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Il rifiuto dei partiti e l’aspirazione all’unanimismo

3. La democrazia rappresentativa

3.3. La visione mitica dei rappresentant

3.3.3. Il rifiuto dei partiti e l’aspirazione all’unanimismo

Come si è visto uno dei motivi per rifiutare i concetti di mandato imperativo e vincolo elettorale risiede nell‘idea che il rappresentante debba agire in vista del benessere di tut- ta la società, e non degli interessi particolari di una sua parte. Il deputato deve quindi de- finirsi come rappresentante dell‘intera nazione. Abbiamo già visto analizzando l‘uso, da parte dei deputati romani, dei termini ―popolo‖ e ―nazione‖, che nell‘idea dei costituenti il popolo va considerato come una realtà, sia politica che sociale, non attraversata da conflitti. A livello politico questa concezione si traduce nel rifiuto che si creino correnti politiche, in lotta fra loro, all‘interno dell‘Assemblea e più in generale nell‘opposizione a qualsiasi forma di partito.

Le dinamiche parlamentari affermatesi in Francia, con la divisione dell‘Assemblea in una destra, una sinistra e un centro, vengono associate al concetto, ancora vago e nella pratica del tutto assente, di ―partito‖; entrambi questi elementi, con cui una repubblica democratica come quella romana deve necessariamente fare i conti, vengono rigettati in nome di un modello istituzionale che vuole farsi promotore di un‘attività politica dalla forte connotazione morale.

Nell‘analizzare queste tematiche partiremo da due concetti centrali nella retorica dei co- stituenti romani: la ―concordia‖, che possiamo definire come il criterio comportamenta- le che deve regolare i rapporti tra i rappresentanti del popolo, e l‘―unanimità‖, che si configura invece come una sorta di orizzonte utopico verso cui l‘attività politica, all‘interno di una repubblica, deve tendere.

L‘idea che un sentimento di concordia debba dominare a tutti i livelli all‘interno della Repubblica è espresso in varie circostanze all‘interno dell‘Assemblea romana. Emerge innanzitutto nel periodo di ripresa del conflitto con l‘Austria, quando i deputati romani insistono sulla necessità di compattare il fronte interno, superando qualsiasi forma di di- vergenza politica per poter affrontare il nemico esterno. In tal senso si esprime ad esem- pio Audinot nella seduta del 17 marzo: «voi, poi, o onorevoli colleghi, io invito, e scon- giuro a lasciar da parte ogni discussione politica che in qualunque modo ci possa divide-

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re. […] Concordi ed energici uniamoci tutti colle parole e colle opere in una sola, in una grande idea, vincere la redenzione della patria.»153.

Affermazioni analoghe a queste vengono fatte da Mazzini nella seduta del giorno suc- cessivo, quando intervenendo sul problema della preparazione alla guerra, invita i colle- ghi a dare priorità al consolidamento dell‘armonia interna e al superamento di ogni pos- sibile divergenza di natura politica:

Prima conseguenza di questo programma, che voi avete dato con quel grido sublime, è, lasciate che io lo ripeta, un raddoppiamento di concordia fra noi. La prima condizione, perché quel programma si compia, è che tutti noi ci affratelliamo più strettamente; che tutti noi da che abbiamo trovato finalmente un terreno comune, un terreno su cui sfu- mano anche le menome dissomiglianze, che possono esistere fra noi, non sul concetto ma sul modo di spiegare e di promuovere il concetto repubblicano, c‘identifichiamo su quel terreno.154

Come abbiamo già messo in evidenza, in questa prima fase del conflitto bellico, i depu- tati romani si spingono oltre l‘idea di trovare una maggiore armonia tra le diverse anime interne al campo repubblicano, fino ad affermare la necessità di accantonare anche i fat- tori di divisione con la monarchia piemontese.

