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L'esperienza dell'autoriferimento: Niklas Luhmann e la teoria dei sistemi sociali

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UNIVERSITA’ DI PISA – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE

SCUOLA DI DOTTORATO IN FILOSOFIA

Ciclo XXX

Tesi di Dottorato

L’esperienza dell’autoriferimento: Niklas Luhmann e la teoria dei

sistemi sociali

Candidato Relatore

Biagio Sarnataro Prof. A.M. Iacono

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6 Indice

Introduzione:

La filosofia, il materialismo storico e lo sviluppo di strutture normative 5

Capitolo primo: La chiusura operativa. Analisi funzionale e teoria dei sistemi I.I. Primo tentativo di dispiegamento della tautologia propria della strategia conoscitiva. Che cos’è una spiegazione funzionale? 23

II.I. Complessità e funzioni 25

III.I. La causalità è una forma di selettività: le equivalenze funzionali 28

IV.I. Osservazione e decisione 34

V.I. La relatività ontologica dei sistemi 42

VI.I. La sociologia come teoria dei sistemi sociali 48

VII.I. Riproposizione della domanda: Che cos’è l’illuminismo? 54

Capitolo secondo: «Un mutamento continuamente selezionato»: analisi dei fondamenti della teoria dei sistemi sociali I.II. Senso e negazione 67

II.II. Autopoiesi: uso «meta-biologico» o «denominazione funzionale generale»? 72

III.II. La sfida della complessità: i vincoli e le possibilità 76

IV.II. Osservare un sistema in atto 80

V.II. Il tempo e la sua struttura 86

VI.II. La differenza sistema/ambiente: una estensione della logica bivalente 88

VII.II. Doppia contingenza, interpenetrazione, comunicazione: i sistemi sociali 92

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7 IX.II. Latenza, contraddizione, conflitto. Una lettura funzional-strutturalistica della dialettica

servo/padrone 102

X.II. Interazione e organizzazione 108

Capitolo terzo: Orientarsi ai problemi: il caso del «potere politico» e della «società civile» I.III. Come è possibile l’ordine sociale? Epistemologia e sociologia 113

II.III. Il potere politico: I.II.III. Critica dei presupposti di una teoria causalistica del potere 115

II.II.III. Autonomia del sistema politico 120

III.II.III. Il potere come mezzo di comunicazione 123

IV.II.III. Codici del politico 126

III.III. La società civile: I.III.III. Non una «logica specifica dell’oggetto specifico» 131

II.III.III. Scarsità e denaro 133

III.III.III. Autonomia del sistema economico 140

Capitolo quarto: «The Radical Luhmann» I.IV. I tre aspetti preponderanti di un radicalismo (non così) nascosto 145

II.IV. Anti-umanismo 147

III.IV. Costruttivismo 152

IV.IV. Ecologismo 155

V.IV. A cosa serve la ricerca dei sistemi sociali: Habermas contro Luhmann, Luhmann contro Habermas 158

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8 Capitolo quinto:

Sociologia del sapere sociale e capitalismo

I.V. Come si concepisce la società moderna? 175

II.V. Connessioni 181

III.V. Storicismo e funzionalismo nell’ Introduzione del ’57 di Marx 182

IV.V. Localizzazioni 201

Conclusione: Le conseguenze dell’autoriferimento sulla teoria della conoscenza. Meccanismi riflessivi e mondi intermedi 207

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Sapete com’è, ogni moto dell’anima si accompagna a una duplicità, o almeno ‘una duplicità’ è la formula consueta per designare uno dei mille piani della questione… ad ogni modo, anche nell’essere grati a qualcosa o a qualcuno succede quanto detto: un ringraziamento prescrive un forma di bilancio, o viceversa, quando ci si fa lo scrupolo di farsi un bilancio è questo poi ad indicare la forma della gratitudine, qualche volta per darsi un tono, per assumere una posa, ma anche, direi, per non lasciare alla distanza del vissuto la provenienza dei propri pronunciamenti, dei propri atti, delle proprie omissioni, quella provenienza che Heidegger diceva d’essere già da

sempre futuro. Allora qui l’affare diverrebbe insostenibile, non fosse altro perché più che il dire sarebbe il riuscire a

descrive, anche solo per un po’, la propria bolla di carico, l’essere detti, collocarsi riflessivamente lì dove già ci si trova, pima di riuscire a prendere parte, prima di proferir parola o dell’appuntare segno, e, nel caso di cui si tratta, prima di rendere chiaro e distinto il motivo di tale ringraziare, del dirsi grati, dell’essere detti dalla gratitudine. Io vorrei porre questo elaborato di tesi sotto il nume benefico di nonna Pina. Tutte le volte che mi accade qualcosa di fortunato, come si dice, tipo trovare parcheggio sotto casa, cioè proprio sotto casa, oppure quando scendi di casa di Natalie alle 7.30 di mercoledì perché a San Martino c’è mercato e la sera prima te ne sei dimenticato e allora sbuchi sempre con Natalie che nonostante la sto accompagnando all’ospedale a Cisanello è sempre così piena di grazia dal vicolo del Leningrad che la municipale è arrivata a multare la macchina prima della tua davanti a GAP, io ringrazio nonna Pina. Inoltre la dedico a Marianna. Perché siamo sempre sul punto di farcela. Non ti ho mai fatto un regalo buono, questo lo metto tra quelli.

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5 Introduzione:

La filosofia, il materialismo storico e lo sviluppo di strutture normative

L’esperienza della forza emancipativa che la riflessione dischiude al soggetto, nella misura in cui questi ne diventa cosciente, è l’esperienza che sta alla base di ogni sviluppo della filosofia sistematica tedesca, per come la si è conosciuta almeno a partire dalla rivoluzione copernicana1 di

Kant, e per come si può giudicare il lascito normativo di ogni scienza dell’esperienza della coscienza2

successiva. Tuttavia, dopo un’intera stagione di “crisi della razionalità”3 è stato possibile

1 Cfr. E. Bencivenga, La rivoluzione copernicana di Kant, a cura di Alberto Jori, Bollati Boringhieri, Torino 2000. Oppure: F.L.

Cross, Kant’s so-called copernican revolution, http://mind.oxfordjournals.org/ at University of California, San Diego an September 12, 2015; J.E. Green, Kant’s Copernican revolution. The transcendental horizon, University America, New York 1997. Ma anche “la rivoluzione nella maniera di pensare”, ovvero il modo di Cassirer di riferirsi a Kant, cfr. E. Cassirer, La filosofia delle forme simboliche, tr. it. Eraldo Arnaud, La Nuova Italia, Firenze 1965, vol.1, p. 10 e segg.

2 La possibilità di trovare un rigoroso ponte interpretativo che leghi la Fenomenologia dello Spirito hegeliana e la Crisi delle scienze

europee di Husserl, cosa che dovrebbe in un certo senso legittimare il nostro uso del sottotitolo dell’opera di Hegel al plurale, non è un fatto scontato. Anzi, come scrive A. Ferrarin: «Per una storiografia alla ricerca di influenze documentabili, filiazioni, assimilazioni e derivazioni che tema di divagare quando si trascendano i contesti storici e quando si sollevino questioni che non siano già riconoscibili come inscritte nei testi che consideriamo, poco sembra più futile di un’analisi comparata di Hegel e Husserl: non sembra qui esserci spazio per un dialogo. A parte puntate occasionali, del resto, veri e propri dialoghi tra hegeliani e husserliani, cioè confronti non unilaterali o prevenuti in cui si sia già deciso da che parte stare, non riempiono che una parte trascurabile di uno scaffale. Il modo frusto e incolore in cui Husserl dipinge una caricatura di Hegel è segno della sua indifferenza e ignoranza, mentre a loro volta gli hegeliani sembrano poco interessati a rileggere Hegel alla luce della fenomenologia o a imparare qualcosa da quanto ai loro occhi non è che l’ennesima forma di idealismo soggettivo». Eppure, come poi continua: «Nella Prefazione al volume Hegel e la fenomenologia trascendentale, notando come i pur fruttuosi confronti teorici tra dialettica e fenomenologia che il Novecento ci ha lasciato non abbiano fatto né scuola né breccia nei pregiudizi reciprocamente ostili dei rispettivi fronti, parlavo di come stessero cambiando i tempi[…]». Ferrarin scrive queste parole nella Prefazione a un testo che rappresenta, a suo dire, uno dei modi più concreti e tempestivi per segnalare questo rinnovato interesse di ricerca storiografica e filosofica, ovvero oltre allo Hegel e la fenomenologia trascendentale, a cura di Danilo Manca, Elisa Magrì e Alfredo Ferrarin, ETS, Pisa, 2015, al quale pure si rimanda, si tenga in considerazione, proprio in virtù dell’analisi del concetto di Erfahrung e di esperienza della ragione che qui viene svolgendosi, il libro prefatto da Ferrarin, ovvero: Danilo Manca, Esperienza della ragione. Hegel e Husserl in dialogo, ETS, Pisa, 2017.

