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A cosa serve la ricerca dei sistemi sociali: Habermas contro Luhmann, Luhmann contro

Sulla diagnosi della società moderna, messa a punto dal sociologo di Bielefeld, pende ancora il tipo di critica che proviene dal confronto – diretto e indiretto – con Habermas. L’esposizione di Moeller, a cui si è voluto far riferimento, risulta oggi utile anche e soprattutto se la si mette in relazione alla famosa diatriba tra i due pensatori, poiché ci offre ex post uno strumento chiaro e sintetico per avvicinarci alla lettera e allo spirito di un confronto che riguarda il metodo e l’uso di una teoria generale della società. Il tipo di critica che il francofortese consegna alla storia delle interpretazioni di Luhmann, e che divenne subito dopo il canovaccio per un’ampia schiera di accusatori, si condensa nella seguente preoccupazione: «La teoria di Luhmann, che oggi per la sua forza concettualizzatrice, la fantasia teoretica e la capacità di elaborazione è incomparabile, suscita in ogni caso dubbi se il prezzo per il suo ‘guadagno di astrazione’ non sia troppo alto»66.

Tale preoccupazione parte dal convincimento che se si definisce una teoria secondo la semantica dei sistemi, si corre il rischio, sostenuto già da Adorno, della scomparsa dell’individuo. La teoria di Luhmann farebbe «imputridire il soggetto stesso in sistemi»67.

Luhmann dimenticherebbe il distacco che si è originato tra sistemi sociali e mondo della vita, tra tecnica e prassi nella società tecnologica, mancando così di ricorrere a una istituzionalizzazione dei medium sociali, come il potere e il denaro, per mezzo della normatività propria del mondo

64 Cfr. la nota in cui si accenna ad Apel, ivi, p. 242. 65 Ivi, p. 243.

66 J. Habermas, Il discorso filosofico, cit., p. 354. 67 Ivi, p. 352.

160 della vita. Il risultato consisterebbe in un dispendio di astrazione teoretica, non sorretto da alcun lascito responsabilizzante, nell’arretramento della razionalità dinanzi al processo di colonizzazione delle vite da parte del capitale.

Seguiamo l’argomentazione di Habermas: «la teoria della comunicazione può fornire il suo contributo alla spiegazione di come nella modernità un’economia organizzata in base al mercato si intreccia funzionalmente con lo stato monopolizzatore della violenza, si autonomizza rispetto al mondo della vita come un pezzo di socialità libera da norme e contrappone ai suoi imperativi razionali propri imperativi fondati nella conservazione del sistema»68. In Marx questo conflitto è

concepito in termini di “lavoro morto” (imperativi sistemici) e “lavoro vivo” (imperativi razionali del mondo della vita), così come il tipo di razionalità sistemica, nel passaggio dalla preistoria alla storia del genere umano, risulta dispiegata nella logica dell’autovalorizzazione del capitale, e della sua capacità di egemonizzare altri ambiti di azione sociale – sussunzione

formale/sussunzione reale. Mentre il capitale supera le sue barriere sussumendo e accumulando, il

mondo della vita resta ancorato ai meccanismi dell’intesa: nella misura in cui un mondo della vita si razionalizza, cresce il dispendio di intesa che viene addossato agli stessi partners della comunicazione. I singoli atti linguistici, in quanto universali pragmatici, collegano esperienze di vita e azione in un contesto di senso intuitivamente evidente ai partecipanti all’interazione, grazie alla normatività dell’intendersi, che è sempre in atto. L’abbondanza di connotazioni, atti, rivolgimenti, così come la capacità di variazione dell’uso linguistico orientato all’intesa, è soltanto il rovescio di un riferimento alla totalità che non ammette nessun ampliamento arbitrario della sua immanente capacità di intesa, immanente alla prassi quotidiana della vita. L’aumento di complessità del sistema comunicativo implica la necessità di una semplificazione dei linguaggi, e lo sgravio, per mezzo di questi, della richiesta di azioni via via più funzionalizzanti. Sgravio e specializzazione che secondo Habermas producono un irrigidimento delle forme di razionalità diffusa, e dunque un impoverimento delle forme linguaggio. Ora, il denaro come medium sociale d’azione risponde di esigenze sociali diversificate e nel segno della equivalenza generale che gli spetta, come mezzo di misura e scambio, riesce a diventare simbolo di entrambi i momenti del processo. «Esso – aggiunge Habermas – si è ramificato dal linguaggio normale come un codice speciale orientato su situazioni standard (dello scambio), che per via di una inserita struttura di preferenza (di offerta e domanda) condiziona in modo efficace alla coordinazione decisioni d’azione, senza dover ricorrere alle risorse del mondo della vita»69.

