesi dell‘anno una forza straordinaria. Fin dall‘omicidio di Pellegrino Ros-si, tengono in pugno la situazione rappresentando il punto di riferimento fondamentale dell‘opinione pubblica. È per iniziativa del Circolo romano, come detto, che il papa si trova costretto a eleggere il ministero del 16 novembre. Mentre nelle provincie i circoli dei principali centri si radunano a Forlì il 13 dicembre. Da questi ambienti arriva una ri-chiesta precisa: la convocazione di una costituente.

Con il termine ―costituente‖, che da mesi ormai catalizza l‘attenzione dell‘opinione pubblica, già da molti mesi si fa principalmente riferimento a un progetto per la crea-zione di una federacrea-zione degli stati italiani, ispirato all‘idea giobertiana, ma declinato anche in una forma democratica con il progetto montanelliano8. La Costituente è quindi una delle parole d‘ordine del movimento popolare e patriottico; tuttavia quello che ades-so si chiede a Roma è una costituente degli Stati romani, che riades-solva, attraverades-so l‘appello alla sovranità popolare, la crisi istituzionale dello Stato. L‘una e l‘altra istanza vengono in effetti associate, ed entrambe sono oggetto di richiesta da parte delle forze popolari al governo, ma i problemi contingenti dello Stato fanno sì che l‘attenzione si concentri sulla costituente romana più che su quella italiana9. Nell‘invocare questa nuo-va Costituente si riprendono comunque alcuni elementi del progetto elaborato da Mon-tanelli, come il richiamo al suffragio universale, e il principio della sovranità popolare, legato all‘idea di un diritto naturale del popolo a essere l‘artefice del proprio destino. In un catechismo diffuso dai giornali in questo periodo, per spiegare e divulgare l‘idea della «Costituente romana», emergono alcuni aspetti fondamentali della questione10. Il

7 Corsini si dimette dalla Giunta il 26 dicembre, in seguito alla notizie del motu proprio del 17 dicembre. 8 Cfr. E. Francia, 1848, … cit., p. 300-308

9 Da notare che spesso, come nella manifestazione del 17 dicembre a Roma, si invocano entrambe le

co-stituenti, e la stessa causa per la costituente romana viene vista come parte della lotta per l‘indipendenza italiana.

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La Costituente romana, dialogo estratto dal numero del 22 dicembre del periodico bisettimanale roma-no La Guardia nazionale italiana. Consultabile on line alla pagine: http://www.repubblicaromana-1849.it/index.php?3/periodici/rml0028032/1848/n.10.

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testo, articolato nella tradizionale forma del dialogo con un susseguirsi di domande e ri-sposte, parte subito da una domanda fondamentale: «cosa è questa COSTITUENTE?»11. Dalla risposta e dal proseguimento del dialogo emerge l‘immagine di un‘assemblea di rappresentanti del popolo, eletti a suffragio universale maschile, il cui fine è quello di stabilire quale debba essere la forma di governo dello Stato.

Il dialogo prosegue spiegando come la fuga del papa abbia provocato uno stallo nelle operazioni governative, da cui è derivata la scelta del Consiglio di nominare una Giunta, operazione illegittima dal punto di vista statutario, ma resa necessaria dalla gravità della situazione e in parte legittimata dalla natura assolutamente temporanea attribuita al nuo-vo esecutinuo-vo, fin dall‘atto della sua creazione. Dalla provvisorietà dell‘attuale governo deriva quindi la necessità di convocare la costituente. La seconda parte della risposta mette in campo altre significative motivazioni a sostegno della tesi:

La Costituente infine è necessaria per conservare la sicurezza, la tranquillità e l‘ordine pubblico, come per attivare il benessere del Popolo e la prosperità dello Stato. Quando un Governo è solo di nome, e fosse pure di fatto non avendo l‘approvazione e la fiducia di tutti, non ha la forza morale, e non tutti volontariamente gli prestano ubbidienza12.

L‘«approvazione» e la «fiducia di tutti» sono presentati come elementi imprescindibili per un Governo che voglia esercitare il proprio potere con forza e autorità senza rischia-re di causarischia-re disordini. La volontà popolarischia-re è quindi la suprischia-rema fonte di legittimazione del potere governativo. Il testo prosegue più avanti con questa affermazione: «[…] quando un Governo è costituito col consenso di tutti, tutti hanno stima e fiducia di lui ed Esso forte della pubblica opinione e sicuro della ubbidienza universale, conserva facil-mente l‘ordine e può occuparsi della prosperità del Popolo»13

. Questa frase, ulteriore conferma di quanto detto prima, risulta rilevante per il richiamo alla concordia «univer-sale», che si viene a creare quando la legittimazione del governo deriva dal «consenso di tutti». Concordia, universalismo e unanimità sono le parole-chiave che emergono da questa descrizione dell‘idilliaca situazione che si verrebbe a creare attraverso la consul-tazione della volontà popolare.

Alcuni degli elementi presenti all‘interno di questo catechismo possono essere ritrovati in altri due testi; si tratta stavolta, però, di testi ufficiali che arrivano dalle stesse

Il dialogo viene riportato anche sul numero della Pallade del 23 dicembre 1848.

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Ibidem

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Ibidem

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zioni governative. Parliamo della nota inviata dalla Giunta al ministero, in cui si chiede di elaborare una legge per la convocazione di un‘Assemblea di rappresentanti del popo-lo degli Stati romani, e della relazione alla proposta di legge, presentata al Consiglio dal ministro dell‘interno Armellini14

.

