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Se c’è un aspetto che rivela la complessità di un sistema sociale, questo è sicuramente legato al coefficiente di differenziazione che sussiste tra le operazioni di interazione, di comunicazione e di organizzazione. I rapporti di prossimità tra un ego e un alter, gli apparati riproduttivi e le formule di contingenza della decisione, le codificazioni e le tematizzazioni, ognuna per sé, come dimensione, riguardano fasci di aspettative di comportamento che la differenziazione autopoietica ha giustapposto nella rispettiva autonomia. Ed è proprio in virtù di questo risultato che si è dovuto ricorrere a strutture di interpenetrazione come il “consenso” o il “conflitto”, per sostenerne la contiguità.

La diversità tra il sistema sociale “società” e quello della “interazione”, implica e deriva da una differenza che assume rilevanza in ogni situazione sociale. «Ogni società ha infatti un rapporto

specificamente problematico con l’interazione»135: nel primo caso, cioè seguendo una linea che va

dalla società all’interazione, perché le relazioni tendono ad assomigliare sempre più a quelle compossibili in una società del controllo, dove alla aleatorietà dell’interazione si risponde col desiderio di orientare eccessivamente le condotte di vita; nel caso inverso, invece, perché non si danno casi di autarchia né casi di relazioni e ambiti di azione puri.

Dal punto di vista del tempo, società e interazione interagiscono attraverso episodi, ovvero «Le interazioni sono episodi della realizzazione della società»136. Proprio perché l’interazione è

esonerata dall’essere tutta la società in ogni punto, dal rappresentarla globalmente, ha l’autonomia di sviluppare la propria improbabilità, di iscrivere carsicamente nella comunicazione sociale le sue forme di selezione della complessità. D’altro canto anche la società, come sistema sociale più concreto e insieme più astratto, ha la possibilità di assorbire complessità e di resistere alle perturbazioni. Con società si intende, allora, il sistema sociale complessivo, sistema che include tutto ciò che è sociale – che si presenta attraverso unità di

134 N. Luhmann, Sistemi sociali, cit., p. 614. 135 Ivi, p.628.

110 senso di ordine comunicativo – e non ha alcun ambiente sociale, una dimensione di autenticità, una certa provenienza che continua ad agire alle spalle dei fenomeni, bensì soltanto un mondo e un orizzonte di possibilità: quello definibile a partire dalla complessità della propria autopoiesi. Tuttavia, l’autonomia che qui si sviluppa è un modello di interazione evolutivamente interessante poiché più separa i sistemi e meglio riesce a descrivere confini che fanno da membrana, vincoli autopoietici che assorbono complessità indeterminata. E, infatti, nella comunicazione si sviluppa una chiusura operativa che non svolge la funzione di liberare il sistema dall’ambiente. La comunicazione ha bisogno sempre e comunque «di sensori per accedere a porzioni di ambiente. Questi sensori sono gli uomini nel senso pieno della loro interpenetrazione, cioè in quanto sistemi insieme psichici e fisici»137. I sistemi devono

interpenetrarsi per tenersi in autonomia, e devono interpenetrarsi perché sono autonomi. Ma come può un sistema fondare se stesso come sistema generale senza ricorrere a una legge di formazione, ad esempio al materialismo storico? Ovvero, se non si potesse indicare una tale legge di formazione, non ci troveremmo di fronte a una aporia della teoria dei sistemi? La nozione di chiusura autoreferenziale precisa che, ad un analogo livello operativo, non esiste alcun altro sistema o legge che conferisce attribuzione, autoriferimento e selettività a tutte le altre operazioni. Ciò significa che non si ricorre a forme di comprensione dall’esterno, e questo perché se ci sono leggi di sviluppo – come il materialismo, nel caso citato – queste riguardano l’autopoiesi e l’autosservazione, l’autochiarimento e l’autodescrizione delle operazioni in un dato sistema.

I sistemi di interazione includono tutto ciò che può essere fisicamente presente e, dunque, mettono in risalto l’importanza dei processi e degli eventi. Le informazioni che si raccolgono offrono tutti i vantaggi di una autopoiesi in grado di mostrarsi alle identità interpenetrative più interessanti, gli uomini, appunto, rispetto alla comunicazione verbale, alla imputazione morale, e perciò offrono la base per la costruzione di sistemi sociali storicamente determinati. Gli eventi rilevanti vengono legati a strutture secondo lo schema semantico indicato dai temi. Per mezzo di questi entrano nel gioco sociale come “codici”, “programmi”, “scelte”, “obiettivi pedagogici”, secondo i canoni di una sorta di disciplina dell’interazione orientata alla comunicazione.