68 Ivi, p. 348.

161 Con il sistema capitalistico nasce un sistema economico che regola lo scambio tramite canali monetari: da un lato viene istituzionalizzato il lavoro salariato, dall’altro viene organizzata come azione statale l’impresa capitalistica, con tutto il suo portato di sapere amministrativo e burocratico. Dal punto di vista della prassi quotidiana di vita il risultato, in quanto presupposto, è stato «una plebematizzazione della popolazione contadina e la proletarizzazione delle maestranze concentrate in molti modi nelle città»70. Il sistema si organizza e decide, il mondo

della vita assume sempre più la forma di un ambiente da colonizzare. Gli elementi costitutivi del mondo della vita diventano le ragioni di una resistenza alla sussunzione reale del capitale, nei termini di «socialità libera da norme»71: quella della discorsività libera e trasparente. Hegel

segnalò questo sganciamento di sistema e Lebenswelt nei termini di scissione, in Marx la scissione divenne questione di falsa coscienza borghese da superare con l’assunzione dell’antagonismo tra le classi, il che voleva dire organizzare la lotta di classe per abolire l’istituto della proprietà privata, innanzitutto.

La condizione barbarica denunciata da Marx, la teoria dell’alienazione e della reificazione delle forme di vita è perciò «contrassegnata da una completa sussunzione del mondo della vita sotto gli imperativi di un processo di valorizzazione sganciato dai valori d’uso e dal lavoro concreto»72. Luhmann, secondo Habermas, parte da questa assunzione e la ipostatizza nella

forma di sistema autoproducentesi. Il funzionalismo sistemico teorizzato da Luhmann «raccoglie da un lato l’eredità della filosofia del soggetto: esso sostituisce il soggetto autoreferentesi con il sistema autoreferentesi; dall’altro lato esso radicalizza la critica nietzscheana della ragione: con il riferimento alla totalità del mondo della vita esso ingloba ogni tipo di pretesa della ragione»73. La teoria della società di Luhmann annuncia l’incapacità

sistemica della scienza di riuscire a definire una descrizione adeguata della società moderna, e la perdita di centro di questa come quella caratteristica che sancisce l’impossibilità di assumere una posizione definitiva di controllo critico rispetto alla differenziazione dei sistemi sociali.

Luhmann intende per “mondo della vita” la «forma di un ordinamento provvisorio riconosciuto»74, ed è lo stesso Luhmann a informarci del fatto che fu una peculiare descrizione

della fenomenologia husserliana, con rilevanti effetti nelle discussioni sociologiche, a caratterizzare questo provvisorio col titolo di “mondo della vita”. Ebbene, rispetto alla forma di

70 Ivi, p. 350.

71 Ibid. 72 Ivi, p. 352. 73 Ibid.

162 intendimento di tale provvisorietà, si può constatare, risiede la distanza tra le teorie della società di Habermas e quella di Luhmann.

La normatività della provvisorietà che Habermas rappresenta come contenuto specifico dell’agire comunicativo, non viene spiegata direttamente. Egli non può rinunciare alla sua principale innovazione oggettuale in ambito filosofico: «il fatto fondamentale della socializzazione linguistica»75, è perciò costretto a fare di una regione della riproduzione sociale

un dominio trascendentale; la normatività della provvisorietà di Luhmann viene spiegata tramite la formazione dei sistemi. Chi partecipa alla interazione non può agire senza supporre che valgano per sé, come per il resto dei soggetti, le stesse regole di interazione: un mondo della vita intersoggettivamente condiviso implica che «anche le società moderne, ampiamente decentrate, mantengano nell’agire comunicativo quotidiano un centro vitale di auto intesa, dal quale perfino sistemi d’azione funzionalmente specificati, fintanto che non crescono al di là del loro orizzonte di mondo della vita, restano a portata intuitiva»76. Esiste ed agisce questo centro di auto intesa

ed ha bisogno di istanze di controllo, di istituzioni adeguate77. Al centro di questa esigenza si

trova l’esperienza della sproporzione tra «problemi di controllo e problemi di intesa»78, ovvero «fra

perturbazioni della riproduzione materiale e cadute nella produzione simbolica del mondo della vita»79. Ciò che si richiede è partire dal disinganno del progetto socio-statale del capitale

finanziario e insistere sul valore essenzialmente umano del potere che si determina nella pratica della solidarietà tra estranei80. Come si legge più avanti nel testo: «sfere pubbliche auto-organizzate

dovrebbero sviluppare la saggia combinazione di potere e intelligente autolimitazione, che è necessaria per sensibilizzare i meccanismi di autocontrollo dello stato e dell’economia rispetto agli eventi orientati allo scopo della formazione radical-democratica della volontà»81.