Nella nota, presentata dalla Giunta al ministero il 23 dicembre, la prima immagine che emerge è quella di un forte movimento di ribellione popolare, che chiede insistentemen-te al governo di indire le elezioni per un‘assemblea costitueninsistentemen-te. Una richiesta che viene addirittura definita nel testo «dimanda unanime» e «universale»15. La maggior preoccu-pazione della Giunta sembrerebbe essere quella di sovvertimenti rivoluzionari dell‘ordine pubblico; nel testo infatti, fin dalle prime frasi, si paventa la concreta possi-bilità di una soluzione rivoluzionaria alla situazione di instapossi-bilità politica dello Stato. Il pericolo più grave è quello di una scissione delle provincie, dove, si dice, la situazione è molto più agitata che nella capitale. Alla luce di questa situazione si giustifica la dichia-razione fatta dalla Giunta, nel giorno stesso in cui è entrata in carica, a sostegno alla convocazione della costituente; senza una dichiarazione del genere la Giunta «non ap-pena nata cadeva schiacciata sotto il peso della disapprovazione universale»16. La «su-prema legge della pubblica salute»17 viene quindi invocata a sostegno della posizione presa dalla Giunta.

Nel testo viene, infine, ricordato il carattere temporaneo della Giunta, da cui deriva l‘urgenza di trovare una soluzione alla situazione dello Stato; mentre l‘assenza di

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Armellini Carlo (1777-1863), nasce a Roma da una famiglia benestante. Compie gli studi giuridici ed esercita la professione di avvocato. Favorevole al governo repubblica, instauratosi a Roma nel 1798-99, muta le sue idee durante il governo francese, auspicando il ritorno del papa. Dopo la restaurazione si rive-la un suddito fedele al potere pontificio. Grazie alrive-la sua attività come avvocato ottiene una certa notorietà, e la sua figura è circondata da una generale stima a Roma. Divento papa Pio IX, Armellini accetta vari in-carichi nelle commissioni per le riforme amministrative dello Stato. Collabora con Il Contemporaneo e, istituita nel 1848 la Camera dei deputati, viene eletto partecipando attivamente alle sedute. Se fino a que-sto momento si è mantenuto su posizioni moderate, con la fuga del papa e i rivolgimenti istituzionali degli ultimi mesi del 1848, le sue posizioni politiche si spostano sempre più verso l‘area repubblicana, e si la-scia influenzare dalle idee di Mazzini per il tramite di Accursi, suo segretario personale. La sua attività nei mesi finali del 1848 e in quelli iniziali del 1849 risulta determinante alla realizzazione delle elezioni per la Costituente e alla successiva proclamazione della Repubblica. Nel corso della Repubblica è membri dei due esecutivi, il Comitato esecutivo prima e il Triumvirato dopo. Sul finire dell‘esperienza repubbli-cana la sua azione risulta sempre più indecisa e il 4 luglio si rifiuta di firmare l‘atto di protesta redatto da Filopanti e firmato da tutti i deputati contro l‘attacco francese. Dopo la caduta della Repubblica si rifugia a Bruxelles ritirandosi dalla vita politica. Muore a Sain-Iosse-ten-Noode nel 1863. (Cfr. R. De Felice, v.

Armellini Carlo, in DBI, vol. 4, 1962).

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Le Assemblee del Risorgimento. Roma, Roma 1911, voll. II, p. 276

16 Ivi, p. 277. 17

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rimenti al pontefice fa pensare alla definitiva rinuncia a ottenere una riconciliazione con Pio IX.

La nota della Giunta viene letta dal ministro Armellini al Consiglio dei deputati nella seduta del 26 dicembre, e viene fatta seguire dalla lettura della relazione del ministro stesso, che spiega il progetto di legge sulla convocazione di un‘Assemblea costituente. La relazione riprende molte delle tematiche già emerse nella nota, ma con un linguaggio più enfatico e una retorica più stringente, finalizzati ad ottenere il consenso dell‘assemblea. L‘elemento centrale della relazione è l‘affermazione del principio della sovranità popolare. Un principio che non viene mai dichiarato esplicitamente, ma è di fatto sostenuto attraverso immagini e formule retoriche che esprimono la naturalezza e l‘ineluttabilità dell‘intervento popolare nell‘attività governativa dello Stato.

Fin dalle prime parole del suo discorso, Armellini afferma: «La legge che vi proponia-mo, […], non è frutto di riflessione, o di prudenza governativa. È il popolo, è la nazione […] che la volle, e che la comanda»18

. La volontà della nazione viene presentata come un fattore decisivo, di maggiore importanza rispetto a qualunque altro criterio adottato nell‘attività legislativa, dal momento che la volontà del popolo equivale, per il governo dello Stato, a un ordine. Qui troviamo un primo tassello di quella figura di popolo so-vrano, unico possibile giudice del proprio destino, che emergerà dall‘intero discorso. Armellini prosegue esponendo i fattori pratici che, nella congiuntura del momento, ren-dono necessaria la risoluzione proposta dal governo; ossia il bisogno di mettere veloce-mente fine allo stato di provvisorietà e incertezza, e la necessità di abbandonare ogni il-lusoria speranza di riconciliazione col papa.

