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Da un punto di vista interno alla teoria dei sistemi, qualsiasi cosa si intenda per teoria, questa costituisce un sistema di spiegazione che comprende in sé una descrizione di se stessa. Da un punto di vista esterno, invece, tra “perdita di senso” e “aumento di complessità”, la teoria dei sistemi sociali ha dinanzi «sia una difficoltà che un impegno. La difficoltà è immanente all’oggetto stesso. Risiede nell’antinomia tra complessità e trasparenza»38. L’impegno, per ciò

detto, supera l’attività di un solo ricercatore. Allora, si può dire, il circolo, la fondazione autologica, si profila come la figura centrale della teoria, soprattutto se si tiene conto del fatto, non certo scontato, che “teoria generale dei sistemi” vuol dire per Luhmann teoria dei sistemi sociali. Se poi è corretta la tesi secondo cui la società può esistere come sistema sociale soltanto sulla base di una sua auto-descrizione, allora la teoria dei sistemi sociali può diventare una teoria sociologica generale, e la sociologia, così intesa, la teoria chiamata a realizzare una adeguata auto- descrizione della società, «a comunicare entro la società in maniera adeguata sulla società»39.

Una teoria dei sistemi sociali considera tutti gli oggetti come sistemi o sottosistemi, li considera a partire dal punto di vista dell’auto-riferimento intrinseco all’oggetto. Ciò obbliga la teoria ad

36 Sul concetto di Erlebnis il dibattito con Habermas aiuta a contestualizzare il senso che Luhmann attribuisce a tale concetto,

cfr. J. Habermas, N. Luhmann, Teoria della società o tecnologia sociale, cit., pp. 12, 26-31, 34 segg., 46 segg., 61segg., 70 e segg.

37 Cfr. N. Luhmann, Funzione e causalità, cit., pp. 26-29. 38 N. Luhmann, Illuminismo sociologico, cit., p. XLI. 39 Ibid.

36 applicare l’autoriferimento anche a se stessa. Riferendosi agli oggetti che analizza non può che riferirsi anche a se stessa e diventare proprio oggetto di analisi. In questo senso la teoria trova il modo di riconoscere che il suo rapporto con gli oggetti è un momento del suo stesso auto- riferimento: «è il suo oggetto che obbliga la scienza ad una epistemologia corrispondente»40.

L’epistemologia coinciderebbe con l’operazione differenziante e differenziata dell’auto- osservazione e dell’auto-riferimento, assunta su un livello di osservazione di ordine ulteriore al primo.

Il rapporto tra la relativa inferiorità o superiorità dei tentativi di analisi esterna, come di autoanalisi, varia storicamente e dipende dal livello di radicalità della teoria. Ad esempio, la sociologia è adeguata al suo concetto di teoria generale del sistema “società” se acquista valore

sociale, e acquista un valore sociale nella misura in cui contribuisce alla realizzazione di

un’adeguata auto-descrizione della società.

Secondo il punto di vista sistemico, una teoria conserva due aspetti fondamentali: da un lato le appartiene un carattere oggettivo, quella componente di astrazione e attesa di aspettative che rendono una teoria capace di essere discussa e verificata: teoria, dunque come fatto sociale,

strutturazione metodica dell’esperienza comune. Dall’altro è una vera e propria prassi, una produzione

dipendente da presupposti e dall’oggetto a cui si rivolge, così come dall’ambiente di ricerca nel quale si iscrive e prende forma. Un ricercatore, come chiunque altro individuo, quando si trova nella situazione di agire, quale che sia l’azione, si trova di fronte alla necessità di operare selezioni. Soltanto la diversa organizzazione di questa selettività distingue l’appartenenza a determinati sistemi, l’oscillazione in termini di equivalenze funzionali nel pattern di variabili coinvolte nel processo di differenziazione. La teoria implica e dipende da una prassi. In quanto tale, ha in comune con ogni altra prassi sociale il nesso di socialità che vige in condizioni di complessità: la selezione e la riduzione di complessità.

I limiti pratici della possibilità di operare selezioni dipendono dai limiti dell’elaborazione consapevole delle informazioni. Prassi è allora quel concetto che si riferisce alle strategie concrete di accrescimento della complessità programmaticamente controllabile e che si identifica con il problema «della regolazione in presenza di un sovraccarico di complessità accompagnato da possibilità di scelta»41. Nell’azione quotidiana esistono più possibilità di

quante possono essere prese in considerazione: ciò determina l’emersione del problema, la

40 N. Luhmann, Illuminismo sociologico, cit., p. XXXVI. 41 N. Luhmann, La prassi della teoria, cit., p. 299.

37 ricerca delle soluzioni, la consapevolezza che problema e soluzioni risultano contingenti e quindi sostituibili. «È un problema che collega la situazione del teorico con quella in cui si trova chi vorrebbe o dovrebbe applicare la teoria»42: per questo, aggiunge, «esso dovrebbe costituire

la base di un’intesa fra i due»43 .