3 Riguardo al senso che si può attribuire all’espressione, rimando diretto – per le cose che veniamo dicendo in questo incipit –

è di certo il testo di G. Lukács, La distruzione della ragione, 2 voll., Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2011. L’inesistenza di Weltanschauung innocenti e, dall’altro lato, il problema della coppia irrazionalismo/imperialismo come via tedesca ad Hitler nel campo filosofico, tuttavia, colpiscono, in generale, non soltanto un modello “puro” di Vernunft: ‘Critica’ è anche la situazione interna all’autoriflessione della cultura europea, una crisi, cioè, della ragione storica, per come si può leggere, ad esempio, nel testo di L. Calabi, La filosofia della storia come problema. Karl Löwith tra Heidegger e Rosenzweig, oppure, dello stesso autore, nell’intervista: https://karllowith.jimdo.com/l%C3%B6withiana/1-interviste-italiane/lorenzo-calabi/. Il problema della costituzione del soggetto della storia, di modelli di scientificità, la riproposizione filosofica dello schema newtoniano di spiegazione dei fenomeni in analogia alla natura, così come la disfatta o anche il naufragio di questi, come è ben descritto da H. Blumemberg in Naufragio con spettatore: paradigma di una metafora dell’esistenza, Il Mulino, Bologna, 1985, per cui, nella costellazione ideale della Bildung, propria dell’universo di discorso filosofico trascendentale, idealistico, romantico e fenomenologico, è evidente il richiamo al «massimo problema» dell’ Idea di storia universale da un punto di vista cosmopolitico, cfr. I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmpolitico, in I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, a c. di F. Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, 1995, e alla «rovina» della Prolusione schilleriana del 1789, cfr. F. Schiller, Che cosa significa storia universale e per quale fine la sistudia? Una prolusione accademica, in F. Schiller, Lezioni di filosofia della storia, introduzione, traduzione e cura di Lorenzo Calabi, Edizioni ETS, Pisa, 2012, e che rappresenta quel disagio nella civiltà, si può aggiungere, in der Kultur, che si mantiene vivido e ancora carico di conseguenze in Freud, nel testo del 1929, cfr. S. Freud, Il disagio nella civiltà, a cura di Stefano Mistura, Einaudi, Torino, 2010, che fu anche motivo di dissidio negli affari della famiglia Mann, ponendosi alla base della diatriba tra i fratelli Heinrich e Thomas, mostra una conciliazione mancata, una conciliazione non avvenuta all’interno della configurazione spirituale del vecchio continente tra Zivilization e, appunto, Kultur, cfr. T. Mann, Considerazioni di un

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6 affermare come il patrimonio filosofico consegnatoci da questa complessa tradizione abbia prodotto sia un coraggioso radicalismo dello spirito, il potenziale esplosivo di una critica fondata alla propria epoca, sia, al contempo, la permanente possibilità della dismissione dei propri principi fondativi. Concepire la vitale relazione che sussiste tra il mondo del pensiero e il mondo dell’azione, tra costituzione delle idee e costruzione della realtà statuale e sociale4, ha

significato, talvolta, lasciarsi stordire dal pathos dell’assoluto5, credersi padroni dell’assoluto. In

Verità e giustificazione6 Habermas espone ed affronta gli effetti di questa situazione, affermando

che la filosofia si trova oramai ad oscillare tra l’impossibilità di tollerare alcun concetto enfatico di verità e l’incapacità di esibirne uno suo proprio in forma canonica7.

impolitico, a cura di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, Adelphi Edizioni, Milano, 2005. Rispetto a questa modernità che si concepisce come epoca, la critica comincia già subito dopo Hegel, in Feuerbach, in Marx, in Nietzsche, e negli autori esaminati da Raymond Aron, vicini – nonostante gli effetti e le autodecrizioni - a quelli che Löwith definisce “i dissolutori dell’universale”, ovvero Scheler, Heidegger e Schmitt. Ordine di problemi, se si resta a questo Löwith, ben spiegati anche da Habermas, cfr. J. Habermas Karl Löwith. La rinuncia stoica alla coscienza storica , in Idem, Profili politico-filosofici, tr. it. a c. di L. Ceppa, Milano, Guerini e Associati, 2000. Una dismissione dell’universale proprio nel luogo della sua originaria emersione e che domina, si può aggiungere, la coscienza europea nonostante la conciliazione tentata da Hans Jonas nel suo Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il Melangolo, Genova, 1997 (cfr., da ultimo, sul tema specifico, sebbene con una visione antitetica alla nostra, F. Fossa, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Hans Jonas e la gnosi, ETS, Pisa 2014). Ma ‘crisi della ragione’ rappresenta anche la crisi di un modello di razionalità, di verità, di giustificazione e di legittimazione, un cambiamento di paradigma che dipende, intanto, per dirla à la Rorty, dal liguistic turn, dalla crisi del fondazionalismo in matematica, per cui, tra gli altri, si può rimandare a AA.VV, Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, a cura di A. G. Gargani, Einaudi, Torino, 1979; ma poi anche J. Habermas, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Laterza, Bari, 1975. Le istanze inalienabili della liguisticità, della schiusura linguistica, si intrecciano con il tentativo critico di rinvenire componenti semantiche e fattori epistemologici che restituiscano, in questa crisi dei fondamenti e delle condotte di vita, una normatività sia in processi cognitivi che comunicativi. Il programma di Habermas coincide con questa possibilità, ad esempio, col tentativo di un controllo ermeneutico dei fatti e delle norme che emergono nella prassi quotidiana di vita. L’ambito di problematicità appena accennato, così come il tentativo di Habermas di trovare, ancora una volta, una soluzione all’interno del canone trascendentale, rappresentano il contesto, a volte esplicito, altre volte meno, ma costantemente richiamato, dal quale parte – e per cui resta orientato – il presente elaborato di tesi.

4 Rettore dell’Università di Berlino – il primo e unico rettore di origine ebraica in Germania, prima del secondo dopoguerra

– Ernst Cassirer così esordì nel discorso che venne chiamato a pronunciare l’ 11 agosto del 1928, in occasione del decimo anniversario della fondazione della Repubblica di Weimar, dal titolo paradigmatico di Die Idee der republikanischen Verfassung: «Signore e Signori!

Nell’invito a parlare dinanzi a loro, in questo giorno festoso, che il Senato di Amburgo mi ha fatto l’onore di rivolgermi, se l’intendo correttamente, si esprime un convincimento generale: il convincimento cioè che i grandi problemi storico-sociali che dominano e agitano il nostro presente non possano essere semplicemente sparati da quelle generalissime questioni fondamentali dello spirito che la filosofia sistematica si pone e la cui soluzione essa ha cercato incessantemente nel corso della sua storia. Non si tratta di due forze eterogenee, per non dire ostili, che si contrappongono l’una all’altra; si presenta piuttosto ovunque una vitale azione reciproca tra il mondo del pensiero e il mondo dell’azione, tra la costruzione delle idee e la costruzione della realtà statuale e sociale», cfr. E. Cassirer, L’idea di costituzione repubblicana, a cura di Renato Pettoello, Morcelliana, Brescia, 2013, p. 33.

5 I termini e il modo di segnalare il problema appartengono a F.W. Nietzsche. Cfr. F.W. Nietzsche, Su verità e menzogna in

senso extramorale, e Sul pathos della verità, in Id. La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti 1870-1873, trad.it. di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 2006, rispettivamente pp. 227-244, e pp. 83-89. Sull’importanza che questo testo riveste per temi come quello dello statuto di verità dei concetti, della centralità del pensiero simbolico, del prospettivismo e della importanza ineludibile della metafora, proprio quando si parla di conoscenza, si rimanda a A.M. Iacono, L’illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare, Bruno Mondadori, Milano-Torino, 2010, in particolare pp. 127-145.