Tuttavia al di là della contingenza rappresentata dalla guerra antiaustriaca, l‘idea che la repubblica, come modello di governo, debba caratterizzarsi per la presenza di un senti- mento di fraternità tra tutti i suoi componenti è centrale nella visione dei deputati roma- ni. L‘idea che debba esistere un rapporto di fraterna fiducia sia tra membri dell‘Assemblea che tra questi ultimi e gli altri organi istituzionali emerge ad esempio nell‘ambito del dibattito costituzionale e in particolare in riferimento al ruolo del Tribu- nato. Come abbiamo visto parlando del Tribunato, l‘istituto viene rifiutato da alcuni de- putati anche in ragione del clima di sospetto e diffidenza che esso, svolgendo la sua fun- zione di controllo, creerebbe sia tra le istituzioni che tra le istituzioni e il popolo. Una posizione efficacemente espressa da Arduini quando, nella seduta del 17 giugno, affer- ma: «Noi conosciamo che questo Tribunato starebbe tra le autorità e tra il popolo: dun-

153 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. III, p. 759. Segnaliamo, inoltre, un‘altra dichiarazione di

Audinot del 27 marzo su questo stesso tono: «La rottura dell‘armistizio toglie le divisioni all‘interno, per- ché raccoglie le gradazioni tutte dell‘opinione liberale sotto la bandiera della Repubblica. Ognuno che ab- bia senno ed amor patrio, comprende che le passioni, le divergenze e l‘apatia ancora inverso il Governo della Repubblica, sono oggi un delitto verso l‘Italia; perché seme di novelle divisioni in presenza all‘inimico.», Ivi, p. 955.

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que starebbe lì come una fonte di diffidenza reciproca, come un focolare di perpetua dif- ficoltà tra le autorità che debbono funzionare sul disimpegno delle leggi e il popolo che deve accogliere la sanzione e l‘esercizio di queste leggi con tutta spontaneità e fidu- cia.»155.

Il problema della concordia tra le istituzioni è, in realtà, già emerso all‘interno dell‘Assemblea, nei suoi primi giorni di vita, in occasione della discussione sulla crea- zione dell‘esecutivo. Nella seduta dell‘11 febbraio quando si deve decidere se affiancare al neoeletto Comitato esecutivo un corpo ministeriale, Politi nell‘opporsi a questa solu- zione afferma:

Io vi parlai ieri delle crisi ministeriali, dei cangiamenti che s‘insinuano nei dicasteri ad ogni uomo nuovo, che porta seco i suoi fidati e clienti. Oggi vi farò un solo caso, […], quello della discrepanza tra il Comitato esecutivo ed i ministri. Nel regime monarchi- co-costituzionale una tale discrepanza può riuscire meno pericolosa, avvegnachè la so- vranità scioglie il Ministero, e tra la sovranità ed i ministri non intercede alcun giudice. Ma nella nostra nuova forma […] come l‘Assemblea potrebbe decidere senza offendere o il Comitato esecutivo o il Corpo ministeriale? […]. Chi avrebbe creduto, che dopo il voto universale così fulgidamente dato, durasse appena pochi giorni la concordia fra l‘Assemblea, il Ministero ed il popolo!156

Politi vede quindi nel corpo ministeriale un elemento che potrebbe creare attriti tra le i- stituzioni dello Stato. Risulta significativa inoltre la distinzione tra Stato monarchico e Stato democratico, proposta nel passo; se nel primo il re svolge il ruolo di autorità al di sopra delle parti che quindi assume il compito di risolvere eventuali conflitti tra i diversi organi di governo, nel secondo l‘assenza di un‘analoga figura implica la necessità di uno sforzo maggiore per mantenere la concordia tra le diverse parti della macchina go- vernativa, e richiede la presenza di una struttura istituzionale che non agevoli l‘insorgere di conflitti.

Sappiamo che all‘interno della Costituente romana, nonostante una comune adesione al principio della sovranità popolare, esistono, com‘è ovvio, posizioni politiche diverse:

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Assemblee del Risorgimento ... cit., vol. IV, p. 862

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dai moderati ai democratici, dai mazziniani agli ―indecisi‖, il panorama romano gode di tutte le sfumature del pensiero liberale italiano di metà ottocento157.

