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Riproposizione della domanda: Che cos’è l’illuminismo?

Un sistema opera per la propria autonomia, non per la propria autarchia, il che risulterebbe semplicemente errato sul piano analitico, e falso su quello autopoietico, dato il presupposto

96 N. Luhmann, La sociologia come teoria dei sistemi sociali, cit., p. 154.

97 Cfr. M. Ceruti, Gianluca Bocchi, La sfida della complessità, cit., in particolare pp. VII-XXXVIII. 98 N. Luhmann, La sociologia come teoria dei sistemi sociali, cit., p. 154.

56 della complessità. Un sistema non lavora per sussistere ma per persistere nel proprio essere. Nella teoria dei sistemi sociali razionale è ciò che concerne il processo di formazione dei sistemi come sistemi autonomi, e autonomi in quanto chiusi operativamente. L’auto-posizione, l’autarchia di un modello universale di “ragione” e di “progresso”, inteso nei termini di un dispiegamento necessario, per cui il fine coincide con la fine, il télos con l’ éschaton, al confronto con le strategie di selezione della complessità in atto nella concreta formazione di strutture sistemiche, si mostra come un modello che rende prestazioni teoriche esigue.

Se per “illuminismo” continuiamo ad intendere al contempo «lo sforzo di ricostruire le condizioni razionali dell’esistenza umana a partire dalla ragione e senza alcun legame con la tradizione e il pregiudizio»99, allora il problema teorico e pratico dell’Illuminismo storico risulta

essere un problema irrisolto o incompiuto100, ma dal punto di vista della perspicuità, poiché «[…]

riguarda il modo in cui si possono elaborare insiemi eccessivamente complessi di informazioni»101. La sovrabbondanza di possibilità nella costruzione dei sistemi e delle forme di

rappresentazione, crea situazioni di incongruenza massima tra esperienza e conoscibilità di questa, tra crescita e riduzione della complessità. Una esperienza che ci pare venga segnalata da

99 Come si legge in N. Luhmann, Illuminismo sociologico, cit., p. 73.

100 Nel noto discorso La Modernità. Un progetto incompiuto, Habermas sottolinea come il progetto di emancipazione della

modernità derivi e sia un unicum con la stessa idea di Illuminismo, che, parafrasando Kant, è servirsi della propria ragione e averne il coraggio. Proprio la ragione illuministica, tuttavia, sconfinò fino ad essere descritta nell’unica forma di ragione strumentale, di domino della tecnica – la vergogna prometeica, ad esempio, di cui parla Günther Anders, ne L’uomo è antiquato, tr.it. Laura Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino 2003 – fonte di quelle contraddizioni e di forme di alienazione sempre ulteriori, diventate il tema centrale della critica della Scuola di Francoforte e, insieme, anche lo snodo che separa Habermas dai suoi maestri e colleghi (cfr. R. Wiggershaus, La scuola di Francoforte. Storia. Sviluppo teorico. Significato politico, tr. it. di Paolo Amaro e Enzo Grillo, Bollati Boringhieri, Torino, 1992). Habermas, infatti, sostiene la necessità di uscire da questo paradosso della dialettica della ragione illuministica e afferma la possibilità di una completa emancipazione proprio nel pieno dell’epoca post-moderna. Horkheimer e Adorno, che sono pur sempre illuministi, hanno sottovalutato il contenuto normativo della modernità culturale, fino al punto da teorizzare una unità immediata di ragione e dominio. Sappiamo che Habermas, ritornando direttamente sulla questione, nell’ultimo capitolo de Il discorso filosofico della modernità, postula la sua idea di uso pubblico e applicazione della ragione nella forma di una utopia comunicativa. Die Moderne als unvollendetes Projekt, come si può leggere anche nella Premessa del 1984 a Il discorso filosofico della modernità, è il titolo di un articolo originariamente concepito da Habermas come memoria del discorso ufficiale che fu chiamato a tenere quando nel settembre 1980 fu insignito dell’ «Adorno Preis», bandito dalla città di Francoforte. Pubblicato in traduzione parziale in italiano da «Alfabeta», 1981, n°22, pp.15-17, con il titolo Moderno, Postmoderno e Neo-Conservatorismo, questo scritto apre un quinquennio di elaborazione sul tema, che passa per il corso a Francoforte nel 1983/84, le conferenze al Collège de France del 1983, quella alla Cornell University del 1984, e che confluisce nella pubblicazione delle «12 lezioni» di cui si compone il Discorso filosofico. Si segnala, a margine, l’analisi magistrale di Richard Rorty, in particolare sul rapporto Habermas-Lyotard, cfr. R. Rorty, Habermas and Lyotard on Postmodernity, in «Praxis International» 4 (1984), pp. 33-44. A tal proposito la risposta di Habermas, Questions and Counterquestions, in «Praxis International» 4 (1984), e la discussione tra Rorty e Lyotard, apparsa in «Critique» 456 (maggio 1985), pp. 581-585. Sul tema si rimanda anche a S. Belardinelli, Il progetto incompiuto. Agire comunicativo e complessità sociale, FrancoAngeli, 1996.