6 J. Habermas, Verità e giustificazione, trad.it. di Mario Carpitella, Laterza,Bari, 2001.

7 Sottratta all’autosservazione introspettiva di tipo cartesiano, ha osservato Habermas, l’esperienza filosofica di un

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7 Se si vuole continuare a intendere per filosofia la forma più radicale di autoriflessione possibile in una data epoca, diventa decisivo chiedersi – con Habermas, intanto – in quale nuovo elemento debba fare ingresso il filosofare8, perché la filosofia non resti relegata a funzioni di

rischiaramento dei fondamenti razionali dell’esperienza e del giudizio, dell’azione e dell’intesa

reciproca, da un lato, e, per altro verso, per non limitarne il compito a quello di una scienza

punto di vista di un attore coinvolto. Il mentalismo viveva del ‘mito del dato’; dopo la svolta linguistica ci è inibita una presa linguisticamente immediata su una realtà interna o esterna. La presunta immediatezza delle impressioni sensoriali non funge più da infallibile istanza d’appello», ivi. p. 16; ovvero: «All’accertamento autoriflessivo di una soggettività attiva in foro interno, al di là dello spazio e del tempo, subentra, allora, l’esplicarsi di un sapere che è di natura pratica e mette soggetti capaci di linguaggio e di azione in grado di partecipare a siffatte pratiche superiori e di fornire prestazioni corrispondenti [...]. Nella visuale pragmatista le ‘conoscenze’ risultano dalla rielaborazione intelligente di delusioni esperite performativamente» cfr. ivi, pp. 15 e 17.

8 Questo è sicuramente un problema che investe la filosofia come professione a partire dai modi di disporsi nei riguardi della

pesante eredità hegeliana. Non c’è pensatore che conti nel passato secolo che non si sia posto la questione di un affrancamento critico o di una continuazione nel solco della dialettica hegeliana, altrettanto critica, si può dire. «Quella hegeliana – infatti, scrive Lorenzo Calabi – è stata piuttosto il termine di confronto, la prova della possibilità stessa del filosofare nell’epoca contemporanea», e non a caso queste parole si trovano in apertura del suo ultimo lavoro di traduzione filosofica, dedicato a un importante capitolo della storia delle interpretazioni hegeliane del ‘900, e che segna un punto di notevole importanza – storiografica e filosofica – rispetto al nodo tematico a cui stiamo alludendo. Interpretazioni che, per ciò detto, non riguardano mai soltanto un capitolo della storiografia del pensiero, ma si estendono, quando si tratta di Hegel, alle condizioni di possibilità stesse del filosofare. Cfr. L. Calabi, Prefazione, in J. Hyppolite, Introduzione alla filosofia della storia di Hegel, a c. di e tr.it. di Lorenzo Calabi, ETS, Pisa 2016, p.8, mentre per l’idea di traduzione, si rimanda ivi pp.17-24. La centralità della figura di Hyppolite, alla luce del lavoro di Calabi e della sapiente tessitura del contesto in cui questa centralità viene dispiegata, assume una nuova e interessante articolazione: «Per rappresentarsi, pur solo in essenza, il complesso, la ricchezza e l’innovatività della sua opera di studioso e di docente bisognerebbe forse – aggiunge Calabi – riprodurre per intero le pagine conclusive de L’odre du discours, quella Lezione Inaugurale tenuta nel dicembre del 1970 suo successore nell’insegnamento al Collège de France […]». Il nodo teoretico e storico, anche editoriale – cfr. ivi pp. 10-11 – riguarda la fondata possibilità di presentare un Hegel già da subito filosofo della storia, sottraendolo all’inquadramento sotto la titolatura di “teologo”, che ripete, appunto, il titolo – classico per la sistemazione bibliografica delle opere di Hegel – di “Scritti teologici giovanili”. Hegel, a differenza di Shelling, Fichte, Kant, «rimane invece molto vicino al “concreto”; e il concreto sono per lui la vita dei popoli, lo spirito dell’Ebraismo e del Cristianesimo […] per affrontare con una strumentazione adeguata il proprio oggetto, la vita umana quale gli si presenta nella storia. Le preoccupazioni di Hegel sono anche di ordine pratico. Sotto l’influenza della Rivoluzione Francese – che lo ha per un momento entusiasmato, come ha entusiasmato quasi tutti i suoi contemporanei – egli pensa a delle riforme concrete destinate a ridare la “vita”, una vita unitaria, a un territorio “che non è più uno Stato”», cfr., ivi pp.12-13. Il problema di una Verfassung, di una forma politica all’altezza dei tempi, al di là del conflitto delle facoltà, di progetti di pace perpetua, e che pone il problema del suo rapporto con l’intendimento filosofico della religione, con una religione positiva e la religione popolare che non sia più una estensione della ragion pura pratica, secondo la quale bisogna ammettere che la morale conduce necessariamente alla religione, è la forma di un sapere che si candida ad essere presupposto di ogni altro sapere che voglia rendere, nel pensiero, la concretezza effettiva della rappresentazione di quel legno storto che è l’uomo. L’operazione teorica di Hyppolite, e anche di Calabi che propone questa traduzione delle lezioni del filosofo francese, e che, come si legge, viene raccolta in essenza dal successore Foucault, dipende da questa possibilità che la filosofia deve, in quanto può, concedersi. Nelle parole di Foucault questo vuol dire che l’hegelismo di Hyppolite, concepito come uno schema d’esperienza della modernità, ci presenta una filosofia che «doveva sempre tenersi discosta, rompere colle sue generalità acquisite e rimettersi in contatto con la non-filosofia; essa doveva accostarsi quanto più possibile non a ciò che la conclude, ma a ciò che la precede, a ciò che non si è ancora destato alla sua inquietudine; essa doveva riprenderle per pensarle, non per ridurle, la singolarità della storia, le razionalità regionali della scienza, la profondità della memoria della coscienza; appare così il tema della filosofia presente, inquieta, mobile lungo tutta la sua linea di contatto con la filosofia, non esistendo tuttavia che grazie ad essa e rivelando il senso che questa non-filosofia ha per noi», M. Foucault, L’ordine del discorso, e altri interventi, tr.it. di Alessandro Fontana, Mauro Bertani e Valeria Zini, Einaudi, Torino 2004, pp. 38-39.

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8 ermeneutica di statuto riflessivo, qualora si prendesse la briga – e chissà quante mortificazioni – di mediare tra la scienza e le prassi-di-vita9.

Secondo Habermas esiste un nesso logico e storico, nonché una dinamica psicologica, che lega lo sviluppo della coscienza morale – l’accesso alla dimensione più astratta e universale concepibile per un pensatore che si muove all’interno dell’universo filosofico kantiano – all’emersione di strutture normative. Tale nesso si esprime nei termini di una progressiva

universalizzazione e interiorizzazione dei sistemi di valori, tale che, scrive Habermas in un saggio del

1970, dedicato alla esposizione critica dell’etica biologica di Gehlen10, «Il livello più alto della

coscienza morale coniuga l’ universale validità delle norme con una estrema individualizzazione degli attori»11, sennonché, come sostiene nel seguito, anche queste forze erette interiormente

dall’universale astratto rimangono come un che di esteriore rispetto all’individuo. Da Hegel in avanti, si può aggiungere, questo fenomeno non dovrebbe causare eccessivi problemi all’analisi: l’interiorizzazione non è in grado di per sé di realizzare l’individuazione, ossia la «conciliazione di universale e particolare. Essa rende ragione al momento di indipendenza da ogni potere esterno, tuttavia, se volesse agire in maniera ragionevole e non soltanto ciecamente autoritaria, questa forza interna non dovrebbe più essere caratterizzata dalla dignità quasi ontologica di un legislatore intellegibile, posto “più in alto” della comunicazione reale dei soggetti agenti»12.

Una giustificazione razionale deve essere ricercata nella comunicazione reale dei soggetti agenti, all’interno del «processo pubblico di formazione delle volontà che si subordini al principio della comunicazione illimitata e del libero [herrschaftsfrei] consenso»13. Il corrispettivo fondamento è

possibile determinarlo nella struttura immanente del discorso possibile14. In un contesto teorico

9 Cfr. J. Habermas, La funzione vicaria e interpretativa della filosofia, in Id., Etica del discorso, a cura di Emilio Agazzi, Laterza,

Roma-Bari, 2015, pp. 5-23.