L’interazione sceglie – e nella struttura della scelta si riscontra il grado di liberta sociale consentito, dunque conosciuto – sempre fra una serie di possibilità determinate in situazioni che lasciano aperte solo un numero limitato di varianti di svolgimento – e in questo si riscontra il grado di dipendenza dal tempo e dalla causalità dell’interazione. La totalità delle interazioni –

111 se si vuole tener viva una certa fraseologia – si staglia nell’osservazione come orizzonte: la società mantiene una sorta di «anarchia di base»138, funzionale al gioco dell’evoluzione sociale139.

Da un lato il sistema chiuso della comunicazione sociale, dall’altro il trattamento delle contingenze doppiamente dispiegantesi, hanno così tanto differenziato tra loro i sistemi sociali che «nessuna interazione, per quanto elevato sia il rango delle persone coinvolte, può pretendere di essere rappresentativa della società»140. E, allora il problema decisivo per ogni

teoria che sia all’altezza della complessità sociale sta in ciò: si deve sapere se ciò che si è accumulato a livello di semantica sociale è idoneo per un’autodescrizione operativa della società che sia capace di affrontare l’improbabilità della quotidianità delle prassi di vita.

La chiusura di un sistema è il correlato operativo dell’autopoiesi, questa deve rendersi operativamente necessaria, e per farlo ha continuo bisogno di riaffermare una condizione di squilibrio e asimmetria. Ogni riduzione di complessità è infatti un aumento di complessità. Concretamente l’autopoiesi sviluppa strutture che raccolgono informazioni attraverso unità di senso temporalmente determinate, cioè tramite eventi o episodi. La contingenza e il caso risultano essere già due strutture, due forme di organizzazione della complessità, condizioni presupposte e risultanti dall’autoriferimento. Il problema che la sociologia non può eludere è la difficoltà, nell’analisi di sistemi sociali in atto, di individuare unità reali o elementi che devono essere presentati in quanto eventi sistemici, perché possa verificarsi la raccolta di informazioni e, di conseguenza, la costruzione mediante differenziazione dei sistemi. La soluzione sta nel legare il punto di vista dell’osservazione all’analisi della interpenetrazione delle funzioni.

I sistemi chiusi si rendono reciprocamente possibili, poiché non sono mossi da alcuna natura intrinseca, ma dalla necessità di operare continuamente selezioni per riprodurre i propri elementi. Un sistema mette a disposizione la propria complessità, l’indeterminatezza, la contingenza, la necessità di selezione che lo concerne, per la costruzione di un altro sistema, retroagendo sulla propria stessa struttura. In questo senso si può dire che i sistemi rappresentano uno l’ambiente dell’altro, uno l’ambiente di differenziazione caratterizzato da una più elevata complessità dell’altro. Ciò significa che la complessità che essi si mettono reciprocamente a disposizione «è per il sistema di volta in volta ricevente, una complessità non concepibile, e quindi disordine»141. La difficoltà concerne nello spiegare la capacità di selezione

138 Ivi, p. 648.

139 Cfr. ibid. : «La totalità delle interazioni forma dunque una sorta di anarchia di base e crea, sia grazie alla stabilità intrinseca

dell’interazione, sia perché le interazioni sono necessariamente destinate ad avere fine, il materiale con cui gioca l’evoluzione sociale».

140 Ivi, p. 656. 141 Ivi, p. 356.

112 degli elementi che si rinnova attimo dopo attimo come risposta alla situazione di asimmetria che la prossimità dei sistemi produce di per sé, poiché: «Non abbiamo a che fare semplicemente con una costruzione del mondo per strati in cui gli strati inferiori devono essere ultimati prima che si possa continuare la costruzione»142.

I sistemi si rendono reciprocamente possibili perché possono presupporre i propri elementi come complessità temporalizzata. Non esiste una terza via: l’autopoiesi intervenire sul tempo per fare del tempo lo spazio evolutivo sistemicamente concepibile. A rigore gli elementi non appartengono neanche ai sistemi ma all’atto dell’autoriferimento nella forma di eventi concomitanti – si resta schiacciati dalla metafora della incorporazione. Risultano e non sono elementi: l’interpenetrazione non è una pragmatica né un mero essere-in-relazione. È una operazione concreta e coincide con l’integrare i confini di un sistema nella sfera operativa di un altro sistema, dato che: «Ogni sistema che prende parte all’interpenetrazione realizza in sé l’altro sistema nella forma della differenza che quest’ultimo instaura fra sistema ed ambiente, ma non differenzia se stesso in modo analogo»143. Nell’interpenetrazione un sistema stabilizza

l’aleatorietà della costituzione concomitante – cioè doppiamente contingente – dei propri elementi, attraverso la riproduzione continua di potenzialità non ancora attualizzate. Diversamente il sistema ricorrerebbe al proprio autoriferimento tautologicamente.