Tuttavia un‘idea ricorrente è, come si è detto, quella di compattare il fronte repubblica- no cercando di superare i motivi di disaccordo tra le diverse correnti di pensiero. Si trat- ta di una posizione espressa ancora una volta da Audinot, ma anche da Lizabe-Ruffoni nei rispettivi interventi del 17 aprile. Siamo in un ambito diverso rispetto a quello degli interventi di Audinot che abbiamo già visto: dopo la sconfitta nella guerra contro l‘Austria, la comunione con la monarchia costituzionale piemontese è andata definiti- vamente in frantumi, così come la speranza di realizzare l‘unificazione nazionale; dall‘altro lato il futuro della Repubblica si fa sempre più incerto, dal momento che risul- ta ormai evidente l‘isolamento a livello internazionale di Roma e la volontà delle poten- ze di ripristinare il potere pontificio. Vanno dunque collocate in questo contesto genera- le le parole di Audinot e Lizabe-Ruffoni del 17 aprile, che incitano i deputati romani a limitare i motivi di dissenso e a trovare unità nella comune adesione ai principi repub- blicani. Il primo, ponendo l‘attenzione dell‘Assemblea sulla necessità di impedire il ri- torno del papa, afferma:

[…] Aggiungo, in quanto alla politica interna, o colleghi, che noi non possiamo dissi- mularci che le sventure d‘Italia hanno fatto la gioia di coloro i quali vorrebbero restau- rare il passato. Egli è certo che oggi più che mai è quindi necessario che il partito libe- rale si restringa e si accordi in sé medesimo, e che la nazione non si divida, il popolo non si divida che in due soli ranghi, cioè fra coloro che vogliono ristabilire la schiavitù clericale, e coloro che non vogliono più sapere del dominio de‘ preti. Questa sia la poli- tica del Triumvirato e della nostra Assemblea.158

Lizabe-Ruffoni invece insiste sulla necessità di mostrare all‘Europa la reale natura della Repubblica romana, dominata da un generalizzato stato di armonia, contrariamente a quanto sostiene la stampa straniera:

Aggiungo, in quanto alla politica interna, o colleghi, che noi non possiamo dissimularci che le sventure d‘Italia hanno fatto la gioia di coloro i quali vorrebbero restaurare il passato. Egli è certo che oggi più che mai è quindi necessario che il partito liberale si restringa e si accordi in sé medesimo, e che la nazione non si divida, il popolo non si divida che in due soli ranghi, cioè fra coloro che vogliono ristabilire la schiavitù cleri-

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Sulle divisioni politiche all‘interno dell‘Assemblea cfr. M. Severini, Nascita, affermazione e caduta

della Repubblica romana, in M. Severini ( cura di ), La primavera della nazione: la Repubblica romana del 1849, Affinità elettive, Ancona, 2006, p. 30 e sgg.

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cale, e coloro che non vogliono più sapere del dominio de‘ preti. Questa sia la politica del Triumvirato e della nostra Assemblea. […] È necessario, è assolutamente necessa- rio che tutti si concordino nell‘ordine e nella fratellanza, che tutti facciano un fascio di forze vive intorno al Governo, affinché noi diamo al popolo nostro, al popolo europeo un felice presagio del Governo repubblicano.159

Nelle parole di Lizabe-Ruffoni si può leggere anche la preoccupazione, che abbiamo già visto emergere in altre circostanze, di smentire l‘idea che lo Stato romano si trovi in una situazione di anarchia, disordine sociale e assenza di un‘autorità governativa. Per poter efficacemente contraddire questa convinzione diffusa all‘estero il deputato ritiene che si debba mostrare la solidità del governo e allo stesso tempo limitare i dissidi interni, in modo da restituire l‘immagine di una società ordinata e compatta.