10 Cfr. J. Habermas, Arnold Gehlen 2. Sostanzialità contraffatta, in Id., Profili politico-filosofici, a cura di Leonardo Ceppa, Guerini e

Associati, Napoli, 2000, pp. 79-98.

11 Ivi, p. 87. 12 Ivi, pp. 87-88. 13 Ivi, p. 88.

14 La situazione comunicativa ideale dipende dalla determinazione intramondana di legittimità, a partire dalla prassi di vita

quotidiana, tale che: «Il discorso può essere inteso come quella forma di comunicazione libera dall’esperienza e sgravata dall’azione, la cui struttura assicura che oggetto della discussione sono unicamente pretese di validità virtualizzate di affermazioni oppure di suggerimenti o ammonizioni; che partecipanti, temi e contributi non vengano limitati […]; che non venga esercitata costrizione, eccetto quella dell’argomento migliore; che di conseguenza sono esclusi tutti i motivi eccetto quelli della ricerca cooperativa della verità», cfr. J. Habermas, La crisi della razionalità, cit., p. 119. La questione rappresenta uno dei lasciti filosofici più propri della speculazione habermasiana, la traccia e il senso delle sue opere più innovative: una bibliografia completa dei rimandi non ci interessa in questo luogo; non a caso, infatti, si è presa la citazione in un luogo che non sembra immediatamente il più indicato. Tuttavia, per il nesso interno che la razionalità comunicativa stabilisce kantianamente tra diritto, politica e morale, mediante il quale il punto di vista morale viene stabilizzato all’interno delle

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9 post-metafisico15, così come viene caratterizzato da Habermas, la pragmatica formale16 è

utilizzata in quanto analisi della comunicazione tra individui, e assume la funzione di prolegomeni ad ogni futura identità che voglia presentarsi come universalistica, che voglia cioè essere inclusiva dell’altro17. Secondo Habermas il pragmatismo è quell’atteggiamento teorico che si

fonda sull’idea che l’ultima forma possibile di trascendenza sia quella deducibile a partire dalla validità pratica, immanente al mondo e alla prassi comunicativa e proveniente dal contesto normativo che emerge nella discorsività propria della prassi quotidiana di vita.

Tuttavia, si può vedere come le sue argomentazioni seguano un copione che è tipico delle dottrine trascendentali: dal concepimento delle condizioni di possibilità di un certo fenomeno, al fissare i limiti di questo concepire, fino alle immancabili ultime istanze. Ancora nel saggio del 1970 si legge: «Un ragionevole processo formativo della volontà dipende certo dalla comunicazione degli interessati. Ma la pretesa di decidere ragionevolmente questioni pratiche potrà collegarsi alla comunicazione ordinaria solo se quest’ultima si obbliga a rispettare i principi dell’accesso illimitato e dell’assenza di costrizioni. Così le determinazioni dell’io intelligibile ritornano come idealizzazione linguistica in cui si argomenta intorno a questioni pratiche»18, e

cioè, «In ogni comunicazione infatti […] noi pretendiamo di distinguere vero da falso»19 e però,

come volevasi dimostrare, «In ultima istanza […] l’idea di verità esige che si ricorra a un accordo che, per poter valere da index veri et falsi, dev’essere pensato come se fosse raggiungibile

procedure di produzione normativa, si guardi, tra li altri, a L. Ceppa, Legittimità tramite legalità. L’innesto habermasiano della ragion pratica nel diritto positivo (Tanner Lectures), in “Fenomenologia e società”, 1994, n. 1, p. 93 segg.

15 Cfr. J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, a cura di Marina Calloni, Laterza, Bari, 2006.

16 Habermas indica tra i vari motivi che lo portarono a distinguere il suo pensiero dalla Teoria Critica della Scuola di

Francoforte quello che va sotto il nome di ‘svolta comunicativa’, secondo cui «il mezzo categoriale per superare la carenza normativa della Teoria Critica sarebbe […] un concetto di intesa comunicativa in termini di teoria del linguaggio», come scrive Honneth, in J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione. Jürgen Habermas a colloquio con Alex Honneth, Eberhard Knödler-Bunte e Arno Widmann, in Id. Dialettica della razionalizzazione, a cura di Emilio Agazzi, Unicppoli, Milano, 1983, p. 227. L’intuizione che Habermas ha poi sviluppato largamente nella sua opera principale – cfr. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, 2 voll, a cura di G.E. Rusconi, Il Mulino, Bologna 1986 – e di cui appunto è debitore della teoria del linguaggio: «E’ l’intuizione che nella linguistica è incorporato un telos di intesa reciproca. […] Fin qui dunque va il tentativo di accertarsi di un concetto di ragione con i mezzi della pragmatica formale, cioè con i mezzi di un’analisi delle proprietà universali di un agire orientato verso l’intesa – e continua – Naturalmente, questo può essere soltanto un primo passo. Il passo successivo deve rendere applicabile a rapporti sociali, a nessi di interazione istituzionalizzati, il concetto di razionalità comunicativa», pp. 227-228. La “svolta linguistica” comporta un “mutamento di paradigma”, vale a dire dal paradigma della “filosofia della coscienza” o “del soggetto” al paradigma della “filosofia del linguaggio” o, piuttosto, dell’ “agire comunicativo”. L’abbandono della “filosofia della coscienza” comporta anche che i presupposti impliciti della riflessione filosofica, come l’idea di un soggetto che agisce in solitaria, passa a quella di un soggetto che è tale in quanto parte di un contesto intersoggettivo, strutturato linguisticamente. Sul tema, si rimanda anche a J. Habermas, Dall’ermeneutica alla pragmatica formale, in Id. Verità e giustificazione, cit. pp.61-132, e J. Habermas, La svolta pragmatica, in Id. Il pensiero post-metafisico, cit., pp. 57-133.

17 Cfr. J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, a cura di Leonardo Ceppa, Feltrinelli, Milano, 2013. 18 J. Habermas, Arnold Gehlen 2. Sostanzialità contraffatta, cit. p. 89.

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10 a partire dalle condizioni ideali di una discussione libera e illimitata»20. Si potrebbe dire, questa è

una riproposizione dell’adagio: più che la verità è la certezza della verità, in quanto indice, ad intervenire nella prassi teorica e nella razionalità della vita quotidiana, per conformare gli orientamenti e le aspettative. Poiché le forme dell’intersoggettività costituite linguisticamente determinano un ethos della reciprocità, la morale filosofica di Habermas si appella, in ultima istanza, alla pace perpetua della comunicazione possibile, soltanto che questa pace non si dà più all’interno di una “società civile” che faccia valere la legge della ragion pura pratica – come è stato per Kant21 – bensì nell’ambito di una discussione senza costrizioni né limiti, nel mondo

governato dalle regole del liberalismo di Rawls22.

Ora, a partire da tali considerazioni, la questione può essere così formulata: è possibile che una indagine, quale quella di Habermas, che arriva ad attestare che il fondamento dell’etica e della morale è qualcosa che dipende da meccanismi intramondani di apprendimento, e che tali meccanismi vengono innescati dalle simmetrie fondamentali di ogni possibile situazione dialogica, dall’ ethos della reciprocità fattosi consapevole di sé, ovvero che la radice dell’etica e della morale è nella comunicazione, che attraverso l’intersoggettività l’astratto si fa spazio nella storia, orientandola a una conciliazione sempre ulteriormente determinata, trovi come soluzione dell’antagonismo sociale una sorta di catechesi del discorso migliore, un’omeletica che formalmente si lascia intendere nei termini di una etica della relazione feconda di altre relazioni23 e

che, in questo senso, riesce ad influenzare eticamente i dispositivi di organizzazione e integrazione sociale? Il problema di Habermas sembrerebbe consistere in ciò: poiché l’identità dell’individuo, ovvero il raggio di azione che veridicamente – secondo un’adesione intima – il soggetto riesce a mettere in scena, attraverso la costituzione del suo “Io pratico”, viene a dipendere dalla comunità della comunicazione, dalle relazioni simboliche di attori individualmente interagenti, sussiste allora la necessità di garantire, sul piano comportamentale, l’integrità e il rispetto reciproco, poiché lo sviluppo della coscienza morale è legato alla profonda vulnerabilità dell’Io. L’io, inteso in questa luce, non può fare a meno di appoggiarsi a una regolazione etica

20 Ibid.

21 Cfr. I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, tr. it. di Alfredo Poggi e a c. di Marco Olivetti, Laterza, Bari 2010, p.