Tutto molto ragionevole, si può aggiungere, ma non si tratta soltanto di un political talk, o meglio, non è mai stato un discorso esclusivamente politico quello della teoria dei sistemi. Al limite lo diverrebbe in un altro senso, per evitare di sembrare, nel migliore dei casi, soltanto retorico, bloccato in una coazione alla conversazione e al potenziamento delle volontà, che da tempo non sono più ispirate a fondazioni di ordine metafisico, ma che restano, per Habermas, meta-geopoliche, legate cioè allo spirito di un’Europa alle cui «tradizioni proprie»82,

75 J. Habermas, Il discorso filosofico, cit., p. 358. 76 Ivi, pp. 358-359.

77 Cfr. ivi, p. 360 e segg. 78 Ivi, p. 362.

79 Ibid.

80 Cfr. J. Habermas, Solidarietà tra estranei : interventi su “Fatti e norme”; a cura di Leonardo Ceppa, Guerini, Milano 1997 81 J. Habermas, Il discorso filosofico, cit., p. 364.

163 bisognerebbe tornare ad attingere. «Chi, altrimenti che l’Europa – continua – potrebbe attingere da tradizioni proprie il discernimento, l’energia, il coraggio della visione – tutto ciò che sarebbe necessario per togliere alla premesse da gran tempo non più metafisiche, bensì meta-biologiche di una cieca coazione alla conservazione e al potenziamento del sistema, la forza formatrice della mentalità?»83.

Nel candidarsi alla successione di una filosofia congedata, Luhmann eredita concetti e problematiche fondamentali della filosofia del soggetto. Al contempo, nella sua opera si assiste alla eliminazione della capacità di risolvere problemi che è tipica della dialettica soggetto/oggetto. Secondo Habermas, Luhmann effettuerebbe un cambio di prospettiva che rende inconsistente l’autocritica di una modernità in lotta con se stessa. In particolare, sono cinque i punti di massima criticità rilevati da Habermas:

a) «La relazione sistema-ambiente viene assolutamente pensata secondo il modello di un mondo costituito tramite una coscienza trascendentale. Il sistema mentre si separa dal suo ambiente, lo costituisce come orizzonte di senso universale»84. Poi in nota, citando

Luhmann: «Ogni sistema autoreferenziale ha solo il contatto con l’ambiente, che si rende da sé possibile, e nessun ambiente in sé»85. La metafora biologica, l’uso metaforico e

metabiologico del riferimento all’autopoiesi, guida le considerazioni critiche di Habermas più che come accade nella stessa teoria di Luhmann: il richiamo al trascendentalismo, trasposto dal piano della coscienza a quello biologico, risulta, per questo, infondato. Sistema/ambiente è la differenza che ontologicamente precede (e, in questo precedere si rileva l’essenza della proposta luhmanniana, poiché è in questa dimensione, nel punto cieco della autopoiesi che fenomenologicamente si può inserire un discorso sull’apprendimento, l’evoluzione, la messa in gioco di strategie che si alimentano dell’asimmetria, l’illusione positiva del costruttivismo) l’atto cognitivo della distinzione, indicazione, designazione. In Luhmann si può parlare di una ontologia

dall’esterno come autoimplicazione del costruttivismo cognitivo, e questo significa che il

problema che si ripropone – il riferimento sistemico che agisce dietro la preoccupazione di Habermas, ad esempio – è il concetto di identità. In un contesto autoreferenziale, si potrebbe dire in maniera proverbiale, le identità lasciano il tempo che trovano. Tuttavia, si può dirlo anche in senso proprio e stretto: è il tempo, il tempo-del-sistema, ciò che designa un dominio meta-biologico da analizzare, l’unico nei confronti del quale si può