57 Kant stesso102, nonostante il chiliasmo filosofico103, e che ci rimanda alla parabola di un altro

illuminista, al pensiero di quel Cassirer così fiducioso di aver posto l’ idea di una costituzione

repubblicana104 nel 1929, chiamato a celebrare la Repubblica di Weimar, da arrivare infine ad

interrogarsi sulla natura mitica della stessa idea di Stato105.

I tentativi di caratterizzare il contenuto dell’illuminismo, come epoca o come atteggiamento106, in

quanto uscita107 o come caduta108, hanno portato ad indicare, esclusivamente, elementi propri di

autodescrizioni sociali. Questo è valso per l’associazione che storicamente si è data tra il concetto di “moderno” e l’idea di un “illuminismo della ragione”, nella querelle tra antichi e moderni posta sotto il segno di una libertà progressiva e di una certa idea di autonomia, almeno a partire, se si vuole, dal quadro delineato da Turgot109. Stesso discorso può essere fatto per la

modernità culturale ed economica del borghese «nelle forme successive del proprietario di schiavi,

102Rispetto al tipo di discorso sulla storia di Kant, si può vedere come si è fatto in tempo a costruire tribunali per la ragione

e chiese per gli uomini di volontà buona, ma non a intervenire nei nessi di una “società civile” per cui il principio morale non era, come non sarà mai, il principio architettonico di formazione – d’altronde già i moralisti scozzesi avevano messo in guardia, uno su tutti l’Adam Ferguson del Saggio sulla storia della società civile, tr. it. e c. di Alessandra Attanasio, Editori Laterza, Bari 1999. Ciò per cui è stato possibile individuare nel principio della legislazione, come ha fatto Kant quando si è trattato di discutere del rapporto della teoria con la prassi nel diritto dello Stato, ovvero discuterne contro Hobbes, in I. Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (I793), in I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, pp. 136-152, l’autenticità e la forza di ogni costituzionerepubblicana, ma che nel proporre l’idea di questo «contratto originario» è stato poi costretto ad ammettere che «colui che in questa legislazione ha il diritto di voto si chiama cittadino (citoyen, ossia cittadino dello Stato, non cittadino della città, bourgeois)», che la qualità che si esige a questo fine è esclusivamente che egli sia suo proprio signore, ovvero che abbia una qualche proprietà, ma che tuttavia risulta «alquanto difficile, lo ammetto, determinare i requisiti necessari a poter pretendere alla condizione di uomo che è suo proprio signore», cfr. ivi p. 148. Mentre sul tipo di discorso filosofico di Kant rispetto all’intendimento della storia, si rimanda a L. Calabi, Il sentiero della ragione e il tribunale del mondo. Introduzione, in F. Schiller, Lezioni di filosofia della storia, introduzione traduzione e cura di Lorenzo Calabi, ETS, Pisa, 2012, e Id., Filosofia della storia in Kant e Schiller. Riflessioni su di un confronto, in Schiller lettore di Kant, a c. di Alberto L. Siani e Gabriele Tomasi, ETS, Pisa 2013.

103 Il non esaltato chiliasmo filosofico di contro alla rappresentazione terroristica, eudemonistica e abderitistica della storia,

di cui parla Kant in Cfr. I. Kant, Il conflitto delle facoltà in tre sezioni. Seconda sezione: il conflitto della facoltà filosofica con la giuridica. Riproposizione della domanda: se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio (1798), in I.Kant, Scritti di storia, politica e diritto, a cura di Filippo Gonnelli, Laterza, Roma-Bari, 2009, p.225; mentre per quanto concerne il «si vede bene che anche la filosofia può avere il proprio chiliasmo», cfr. ivi, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, p. 39.

