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I discorsi di Mazzini del 6 e del 10 marzo

3. La democrazia rappresentativa

3.3. La visione mitica dei rappresentant

3.3.4. I discorsi di Mazzini del 6 e del 10 marzo

Con l‘ingresso di Mazzini alla Costituente si assiste a due importanti discorsi del patrio- ta: il primo del 6 marzo, giorno in cui, per la prima volta, il neo eletto deputato partecipa ad una seduta dell‘Assemblea, e il secondo del 10 marzo. In entrambi questi discorsi emergono alcuni punti chiave del pensiero di Mazzini, che si inquadrano perfettamente nell‘ambito degli argomenti trattati in quest‘ultimo paragrafo; gli estratti che prendere- mo in considerazione ci permettono inoltre di anticipare alcune tematiche che esamine- remo nel prossimo capitolo.

Il breve discorso del 6 marzo si presenta come un elogio di Roma, descritta nelle sue di- verse fasi storiche (la Roma antica, la Roma dei papi, la Roma repubblicana) in maniera analoga a quanto fatto da altri deputati, come Agostini nel discorso del 5 gennaio: «Do- po la Roma che operò colla conquista delle armi, dopo la Roma che operò colla conqui- sta della parola, verrà, io diceva a me stesso, verrà la Roma che opererà colla virtù

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Da notare che nella seduta dell‘8 febbraio Sterbini usa il termine partiti per indicare le due parti in cau- sa nel dibattito in corso, ossia quella favorevole alla proclamazione della repubblica e quella contraria, come si deduce dalle parole che pronuncia in risposta all‘intervento di Bonaparte: «Vi sono due partiti, il

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dell‘esempio: dopo la Roma degl‘imperatori, dopo la Roma dei papi, verrà la Roma del popolo.»168. Comune denominatore di questi tre diversi periodi è la capacità di Roma di farsi conquistatrice del mondo: per mezzo delle armi nel primo caso, attraverso il vange- lo nel secondo, e infine tramite l‘esempio di uno spirito autenticamente repubblicano. Con queste parole Mazzini richiama alcuni caratteri che si legano, non solo per i seguaci del suo pensiero ma per la maggior parte dei costituenti romani, al concetto di ―repub- blica‖; tra questi vediamo ad esempio l‘attribuzione di una funzione educatrice allo Sta- to che, nella riflessione di Mazzini, agisce non solo all‘interno, ma anche all‘esterno, nei confronti degli altri Stati, o anche l‘accostamento della dimensione etica e di quella po- litica, che emerge dall‘introduzione dell‘idea di virtù associata al governo repubblicano. Questi elementi vengono esplicati in maniera più incisiva nel lungo intervento del 10 marzo, con cui Mazzini, prendendo spunto dal rimpasto ministeriale dei giorni prece- denti, esprime alcune opinioni sulla natura che il deputato attribuisce al concetto di re- pubblica democratica.

Mazzini parte proprio da un riferimento esplicito al rimescolamento governativo del 6 marzo, causato dall‘interrogazione parlamentare rivolta ai ministri del commercio e delle finanze che ha portato, come si è detto, alle dimissioni del ministro Guiccioli:

Ogni rimaneggiamento governativo,  afferma Mazzini  sotto una forma repubblicana, è un progresso; e però, io mi felicito di questo rimaneggiamento. Ma ogni rimaneggia- mento governativo indica la necessità del progresso; e quindi indica sempre una flut- tuazione nelle opinioni, una incertezza, per quanto si voglia leggera nello stato delle cose, una non compiuta comunione, una non compiuta fiducia fra chi dirige e il popolo. Giova considerare questa condizione di cose, guardarla risolutamente, e impedire che si rinnovi.169

Il giudizio espresso da Mazzini sul rimpasto ministeriale è allo stesso tempo positivo e negativo: il fatto si connota positivamente se viene contestualizzato nella situazione ro- mana, poiché si configura come un momento di rinnovamento e come una prova del processo di progresso e perfezionamento che la Repubblica sta affrontando; tuttavia es- so dimostra indirettamente che la Repubblica vive ancora in uno stato di imperfetto svi- luppo. L‘evento lascia infatti emergere l‘esistenza di un conflitto latente tra i rappresen- tanti e il popolo. Le tensioni e i cambiamenti in ambito istituzionale non sono dunque visti come elementi intriseci e strutturali di una democrazia rappresentativa, ma come

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Ivi, p. 573.

