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La delega dell’esercizio del potere e l’elezione come atto sovrano

Nella seduta del 30 giugno, durante la discussione sul testo costituzionale, Grillenzoni43 si pronuncia contro il voto pubblico stabilito per l‘elezione dei rappresentanti all‘Assemblea legislativa, spiegando la sua posizione in questi termini: «L‘elezione dei rappresentanti del popolo è l‘unico atto di sovranità il cui esercizio sia riserbato al popo- lo. Dell‘esercizio di questo atto di sovranità noi non possiamo porre nessun limite, e lo stabilire che il voto sia pubblico è porre un limite alla piena libertà del popolo nell‘elezione dei suoi rappresentanti»44

. A parte la questione del voto pubblico che esa- mineremo più avanti, quello che qui interessa delle parole di Grillenzoni è l‘aver attri- buito all‘atto dell‘elezione dei rappresentanti il carattere di atto sovrano.

Possiamo vedere lo stesso concetto, espresso questa volta da Bonaprte nella seduta del 16 giugno, in riferimento a un altro punto della costituzione, ossia l‘elezione dell‘esecutivo da parte dell‘Assemblea legislativa piuttosto che da parte dei cittadini. Bonaparte, contrario a questa soluzione, vorrebbe tornare all‘elezione diretta dell‘esecutivo da parte del ―popolo‖, stabilita nel primo progetto di Costituzione presen- tato in aula: «[…] il potere deve essere unico e risiede unicamente nel popolo. Al popo- lo il delegare all‘Assemblea il potere legislativo. Al popolo il delegare a persona o a più persone di sua scelta il potere esecutivo. […] non vi arrogate mai un diritto, che il popo- lo non vi ha dato e che voi non dovete usurpare.»45.

Anche per quanto riguarda questa affermazione di Bonaparte non ci interessa, per il momento, esaminarne il contenuto centrale, ossia il problema dell‘elezione

43 Grillenzoni Carlo (1814-1897), nasce a Ferrara. Si concentra sugli studi medici, e proprio l‘attività me-

dica, soprattutto nel campo dell‘ostetricia, riveste una grande importanza nella sua vita. Promuove e rie- sce infine a realizzare la fondazione di asili dell‘infanzia, imponendosi nel panorama ferrarese come per- sonalità di spicco. Proprio per questa sua posizione viene coinvolto negli eventi della fine del 1848 e del 1849, anche se non si mostra particolarmente entusiasta per la sua elezione alla Costituente. All‘interno di quest‘ultima assunse posizioni moderate. Dopo la caduta della Repubblica venne dapprima arrestato, mentre, una volta rilasciato, risultando comunque destituito dai pubblici impieghi, trovò rifugio in Tosca- na dove continuò ad esercitare l‘attività medica. Riuscì a tornare a Ferrara nel 1858, in seguito alle istanze dei concittadini. Deputato del Regno d‘Italia, diventa grande sostenitore della politica di Cavour. La sua attività si concentra comunque sulla città di Ferrara e sull‘attività universitaria. Muore nel 1897. (Cfr. F. Zavalloni, v. Grillenzoni Carlo, in DBI, vol. 59, 2003).

44 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. IV p. 1055. 45

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dell‘esecutivo, quanto il fatto che l‘elezione diretta di quest‘ultimo è visto come un atto di delega dell‘esercizio del potere analogo a quello che il popolo compie nell‘eleggere i deputati dell‘Assemblea, e che quindi, in quanto atto di sovranità non gli può essere sot- tratto, senza implicare una sottrazione del suo diritto sovrano.

Non solo il voto si qualifica come atto di sovranità, ma è inoltre l‘unico atto con cui il popolo esercita la sovranità. Emerge da ciò, da un lato la questione, di cui abbiamo già visto delle tracce, della distinzione tra titolarità e esercizio della sovranità, che rappre- senta la base teorica fondamentale del sistema rappresentativo; dall‘altro la qualifica- zione dell‘atto di delega dell‘esercizio del potere come atto sovrano, un concetto che contraddice una delle teorie centrali di Rousseau, ossia quella per cui gli atti sovrani possono essere solo atti di natura generale, mentre l‘elezione di rappresentanti, configu- randosi come un atto di natura particolare, non può considerarsi un atto sovrano. Esami- niamo le due questioni separatamente.