104 Cfr. E. Cassirer, L’idea di costituzione repubblicana, cit.

105 Cfr. E. Cassirer, Il mito dello Stato, tr.it. di Camillo Pellizzi, SE, Milano 2007.

106 Cfr. M. Foucault, Qu’est-ce que les Lumières? «Magazine littéaire», 207 (1984), tradotto da F. Polidori in, F. Polidori, Il

problema del presente. Una lezione su “Che cos’è l’Illuminismo” di Kant, «Aut-Aut», 205 (1985), n. 1, pp. 11-19. Il problema dell’intendimento del “presente” e del ruolo svolto da Kant nell’elaborazione del filosofo francese, cfr. ad esempio, G. Marramao, Introduzione a Illuminismo e attualità: il moderno come interrogazione sul presente. Due testi di Michel Foucault e Jürgen Habermas, «Il centauro», 11-12 (1984), pp. 223-228.

107 Cfr. F. Schiller, La prima società umana secondo il filo conduttore del documento mosaico, in F. Schiller, Lezioni di filosofia della

storia, cit., pp.77-102, e. L. Calabi, Il sentiero della ragione e il tribunale del mondo. Introduzione, cit., p. 32.

108 Come invece è per Kant, cfr. I. Kant, Inizio congetturale della storia degli uomini (1786), in I. Kant, Scritti di storia politica e diritto,

cit., pp. 103-116.

109 Cfr. A.-R.-J. Turgot, Quadro filosofico dei progressi successivi dell’intelletto umano, e Id. Piano di due discorsi sulla storia universale in.,

A.-R.-J. Turgot, Le ricchezze, il progresso e la storia universale, a cura di R. Finzi, Einaudi, Torino 1978. Per una critica dell’idea e il paradigma moderno della progressività, cfr. A.M. Iacono, Il borghese e il selvaggio. L’immagine dell’uomo isolato nei paradigmi di Defoe, Turgot e Adam Smith, cit.

58 del libero imprenditore, dell’amministratore»110, in quanto «soggetto logico dell’Illuminismo»111.

Succede ancora oggi, con la circolazione di espressioni quali “società del rischio” o “società dell’informazione”, ad esempio. Ciò che restava e resta inspiegato è la matrice costitutiva e lo statuto della differenza112 che una configurazione sociale moderna, appunto, gioca contro le altre

formazioni, nell’acquisizione temporale di un intero spaziale, e nella proiezione che compie lungo il corso di un tempo concepito come freccia.

Quando la società moderna definisce se stessa come tale, si identifica servendosi di un rapporto di differenziazione nei confronti del passato, di ciò che intende per “passato”. Rispetto alla dimensione temporale la società, dettasi “moderna”, appunto, può costruirsi un’identità richiamandosi costantemente al proprio passato, vale a dire distinguendo l’autoreferenza dall’eteroreferenza113. Si tratta, in poche parole, della creazione di un contesto di diversità114.

Il sociologo, per ciò detto, «non può non rendersi conto che il discorso sul Moderno viene condotto costantemente a livello semantico»115. Questo perché le strutture complesse risultano

sempre più evidenti all’analisi che non l’ordine autoreferenziale che si sviluppa in rapporto con la paradossia di base di un autoriferimento che implica la riproposizione operativa della differenza tra autoriferimento ed eteroriferimento. La prima cosa da fare per cogliere il problema è distinguere i piani del discorso: da un lato la strutturazione e la differenziazione della società, dall’altro la semantica116. La preferenza per un tale cominciamento lega la

proficuità dell’indagine al modo di sviluppo di qualsivoglia sistema. La distinzione tra struttura e semantica è infatti già una distinzione semantica, e dunque, come operazione, ripresenta la paradossia di un sistema che definisce se stesso come differenza del proprio riferirsi a sé e del proprio riferirsi ad altro da sé. In questo fenomeno sistemico si trova «la base della fecondità

110 Cfr. T.W. Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo, tr. it. di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 1997, p. 91. 111 Ibid.

112Anche Foucault, ma qui la differenza in quanto tale, ovvero per Luhmann, la questione diventa descrivere concettualmente in

maniera più precisa questa caratteristica specifica di una razionalità che si orienta verso la distinzione, cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, cit.

113 Marx già aveva notato che sistemicamente solo i “problemi” che possono essere risolti risultano comprensibili, Luhmann in

più ci spiega come “problema” sia ciò che riguarda la possibilità di autoriferimento, l’innesco e il suo correlato. Cfr. Cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, cit., p.12.

114 Cfr. J.M. Lotman, Testo e contesto : semiotica dell’arte e della cultura, a cura di Simonetta Salvestroni, Laterza, Roma Bari 1980, e

Id., Tesi per una semiotica delle culture, a cura di Franciscu Sedda, Meltemi, Milano 2006.

115 Cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, cit., p. 9. Qui il riferimento è direttamente Habermas, per il quale si rimanda al

contesto di cui sopra, nota n°110.