La parte finale del discorso torna a concentrarsi sulla figura del popolo sovrano. L‘unico mezzo indicato dal ministro per uscire dallo stato di precarietà è infatti l‘«appello solen-ne alla Naziosolen-ne»19, e a sostegno di questa posizione, oltre a riproporre le stesse motiva-zioni di ordine pratico già evidenziate dalla nota della Giunta, come il pericolo della ri-voluzione e della scissione, Armellini mette in campo anche motivazioni di natura ideo-logica, tipiche del pensiero democratico.

Il ministro sostiene ad esempio che interpellare la volontà popolare è il modo «più natu-rale, più sicuro, più legittimo»20 per arrivare a una soluzione della crisi governativa. La scelta dei tre aggettivi risulta interessante: innanzitutto il voto popolare è presentato 18 Ivi, p. 279 19 Ibidem 20 Ibidem

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me un fatto «naturale», definizione che richiama la teoria, di tradizione medievale, se-condo la quale il popolo è il legittimo detentore del potere sovrano, di origine divina, che viene da esso delegato. Questa tesi, che trova una larga riaffermazione nella pubbli-cistica di area democratica del biennio, nel testo di Armellini non è mai esplicitamente espressa, ma viene sempre riproposta attraverso i continui richiami alla legittimità di un intervento popolare, come quando, con una serie incalzante di domande retoriche, af-ferma: «Vi può essere diritto contro diritto? Vi può essere altro signore più legittimo del popolo che il popolo stesso? Può esservi volontà che prevalga alla sua?»21.

Anche un altro aspetto di questa tesi di origine medievale, riguardante il problema del mantenimento della titolarità del potere da parte del popolo, trova un implicito riferi-mento nel testo di Armellini. In un punto del discorso egli infatti afferma: «Quest‘appello alla Nazione, che è un diritto imprescrittibile, è anche un fatto. Sì … I popoli lo domandano»22. In tal modo si sostiene che il principio della sovranità popolare, nel momento in cui il popolo ne reclama nuovamente l‘esercizio, esce dalla virtualità del diritto, per concretizzarsi in un fatto; e ciò va a suffragare l‘idea che il popolo abbia mantenuto nel tempo la titolarità del potere23.

Un‘altra concezione cara al pensiero democratico, ossia l‘idea della «[…] naturale pre-disposizione di un elettorato allargato […], riunito e consultato in corpo, a individuare e scegliere i migliori e i più saggi»24, viene espressa nel discorso quando si sostiene che solo il popolo può far uscire lo Stato dalla crisi, perché più di chiunque altro sa in cosa consiste il bene pubblico. Afferma infatti Armellini; «L‘errore non può divenire univer-sale nelle materie che sono sensibili, che toccano l‘interesse di ciascuno, che impegnano tutti gl‘istinti […] La verità sola, la sola giustizia ha questo privilegio, di essere ecume-nica, ossia universale»25.

Tutte queste tematiche, così come l‘immagine mitica del popolo sovrano, verranno più ampiamente formulate nel 1849, soprattutto nella letteratura propagandistica che si

21

Ivi p. 280

22

Ibidem

23 Per una dettagliata esposizione delle teorie medievali sulla sovranità popolare cfr. A. Facchi, Il popolo,

in A. Barbera (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Laterza, 1997, pp. 93-116.

Sulla ripresa di queste teorie nel periodo risorgimentale cfr. G. L. Fruci, La banalità della democrazia.

Manuali, catechismi e istruzioni elettorali per il primo voto a suffragio universale in Italia e Francia (1848-49), in R. Romanelli a (cura di ), A scuola di voto. Catechismi, manuali e istruzioni elettorali fra Otto e Novecento, Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1/2008, pp. 26-28.

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G.L. Fruci, La banalità della democrazia, … cit., pp. 30-31.

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fonde in occasione delle elezioni, ma trovano un‘interessante enucleazione già in questo discorso.

Un altro elemento del discorso da prendere in considerazione è l‘utilizzo del termine ―popolo‖ come sinonimo di ―nazione‖, come viene precisato dallo stesso Armellini, se-condo il quale il termine popolo viene usato «perniciosamente nei tempi di movimen-to»26. La puntualizzazione sembrerebbe voler confutare l‘idea che la richiesta di una co-stituente arrivi solo dagli ambiente democratici, e che il progetto rappresenti le istanze di una fazione politica, piuttosto che la volontà dell‘intera nazione. In tal modo la ri-chiesta di una costituente viene presentata come un‘invocazione che arriva dall‘intera universalità dei cittadini, una comunità compatta che reclama il proprio diritto alla so-vranità27.