L’autonomia che concerne un sistema implica una selezione di dipendenze dall’ambiente e dagli altri sistemi. In breve: l’operazione di interpenetrazione è la relazione o l’ambito di possibilità di relazioni che si sviluppa come selezione di selezioni tra sistemi autopoietici. Per farsi, un sistema non può che contare sugli elementi che crea e questi, per essere concretamente in grado di riprodursi, devono insistere sulla struttura temporale dell’autopoiesi, diventare eventi. Ora, un evento conserva la possibilità tanto interna quanto esterna di accadere: spetta al rapporto di interazione concomitante selezionare le strutture che rendono effettiva la formazione di unità e di identità riproduttive. Il loro sorgere è altamente casuale, cioè non è motivato da una caratteristica di vantaggiosità rispetto a criteri esterni, “oggettivi”, “eterni”. Una volta interconnessi pattern di variabili, i sistemi ancorano a questi la possibilità di selezionare i successivi, rafforzando, conseguentemente, le selezione da cui si muovono.

Questa modalità di riproduzione mostra come in realtà l’interazione concomitante solleciti i sistemi in un modo che gli stessi difficilmente riescono ad assorbire. Un sistema sfrutta solo la parte di complessità dell’altro sistema che è in grado di vincolare nella propria sfera operativa. Per interagire i sistemi sociali e psichici sviluppano perciò frequenze di allerta, ricorrono a

142 Ivi, p. 358. 143 Ivi, p. 360.

113 schematizzazioni e tematizzazioni per ridurre lo spettro dell’improbabilità. Quello che accade è che si crea un filtro che facilita l’uso degli elementi aleatori per la selezione. Si garantiscono, con unità di senso interpenetrato, contesti strutturali a loro volta garantiti da vincoli. I vincoli non fanno altro che procurare schemi di differenza per trattare informazioni. Le relazioni improntate così alla complessità che i sistemi mettono a disposizione l’uno dell’altro, rendono riconoscibile la contingenza delle selezioni in atto – e dunque della necessità che siano in atto, della loro necessità operativa – rafforzando selettività e modificando la relazione stessa, all’interno di un raggio si selezioni autopoietiche che, a posteriori, rappresentano la storia di un certo tipo di interpenetrazione, e, dunque, della evoluzione di un sistema sociale. L’autopoiesi e la chiusura operativa creano forme e delimitazioni, linee di confine per costruirsi come il sistema del proprio autoriferimento, secondo gli schemi che dalla doppia contingenza dipendono: tutto ciò, a sua volta, è destinato a produrre altre conseguenze.

114 Capitolo terzo

Orientarsi ai problemi: il caso del «potere politico» e della «società civile»

I.III. Come è possibile l’ordine sociale? Epistemologia e sociologia

La domanda posta dal titolo è anche – e soprattutto – il titolo di un importante saggio di Luhmann, e, come dice Giacomo Marramao nella sua introduzione al testo dell’edizione

italiana, ne rappresenta «l’intimo filo conduttore»

1. Il saggio si apre con una delucidazione importante rispetto alla nozione di “problematica”

(Problemstellung), alla possibilità di inquadrare, attraverso questa specifica cornice di senso, problemi di ordine semantico, di epistemologia e di sociologia del sapere.

Il ricorso a impostazioni problematiche, e non a oggetti, assegna a una disciplina un carattere

universale2. Potendo riferirsi a ogni oggetto possibile, purché questo ricada sotto il punto di vista

della propria problematica, appunto, una teoria costruisce la sua forma di unità e di autonomia: risponde di sé contemporaneamente alla possibilità di rispondere ai problemi che essa stessa formula. Un problema posto retroagisce sull’orientamento di base della ricerca: porre un problema implica il porre a quali condizioni un certo elemento è divenuto problematico. Così facendo una problematica include le condizioni della propria possibilità. Il duplice aspetto di modalità che esprime la domanda iniziale sottolinea l’accoppiamento strutturale che sussiste tra semantica e struttura sociale, e di come questa corrispondenza possa essere scomposta secondo il «come» e il «possibile» a cui ci si incarica di trovare risposta.