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segno di un mancata realizzazione della concordia che deve caratterizzare uno stato re- pubblicano.

Mazzini usa significativamente alcuni termini come: «fluttuazione di opinione», «incer- tezza […] nella compiuta comunione […] fra chi dirige e il popolo». Si tratta di espres- sioni, che lasciano intravedere il messaggio centrale che verrà sviluppato nel corso del discorso ossia l‘idea che le divisioni all‘interno dell‘Assemblea rappresentino un rischio per l‘equilibrio e la sopravvivenza dello Stato. Risulta significativo in queste prime frasi del discorso l‘associazione tra le divisioni all‘interno dell‘Assemblea e una presunta di- visione tra istituzioni e società civile.

Proseguendo il suo discorso Mazzini nota come, nonostante la situazione romana sia dominata da elementi fortemente positivi, siano comunque presenti dei fattori di poten- ziale disunione, che spiega in questi termini:

[…] ho pure trovato alcuni piccoli germi di dissenso che potrebbero produrre conse- guenze fatali, se si lasciassero sviluppare. Ho udito parlare intorno a me di dritta, di si- nistra, di centro, denominazioni usurpate alla teorica delle vecchie raggiratrici monar- chie costituzionali; denominazioni che nelle vecchie monarchie costituzionali rispon- dono alla divisione dei tre poteri, e tentano rappresentarli; ma che qui sotto un Governo repubblicano, ch‘è fondato sull‘unità del potere, non significano cosa alcuna.170

Risulta significativo, in questo passaggio, l‘attenzione verso un meccanismo assemblea- re acclarato come quello della divisione dei deputati sulla base della loro appartenenza a schieramenti ideologici diversi (destra, sinistra, centro), una suddivisione fissata, ormai da tempo, dalla pratica parlamentare francese. Tale dinamica viene attaccata da Mazzini che le attribuisce un carattere negativo e la ricollega alle pratiche delle monarchie costi- tuzionali. Risulta poi interessante che il deputato metta in relazione, in maniera erronea, questo tipo di suddivisioni con il sistema della divisione dei poteri, che quindi assume parimenti una connotazione negativa, e porta Mazzini a sostenere l‘idea che il carattere fondamentale del governo repubblicano risieda nell‘«unità del potere». È interessante notare a tal proposito che, in occasione della discussione sul progetto costituzionale, Cernuschi, come si è visto, critica la rigida separazione dei poteri con la stessa motiva- zione riportata qui, ossia di essere una reminiscenza della struttura adottata dalle monar- chie costituzionali; anche per quanto riguarda il concetto dell‘unicità del potere abbiamo visto come esso venga introdotto, nella fase di discussione sulla Costituzione, sia da

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Cernuschi che da Lizabe-Ruffoni. Se è però certo che per questi ultimi l‘unicità del po- tere si concretizza nell‘attribuzione della sovranità all‘Assemblea dei rappresentanti, non si può dedurre dalle parole di Mazzini in che senso quest‘ultimo intende il concetto di potere unico.

Mazzini prosegue nel suo intervento passando da questo attacco alle divisioni politiche ad una critica al clima di sospetto e diffidenza circa la sincerità dell‘adesione ai principi repubblicani, riscontrata all‘interno dell‘Assemblea: «Ho udito parlare di repubblicani di ieri, repubblicani dell‘oggi […]»171

. Anche queste denominazioni sono, secondo Mazzini, un‘eredità francese, adatte a descrivere una società del tutto diversa da quella romana. Sempre nel parlare degli eventuali dissensi interni alla Repubblica, il deputato si inoltra in una interessante rappresentazione delle posizioni avverse alle nuove istitu- zioni repubblicane:

Qui non possono esistere retrogradi se non di due classi: retrogradi per ignoranza, e noi faremo di tutto per illuminarli: retrogradi per egoismo d‘interessi, e questi noi siamo forti abbastanza per disprezzarli; e se mai tentassero di violare l‘ordine pubblico in nome dei loro interessi egoistici, noi, in nome di qualche cosa di più grande, in nome di Dio e del Popolo, li schiacceremo.172