Quest‘immagine di concordia universale si contrappone, nel discorso di Armellini, alla descrizione della situazione che si verrebbe a creare nello Stato, nel caso di un rifiuto del progetto, da parte del Consiglio. «La rivoluzione (ve ne assicuro) vi aspetta»28, so-stiene infatti Armellini, e prosegue con la descrizione di una realtà dominata da anarchia, movimenti scissionisti da parte delle provincie, e faide tra le fazioni politiche. La volon-tà della nazione può, dunque, trovare espressione in due modi, o in maniera legale, at-traverso la consultazione elettorale, oppure atat-traverso la rivoluzione, quando il popolo si separa dai suoi governanti e si riappropria autonomamente di un diritto che gli spetta, ma non gli viene riconosciuto. La rivoluzione, causa di scissioni all‘interno della comu-nità politica, rappresenta dunque il pericolo maggiore per lo Stato. Un tale pericolo può essere scongiurato solo attraverso il voto universale, che rappresenta invece il momento di massima aggregazione, e affermazione di un profondo spirito di conciliazione. Un altro elemento da segnalare nel testo è la presenza di una presa di posizione chiara nei confronti del papa. Contrariamente a quanto fatto dalla Giunta, il ministro esprime un esplicito giudizio di condanna nei confronti della condotta di Pio IX, che ha portato alla difficile situazione dello Stato. Armellini parla infatti di «vedovanza deplorabile del trono»29, e in seguito mette in evidenza l‘impossibilità di ristabilire un rapporto con un

26 Ivi p. 279

27 Del resto l‘aggettivo ―nazionale‖ ricorre anche nel testo del decreto di legge, dove viene attribuito

all‘Assemblea. Nel decreto si ritrova inoltre l‘immagine di un consenso che arriva dalla comunità intera, si sostiene infatti la decisione di promulgare la legge prescindendo dall‘approvazione delle camere, sia stata presa sotto la spinta della «concorde volontà dei Popoli» e del‘«impero d‘una necessità per la salute universale», in Le Assemblee del risorgimento, Roma, … cit., vol. III, p. 3.

28

Le Assemblee del risorgimento, Roma, … cit., vol. II, p. 281.

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papa che non è più quello delle riforme, dell‘amnistia e dello statuto. Infine, a riconfer-ma della necessità di interpellare la volontà popolare, afferriconfer-ma: «Rispettiamo pure i dirit-ti di un Podestà qualunque, ma non ne pordirit-tiamo l‘idolatria fino al punto di disconoscer-ne altra superiore a tutte, quella di una grande popolaziodisconoscer-ne sopra di sé medesima»30, ri-prendendo, con questa affermazione, lo stesso giudizio espresso da Mazzini, secondo cui la fuga del papa diventava occasione per il popolo di riappropriarsi del proprio dirit-to alla sovranità.31

I tre testi presi in considerazione, affermando la necessità di una consultazione della vo-lontà popolare attraverso il suffragio universale, presentano sia il principio della sovra-nità popolare, sia la forma della democrazia rappresentativa, come dati di fatto, realtà naturali e indiscutibili. In tutti e tre i casi però non si pronuncia la parola Repubblica. La decisione sulla forma di governo da adottare viene infatti lasciata alla futura costituente, riponendo quindi la massima fiducia in un‘assemblea che deriva da una scelta popolare, e nella capacità del popolo di eleggere come propri rappresentanti solo i ―migliori‖. Si sono quindi intravisti, attraverso questi testi, alcune delle tematiche fondamentali che, nel 1849, emergeranno, in maniera più approfondita, dai dibattiti all‘interno dell‘Assemblea nazionale dello Stato romano.

30 Ivi, p. 280.

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2. La sovranità

2.1. La sovranità popolare: l’affermazione del principio nella seduta dell’8 feb-braio

Il principio della sovranità popolare è il concetto cardine attorno a cui ruota tutta l‘elaborazione teorica prodotta dai deputati romani, sia quando si tratta di riflettere sul ruolo della Costituente e sull‘origine della sua autorità, sia quando arriva il momento di definire i principi fondamentali da inserire nel testo costituzionale.

Negli ultimi mesi del 1848 si assiste a un generale spostamento verso l‘area democrati-co - repubblicana degli ambienti politici laici romani. Se a ciò si aggiunge l‘arrivo a Roma di molti repubblicani dalle altre parti d‘Italia (sotto la spinta di Mazzini), e il la-voro dei vari circoli popolari, nella cui retorica le istanze indipendentiste si mescolano a un messaggio sostanzialmente repubblicano, è facile capire come l‘idea della sovranità popolare finisca per imporsi come una verità assoluta. In generale si può dire che le basi per la piena affermazione di tale principio vengono poste già nel corso del 1848, in con-seguenza sia delle concessioni statutarie che dei sommovimenti rivoluzionari nel Lom-bardo - Veneto.

Con la concessione degli statuti nei diversi Stati della penisola, si assiste alla creazione di un nuovo organo politico, ossia il parlamento, la cui autorità deve trovare una fonte di legittimazione diversa da quella monarchica, ma altrettanto forte; da ciò deriva l‘idea che tale legittimazione arrivi dalla volontà del ―popolo‖: «[…] gli stessi protagonisti della transizione istituzionale  nota Petrizzo  furono pienamente consapevoli che quella in corso era anche una battaglia di rappresentazioni, la cui posta in gioco era la ridefinizione delle fonti di legittimazione politica»1. Per questo motivo, nonostante i nuovi parlamenti siano eletti a suffragio ristretto, la loro fonte di potere viene individua-ta in una realtà collettiva, indicaindividua-ta genericamente coi termini di ―popolo‖ o ―nazione‖, a prescindere dall‘estensione reale del gruppo dei sudditi ammessi alla partecipazione e-lettorale: «[…] le principali fonti della legittimazione dei nuovi istituti furono individua-te in quelli che erano forse i due più poindividua-tenti vademecum del discorso pubblico del 1848

1 A. Petrizzo, La legittimazione contesa. L’avvento dei parlamenti nell’Italia del 1848, in «Passato e

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in Italia  il ―popolo‖ e la ―nazione‖  ovvero i due soggetti collettivi più citati e contesi da chiunque ambisse a esercitare una qualche forma di rappresentanza […]».2