83 Ivi, p. 366. 84 Ibid.

164 trovare e porre forme interrogative come quelle kantiane. Ecco allora perché non si riesce a capire rispetto a quale attribuzione Habermas possa dire che «la teoria sistemica non compie poi il passo dall’idealismo soggettivo a quello oggettivo»86, dato che il

problema è come interagisce complessità ridotta, determinata, dunque più astratta, in quanto improbabile (il sistema), rispetto a complessità eccessiva, indeterminata, dunque più concreta, in quanto inevitabile (l’ambiente);

b) il teorico dei sistemi rende concreta e operativa la struttura fondamentale dell’autocoscienza, e la applica al di là del soggetto conoscente, nell’ambito dello spirito oggettivo (ed assoluto). «Come aveva fatto Hegel con il concetto dello spirito, così Luhmann con il concetto di sistema elaboratore di senso ottiene la libertà di movimento per sottoporre la società come sistema sociale ad una ricerca similare a quella concernente la coscienza come sistema psichico»87. L’analogia più che produrre un

arretramento, offre la possibilità di inserire una derivazione avvalorante per Luhmann, e ci invita a tener presente che, in quanto uguaglianza di rapporti, non fa altro che segnalarci il valore, sistemico e linguistico, delle equivalenze funzionali. Tuttavia, in Luhmann un sistema non è mai l’insieme spirituale delle parti, né un elaboratore di senso, ma piuttosto contingenza organizzata e rimando ad altre forme di organizzazione di senso e non del senso;

c) come in Marx, anche in Luhmann c’è uno spostamento dal concetto di autocoscienza e quello di prassi, spostamento che «aveva impresso una svolta naturalistica al processo di formazione dello spirito»88. Il lungo percorso marxiano, che, possiamo dire, trova nei

Manoscritti del 1861-1863 la formula più adeguata per rappresentare lo sviluppo dei termini medi necessari89, nella categoria di forza-lavoro (arbeitskraft), più determinata e, dunque, più

astratta di capacità-lavorativa (arbeitvermögen), sancisce questa naturalizzazione dello spirito e, dall’altro lato, questa spiritualizzazione della natura – in termini economico- politici: in una sola espressione, l’aspetto «sensibilmente sovrasensibile»90

dell’autovalorizzazione del capitale. La corrispondenza deve essere problematizzata: «La teoria dei sistemi lo tratta come un caso speciale dell’ autopoiesis. Ciò che secondo Marx riguardava la produzione materiale della società, riguarda sistemi autoreferenziali in

86 J. Habermas, Il discorso filosofico, cit., p. 369. 87 Ivi, p. 368.

88 Ivi, p. 369.

89 Marx insiste spesso sulla questione, soprattutto contro Ricardo, come si legge in, K. Marx, Lineamenti fondamentali della

critica dell’economia politica, cit., p. 320.

165 generale»91. Si può commentare: questo accoppiamento strutturale è semplicemente

errato: “natura” non è in nessun punto assimilabile ad “ambiente”, perché l’autoreferenzialità delle operazioni dei sistemi elaboratori di senso ha il senso pratico dell’autoproduzione, tuttavia pratico e autoproduttivo sono la medesima operazione nei sistemi in quanto si mostrano come due forme di selezione. Inoltre: se l’autoreferenzialità non ha il senso teorico dell’autopresentificazione è soltanto perché con “presente” si intende un costrutto onticamente più debole e meno decisivo di “evento”, per l’autoriferimento di un sistema. Ovvero: l’autopoiesi è simultanea, coevolutiva, interpenetrante rispetto a eventi ed episodi. Passato, presente e futuro sono sul piano delle descrizione;

d) la razionalità sistemica mette da parte la differenza tradizionale tra essere, pensiero e verità. La matrice meta-biologica della teoria tende a sostituire al principio di ragione il principio dell’autoreferenza. Scrive Habermas: «Sotto il nome di razionalità sistemica, la ragione liquidata come irragionevole si riconosce proprio come questa funzione: essa è l’insieme delle condizioni di possibilità per il mantenimento del sistema»92. E continua:

«La ragione diventa, ancora una volta sovrastruttura della vita. Al proposito non si cambia nulla con la promozione della ‘vita’ al livello di organizzazione del ‘senso’»93. La

questione è superata se si pone attenzione al continuo riferimento che Luhmann fa al “calcolo della forma” di Spencer-Brown. La razionalità sistemica non prescrive l’adattamento, né adattamento vuol dire “migliori condizioni di sopravvivenza”. Parlare di vita e parlare di sistema vivente dovrebbe però apparire già di per sé differente. Ma non è soltanto una questione di espressione linguistica: la differenza riguarda la possibilità della teoria stessa di mantenere la promessa metodologica che si era prefissa, quella di essere una teoria generale. Intendere “vita” come uno dei modi di autopoiesi, non come il suo modello per antonomasia, è servito proprio a questo scopo. L’indagine è orientata a trattare non direttamente che cosa sia vita, ma, in relazione a una logica di second’ordine, in cosa consista “la vita della vita”.