Mazzini minimizza in questa frase la possibile azione di dissidenti, contrari al regime democratico, riconducendoli a due macrocategorie: quella degli ignoranti, sui quali la Repubblica può agire attivando la sua funzione educatrice, e quella degli egoisti, che agiscono per interesse personale e quindi contro l‘interesse collettivo. In tal modo Maz- zini scredita qualsiasi posizione politica diversa da quella democratico - repubblicana, affermando sostanzialmente l‘inesistenza di una valida alternativa a questa posizione. Attraverso questa descrizione della situazione dello Stato si afferma, in sostanza, che non esiste una vera opposizione alla Repubblica; infatti se coloro che appartengono alla prima categoria finiranno per convergere nel fronte repubblicano, quelli che fanno parte del secondo gruppo possono essere invece semplicemente ignorati almeno fin tanto che la loro attitudine non causi problemi alla Repubblica.

In un passo successivo Mazzini torna sul problema della fiducia da accordare a quanti si dichiarano repubblicani, a prescindere dall‘antichità della loro adesione al principio re- pubblicano, e approfondisce la questione con queste interessanti parole:

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Ibidem.

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Repubblicani di oggi, repubblicani di ieri! Come io dalla parola di Cristo in poi non ri- conosco, e certo voi non riconoscete, stranieri, ma solamente uomini malvagi ed uomi- ni buoni, uomini d‘egoismo ed uomini di sacrificio, così io dico che non riconosco di- stinzioni fra i repubblicani dell‘oggi e i repubblicani di ieri. Io non riconosco che re- pubblicani e non repubblicani. V‘è alcuno fra noi che possa dirci senza spergiuro: io non sono repubblicano! Vi è alcuno fra noi che non abbia preso parte ai decreti dell‘Assemblea, segnati in fronte delle due parole che riassumono il simbolo repubbli- cano, – Dio ed il Popolo? – sarebbe dunque delitto il supporre che qui tra noi, dopo l‘impianto della Repubblica vi sia chi possa dichiararsi non repubblicano.173

Mazzini sostiene l‘importanza di essere compatti nel sostenere l‘ideale repubblicano e nel perseguire il fine dell‘unità nazionale. Ponendosi questi obiettivi però non si può la- sciare spazio a dubbi. Ancora una volta l‘immaginario religioso viene usato come ele- mento di paragone. Tale paragone risulta significativo per la conclusione a cui giunge, ossia la netta distinzione tra repubblicani e non repubblicani, che sono gli unici due schieramenti riconosciuti, e che corrispondono ai due elementi antitetici uomini buoni / uomini malvagi, che, in un‘ottica cristiana, descrivono l‘intera umanità dopo la venuta di Cristo. Nell‘ultima frase di questo passo leggiamo infatti un‘interessante paragone tra la venuta di Cristo e l‘avvento della repubblica: se il primo evento segna uno spartiac- que fondamentale tra un prima e un dopo, dove il dopo si caratterizza per l‘assenza della figura dello ―straniero‖ e la sua sostituzione con un nuovo criterio di distinzione, quello tra buoni e cattivi, la svolta repubblicana, in maniera analoga, fa da spartiacque tra due momenti storici, di cui il secondo si presenta dominato dalla dicotomica distinzione tra repubblicani e non repubblicani, senza ulteriori specificazioni.

In questa ricostruzione, quindi, Mazzini presenta il fronte repubblicano come una realtà compatta all‘interno e definita, all‘esterno, in opposizione al fronte dei non repubblicani, con cui instaura una relazione basata sullo schema giusto/sbagliato, piuttosto che sul pi- ano della dialettica politica.

Proseguendo nel suo intervento Mazzini insiste sull‘importanza di evitare spaccature e il diffondersi di sentimenti di diffidenza tra repubblicani:

E vorrei dire ai diffidenti soverchiamente non diffidate; noi siamo abbastanza forti pel consenso del popolo, per gl‘istinti dell‘epoca, per gli avvenimenti che si svolgono provvidenzialmente, necessariamente per tutta Europa, per non dubitare dell‘esito; le diffidenze sono prova di debolezza e noi non siamo deboli. Non introduciamo nella re-

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ligione repubblicana l‘eresia della intolleranza. Io ammetto la più severa rigidità, in fat- to di principi, ma una grande tolleranza per gl‘individui. Noi dobbiamo essere severis- simi ogni qual volta s‘agiti un tentativo di rissa civile, un tentativo d‘insurrezione con- tro la Repubblica per noi proclamata. […]; ma abbiate nello stesso tempo un senso di vera fratellanza, di pace evangelica, verso tutti gli uomini di buona fede, che vi diran- no: noi siamo qui per correre la stessa vita, noi esigiamo fatti, non date.174

Si può notare, anche in questo passaggio, l‘uso di un linguaggio metaforico di carattere religioso; il principio della tolleranza per tutti coloro che si convertono alla fede repub- blicana, senza avanzare dubbi sulla loro sincerità, è l‘atteggiamento da adottare all‘interno di una Repubblica per evitare dissidi interni che derivano dal sospetto reci- proco. Sembra che con queste parole Mazzini applichi il meccanismo della conversione alla dimensione politica.