Dall‘altro lato i sommovimenti nel Lombardo - Veneto, pongono al centro del discorso politico la figura del ―popolo‖, che, in quanto protagonista della fase rivoluzionaria, ha guadagnato sul campo il diritto a partecipare attivamente alla vita politica del proprio Stato. Un diritto che viene sancito in occasione dei ―liberi voti‖ per l‘annessione dei ter-ritori lombardi al Piemonte, circostanza in cui viene applicato il suffragio universale: «Nella primavera del 1848 – a seguito delle giornate parigine di febbraio e del moto in-surrezionale di Milano e Venezia, dilagato nelle altre province del Lombardo - Veneto e nei ducati padani – la sovranità popolare è riconosciuta nell‘Italia centro-settentrionale quale unica base di legittimazione degli ordinamenti che i governi provvisori, formati in seguito agli eventi rivoluzionari, progettano di costruire per le terre liberate dagli au-striaci e dai sovrani loro alleati. L‘idea dominante è che il popolo si sia guadagnato sul campo il diritto all‘autogoverno e si sia reso meritevole di esercitarlo, tramite il suffra-gio, con la sua condotta esemplare che lo ha portato a tornare pacificamente alla vita ci-vile dopo il ―sollevamento universale‖»3.

A Roma ―l‘escalation democratica‖ ha il suo apice nella proclamazione della Costituen-te, da eleggersi a suffragio universale, con l‘affermazione del principio della sovranità popolare da parte di Armellini, come abbiamo visto, nel suo discorso del 26 dicembre. Richiamare la volontà popolare per ristabilire il patto politico, infranto dal papa con la fuga, non significa però stabilire automaticamente la repubblica: in teoria i costituenti romani sono chiamati ad adottare la forma di governo ritenuta più idonea, qualunque es-sa sia, come si legge nel dialogo della Costituente che abbiamo già citato. Tuttavia una volta affermato il principio della sovranità popolare, senza il quale la Costituente non avrebbe alcuna autorità, risulta difficile optare per una forma diversa da quella democra-tica.

Il dibattito sull‘argomento si apre subito all‘interno dell‘Assemblea Costituente romana. Già nella seduta dell‘8 febbraio il deputato Savini porta all‘attenzione dell‘Assemblea un problema fondamentale da risolvere immediatamente, ossia quale posizione la Costi-tuente debba assumere rispetto all‘autorità temporale del papa. Si apre così un lungo di-battito, dove le posizioni in lotta sono due: la dichiarazione immediata di decadenza del

2 Ivi, p. 52.

3 G. L. Fruci, Il «suffragio nazionale». Discorsi e rappresentazioni del voto universale nel 1848 italiano,

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potere politico del papato da un lato, e, dall‘altro lato, l‘opzione di rimettere alla Costi-tuente italiana la decisione in merito alla sorte del governo papale. Optare per questa se-conda possibilità significa accettare l‘eventualità che la Costituente italiana ripristini il potere papale.

I sostenitori della prima alternativa si appoggiano ovviamente al principio della sovrani-tà popolare, vediamo dunque in quali termini alcuni di loro parlano di questo principio. Leggiamo ad esempio cosa dice Filopanti4, invitando i deputati a scegliere di dichiarare decaduto il potere papale: «E voi, o rappresentanti, saprete rendere a Dio quello ch‘è di Dio, ed a Cesare, cioè al Sovrano, cioè al popolo, quel ch‘è del popolo, col togliere al Pontefice quello che non gli appartiene […]»5

. Ricalcando la nota formula biblica, in-terpretata come affermazione della distinzione tra ambito spirituale e ambito civile, Fi-lopanti sostiene, attraverso l‘esplicita equivalenza delle due figure del ―sovrano‖ e del ―popolo‖, che a quest‘ultimo appartenga il predominio in campo civile. Altri deputati proporranno, in maniera anche più precisa, di disgiungere il potere spirituale del papa, che non viene messo in dubbio, dal suo potere temporale, di cui si vuole invece dichia-rare la decadenza in virtù del diritto di sovranità detenuto dal popolo e usurpato dai pon-tefici.6

4 Quirico Filopanti, pseudonimo di Barilli Giuseppe (1812-1894), nato alla Riccardina di Budrio, studia

matematica e fisica a Bologna. Oltre a scrivere di scienza, Filopanti è attivamente coinvolto nella vita po-litica; aderisce agli ideali patriottici, a cui associa un pensiero democratico dalle forti istanze sociali. Le-gato agli ambienti dei circoli bolognesi, nel gennaio del 1849 entra a far parte del commissariato provvi-sorio creato in sostituzione della giunta comunale, che si schiera contro la convocazione della Costituente. Eletto alla Costituente, rappresenta al suo interno un‘ala democratica avanzata, e le sue proposte si con-traddistinguono per il contenuto sociale. Dopo la caduta della Repubblica vive per qualche anno tra l‘Inghilterra e l‘America, tornando in Italia solo nel 1860, e stabilendosi a Bologna. Continua l‘attività di scrittore e dopo il rientro in Italia ottiene la cattedra di meccanica presso l‘università di Bologna. Tuttavia a causa delle sue idee e dell‘attivismo politico la sua carriera universitaria conosce fasi alterne. Nel 1866 continua il suo impegno patriottico, partecipando alla terza guerra di indipendenza come volontario gari-baldino. Continua l‘attività di scrittore e si distingue per le teorie in ambito religioso. Pur continuando a professare idee democratiche accetta il potere della monarchia sabauda e più che sul fronte repubblicano si impegna su quello delle lotte sociali, pur manifestando sempre una ferma avversione per le teorie socia-liste. Muore a Bologna nel 1894. (Cfr. L. Lotti, v. Barilli Giuseppe, in Dizionario Biografico degli

Italia-ni (DBI), vol. 6, 1964.