Per quanto riguarda la separazione di titolarità ed esercizio della sovranità, la prima spettante al popolo, la seconda invece ai rappresentati da esso eletti, abbiamo già visto come essa venga pacificamente accettata dai deputati romani. Ciò che infatti emerge con forza dall‘esame dei discorsi dei deputati romani è la mancanza di dibattito intorno alla forma rappresentativa di governo democratico e la convinzione che la delega del potere ai propri rappresentanti sia in effetti l‘unico modo in cui il popolo può esercitare la propria sovranità. Una posizione questa che viene espressa anche da Cernuschi46, quando, nella seduta del 18 giugno, afferma: «La Repubblica la più pura, la più demo-

46 Cernuschi Enrico (1821-1896), nasce a Milano, studia diritto e dopo gli anni di pratica, in cui ha modo

anche di viaggiare in Europa e particolarmente in Francia, comincia a esercitare a Milano. Rimane ai margini della vita politica fino allo scoppio dell‘insurrezione a Milano; durante le famose Cinque giornate, infatti Cernuschi prende parte attivamente alla rivolta, diventandone uno dei protagonisti. Durante gli e- venti insurrezionali di Milano si colloca su posizioni democratico - repubblicane, accanto a Cattaneo, op- ponendosi ai moderati del governo provvisorio. Cernuschi si associa inoltre all‘ala federalista del movi- mento patriottico, ma, nonostante la diversità di vedute, non manca di esaltare l‘attività di Mazzini e della Giovane Italia. precipitata la situazione a Milano, si muove tra Genova e Firenze per convergere infine su Roma, nel dicembre del 1848, subito dopo la fuga del papa. Viene eletto deputato alla Costituente nelle elezioni suppletive del 21 febbraio 1849. Dopo la caduta della Repubblica viene arrestato; viene processa- to e, infine, prosciolto nel gennaio del 1850. Lascia quindi lo Stato Pontificio e si trasferisce in Francia. Si avvicina sempre di più alle posizioni dei federalisti e in particolare di Ferrari, mentre oppone una dura cri- tica a Mazzini. Oltre ad interessarsi alla situazione politica italiana Cernuschi si impegna anche nella vita politica francese, osteggiando Napoleone III e prendendo parte nel 1871 alla Comune di Parigi, da cui pe- rò bene presto si distacca, disapprovandone le istanze socialiste. Negli anni successivi continua a seguire la vita politica sia italiana che francese, ma senza intervenire, preferendo concentrarsi sulle sue attività fi- nanziarie. Muore a Mentone nel 1896. (Cfr. F. Della Peruta, v. Cernuschi Enrico, in DBI, vol. 23, 1979).

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cratica che si vuole non può concepirsi che col sistema rappresentativo; il popolo non può fare di più che nominare dei deputati.»47

A tal proposito Nocilla, la cui analisi si concentra principalmente sul dibattito intorno al testo costituzionale, afferma l‘esistenza, nella concezione dei deputati romani, di una perfetta coincidenza tra democrazia e sistema rappresentativo: «[…] il problema della rappresentanza politica fu sostanzialmente estraneo al dibattito della Costituente romana, che non aveva davvero alle spalle la grande tradizione della Costituente parigina del 1789 e della Convenzione»48; in maniera analoga, sottolinea sempre Nocilla, non si è sviluppata una riflessione sul significato concreto dell‘attribuzione della sovranità al popolo. In ciò i deputati romani rivelano un certo grado di impreparazione, riconosciuta da tutti gli storici, di fronte alle questioni teoriche fondamentali da affrontare. Ma que- sto tipo di posizione rivela in realtà anche l‘influenza sui deputati di una visione idealiz- zata del governo repubblicano, del rapporto tra istituzioni politiche e società civile, e della stessa figura del ―popolo‖, come vedremo nello sviluppo degli argomenti succes- sivi. Bisogna però considerare che, proprio per via di questa visione, che lega in manie- ra inscindibile l‘esercizio della sovranità all‘atto di elezione dei rappresentanti, i costi- tuenti romani sentono la necessità di stabilire una durata limitata per la legislatura, che nel testo definitivo diventa di tre anni49. Vedremo inoltre nel prossimo capitolo come l‘ambiguità della formulazione teorica proposta dai deputati su questi concetti, finisca col rendere labile il confine tra titolarità ed esercizio, e incerta la definizione del reale detentore della sovranità.