99-107. L’unico rimedio, si legge in queste pagine, al male radicale è la costituzione di una “società civile” che faccia valere universalmente il diritto: il diritto di ogni individuo di diventare membro di una «comunità etica», come se si trattasse del «regno di Dio sulla terra».

22 Cfr. Federica Liveriero, Habermas e Rawls: due modelli di legittimità a confronto, “Biblioteca della libertà”, LII, 2017

settembre-dicembre, n. 220, pp. 129-164.

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11 delle pratiche discorsive, affinché si formi, in generale, e perché si formi liberamente24. Neanche

il ricorso alla pragmatica formale riduce l’ambiguità che si rileva allorquando si prova a stabilire l’entità dell’elemento eticamente preminente in ogni formazione spirituale, ovvero l’ambiguità che deriva dalla difficoltà di intendere se questo elemento dipenda dalla strutturazione simbolica, dal potere normativo che ne rappresenta il nucleo, o dalla rilevanza cognitiva che esibisce un ideale morale, in quanto si fonda sul concetto di una validità discorsiva trascendentale.

Prima di appurarlo, possiamo constatare che in Habermas esiste già un metodo in grado di valutare la manifestazione e la logica di sviluppo di strutture normative: questo metodo va riconsiderato e rimesso sulla sua propria testa. In un contesto di revisione radicale dei fondamenti delle scienze sociali25, è questa l’impostazione seguita da Habermas nel proporre il

suo programma di una «ricostruzione del materialismo storico»26.

Intanto: “per la ricostruzione del materialismo storico” vuol dire non una “restaurazione”, il che significherebbe tornare a uno stadio originario irrecuperabile e ideologico, che come tutti gli stadi originari sono ricostruiti ex post, in fase di ristrutturazione identitaria; non una “rinascita” che vorrebbe dire il rinnovarsi di una tradizione appesantita dal tempo e bisognosa di aggiornamenti considerevoli. Ricostruire una teoria vuol dire ricomporre in forma nuova i concetti basilari e gli assunti fondamentali che la costituiscono, al fine di raggiungere meglio l’obiettivo che questa si era posta, premesso che – nell’attuale inattualità del suo contenuto – il suo potenziale di stimolo non sia ancora giunto ad esaurirsi27. Ricostruire il materialismo

storico, dunque, è consistito per Habermas nel raggiungere i seguenti tre obiettivi:

1) tenere la critica dell’economia politica al riparo da interpretazioni scientiste, ovvero salvare il nucleo critico della teoria marxiana contro l’oggettivismo storico dell’evoluzionismo sociale, improntato sulle idee di Engels e di Kautsky. Ciò ha significato riprendere le fondamentali

24 Cfr. J. Habermas, L’inclusione dell’altro, cit., in modo particolare la Prima parte e la Seconda parte, dedicate allo sviluppo della

coscienza morale, oppure Id., Teoria della morale, a cura di Vinci-Enzo Tota, Laterza, Bari, 1994, così come si tenga presente l’importante capitolo Giustezza contro verità. Sul senso della validità prescrittiva dei giudizi e delle norme morali, in Id., Verità e giustificazione, cit., pp.265-307. Mentre si rimanda, per la questione della forza emancipativa proveniente dall’azione simbolicamente mediata dell’agire comunicativo in una situazione intersoggettiva, tra gli altri, al saggio L’energia liberatrice della figurazione simbolica. L’eredità umanistica di Ernst Cassirer e la Biblioteca di Warburg, in Id. Dall’impressione sensibile all’espressione simbolica, tr. it. Di Carlo Mainoldi, Laterza, Bari 2009, pp. 3-26.

25 Cfr. tra gli altri, Th. W. Adorno, K. R. Popper, Dialettica e positivismo in sociologia, a cura di Heinz Maus e Friedrich

Furstenberg, Einaudi, Torino 1972; J. Habermas, Logica delle scienze sociali, tr.it. di Gabriele Bonazzi, a cura di Enzo Melandri, Il Mulino, Bologna 1970, Id., Dialettica della razionalizzazione, cit., Id., Teoria e prassi nella società tecnologica, tr.it. di Carlo Donolo, Laterza, Bari 1969, che raccoglie saggi apparsi in varie riviste e volumi, per cui si rimanda alla Nota del curatore, cfr. ivi pp. 41-42, e Id., Prassi politica e teoria critica della società, Il Mulino, Bologna 1973.

26 Cfr. J. Habermas, Per la ricostruzione del materialismo storico, a cura di Furio Cerutti, Etas Libri, Milano, 1979. 27 Cfr., ivi p.11.

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12 assunzioni storico-materialistiche sull’evoluzione sociale e interrogarle a partire dai programmi di ricerca avviati e stimolati da Freud, Durkheim, Mead, Piaget, Chomsky, perché, come già si chiedeva Benjamin nei suoi Passages, il problema riguardava la possibilità di decidere rispetto a quale sorta di conoscenza il materialismo storico fosse stato in grado di attribuirsi ancora capacità euristiche, e cioè di porre al centro dell’apprensione del proprio tempo un problema di

perspicuità28;

2) esplicitare il fondamento normativo della teoria marxiana della società: per essere teoria critica della società, una teoria doveva sfuggire alle false inferenze naturalistiche di teorie implicitamente valutative. Ciò significava che per restare fedeli al punto di vista della critica marxiana, bisognava esplicitare le basi su cui trovava fondamento ogni discorso che avesse voluto presentarsi come valido scientificamente. Questa pretesa di validità Habermas ha potuto declinarla secondo quattro livelli diversi di comunicazione:

- comprensibilità dell’espressione simbolica; - verità del contenuto proposizionale; - veridicità dell’esternazione intenzionale;

- giustezza dell’atto linguistico in riferimento a norme e valori ritenuti validi.

In questa articolata pretesa di validità, la teoria della comunicazione scorge una “pretesa della ragione” che dev’essere riconosciuta dovunque e ogni volta che si voglia agire consensualmente. Se questo modo di intendere il fondamento normativo della teoria marxiana può essere accusato di idealismo, bisogna allora dire che esso riguarda le condizioni di riproduzione di un

genere – il genere umano disposto intersoggettivamente – che deve conservare la propria vita

tramite lavoro ed interazione, e, cioè, anche in forza di proposizioni capaci di verità e di norme che abbisognano di giustificazione. Il che significa: i rapporti di produzione agiscono sulle forze di produzione più di quanto non avvenga il contrario, ovvero che l’astratto, le forme incielate di cui parla Marx29, dominano perché a loro spetta il dominio sul concreto da cui emergono;

28 Cfr. W. Benjamin, I «Passages» di Parigi, a cura di Rudolf Tiedemann, p. 515: «Un problema centrale del materialismo

storico che andrebbe finalmente riconosciuto: la comprensione marxista della storia si acquista necessariamente a prezzo della perspicuità della storia stessa? Oppure: per quale via è possibile collegare un incremento della perspicuità con l’applicazione del metodo marxista? – e il suo particolar modo di “non dire nulla” attraverso il fantasmagorico e critico montaggio letterario - La prima tappa di questo cammino consisterà nell’adottare nella storia il principio del montaggio […] nello scoprire, anzi, nell’analisi del piccolo momento singolo il cristallo dell’accadere totale […] Nella struttura – teologica, aggiungiamo noi – del commento».