5 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. III, p. 62. 6

Oltre a Filopanti, anche Misi, Vinciguerra, Savini e Agostini insistono sulla necessità di distinguere l‘autorità del papa in campo spirituale, da quella in campo temporale, da un lato sottolineando l‘incompatibilità pratica dei due poteri, e dall‘altro l‘assenza di un diritto del papa di detenere la sovranità in ambito temporale. Mentre altri, favorevoli alla dichiarazione immediata di decadenza, preferiscono porre l‘accento sul carattere antinazionale della politica papale.

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Agostini7 propone un altro tipo di riflessione, che individua due motivazioni a supporto della dichiarazione di decadenza del potere temporale dei papi: una, di natura teorica, si basa sul principio dell‘incompatibilità dei due poteri, spirituale e temporale, posseduti dal papa; l‘altra, di natura pratica, riguarda le conseguenze negative che tale inconcilibilità ha concretamente prodotto, riferendosi chiaramente alla decisione del papa di a-stenersi dalla guerra di indipendenza italiana. Proprio in questa decisione risiede la mo-tivazione più importante a sostegno della decadenza del principato papale, in essa infatti si è manifestata una scissione tra la volontà del principe e quella della popolazione a es-so es-soggetta, e, secondo Agostini, il popolo possiede un diritto più forte, rispetto a quello del principe, di affermare la propria volontà; attribuire la sovranità al popolo significa, quindi, riconoscere il principio per cui un popolo possiede il diritto di agire in ambito politico seguendo la propria volontà:

Una volta dunque che il Papato Romano si era posto col principio di conservarsi intero un dominio temporale, che ne veniva? Che noi popolo eravamo condannati a una poli-tica passiva. […] e siccome il capo del Governo voleva mantenere intatto il suo domi-nio temporale, ne avveniva che condannava se stesso ad una continua neutralità, la qua-le neutralità conduceva che noi popolo dovessimo tenerci sempre lontani dal movimen-to grandioso che si sviluppava in Europa. […] e quindi condannava noi ad una vita eu-nuca ed indegna de‘ popoli liberi: […]. Ora se il dominio temporale non può unirsi al Papato se non a condizione che noi siamo meno degli altri popoli, ma viva Dio, chi sa-rà sulla terra che potsa-rà dirci: ―Voi altri dovete esser meno degli altri popoli?‖ ma co-me? Ma perché? Ma quale diritto hanno di più gli altri popoli di poter scegliere libera-mente la propria vita politica? Perché noi abbiamo per Principe un Papa, per questo noi, invece di perfezionarci, come dovrebbero i popoli posti nel centro di una religione perfettrice, dovremmo forse noi soli indietreggiare, noi soli dovremmo imbastardirci? Ma questo è intollerabile!! […]8

Nel passo citato viene chiaramente affermato il diritto del popolo a deliberare sulla pro-pria vita politica, e proprio in tale diritto si condensa e si definisce il principio della

7 Agostini Cesare (1803-1854), nasca a Foligno, studia diritto, lavora in campo amministrativo fino al

1848 e fa parte della redazione del Contemporaneo. Legato all‘ambiente dei circoli, di idee mazziniane, viene eletto all‘Assemblea Costituente, dove si distingue per il forte attaccamento agli ideali repubblicani che esprime anche nel primo progetto di Costituzione alla cui redazione collabora in maniera determinan-te e che presenta in aula il 17 aprile. Dopo la caduta della Repubblica si rifugia a Londra dove mantiene stretti contatti con gli ambienti mazziniani, e con lo stesso Mazzini. Tuttavia dopo il 1853 si allontana dall‘attività politica e da Mazzini, cercando di rimediare alla disastrosa condizione economica in cui si trova. Muore a Londra nel 1854. (Cfr. V. E. Giuntella, v. Agostini Cesare, in DBI, vol. 1, 1960.)

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vranità popolare. Nell‘ottica proposta da Agostini, inoltre, rifiutare il principio della so-vranità popolare, descritta come elemento di perfezionamento della società, significa contraddire la stessa natura della religione cattolica, che è appunto quella di realizzare il perfezionamento degli uomini.