Passando ora alla seconda delle due questioni che abbiamo posto precedentemente, è il caso di ricordare brevemente che la trasformazione, rispetto alla teoria rousseauviana, della natura dell‘atto di elezione dei rappresentanti trova la sua origine nella storia rivo- luzionaria francese. Secondo la ricostruzione proposta da Guillaume Bacot, infatti, nel passaggio dalle Costituzioni francesi del 1791 e del 1793 a quella del 1795, si assiste ad un cambiamento sostanziale del modo di intendere l‘atto elettorale. Se infatti le prime due costituzioni, fedeli al pensiero del filosofo ginevrino, non riconoscono in tale atto

47 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. IV, p. 872. 48 D. Nocilla, Sovranità popolare e rappresentanza … cit., p. 238

49 La proposta originaria del progetto era una legislatura di quattro anni, ma in seno all‘Assemblea c‘è an-

che chi propone di ridurla a due, o addirittura a un anno. La votazione su questo punto è una delle più controverse, tanto che viene richiesta una controprova per essere certi dell‘esito reale della votazione. L‘emendamento non viene quindi approvato con una maggioranza schiacciante, segno la necessità di una interrogazione frequente della volontà popolare non è sentita unanimemente all‘interno dell‘Assemblea. In ciò si può vedere un elemento a riprova di un sentimento di fiducia e un‘attribuzione di prestigio nei confronti del potere legislativo, che esamineremo meglio, in tutte le sue implicazioni, più avanti.

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un momento di esercizio della sovranità, la terza resta ambigua nella definizione della natura dell‘atto di delega, e in ciò Bacot vede una prima espressione di quella convin- zione che si affermerà nel corso del XIX secolo, per cui la generalità non è più condi- zione imprescindibile dell‘atto sovrano. Si tratta di una concezione che cambia total- mente il modo di intendere il sistema rappresentativo e l‘apporto dei cittadini all‘esercizio della sovranità, come spiega Bacot:

«Alors que les variations constatée dans l‘étendue du souverain ne changeaient rien au fait qu‘il est toujours composé de citoyens qui participent concrètement à l‘exercice de la souveraineté, admettre que l‘élection ne constitue pas uniquement ce mode de parti- cipation, mais la manifestation même de la volonté générale, modifie radicalement la si- gnification du régime représentatif. On passe insensiblement de l‘idée que les représen- tants doivent exprimer la volonté du souverain, à celle qu‘ils exercent un pouvoir en vertu de cette volonté […]»50

La concezione dell‘elezione come atto sovrano, in quanto atto di delega dell‘esercizio della sovranità, che si afferma nel XIX secolo, come abbiamo visto trova conferma nella visione dei deputati romani.

Da questo cambiamento del valore del‘atto elettorale, rispetto a quanto sostenuto da Rousseau, deriva anche un cambiamento del concetto di ―volontà generale‖. Essa non è più la volontà del corpo sovrano, che, in un sistema rappresentativo, deve essere inter- rogata dai deputati. Nel momento in cui la sovranità viene ridotta ad un atto particolare, come è quello dell‘elezione dei rappresentanti, anche la volontà generale si esaurisce nella scelta degli uomini più adatti a ottenere la delega popolare. Come nota Nocilla, in riferimento alla difesa del suffragio pubblico portata avanti da Saliceti: «La scelta di un buon rappresentante sembra riportarsi per Saliceti alla rousseauviana espressione della volontà generale».51

Questo modo di intendere il contributo del popolo all‘esercizio della sovranità si avver- te anche in un‘altra concezione espressa dall‘Assemblea, ossia quella dell‘indivisibilità della sovranità, che ci apprestiamo ad analizzare.

50 G. Bacot, Carré de Malberg et l'origine de la distinction entre souveraineté du peuple et souveraineté

nationale, Editions du Centre national de la recherche scientifique, Paris, 1985, pp. 115-116.

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