29 Come si può leggere nella importante nota metodologica che si trova nel primo Libro de Il capitale: «Una storia critica della

tecnologia dimostrerebbe, in genere, quanto piccola sia la parte d'un singolo individuo in un’invenzione qualsiasi del secolo XVIII. Finora tale opera non esiste. Il Darwin ha diretto l'interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi vegetali e animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita eguale

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13 3) «lavoro e interazione»30 significa che mentre Marx ha localizzato i processi di apprendimento

evolutivamente determinanti, in quanto avviano ondate epocali di sviluppo, nella dimensione del pensiero oggettivante, del sapere tecnico ed organizzativo, nell’agire strumentale e strategico delle forze produttive, Habermas allarga il fronte – sulla scorta di un ritorno motivante a Hegel – alla dimensione del convincimento morale, del sapere pratico, dell’agire comunicativo e della regolamentazione consensuale dei conflitti di azione. Tali processi di apprendimento dipendono dalla dinamica intrinseca ai modelli strutturali che si dispongono secondo una logica di sviluppo immanente alle tradizioni culturali e al mutamento istituzionale. A tal proposito Habermas parla di strutture di razionalità che si cristallizzano in immagini del mondo, idee morali, formazioni di identità, o anche in istituzioni e norme giurisprudenziali. Il mutamento di strutture normative rimane dipendente sia dalle sfide evolutive rappresentate da problemi sistemici irrisolti ed economicamente condizionati, sia dai processi di apprendimento che sono la risposta a tali sfide. Ecco perché può allora sostenere: «La risposta descrittiva del materialismo storico dice: attraverso conflitti sociali, attraverso la lotta, attraverso movimenti sociali e scontri politici (che, nelle condizioni di una struttura classista, possono essere analizzati come lotte di classe). Ma solo la risposta analitica può spiegare perché una società compia un passo evolutivo e come si debba intendere il fatto che le lotte sociali portino, in determinate condizioni, ad una nuova forma di integrazione sociale e quindi ad un nuovo livello di sviluppo della società»31, perché «il

genere apprende non solo nella dimensione – decisiva per il dispiegamento delle forze produttive – del sapere tecnicamente valorizzabile, ma anche nella dimensione – determinante per le strutture di interazione – della coscienza pratico-morale. Le regole dell’agire comunicativo si sviluppano in relazione a mutamenti nell’ambito dell’agire strumentale e strategico, ma nel farlo seguono una logica propria»32.

attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell'uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare? E non sarebbe più facile da fare, poiché, come dice il Vico, la storia dell’umanità si distingue dalla storia naturale per il fatto che noi abbiamo fatto l'una e non abbiamo fatto l’altra? La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali e delle idee dell’intelletto che ne scaturiscono. Neppure una storia delle religioni, in qualsiasi modo eseguita, che faccia astrazione da questa base materiale, è critica. Di fatto è molto più facile trovare mediante analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose che, viceversa, dedurre dai rapporti reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico», cfr. Karl Marx, Il capitale. Libro primo, tr. it. Di Delio Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1964, p. 414n.

30 Come si sa almeno a partire da J. Habermas, Lavoro e interazione. Osservazioni sulla filosofia dello Spirito Jenese di Hegel, tr.it. di

Maria Grazia Meriggi, Feltrinelli, Milano, 1975.

31 J. Habermas, Per la ricostruzione del materialismo storico, cit., p. 121. 32 Ibid.

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14 Nella integrazione operata da Habermas si vede come il rapporto di formazione della struttura e dell’articolazione della sovrastruttura possa essere indagato partire dall’analisi della teoria dell’agire comunicativo, così da poter fornire un valido contributo all’approfondimento e al ri-orientamento del materialismo storico.

Secondo Habermas il materialismo storico è la teoria che tratta più scientificamente il problema dell’evoluzione sociale, di cui Das Kapital è soltanto una parte. La teoria del materialismo storico può essere riesposta secondo due concetti preminenti e due assunti fondamentali33.

Schematicamente, riporto questi due concetti e i due assunti ricostruiti da Habermas. A sinistra si trova la categoria marxiana, a destra la corrispettiva ricostruita da Habermas:

a) CONCETTI:

- Lavoro sociale - Processi sociali di apprendimento - Storia del genere - Agire comunicativo

b) ASSUNTI FONDAMENTALI:

- Teorema della sovrastruttura - Integrazione sociale

- Dialettica forze/rapporti di produzione - Crescita endogena di sapere

Come si può notare, poiché concetti e assunti sono alla base dell’idea di modo di produzione e la direzione di Habermas nella sua ricostruzione è quella di raggiungere una maggiore astrazione dei concetti, ricostruire il materialismo storico significa rendere più astratto il concetto di modo di produzione. I risultati conseguiti da Habermas sono – e anche qui molto schematicamente: - i problemi sistemici generatori di crisi, nell’ambito della riproduzione della vita materiale, che non posso essere risolti senza nuovi elementi evolutivi, si determinano nell’ambito di base di una società. E qui siamo all’interno del recinto marxiano;

- il modo di produzione di volta in volta superiore designa una nuova forma di integrazione sociale che si cristallizza attorno ad un nuovo nucleo istituzionale;

- un meccanismo endogeno di apprendimento provvede all’accumulazione di un potenziale cognitivo che può essere utilizzato per la soluzione di problemi sistemici generatori di crisi. E se sostituiamo all’idea di logica di sviluppo quella di una dinamica dello sviluppo, cioè all’impostazione teleologica e della “miglior determinazione” sostituiamo il modello razionale di una gerarchia di strutture sempre più comprensive dei processi in cui si sviluppano i sostrati

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15 empirici, non si ha più bisogno di chiedere alla storia né unilateralità, né necessità, né continuità, né irreversibilità;

- le nuove formazioni strutturali dipendono da alcune condizioni contingenti di contorno e da processi empiricamente indagabili, ovvero da:

a) l’acquisizione di immagini del mondo della coscienza individuale nella formazione dell’Io pratico e dell’Io epistemico, all’interno della prassi di socializzazione;

b) l’emersione di problemi sistemici che travalicano la capacità di controllo e la direzione del processo di socializzazione;

c) la messa alla prova della tenuta istituzionale di fronte a nuove strutture di razionalità.

Il genere apprende nella dimensione del sapere tecnicamente valorizzabile e nella dimensione dell’agire comunicativo. Le società allora apprendono in modo evolutivo perché utilizzano i potenziali cognitivi contenuti nelle strutture di razionalità per la riorganizzazione dei sistemi di azione. I nuovi livelli di apprendimento non equivalgono soltanto ad un ampliamento dei margini di operazione, ma anche a nuove situazioni dei problemi, a nuovi problemi: la dialettica dello sviluppo sociale si rivela nel fatto che, con l’acquisizione delle capacità di risolvere i problemi sistemici, si acquista coscienza di nuove situazioni problematiche. E, dunque, per un’analisi del presente che si interroghi intorno all’esaurimento del potenziale di innovazione e di adattamento delle strutture sociali esistenti, la teoria dell’evoluzione sociale, impostata nel senso di un ricostruito materialismo storico, conserva un significato sistematico. Sistematico vuol dire che il dispiegamento delle forze produttive, connesse alla maturità delle forme di integrazione sociale, riguarda i progressi denotabili nella capacità di apprendimento, sia nella dimensione della conoscenza oggettivante, immediatamente sussunta alla logica di produzione, sia nella consapevolezza pratico-morale: «I progressi in entrambe queste due dimensioni si misurano in base alle due pretese universali di validità, a cui commisuriamo anche i progressi della conoscenza empirica e della consapevolezza pratico-morale, vale a dire in delle proposizioni e alla giustezza delle norme»34. I criteri del progresso storico, identificati dal

materialismo marxiano in termini di dispiegamento delle forze e dei rapporti di produzione, mantengono un legame sistemico con la razionalità delle forme sociali di relazione. Proprio per l’esistenza di questo legame, per “razionalizzazione” Habermas non può che intendere la cancellazione dei rapporti di violenza, ovvero la forma di quelle relazioni penetrate impercettibilmente nelle strutture comunicative, le quali impediscono, con blocchi

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16 interpersonali della comunicazione, che i conflitti vengano sostenuti consapevolmente e regolamentati in modo consensuale. Gli stadi del diritto e della morale, della delimitazione dell’Io e delle immagini del mondo, delle formazioni di identità del singolo come del comunità, sono stadi di questo processo di allargamento della sfera dell’agire volto all’intesa, in constante contrapposizione con l’impoverimento che deriva dalla sfera di apprendimento dell’agire strategico.