Una delle conseguenze di questo tipo di concezioni tendenti a limitare la portata dei contrasti, ideologici e politici, sul fronte interno è quella di vedere nell‘unanimità un o- biettivo a cui aspirare. Si tratta di un‘idea che emerge ad esempio nella seduta dell‘8 febbraio, quando i deputati si trovano a discutere una delle questioni più importanti, os- sia in che modo considerare il potere temporale del pontefice all‘interno del nuovo as- setto istituzionale a cui le elezioni hanno dato vita. È interessante notare come nel tratta- re un problema tanto delicato e che può determinare, come di fatto ha determinato, posi- zioni molto diverse ben due deputati dichiarano di sperare in un voto unanime dell‘Assemblea. Il primo è Savini, il quale afferma: «Ma noi vivaddio siamo qui due- cento rappresentanti del popolo che abbiamo infine un solo pensiero; abbiamo anche un uguale coraggio, e venga dato al mondo l‘esempio di unanime accordo sul giudizio del maggior delitto che l‘uomo abbia commesso in nome di Dio.»160

; il secondo ad auspica- re una scelta unanime è Sterbini, che in un passaggio del suo discorso afferma la neces- sità di riflettere attentamente e con calma sulla decisione da prendere, affinché la svolta repubblicana possa essere accompagnata sia da un diffuso entusiasmo sia da una ade- sione unanime:

Lasciate adunque, o rappresentanti del popolo che la discussione sia fatta con calma e con dignità, affinchè il voto nasca da intima persuasione, non da impeto di cuore bol- lente. Quel giorno in cui anderà a proclamarsi la Repubblica sul Campidoglio noi dob- biamo essere accompagnati dall‘entusiasmo del popolo, non dalla fredda incertezza dell‘avvenire. L‘entusiasmo delle moltitudini è figlio della persuasione. Quel giorno

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Ivi, p. 205

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deve essere il più bello della vita italiana: nessuna nube deve offuscarlo. Uno de‘essere il grido, come una la volontà: Roma e Italia.161

La concezione che vede nella scelta unanime l‘orizzonte verso cui tendere si manifesta già in occasione delle elezioni, e in particolare durante il lavoro della scelta dei candida- ti, portato avanti dai comitati elettorali nelle adunanze preparatorie. Nell‘ottica di questo primo esperimento democratico l‘elezione a suffragio universale si presenta non come una competizione tra partiti ma piuttosto come l‘individuazione degli uomini migliori a ricoprire il ruolo di rappresentanti, una scelta su cui agisce l‘avallo del consenso unani- me162.

L‘assenza di partiti nel contesto della Repubblica romana viene sottolineato da Nocilla, che considerando la questione dal punto di vista dell‘elaborazione costituzionale propo- sta dai deputati romani, nota come i costituenti, influenzati dal pensiero di Mazzini, non facciano alcun riferimento all‘idea che possano esistere formazioni partitiche. Nocilla lega questa mancanza di riflessione sui partiti o anche solo sulla formazione di correnti all‘interno dell‘Assemblea, alla volontà dei deputati di considerarsi indipendenti dalla volontà popolare, o per meglio dire, dagli interessi contingenti dei cittadini; afferma in- fatti Nocilla: «[…] si nota come la Costituente romana abbia tralasciato, e nel corso del- la discussione e nella elaborazione dei testi normativi, ogni riferimento ai partiti politici, che — pur concepiti come mere correnti di opinione formatisi all'interno dell'Assemblea rappresentativa — avrebbero pur sempre svolto, in linea di principio, la funzione di le- gare i rappresentanti alla volontà dei rappresentati.»163.

Tuttavia se si riflette sull‘assenza di riferimenti ai partiti politici bisogna considerare la questione anche nell‘ottica del rifiuto, diffuso all‘interno dell‘Assemblea, nei confronti delle divisioni interne. Per capire meglio questa problematica è opportuno prendere in considerazione un commento di Bonaparte dell‘8 febbraio. Nel corso della lunga di- scussione sulla decadenza del potere temporale del papa, Sterbini propone di rinviare la discussione in modo da poter valutare con attenzione le proposte emerse; nel dire ciò u- tilizza il termine ―partito‖ per riferirsi ad una delle posizioni espresse dai deputati. Rife- rendosi ai sostenitori della soluzione repubblicana, il deputato, infatti, afferma: «Signori, la discussione è di tanta importanza, è l‘argomento così grave, e tante cose vi sono da

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Ivi, p. 75.

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Cfr. G. L. Fruci, “Il fuoco sacro della concordia e della fratellanza” … cit., pp. 21, 39, 43.