L‘intervento di Vinciguerra9

, presenta la decadenza del potere temporale dei papi come un fatto già realizzatosi, in corrispondenza di un altro evento, ossia la riconquista, da parte del popolo, dell‘esercizio del potere sovrano, avvenuta con l‘elezione della Costi-tuente. Il compito dell‘Assemblea ormai è solo quello di sanzionare la realtà dei fatti: «Trattasi di riconoscere, sanzionare, e proclamare decaduto di fatto il Principato papale, e di fatto rientrato il popolo nel pieno esercizio de‘ suoi sovrani imprescrittibili dirit-ti.»10

Troviamo qui un‘affermazione della classica distinzione tra esercizio e titolarità del po-tere sovrano; la frase di Vinguerra infatti, seppur implicitamente, propone la teoria, di origine medievale, secondo la quale il potere dei principi deriva da un atto di delega da parte del popolo, che ne è il detentore originario. Nella versione di questa teoria che ri-conosce in quest‘atto un passaggio del diritto di esercizio, ma non della titolarità della sovranità, il popolo può, qualora lo voglia, rientrare in possesso del potere ceduto. Nel suo ragionamento Vinciguerra suggerisce proprio che, nel caso dello Stato romano, si sia realizzata questa eventualità

L‘idea che il potere del principe debba essere considerato sempre di derivazione popola-re, viene espressa anche più avanti, quando si afferma che l‘illegittimità del potere tem-porale dei papi deriva dalla sua stessa natura, essendo, l‘elezione del papa, non un‘emanazione della volontà popolare (un «patto colla nazione»), ma piuttosto una scel-ta dalle potenze straniere e dal clero. Afferma infatti Vinciguerra:

[…] la scelta di un Principe elettivo rappresenta un patto fra gli elettori ed il Principe stesso; […] l‘elezione del Papa oltre all‘essere sottoposta al voto di Governi stranieri e della stessa Austria, risulta da un Collegio di cardinali di cui molti stranieri, e tutti pel proprio carattere rappresentanti non il paese, ma una casta; […] per conseguenza tale elezione non rappresenta un patto colla Nazione, ma con una casta, coll‘estero; […]11

9 Sisto Vinciguerra (1815-1871), nato in provincia di Frosinone, segue la carriera legale a Roma. È di

o-rientamento repubblicano, ed è legato al Circolo popolare di Roma; dopo l‘esperienza della Repubblica romana, con il ritorno del papa, si ritira a Genova.

10 Ivi, p. 78. 11

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Vinciguerra parte dal fatto che il principato papale è elettivo, nell‘elezione il deputato vede un patto tra l‘eletto e l‘elettore, un‘idea di vaga ispirazione giusnaturalista. Il nu-cleo problematico risiede quindi, nel caso dell‘elezione papale, proprio in questo patto, che finisce col coinvolgere, in quanto elettori, i governi stranieri e la ―casta clericale‖, lasciando esclusa la popolazione dello Stato, ossia la ―nazione‖.

E sempre Vinciguerra, più avanti nel corso del suo lungo intervento, elencando tutti i motivi che rendono necessaria una dichiarazione di decadenza del potere temporale dei papi, inserisce anche questi:

[…] la decadenza del Principato papale è un fatto compiuto per sentenza di quella stessa autorità che diede il mandato alla Costituente, cioè dal popolo, il quale votando liberamente e universalmente per le elezioni ad un‘Assemblea contro cui aveva prote-stato colla scomunica il Papa, ha fatto atto di definitiva emancipazione; […] per conse-guenza qualunque ritorno della Costituente verso il Principato papale, importerebbe una ribellione contro la sovranità popolare, da cui ella ripete ogni autorità, e però in-firmerebbe il proprio mandato; […] la Costituente, come rappresentanza della sovranità popolare, riconoscendo altra sovranità diversa da quella del popolo commetterebbe un suicidio.

Il ―popolo‖ ha manifestato la propria volontà partecipando alle elezioni; nell‘interpretazione di Vinciguerra, tale partecipazione, considerate anche le condizioni in cui è avvenuta, all‘ombra della scomunica papale, va oltre il suo senso pratico imme-diato, ossia l‘elezione dei rappresentanti, e contiene anche un chiaro messaggio politico, favorevole all‘instaurazione della repubblica e all‘allontanamento dei pontefici dal pote-re. Oltre ad affermare l‘esistenza di una precisa volontà popolare sulla questione del pa-pato, già espressa al momento del voto, Vinciguerra sostiene, quindi, l‘obbligo dell‘Assemblea di rispettare tale volontà, poiché su di essa si basa il mandato della Co-stituente. Potremmo vedere in queste parole il riconoscimento di una sorta di mandato imperativo, che definisce in maniera precisa i termini del rapporto tra rappresentanti e rappresentati; la frase offrirebbe quindi uno spunto per affermare l‘esistenza tra i depu-tati romani dell‘idea di vincolo elettorale, ma in realtà la questione, nel caso della Re-pubblica romana, ha dei risvolti più ambigui, che cercheremo di illustrare più avanti quando affronteremo la tematica del rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Infine il terzo punto del ragionamento, proposto nel passo che abbiamo citato sopra, inquadra la questione nello schema logico dell‘aut aut: l‘autorità temporale del papa è inconciliabile

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con la sovranità polare, di conseguenza non dichiarare la decadenza della prima signifi-ca negare la seconda, annullando quindi l‘autorità della stessa Assemblea.

Al lato opposto di queste posizioni, che vorrebbero una dichiarazione immediata della decadenza del potere temporale dei papi, troviamo la proposta di rimettere la soluzione del problema alla Costituente italiana, sostenuta principalmente da Mamiani e Audi-not12. Si vuol qui sottolineare come i due deputati, pur contemplando e approvando un eventuale ritorno del papa nelle sue funzioni temporali, riconoscano altresì, proprio co-me i loro avversari, l‘origine popolare del potere sovrano.