Unificate dalla necessità di operare selezioni e di rispondere all’incremento conseguente della complessità, teoria e prassi devono concepirsi alla luce del fenomeno delle equivalenze funzionali che si instaurano nel processo di differenziazione sistemica. La complessità è il problema-guida, una sociologia generale non può che tenerne conto, pena l’incapacità di esprimere alcun giudizio sensato sulla società da cui e verso cui orienta le sue ricerche. Rispetto a tale preoccupazione, una teoria sociologica generale deve dunque considerare:

- la differenziazione funzionale dei sistemi parziali primari (politica, economia, sistemi psichici, scienza, società) e la produzione di un sovrappiù di possibilità che deriva dalla differenziazione; - la labilità dei confini sociali, del fatto che una società altamente complessa non può più essere integrata tramite enunciazioni di nature o di comunità originarie;

- l’interdipendenza sempre crescente tra sistemi differenziati;

- la crescente richiesta di astrazione sia sul piano della comunicazione che sulle prestazioni di selezione, e che questo non può che implicare una difficoltà sempre maggiore nel conciliare esperienza vissuta e azione;

- l’insufficienza dei modelli normativi della morale e della religione, almeno sul piano della logica dei sistemi, di regolazione delle situazioni emotivamente complesse in termini collettivi. Al netto di ciò, lo scopo della prassi teorica è di fare del problema della complessità una teoria della complessità, cosa che per Luhmann vuol dire una esplicita teorizzazione della sociologia come livello linguistico metalinguisticamente non oltrepassabile, e dunque come di quell’unico dominio nel quale provare a delineare i fondamenti di una teoria generale. Un tale punto di vista orienta qualsivoglia ricerca a disporsi secondo il carattere contingente e rischioso di ogni conoscenza, a riconoscere che nessuna evidenza empirica risulta decisiva e che, rispetto al problema del rapporto tra complessità e trasparenza, il punto di inizio e lo sviluppo di ogni processo conoscitivo non può che richiedere «continue decisioni teoriche»44.

Il funzionalismo classico aveva come principale preoccupazione teoretica quella di riuscire a spiegare il “dato di fatto” – o ciò che appariva come dato di fatto, immediato presupposto della

42 Ivi, p. 301 43 Ivi, pp. 301-302

38 ricerca, per il quale si contrapponeva, al “cominciamento assoluto”, l’assoluta relatività del prospettivismo dei punti di vista45 – dell’ ordine sociale. Tale preoccupazione ha condizionato

l’epistemologia funzionalista a tal punto da indurla ad identificare il concetto di funzione con quello di una causa speciale. Luhmann sottolinea come in questo ambito la teoria confondi le sue prerogative con quelle di una discussione più o meno efficace dei dettami provenienti dal metodo. Nel saggio Metodo funzionale e teoria dei sistemi46 viene spiegato come sia possibile

superare questa sovrapposizione, perché «Ogni metodo deve certamente dimostrare la propria validità attraverso i propri risultati, ma non sta o cade con un unico risultato»47. La scienza,

come sistema chiuso, è sottoposta alla stessa richiesta di prestazione sistemica di ogni altro sistema sociale, cosicché un solo metodo può determinare l’emergere di più teorie e di confutazioni di queste, e, allo stesso tempo, rendere visibili risultati ai quali non era neanche intenzionato. Un metodo, rispetto a una teoria, è quindi una prestazione che richiede un livello di astrazione più alto, e lo sarebbe anche nel caso si mettesse a punto una teoria del metodo. Per Luhmann la questione diventa: «sapere se è possibile concepire una specifica metodologia funzionalistica e come può essere pensato il suo rapporto con la teoria»48.