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D. Nocilla, Sovranità popolare e rappresentanza negli interventi di Aurelio Saliceti alla Costituente

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dire che a me sembra necessario di rimettere a domani […] Vi è un partito il quale teme di non vincere: ma questo partito vincerà, e la sua forza sarà tanto più grande quanto la- scerà libera la discussione […]»164. A queste parole risponde prontamente Bonaparte, che si esprime contro l‘uso del termine ―partito‖: «Qui non vi sono partiti! V‘è la na- zione che trionferà.»165.

È interessante che sia proprio Bonaparte a intervenire su questo punto, negando perento- riamente l‘esistenza di partiti, qui probabilmente intesi anche come tendenze interne all‘Assemblea. È infatti sempre Bonaparte in un‘altra circostanza a sostenere la natura- lezza della formazione di correnti parlamentari a seconda delle diverse ideologie a cui i deputati aderiscono, ammettendo quindi l‘esistenza di divisioni tra destra, sinistra e cen- tro; il commento in questo caso si riferisce al discorso di Mazzini del 10 marzo, nel cor- so del quale quest‘ultimo si pronuncia duramente proprio contro questo tipo di suddivi- sioni parlamentari. Bonaparte si esprime allora in questi termini:

[…] Chi non ha applaudito col cuore e colle labbra alle fraterne teorie che qui ci svi- luppava quel grande Italiano? Ma pur troppo, o colleghi, l‘uomo è fatto per vivere sulla terra e non sempre può elevarsi alla altezza di quelle dottrine che non sempre possono mettere in pratica gli uomini, degne però di un popolo rigenerato. Un lato destro evvi in quasi tutte le Assemblee, un lato sinistro evvi in quasi tutte. […] La repubblica di cui tanto idolatriamo tutti il nome non è ancora da noi organizzata, e in questa incertezza starà fintanto che la nostra Costituzione non sarà stata redatta, non sarà stata sancita da voi e per conseguenza dal popolo. […]166

Bonaparte riconduce la formazione di divisioni tra destra e sinistra all‘interno dell‘Assemblea ad una questione pratica, proponendo una distinzione tra il livello ideale e quello concreto. Allo stesso tempo, però, affermando che su un piano ideale la rappre- sentazione proposta da Mazzini è quella più valida a esprimere la natura di un governo repubblicano, di fatto Bonaparte torna a ribadire quell‘idea di repubblica come società pacificata al suo interno, dove le diverse parti si integrano tra loro nell‘ottica di tutelare un interesse superiore.

Un altro elemento da considerare a proposito del rapporto dei deputati romani con il concetto di ―partito‖ è quello dell‘accezione attribuita a tale termine, che si ammanta spesso di un valore negativo. Il termine partito, infatti, assume facilmente un significato

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Assemblee del Risorgimento ... cit., vol. III, p. 69, (corsivo mio).

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Ibidem.

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equivalente a quello di fazione, ed esprime in generale l‘idea di una parte in opposizione all‘intero, il particolare che cerca di imporsi sull‘universale. Una preoccupazione che af- fiora con una certa ricorrenza dai discorsi dei deputati romani è quella di allontanare il concetto di repubblica democratica dall‘immagine di una forma politico-istituzionale dove il conflitto tra le diverse idee politiche, così come tra le varie istanze socio- economiche, comporta uno stato di endemico conflitto civile167.

Alle idee di partiti o di schieramenti parlamentari i deputati romani, in primis come ab- biamo visto Bonaparte, oppongono, dunque, l‘idea di nazione/popolo e di Repubblica, intendendo questi termini come espressione di una realtà unitaria, dove un interesse su- periore domina e compatta tutti i vari elementi che possono divergere tra loro.

È indubbiamente Mazzini a esprimersi con maggior eloquenza contro la formazione di partiti o correnti all‘interno dell‘Assemblea, soprattutto nel celebre discorso del 10 mar- zo, di cui ci proponiamo ora di analizzare alcuni passi significativi che si legano a questi argomenti. Attraverso l‘analisi di questo discorso avremo modo sia di rivedere molte delle questione affrontate nei paragrafi precedenti, sia di anticipare alcune tematiche che analizzeremo nel prossimo capitolo.