116 Cfr. N. Luhmann, Struttura della società e semantica, tr.it. Maria Sinatra, Laterza, Roma-Bari 1983. E sull’argomento, C.

Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, Semantica e comunicazione. L’evoluzione delle idee nella prospettiva sociologica di Niklas Luhmann, Clueb, Bologna 1987.

59 delle analisi che sviluppano la loro paradossalità»117 e insieme «sostanzialmente già tutta la teoria

del Moderno»118.

Un modo davvero radicale, potremmo aggiungere, di ricostruire l’unità del principio dell’identità del non-identico, senza cadere nella trappola del blocco epistemologico119 della

uniformità, della omogenizzazione di partenza. Seguendo Luhmann la discussione si sposta metodologicamente dalle autodescrizioni della società moderna ai criteri del moderno, alla formulazione di una teoria adeguata, a «una semantica del rapporto tra struttura e semantica, una teoria dell’autodescrizione della società che si riproduce in strutture»120.

L’operazione di definizione è, in ogni caso, l’operazione di un osservatore. L’osservatore opera una distinzione che rientra121 nella designazione iniziale [quella per cui l’osservatore indica se

stesso in quanto differenza] retroagendo sull’osservazione di partenza [è improprio fornire un tipo di spiegazione in ordine allo schema prima/dopo, la spiegazione dovrebbe mantenersi a livello funzionale, l’unico punto di vista in grado di sviluppare la paradossia; nonostante ciò, si può dire: ex post, come osservazione di second’ordine, mentre era già, per il solo fatto di operare, distinta dal non-operare-una-distinzione] in quanto ciò che è differenza che fa differenza si ripropone continuamente come doppio riferimento, come doppia modalità di acquisizione di informazioni, tra auto ed etero-riferimento.

Ora, poiché un osservatore disegna per sé, e designa per l’altro da sé, una distinzione, ogni designazione non può che essere contingente (sicuramente se si guarda alla struttura cognitiva del re-entry, mentre si intendere come necessaria sul piano operativo). Un sistema «si esclude operativamente dall’ambiente e si rinchiude in sé osservando»122: per questa particolare teoria

dell’osservazione non può esistere alcuna contrapposizione tra soggetto e oggetto, bensì «semplicemente una concatenazione circolare di attività diverse (diciamo sensomotorie)»123.

117 Cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, cit., p. 9. 118 Ibid.

119 Il riferimento di Luhmann è agli ostacles épistémoloques di Gaston Bachelard, cfr. G. Bachelard, La formazione dello spirito

scientifico: contributo a una psicoanalisi della conoscenza oggettiva, a cura di Enrico Castelli, Gattinara, Cortina, Milano 1995.

120 N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, cit., p. 13.

121 «Questa presunzione corrisponde al calcolo delle forme di George Spencer Brown, che inizia con una paradossia

nascosta, cioè con l’indicazione di porre una “distinction” che consista in distinction e indication ma che sia da trattarsi come unico operatore; tutto ciò conduce alla paradossia evidente di un “reentry” della distinzione in ciò che è distinto», ivi p.9n., come più avanti nel testo, alle pp. 46-47. Cfr. G. Spencer Brown, Laws of Form, The Julian Press, New York 1972, in particolare p. 69 segg.

122 N.Luhmann, La razionalità europea, in Id., Osservazioni sul moderno, cit., pp. 48-49.

123 N. Luhmann, La contingenza come valore proprio della società moderna, in Id., Osservazioni sul moderno, cit., p.63. Tuttavia, anche

sul “diciamo sensomotorie” si può guardare, F. Varela, Complessità del cervello e autonomia del vivente, e K. Pribram, Contributi sulla complessità: le scienze neurologiche e le scienze del comportamento, in Bocchi, Ceruti, La sfida della complessità, cit. .

60 Tutto diventa contingente se ciò che viene osservato dipende da chi lo osserva: non sussiste alcuna possibilità di trovare un’autodescrizione della società moderna che superi il valore e l’importanza – cognitiva ed etica – della possibilità astratta di autodescrizione in generale. Per concepire il portato reale della modernità, anche come atteggiamento, si dovrebbe compiere un salto dalla semantica storica124 al calcolo delle forme del re-entry, dato che, afferma Luhmann, il

problema del moderno della società moderna non riguarda i “post” o i “pre” modernismi, quanto che tale società oggi dipende, quasi senza via d’uscita, esclusivamente da se stessa125. La

proclamazione del “Postmoderno”, ha avuto l’unico merito di mostrare che la società moderna non crede più – o non crede di credere più – di saper fornire descrizioni corrette su se stessa, poiché ammette l’esistenza di altre possibilità, e vive questa ammissione con falsa coscienza, come

rigetto diretto del distinguere126.