Il richiamo epistemologico al calcolo della forma trova in Varela e Maturana la base biologica per affermarsi come punto di vista dal quale procedere nelle spiegazioni sociologiche: l’esperienza biologica dell’autopoiesi diventa per i cognitivisti cileni, e da ciò Luhmann mutua la sua idea di autoreferenzialità sistemica, l’esperienza dell’esistenza

91 J. Habermas, Il discorso filosofico, cit., p. 369. 92 Ivi, pp. 370-371.

166 in un dominio di cognizione nel quale il contenuto della cognizione è la cognizione stessa94. All’interno di un tale dominio autologico e autopoietico, si può dire tutto ciò

che un osservatore è in grado di dire;

e) «Da ultimo, il passaggio dal soggetto al sistema ha ancora una quinta conseguenza, che è rilevante nel nostro contesto – con il concetto di soggetto viene assegnato ad ogni possibile autorelazione un sé costituito nel sapersi. Anche dentro l’autodeterminazione e l’autorealizzazione è immanente quella forza centripeta che fa culminare e acquietare tutti i movimenti dello spirito solo nella autocoscienza. Non appena, tuttavia, il sistema occupa il posto del ‘se’ nell’autoriferimento, cade la possibilità di un riepilogo centralizzante del tutto del sapersi»95. Ebbene, è esattamente questa la condizione che

prescrive, al di là di ogni progetto politico e filosofico, il contenuto normativo della modernità. La perdita di un centro, di un punto di vista dal quale considerare il tutto, il kantiano

punto di vista del sole, è uno dei sintomi della differenziazione sociale. Detto ciò, il

problema è capire come ci si mostra in questo contesto: se come critici o come apologeti. Se le società moderne non possono sviluppare un’identità razionale, manca la stessa possibilità di una critica fondata: il soggetto dilegua e imputridisce nel sistema. Sul piano di Luhmann, invece: le identità razionali esistono nella e per la comunicazione, in relazione al riferimento sistemico, articolato attraverso il linguaggio, di un’aspettativa di comportamento a cui si sottopone la stessa filosofia, come sottosistema. I livelli di autodescrizione sono potenzialmente infiniti, ma le autodescrizioni riguardano contesti autovalorizzanti: ciò che decade è la possibilità di una autovalorizzazione immediatamente normativa, non il suo problema.

L’impianto accusatorio di Habermas ci presenta Luhmann sotto le vesti di ultimo importante epigone della destra hegeliana. Ogni livello di critica può essere decostruito linguisticamente, come si è tentato di fare nel proporre l’ elenchos appena concluso. Ciò che resta, invece, è un problema che Habermas annuncia nelle pagine che abbiamo tematizzato, e che forse altrove rende in maniera più esplicita, e la difesa che Luhmann stesso ha fornito. Rispettivamente: «Il fiume di atti fra autorità ministeriali e la coscienza monadicamente incapsulata di un Robinson fornisce la rappresentazione-guida per il disaccoppiamento concettuale di sistema sociale e sistema psichico, per cui l’uno deve essere unicamente basato sulla comunicazione, e l’altro solo

94 Come ad esempio ne parla Maturana in, H. Maturana, F. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, a cura di

Giorgio De Michelis, Marsilio, Venezia 2004, p. 53.

167 sulla coscienza»96. Il dimidiamento avvantaggerebbe il formarsi di una ideologia apologetica nei

riguardi dell’ordine costituito: «La nuova “ideologia” si distingue dalle precedenti per il fatto che essa in genere separa i criteri della giustificazione dall’organizzazione della convivenza, quindi dalla regolamentazione normativa dell’interazione, e in questo senso depoliticizza e, in luogo di essa, li fissa alle funzioni di un supposto sistema di agire razionale rispetto ad un fine»97. In fase

di dibattito con Luhmann, è lo stesso Habermas che ricorda come questa citazione, sebbene ancora non lo avesse ben chiaro a se stesso mentre scriveva, fosse il miglior modo per colpire la teoria dei sistemi sociali, e infatti si legge: «Quando scrissi questa frase non avevo ancora alcuna idea che la teoria sistematica della società di Luhmann avrebbe potuto assumere, in modo