Ora, restando sul piano epistemologico della questione, ciò vuol dire anche che «le problematiche costitutive concernono sempre problemi già risolti, altrimenti esse stesse non sarebbero possibili»3. Al posto di una fondazione, allora, una teoria che si orienta a problemi ha

da mostrare la propria matrice costitutiva attraverso un test autoreferenziale4. Di certo si può dire,

ancora con Marramao, che nel modo di impostare la questione «vi è più Kant che Hegel»5;

tuttavia, concepire non solo le condizioni di possibilità come problema, ma la possibilità come condizione problematica, e spostare il centro dell’indagine dalla necessità di un soggetto conoscente alla improbabilità di un ordine emergente, cambia, in termini di autoriferimento e di

1 N. Luhmann, Come è possibile l'ordine sociale, a cura di Giacomo Marramao, Laterza, Roma Bari 1985, p. VII. 2 Ivi, p. 4.

3 Ivi, p. 5. 4 Ibid. 5 Ivi, p. XI.

115 autoaccertamento, la situazione fondativa all’interno del sistema scientifico. E questo perché «la struttura autoreferenziale di una problematica diviene evidente solo allorché la problematica è un caso di applicazione di se stessa»6. L’epistemologia diventa parte del suo oggetto, come

sistema parziale di un sistema sociale, e occupa un livello della differenziazione – quello problematico-conoscitivo – offrendo al teorico la possibilità di sviluppare l’autoreferenza sul versante di una riformulazione sociologica della epistemologia stessa7. L’epistemologia governa

il suo sistema parziale: la sociologia, rispetto alla sua problematica costitutiva – come è possibile l’ordine/la società? – l’intero sistema sociale, anche per il tramite del test autoreferenziale, che è, in definitiva, un’altra possibilità dell’indagine scientifica di porsi quale «teoria-del-sistema-nel- sistema della società»8. Dall’altra parte va tenuto presente che anche la sociologia è un sistema

parziale del sistema scientifico, di cui l’epistemologia coglie la funzione di teoria-del-sistema- nel-sistema9.

Nel richiamo che predispone la differenziazione sistemica, si autoimplicano significati e fondamenti, quelli che impone la distinzione tra più riferimenti sistemici. Si parte dal presupposto che sistemi complessi possano sviluppare e conservare un ordine specificamente sistemico solo se si lasciano condizionare da una complessità ambientale più elevata. La pressione ecologica a cui sono sottoposti i sistemi lega le diverse teorie “interne” al sistema sociale perché per ogni strategia di comprensione e, dunque, di riduzione della complessità, vale l’idea che, in generale, riprodurre sotto forma di problematiche la complessità ambientale, rende più cogente il richiamo alla possibilità di definire altre soluzioni possibili del problema. Attraverso la forma semantica di problema, si scagiona la contingenza degli eventi sistemici: la soluzione proposta dal reale svolgimento della differenziazione, in relazione ai livelli di complessità temporalizzata, ri-diventa relazionale, contingente, attuale.

Dall’atro lato, si può aggiungere: la domanda problematica sulla possibilità di un elemento che risulta già sistemicamente connesso, formula un problema insolubile10. Il problema formulato

resta infatti aperto rispetto alle sue soluzioni, ovvero trasmette la problematica a tutti i modelli di risposta già acquisiti. In ciò rispecchia la struttura dei sistemi sociali, e, dal punto di vista più strettamente teorico, la modificabilità della teoria stessa. Questo risultato aperto propone l’ipotesi che una domanda come quella tipica del criticismo, «serva solo alla durevole auto-

6 Ivi, p. 5. 7 Cfr. ivi, p. 7. 8 Ivi, p. 8. 9 Cfr. ibid. 10 Ibid.

116 provocazione della ricerca»11, in quanto conduce alla possibilità di ripetizione della

differenziazione funzionale in se stessa e cioè alla ripetizione della differenza tra sforzi teorici, all’interno del sistema scientifico, e loro risonanze sul piano del sistema sociale. «Alla fine – chiosa Luhmann – troviamo una autoreferenziale “teoria senza qualità”, cioè senza una semantica già fissata in modo socio-strutturale, ma che resta, tuttavia, non del tutto priva di indicazioni di costruzione»12. Come questa possibilità teorica di apertura e di orientamento

venga riferita al caso di una teoria del potere politico, e alle teorie classiche della “società civile”, è ciò che tenteremo di mostrare nelle prossime due sezioni.