Quando la riproduzione della società è messa in forse da una sfida evolutiva ingente, ciò che Marx descrive nei termini di una rivoluzione dei rapporti di produzione, per Habermas si ha la possibilità della creazione di condizioni per l’accesso ad un nuovo livello di apprendimento, a una meglio determinata forma di astrazione pubblicamente condivisa. L’ anatomia della società

borghese è realmente la chiave per intendere le forme di sviluppo delle società precedenti:

tuttavia, è proprio nel modo in cui nei sistemi economici capitalistici sorgono perturbazioni del processo di riproduzione che non si possono trovare i temi di una generalizzazione e di un trasferimento di tali problematiche ad altre formazioni sociali, sic et simpliciter . In breve, la lotta di

classe deve cambiare metodi: la ricostruzione del materialismo storico arriva a sostenere che la

logica della genesi di problemi sistemici non dice quale logica segua il sistema sociale nel rispondere a una sfida evolutiva. Nuovi livelli di apprendimento equivalgono alla posizione di nuove situazioni dei problemi, ovvero: «La dialettica del progresso si rivela nel fatto che con

l’acquisizione delle capacità di risolvere problemi si acquista coscienza di nuove situazioni dei problemi»35.

Se la filosofia è la forma di autoriflessione più radicale in una data epoca, e, in questa luce, gli spunti di un marxismo ricostruito sono sicuramente filosofia36, allora, si può chiedere:

a) l’operazione teorica di Habermas ci aiuta a capire in cosa consista l’ autoriflessione? Si può rispondere: si, poiché la sua teoria della morale e dell’agire comunicativo ci dicono come gli individui e le società si formano “identità pratiche”;

b) la sua proposta di una ricostruzione del materialismo storico ci aiuta a capire di che genere è l’ emancipazione promossa dalla forza che essa libera, l’uscita da stati di minorità intesi nei termini di violenza? Si può dire: si, poiché l’emancipazione consiste nell’emersione di nuovi livelli di apprendimento, cioè di livelli di comunicabilità più comprensivi ed inclusivi.

Tuttavia, questo assunto si basa su un presupposto problematico: la totale trasparenza dei processi comunicativi. E, allora, proprio rispetto a questo, si potrebbe chiedere: il modello di

35Ivi, p. 128.

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17 una democrazia deliberativa, al quale Habermas perviene come al modello politico il più adeguato possibile alla natura delle relazioni umane in un contesto di intersoggettività, conserva ciò che promette? La validità prescrittiva dei giudizi e delle norme morali, la quale trova giustificazione in concetti quali quello di razionalità comunicativa, agire comunicativo e condizione intersoggettiva, naufraga nella riproposizione del trascendentalismo morale dell’agire orientato secondo l’intesa. Nel suo impegno pratico la ragione comunicativa si conferma patrimonio di idee costruttive che determinano la libera formazione delle volontà. Un giudizio o una norma morale si riferisce immediatamente a una prassi e nel farlo esibisce uno specifico contenuto proposizionale, generando attese di comportamento morale distinte da altre norme sociali, poiché il senso prescrittivo di “comandato” o “proibito” risulta collegato al senso epistemico di “giustificato” o “ingiustificato”, e ciò consente di giudicare un’azione non solo come conforme o difforme dalla regola, bensì come “giusta” o “errata” riguardo alla regola stessa37. Tale

contenuto normativo richiede riconoscimento universale e pretende validità in un senso cognitivamente rilevante, il quale deve potersi acquisire e giustificare a partire dal potenziale razionale immanente alla prassi di vita quotidiana. Secondo Habermas si possono a tal proposito assumere due diversi atteggiamenti: continuare a iscriversi nell’orizzonte dei programmi di ricerca legati alla critica radicale e alla “distruzione della Ragione”, e cioè ripercorrere i sentieri teoretici propri della dialettica negativa, della genealogia e della decostruzione, oppure vagliare criticamente le proposte di quelle filosofie che invece guardano alla prassi dei processi intramondani di apprendimento, come il pragmatismo, la fenomenologia, e l’ ermeneutica38.

I paradigmi di ricerca che guardano al potenziale razionale della prassi di vita quotidiana hanno concepito la dissoluzione concettuale della tradizionale corrispondenza tra il concetto di “totalità” e il concetto di “sistematicità”. La questione resta sempre quella di capire il perché si è assoggettati in nome di certi principi, in vista di certi obiettivi e per mezzo di certe procedure39,

tuttavia, nel farlo, non si ricorre a una immediata identificazione di tali principi, obiettivi e procedure con forme della ragione, come forme della ragione. L’agire comunicativo mostra come dalle dinamiche pratiche della costituzione di un Lebenswelt emergano norme da trattare in termini di vincoli comunicativi e non soltanto in termini di dispositivi sociali.

37 Cfr. J. Habermas, Verità e giustificazione, cit., p. 266.

38 Cfr. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità. Dodici lezioni, tr.it. di Emilio e Elena Agazzi, Laterza, Roma-Bari, 2015, p.

336 e segg.

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18 Nella sua proposta di un’ etica del discorso, Habermas è in grado di fare qualcosa di ulteriore: non soltanto attraversa metodologicamente la teoria del materialismo storico e i più importanti indirizzi filosofici del XX secolo, bensì espone in modo nuovo e cogente, normativamente denso di conseguenze, la possibilità di riproporre filosoficamente la domanda kantiana che cosa

mi è lecito sperare?, domanda che concerne la possibilità di sapere cosa si debba fare per essere

felici e per meritare questa felicità. Dover fare qualcosa, afferma Habermas, significa avere ragioni per farlo. Tali ragioni emergono dalla prassi quotidiana di vita e si sviluppano tramite processi di socializzazione, ovvero tramite:

a) riconoscimento intersoggettivo delle pretese di validità di ciascuno; b) individualizzazione;

c) processi pubblici di formazione delle volontà e di apprendimento.

Questi tre ambiti costituiscono i nessi condizionali di determinazione di ciò che Habermas intende per razionalizzazione. In tale cornice teorica, “morali” risultano essere tutte quelle norme che ci indirizzano verso comportamenti di rispetto e riguardo nei riguardi dell’estrema vulnerabilità che è strutturalmente insita in forme di vita storico-sociali, organizzate comunicativamente. Tuttavia, verrebbe da chiedersi, la riabilitazione del concetto di ragione che il programma teorico di Habermas sviluppa e presuppone nel corso della fondazione della filosofia morale, si tiene al riparo da un pensiero centrato nel soggetto, al quale non è riuscito di tenere libera la coazione spontanea della ragione tanto dai tratti totalitari di una ragione strumentale che reifica e oggettifica tutto intorno a sé ed anche essa stessa, quanto dai tratti totalizzanti di una ragione inclusiva che incorpora tutto ed alla fine trionfa come unità su tutte le differenze? E, poi, dall’altro lato, considerare nei termini di metafora della legislazione l’apporto della modernità, non ci offre la possibilità teorica di criticare il concetto stesso di normatività, in quanto idealizzazione e astrazione indeterminata della forma-legge che si impone quale figura principale della pragmatica formale? E, infine, quale è il reale destino che la categoria di evoluzionismo sociale prescrive alla formazione di strutture normative in ambito storico-morale e cognitivo? L’ambito di problematicità dischiuso da questi interrogativi trova ampio svolgimento nella ricerca di Niklas Luhmann, così come viene da subito dichiarato allorquando quest’ultimo venne indotto a difendersi dalla «critica sanzionatrice»40 di Habermas stesso, la quale, alla fine di

una serrata e ricca disamina, come sostenne il sociologo di Bielefeld, «perviene ad un confronto

40 Come si legge in J. Habermas, N. Luhmann, Teoria della società o tecnologia sociale. Che cosa offre la ricerca del sistema sociale?, tr.it.

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19 polarizzato – pressappoco sulla linea: critica o apologia dell’ordine dominante»41. La diatriba

viene riassorbita in un discorso di riorientamento generale della teoria sociologica, del definitivo superamento della sociologia come teoria dei sistemi d’azione. In breve, le tematiche conflittuali riscontrate con Habermas diventano, nel corso della ricerca del sociologo, solo una parte delle questioni che egli intende riformulare, e che trovano in Talcott Parsons il vero punto di riferimento teorico-polemico.