Attraverso l‘uso generalizzato di un linguaggio di stampo religioso, e in particolar modo di riferimenti e metafore tratte dalla retorica cristiana, tutto il discorso inserisce il re- pubblicanesimo in una dimensione religiosa, ed offre una visione del mondo politico come realtà dominata dall‘antitesi repubblicani/non repubblicano, dove al termine ―re- pubblicano‖ si attribuisce un giudizio di valore; esso viene infatti collocato all‘interno di una dimensione etica in cui si posiziona nell‘area del ―giusto‖. In tal modo si introdu- ce un criterio assolutizzante e discriminante che agisce, in ambito politico, in maniera analoga alla distinzione fedele/infedele propria dell‘ambito religioso.

Un‘altra parte interessante del discorso è quella in cui Mazzini si pronuncia contro una certa rappresentazione della forma di governo repubblicana, rifiutando, in particolare, l‘idea di sintetizzare il sistema democratico nella pratica della lotta politica tra partiti avversi:

Noi vogliamo fondare la Repubblica. E per Repubblica noi non intendiamo una mera forma di governo, un nome, un‘opera di reazione da partito a partito, da partito che vince a partito vinto. Noi intendiamo un principio; intendiamo un grado di educazione conquistato dal popolo, un programma d‘educazione da svolgersi; un‘istituzione politi- ca atta a produrre un miglioramento morale. Noi intendiamo per Repubblica il sistema che deve sviluppare la libertà, l‘eguaglianza, l‘associazione; la libertà, e per conse- guenza ogni pacifico sviluppo d‘idee, quando anche differisse in qualche parte dal no- stro: l‘uguaglianza, e però non possiamo ammettere caste politiche da sostituirsi alle vecchie caste sparite: l‘associazione; cioè un pieno consenso di tutte le forze vitali della

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nazione, un pieno consenso della universalità, per quanto può aversi, dei cittadini, del popolo.175

In questo passaggio emerge un elemento fondamentale del pensiero mazziniano, ossia l‘attribuzione di una funzione morale e di un carattere educativo al governo repubblica- no. Si tratta di un‘idea che, come si è già visto, ha una grande diffusione all‘interno dell‘Assemblea, e che viene sviluppata particolarmente da Agostini, che del resto è un mazziniano; quest‘ultimo, con la sua cospicua partecipazione all‘attività legislativa e costituzionale dell‘Assemblea, renderà questo tipo di visione centrale nella retorica del- la Repubblica romana, come vedremo meglio nel prossimo capitolo. In questo estratto tuttavia si può vedere, oltre ad un chiaro riferimento a questa concezione, anche una tendenza a minimizzare l‘importanza delle dinamiche parlamentari e della competizione democratica tra partiti, alla luce di una missione più alta attribuita alla forma di governo repubblicana, che è appunto quella educativa. Il miglioramento delle condizioni della popolazione, sia da un punto di vista materiale che spirituale, è il fine che la Repubblica ha il compito di realizzare, in ciò distinguendosi sia dalle altre forme di governo sia da un‘idea di repubblica democratica come semplice terreno di libera competizione politica. Nella parte finale del passo emerge infine quell‘aspirazione all‘unanimità che abbiamo riscontrato anche nelle parole di altri deputati; in questo caso l‘idea di una scelta unani- me e l‘auspicio che si affermi una generale concordia non si riferisce solo ai rapporti tra i deputati, come è emerso dai discorsi degli altri costituenti, ma coinvolge l‘intera popo- lazione.