L‘inconciliabilità tra governo papale e sovranità del popolo, sostenuta dagli altri deputa-ti, trova quindi soluzione innanzitutto nella proposta di Mamiani, il quale afferma, nell‘incipit del suo intervento:

Dichiarare la decadenza dei Papi racchiude due distinte significazioni, le quali hanno bisogno di essere bene intese e ben chiarite. Dappoichè l‘Assemblea Nazionale risiede in Roma e dichiarasi mandata dal popolo tornato in possesso di ogni diritto, i Papi non possono più pretendere ad alcun diritto sovrano, ad alcun‘autorità, la quale sia anteriore e superiore, e nemmeno eguale alla Costituente romana. In tale significato adunque as-sumendo la proposizione della decadenza dei Papi, credo che pochi o nessuno, dissenti-rebbe in quest‘Assemblea. Ma per ciò che riguarda l‘altra significazione, che comune-mente si dà e s‘inchiude in quell‘enunciato, cioè a dire, che i Papi non debbano essere mai più investiti, neppure da noi, di autorità principesca, è cosa sulla quale desidero di palesare e di esporre alcuni miei pensamenti.13

Il ragionamento si basa sulla distinzione tra l‘autorità sovrana, che non può più spettare al papa perché, in conseguenza dell‘atto di delega compiuto dal popolo con il voto, è de-tenuta dall‘Assemblea, e l‘«autorità principesca», che può essere attribuita nuovamente al papa dall‘Assemblea. Nel passo il popolo viene, quindi, indicato come unico

12 Audinot Rodolfo (1814-1874), nasce a Bologna. Aderisce agli ideali patriottici come dimostra la sua

partecipazione, ancora molto giovane ai moti del 1831. Si trasferisce a Parigi dove studia scienze econo-miche e ha rapporti con gli ambienti degli esuli. Successivamente torna a Bologna per dedicarsi al lavoro nell‘attività di famiglia. Dopo qualche anno torna a occuparsi di politica, diventando anche deputato della Camera nel 1848 sotto Pio IX. Le sue posizioni sono fondamentalmente moderate, come dimostra la sua attività in seno all‘Assemblea costituente, alla quale decide di partecipare anche per frenare eventuali de-rive estremiste. Dopo la caduta della Repubblica si trasferisce prima in Toscana, poi a Genova per tornare infine nel 1859 in Emilia. Deputato del Regno d‘Italia, dove siede nei banchi di destra. Nel 1870 viene nominato senatore e nel 1874 muore a Bologna. (Cfr. S. Camerani, v. Audinot Rodolfo, in DBI, vol. 4, 1962.)

13

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re della sovranità, il cui esercizio è stato riacquisito non solo a livello teorico, ma anche a livello pratico attraverso l‘elezione dei deputati dell‘Assemblea costituente.

Per Audinot la questione del potere temporale del papa si lega interamene a quella dell‘indipendenza nazionale, come vedremo meglio più avanti; per il momento ci intressa considerare solo una frase del lungo intervento, con cui il deputato riconosce e-splicitamente il principio della sovranità popolare:

[…] sarebbe inutile dimostrare l‘incompatibilità del Governo sacerdotale colla libertà dei popoli. Egli è certo, o signori, che in altri tempi non molto da noi lontani, poteva forse un Pontefice anche in virtù del potere teocratico, […], salvare il mondo dalle pro-celle, […]. Ma da febbraio, dopo la rivoluzione di Francia, questa incompatibilità di-venne più sensibile, più grave, perché il diritto di sovranità che sino allora risiedeva di fatto nei principi fu riconosciuto nelle nazioni. Da quel giorno, signori, fu assai più dif-ficile, assai più difficile l‘antico connubio delle due podestà.14

Audinot sostiene innanzitutto l‘impossibilità di conciliare il potere papale con la libertà, qualificandola come una verità assodata e innegabile, soprattutto dopo gli eventi france-si del 1848. Questi rappresentano, infatti, lo spartiacque fondamentale tra due fafrance-si stori-che distinte: quella in cui la sovranità è detenuta di fatto dai principi, e quella in cui essa è riconosciuta come un diritto appartenente alla «nazione»15. Una volta riconosciuto questo diritto della «nazione», anche il carattere dispotico del potere papale acquista maggiore evidenza, e diventa, quindi, impossibile accettare qualunque governo che nel-la sua condotta non rispetti il principio delnel-la sovranità nazionale. Proprio questa deve essere, secondo Audinot, la condizione sine qua non per esercitare il potere, indipenden-temente dalla forma di governo che si sceglie di adottare. Il decreto proposto dal deputa-to recita, infatti: «L‘Assemblea dichiara per sempre impossibile il Governo papale ed ogni altro Governo quando non riconosca la base e l‘origine della propria autorità nel voto espresso dalla sovranità nazionale»16.

Sia nel caso di Mamiani che in quello di Audinot le ragioni contrarie a una dichiarazio-ne di definitiva decadenza del potere temporale dei papi sono principalmente di ordidichiarazio-ne pratico, come ha premesso lo stesso Mamiani affermando, all‘inizio del suo discorso:

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Ivi, p. 71.

15 È il caso di notare che Audinot preferisce utilizzare, in tutto il suo discorso, l‘espressione ―sovranità

nazionale‖, piuttosto che ―sovranità popolare‖. Ma vedremo meglio in seguito quali differenze ci sono, se ci sono, tra queste due espressioni.

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