Habermas vede in Luhmann l’ultimo esponente di un razionalismo meritevole di aver dato nuovo impulso al tema dell’astrazione e del controllo razionale dei fenomeni. Tuttavia, sostiene, il problema è che nel fare ciò Luhmann si sia visto costretto a cancellare le differenze tra prassi e

tecnica, da un lato, e, dall’altro, a nascondere, dietro una formidabile prestanza discorsiva, il

nucleo metaforico delle sue considerazioni, che risulta legato a una ri-appropriazione acritica dell’eredità che discende immediatamente della filosofia del soggetto42. Possiamo, invece,

ridurre a quattro i punti di critica a cui Luhmann sottopone la teoria di Habermas:

- dal punto di vista teoretico-sistematico non si può conservare la tesi del discorso come non-sistema e, pertanto, far valere le speranze ad esso legate;

- rispetto al tema dei processi sociali di apprendimento, che è alla base di ciò che Habermas intende per contenuto normativo della modernità, e cioè al modo di intendere la costruzione contingente della vita sociale in quanto legata a una estrema vulnerabilità, si deve dire: “comunicazione” non può essere l’ambito di dispiegamento più autentico della condizione intersoggettiva ma una funzione del sistema sociale, poiché la vulnerabilità estrema del mondo di vita è l’ambiente del sistema sociale, è ciò che crea il sistema/i sistemi sociali, non una creazione del sistema, sebbene sussista in questo nella forma determinata di riduzione della complessità che di volta in volta assume;

- la razionalità della prassi di vita quotidiana, l’ambito dal quale emerge una validità universale e che, per questo motivo, si presta a diventare il fondamento della teoria morale di Habermas, è concepibile, e non solo prescrivibile, se e solo se la si intende come razionalità della differenziazione tra sistema e ambiente, come insieme di processi di eventi che strutturano il dislivello e l’asimmetria di complessità tra sistema e ambiente. Nel caso non ci fosse tale dinamica, una unità di senso, qualsiasi cosa si intenda con questa espressione, non avrebbe alcuna reale informazione per costituirsi e per operare nel modo in cui opera;

41 Ibid.

42 Come eloquentemente si legge, tra gli altri, nell’ Excursus sulla appropriazione dell’eredità della filosofia del soggetto da parte della

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20 - la creazione di domini speciali di legislazione razionale è solo l’altra faccia di una medaglia teoretica che appartiene alla tradizione vetero-europea, così come Luhmann stesso la definisce. È solo un’altra delle conseguenze della centralità che in questa tradizione riveste il modello oggettuale di spiegazione43.

Se si resta in un ambito di ricerca normale – legate a un primo grado di osservazione – la critica di Habermas conserva la sua forza, poiché si mostra come quella critica che valuta le condizioni di possibilità di ogni categoria, nel senso di unità di riferimento più o meno adeguato alla fenomenicità da indagare. La teoria dei sistemi sociali nasce, invece, proprio dall’esigenza di sostituire i riferimenti ultimi con riferimenti sistemici, dall’esigenza di reimpostare la teoria al di là della concettualità legata alle categorie di “soggetto” e “oggetto”. E Luhmann può farlo poiché pone al centro di questo programma teorico il metodo delle equivalenze funzionali, deducibile su un piano di osservazione di second’ordine44.

L’equilibrio che di volta in volta viene raggiunto nel sistema sociale fra le diverse formule di contingenza come la validità intersoggettiva, la morale, il diritto, e così via, è stato soppiantato, nella teoria dei sistemi, da una differenziazione della selettività, mediante la quale, nelle società e nell’organizzazione delle diverse condotte di vita, ha luogo la formazione stessa del sistema. E, allora, concetti come “formule di contingenza” o “mezzi di comunicazione” si rendono disponibili a ricerche di tipo più astratto, grazie al fatto che denotano nessi fattuali più complessi. Metodologicamente questo significa che nei limiti in cui tale discorso ha luogo – e diciamo pure che occorrerebbe prenderlo anche nei riguardi di altri media, della verità, del potere, delle relazioni valutative e persino dell’arte – viene consolidandosi, al tempo stesso, la convinzione della presenza di un legame fra la teoria della società, come quella di Habermas, e i codici simbolici della stessa. Da ciò se ne può ricavare l’impressione che questa tipologia di teoria consista in una autorappresentazione simbolica della società, redatta nei concetti dei suoi stessi codici, e tale, tuttavia, da non raggiungere mai un grado di riflessione così elevato da consentirle di riconoscere come contingenti anche i vari mezzi di comunicazione e le formule di

43 Per il concetto e la magistrale disamina del problema, nell’arco di tutta la teoria della conoscenza per come è venuta

determinandosi tra “analitici” e “continentali”, si rimanda a A.G.Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune, Mimesis, Milano 2009, in particolare pp. 45-50.

44 Per l’idea di cibernetica di second’ordine cfr. H. Von Foerster, Cibernetica ed epistemologia: storia e prospettive, in La sfida della

complessità, a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, Mondadori, Milano 2007; Id, Sistemi che osservano, a cura di Mauro Ceruti, Umberta Telfner, traduzione di Bernardo Draghi, Astrolabio, Roma 1987. Oppure, R. Ashby, Introduzione alla cibernetica, Einaudi, Torino 1970.

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21 contingenza che utilizza45. Nella misura in cui, invece, questo diventa possibile, ci si potrebbe

avviare alla formulazione di una teoria della società i cui elementi potrebbero essere presentati non più soltanto in termini critici o in termini normativi, ma «finalmente comprensibili tanto nel loro contesto, quanto anche in quello della storia»46.

La chiusura operativa dei sistemi autoreferenziali, teorizzata da Luhmann, ci spiega come ciò che è

possibile è reale (costruttivismo funzionale), ma che ciò che è reale è tale perché è eventuale

(relatività ontologica). La misura dell’eventuale è l’ improbabilità, e, come ricordava Keynes, l’inevitabile non accade perché l’improbabile è preponderante47. Una ricerca che si iscriva

nell’orizzonte problemaico fin qui delineato, e che cerchi di affrontare ab intrinseco il dischiudersi di un discorso, quello di Luhmann, così complesso e impegnativo, dovrà partire dal concetto di

complessità48, dal ruolo che questo concetto svolge in termini di riferimento ultimo dell’analisi

funzionale, per concepire tutti i sistemi in termini di comprensione e di riduzione di complessità, e, dunque, per mostrare come la loro matrice comune li differenzi in un ambito di sostituibilità e di equivalenza funzionale, nel contesto cognitivo e ontologico della selettività sistemica: ciò che fa della complessità un problema reale e non soltanto uno pseudo-problema scientifico49. L’idea è poter fare della problematica della complessità una teoria corrispondente,

cosa che per Luhmann vuol dire il tentativo di presentare la sua sociologia come livello linguistico meta-linguisticamente non oltrepassabile, dominio nel quale provare a delineare, nel senso dell’autoriferimento, i fondamenti di una teoria generale. Di questo se ne parlerà nel primo capitolo.

Il programma, che costituisce anche il nucleo di quello che Luhmann definisce come illuminismo

effettivo50, si determina attraverso una articolata esposizione di concetti e nessi esplicativi. Nel

secondo capitolo si tenta perciò di mostrare l’emergere di questa ricchezza concettuale nel luogo privilegiato della sua esposizione, in Sistemi sociali51, al fine di mostrare la direzione della

45 Come viene sostenuto in N. Luhmann, Scarsità, denaro e società civile, in Id. Potere e codice politico, tr.it. di Gustavo Gozzi,

Feltrinelli, Milano1982, pp. 100-135.

46Ivi, p. 135.

47 Cfr. J.M. Keynes, Trattato sulla probabilità, a cura di Alberto Pasquinelli, Silvia Marzetti Dall'Aste Brandolini, Clueb,

Bologna 1994, pp. 43-45.

48Per il concetto di complessità, i suoi legami e le sue implicazioni filosofiche, e per una bibliografia di orientamento si

rimanda a L. Mori, Il concetto di «complessità»: contributo alla chiarificazione delle implicazioni filosofiche, “Nóema”, Numero 3, anno 2012, http://riviste.unimi.it/index.php/noema.

49 Cfr. J. Bouveresse, Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud, tr.it. di Anna Maria Rabbiosi, Einaudi,

Torino 2000.

50 Cfr. N. Luhmann, Illuminismo sociologico, in Id. Illuminismo sociologico, a cura di Reinhard Schmidt, Il Saggiatore, Milano 1983,

pp. 73-102.

51N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, tr.it. a cura di Alberto Febbrajo e di Reinhard Schmidt, Il

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