Successivamente Mazzini torna a definire il suo ideale di governo repubblicano in op- posizione al modello delle monarchie costituzionali:

Noi vogliamo fondare un Governo; e per Governo non intendiamo, come i teoristi delle monarchie costituzionali, un sistema che mantenga il popolo ed il Governo stesso, un sistema che mantenga fra il popolo ed il Governo stesso un sistema di garanzie orga- nizzate, a fomento di diffidenza; noi miriamo più in alto; noi cerchiamo di giungere al- la conquista di un Governo nel quale esista armonia fra chi dirige, e chi è diretto; nel quale sia un continuo moto d‘ispirazione da Governo a popolo, da popolo a Governo; nel quale il Governo sia l‘interprete, il purificatore del voto popolare, che lo ha scelto: la mente del paese, il paese che pensa, nel quale il popolo invigilando sul Governo stesso per mantenerlo nella retta via, sia il cuore del paese il paese che opera.176

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Ivi, p. 611.

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Queste parole di Mazzini esprimono quello stesso concetto che abbiamo visto emergere nel dibattito sulla struttura istituzionale da dare alla Repubblica, quando Lizabe-Ruffoni (mazziniano) e Cernuschi rigettando l‘introduzione delle idee di separazione e bilan- ciamento dei poteri nel testo costituzionale in nome di una concezione, analoga a quella espressa qui da Mazzini, che vede in questi sistemi i sintomi di un sentimento di diffi- denza esistente tra il popolo e i governanti. Nella tipo di rapporto che si instaura tra la popolazione e le istituzioni Mazzini individua l‘elemento che distingue il governo re- pubblicano da quello monarchico. Da un lato troviamo, infatti, le monarchie costituzio- nali per le quali le garanzie costituzionali diventano necessarie al fine di conservare la fiducia del popolo nei confronti dei governanti; dall‘altro lato invece la società repub- blicana è caratterizzata da una profonda armonia tra le istituzioni e la popolazione, che diventano i due termini di un binomio vitale per la sopravvivenza dello Stato. L‘armonia tra le due parti di questo binomio nasce da una precisa diversificazione delle funzioni, derivante a sua volta, da una distinzione di capacità: se agli uomini di governo è riconosciuto il predominio nelle attività razionali, il popolo è visto come il detentore di una superiore capacità emotiva, che lo guida nella scelta dei propri rappresentanti. E a tal proposito risulta chiarificatrice la riflessione di Belardelli, che, analizzando il concet- to di elite politica nel pensiero di Mazzini, afferma: «Mazzini accettava il suffragio uni- versale solo come manifestazione dell‘unanimità, come rito della religione nazionale durante il quale il popolo rigenerato dai cittadini virtuosi avrebbe mostrato la comunan- za di sentimenti ed idee con le proprie guide […]»177. Proponendo una sorta di gerarchia capacitaria, Mazzini colloca dunque il popolo in una posizione di inferiorità intellettuale rispetto all‘elite di governo, che ha il compito di guidare il popolo e formarne il caratte- re. Il tutto nell‘ottica di una comunione ideologica che tende all‘unanimità, la cui impor- tanza all‘interno di un sistema repubblicano viene spiegata da Mazzini in questo passo successivo:

[…] quando l‘unica speranza del partito avverso al principio repubblicano è quella di dire: vi proveremo l‘impossibilità del principio, vi proveremo che lo Stato repubblica- no non può sussistere dieci mesi, dieci giorni senza tormentarsi di gare interne, noi siamo incaricati di dare una mentita all‘accusa. Noi dobbiamo cancellarla per sempre confondendoci tutti nella coscienza d‘una missione, in un patto solenne di concordia e

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G. Belardelli, “Genio” e “virtù”: ruolo delle minoranze e suffragio universale in Mazzini, in C. Carini (a cura di), La rappresentanza politica in Europa tra Otto e Novecento, Centro editoriale toscano, Firenze, 1993, p. 32.

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d‘amore. Tollerantissimi di quanto ha preceduto l‘impianto della nostra Repubblica, di tutto ciò che può aver appartenuto a un ordine meno inoltrato di idee, uniamoci tutti nell‘avvenire; proviamo al mondo e all‘Italia che noi possiamo farci in brevissimo tempo migliori; presentiamo ai popoli uno spettacolo di pace e di fratellanza superiore a quello che presentano le Assemblee della monarchia.178

Si presenta in maniera chiara, in questo passaggio, uno dei fantasmi che tormentano il movimento democratico - repubblicano: l‘incubo dei dissidi interni. Secondo Mazzini è necessario dimostrare che la Repubblica non può cadere a causa di essi, mostrando