Nel contesto di osservazione non si può trovare alcuna posizione privilegiata, nessun punto di vista che riesca a legare immediatamente osservazione e referenza – si deve passare sempre e comunque per la via della designazione. I giudizi di razionalità devono pertanto essere svincolati dai significati dati a priori dall’esterno, e venire applicati a una unità di autoreferenza ed eteroreferenza producibile sempre e solo all’interno del sistema127. Di conseguenza non si

tollera alcuna idea definitiva, alcuna autorità, nemmeno nel caso in cui venga intersoggettivamente dedotta oppure pragmaticamente esposta come immanente al mondo in quanto orizzonte di senso. Nel processo di osservazione della differenziazione sistemica «non si

124 Per come paradigmaticamente si può trovare in R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Marietti,

Genova 1986.

125 Cfr. N. Luhmann, Il Moderno della società moderna, in Id., Osservazioni sul moderno, cit. 126 Cfr. N. Luhmann, La razionalità europea, p. 56.

127 Da questo punto di vista anche la pragmatica universale teorizzata da Habermas, rispetto al concetto di “apprendimento

intramondano”, come processo di formazione aprioristico ancorato a una certa idea di “razionalità” delle prassi quotidiane di vita, verrebbe a trovare un arduo ostacolo da aggirare. Luhmann considera Spencer Brown nella prospettiva critica di Quine, ovvero: l’empirismo moderno è stato per molta parte condizionato da due dogmi, da una presunta discriminazione fra verità che sarebbero analitiche per il fatto di basarsi sul significato dei termini, e non su dati di fatto, e verità che sarebbero sintetiche perché si fondano su dati di fatto, e, poi, dalla tesi per cui tutte le proposizioni significanti sono equivalenti a certi costrutti logici, sulla base di termini in relazione diretta con l’esperienza immediata. Luhmann propone una sostituzione, che non è solo terminologica, evidentemente, per abbandonare il piano di spiegazione segnato dalla compresenza dei due costrutti dogmatici appena accennati. Nella sociologia dei sistemi sociali alla distinzione analitico/sintetico, e al nesso di definizioni vetero-europei, si contrppone il circolo autologico di autoreferenza (analitico) ed eteroreferenza (sintetico). Le cosiddette verità analitiche «sono […] l’ambito in cui l’autoriflessione del sistema può riconoscere la propria base paradossale e risolverla con l’aiuto dell’asimmetria tra sistema e ambiente, nel senso di autoreferenza ed eteroreferenza», e questo crea altri tipi di problemi (come quelli categoricamente teorizzati da Gödel o Ashby). Percorrendo questa strada, per un verso si assiste a un offuscarsi della distinzione fra metafisica e scienza naturale; per un altro un accostarsi, in Quine, al pragmatismo, in Luhmann, a un costruttivismo corretto dalla logica della cibernetica di second’ordine. Cfr. W. Van Orman Quine, Da un punto di vista logico: saggi logico-filosofici, a cura di Paolo Valore, Cortina, Milano 2004, in particolare il noto discorso che apre il testo, Due dogmi dell’empirismo. Per Luhmann, invece, cfr. N. Luhmann, Il Moderno della società moderna, cit., pp. 21-22. Interessante è anche – come diventa consueto nelle opere degli anni ’90 – il richiamo a Saussure e a Derrida, cfr. ivi, p. 21n.

61 tratta pertanto di una emancipazione verso la ragione, bensì di una emancipazione dalla ragione, e questa emancipazione non deve essere perseguita, bensì è già avvenuta»128.

Chiunque si ritenga ragionevole può venire osservato e decostruito. Tuttavia ricostruire la

decostruzione dovrebbe riguardare la possibilità di osservare questa osservazione, per poter fugare

ogni accusa di arbitrarietà: sicuramente riguarderebbe questioni di verità e di giustizia129. E,

infatti, Luhmann spiega come la chiusura operativa implichi una differenziazione specifica: l’autonomia è una specifica forma di dipendenza, sebbene questo dipendere non possa essere associato a uno stato di minorità130. In questo caso, infatti, a differenza di una tradizionale

osservazione di prim’ordine, per cui si assumeva in termini di progressività la differenziazione sociale, ci ritroviamo dinanzi al tentativo di indagare la contingenza di queste forme dirette di osservazione.

L’operazione della comunicazione sociale produce l’unità del sistema sociale, rifacendosi ad altre comunicazioni e distinguendosi da queste, dando così luogo a una differenza tra dentro e fuori,