Il primo passo per l’elaborazione di un’autonoma dottrina del metodo deve partire dall’

esposizione del metodo funzionale come metodo comparativo: non è l’identità della forma (principio di

45 Non è tanto il concetto di scienze sociali in relazione alla filosofia, come si può leggere nella prima è fondamentale opera di

Peter Winch, Il concetto di scienza sociale e le sue relazioni con la filosofia, tr.it. di Marco Mondadori e Massimo Terni, Il Saggiatore, Milano 1972, o non soltanto, quanto invece come quel tipo di fondazionalismo onto-logico si sia protratto per lungo tempo, escludendo dalla teoria il ruolo e l’esistenza materiale dell’ osservatore, che è qualcosa di operativamente più complesso che non un operatore linguistico. D’altronde in Winch, come si legge in Fabio Dei, Il significato e l’azione: Wittgenstein tra gli antropologi, «Quaderni di Teoria Sociale», n. 1 | 2017, pp. 45-46: «La sua idea centrale è quella di rileggere tramite W[ittgenstein] la tradizione “comprendente” delle scienze dello spirito di ascendenza diltheyana. Il Verstehen va inteso per Winch non come una sorta di identificazione empatica con i soggetti sociali, o una forma di accesso ai contenuti della loro coscienza; piuttosto, come descrizione dei sistemi di regole condivise dagli attori e radicate in forme pratiche di comunicazione e interazione tra di essi. È infatti in tali regole che consiste il significato dell’azione sociale, sia per chi la compie sia per chi intende descriverla dall’esterno. Da qui la difficoltà peculiare in cui si imbatte la sociologia. Da un lato, essa è un’attività scientifica governata da regole interne al proprio campo. Dall’altro, tuttavia, il suo stesso oggetto di studio è un comportamento (o un discorso) governato da regole: “queste regole, e non quelle che governano la ricerca del sociologo, specificano cosa vale per “fare lo stesso tipo di cosa” in relazione a quel tipo di attività” [Winch 1958, p.87]». Nella teoria dei sistemi, invece, come declinazione di ambizioni generali proprie della cibernetica di second’ordine, si relativizza l’osservatore in modo molto più radicale che come avveniva per la filosofia del punto di vista. Ovvero: l’osservatore viene messo in relazione alla sua osservazione, al fatto che può vedere solo ciò che può vedere e non può vedere ciò che non può vedere, in quanto “osservare”, come operazione di base, risulta essere uno tra i tanti vincoli autopoietici. Risulta perciò possibile, seguendo questo schema argomentativo, conciliare visioni idealtipiche con altre estremamente storicistiche. Tuttavia, come è chiaro, nel senso che Luhmann stesso ha voluto darne, in un opera più tarda rispetto a quelle che qui stiamo tematizzando. Si guardi, in fatti, alle sue Osservazioni sul moderno, le quali, poste in costante relazione con la cibernetica di secondo ordine e la legge della forma di Radcliff-Brown, e in sede di giustificazione delle forme di intendimento del sapere autoreferenziale, ci informano di una distinzione decisiva «tra osservazione di primo e di secondo ordine e con ciò una maggiore storicizzazione», propria dell’indagine sistemica, cfr. N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, tr. it. Francesco Pistolato, Armando Editore, Roma 1995, p. 50 e la nota n°48.

46 N. Luhmann, Metodo funzionale e teoria dei sistemi, in Id. N. Luhmann, Illuminismo sociologico, cit., pp. 31-56. 47 Ivi, p. 32.

39 feticismo della rappresentazione, omogenizzazione di partenza49) ma la differenza della funzione

(principio di equivalenza, sostituibilità delle cause) a segnare l’ orientamento di base del metodo. La formula incentrata sui problemi e sulla soluzione di problemi ha via via soppiantato la formula incentrata sulla stabilità. Alla conservazione dei sistemi sociali giova infatti di più la possibilità di creare strutture che consentano una permanente sostituibilità delle prestazioni funzionali in gioco al proprio interno che non il contrario. Questo spostamento, significativamente enunciato da Luhmann, non poteva che avvenire nell’ambito della metodologia causalistica classica, e Ernst Cassirer, potremmo dire, ne rappresenta il momento teoretico inaugurale più consapevole, almeno se si resta in Europa50.

Tuttavia, afferma Luhmann, «Dato che questa sostituzione è stata compiuta, per così dire, sotto banco e quasi inavvertitamente, non si è fatto finora pienamente chiarezza sulla sua portata»51.

L’orientamento di base del metodo deve poter essere integrato con l’aiuto del concetto di sistema: «In questo modo è possibile comprendere la separazione e la reciproca dipendenza del metodo e della concezione teorica»52. Il problema del rapporto tra fattualità e razionalità del

comportamento fattuale rientra in questo dominio problematico. La sociologia, per citare alcuni grandi paradigmi, da Comte a Weber, ma anche in Habermas, è stata in grado di tener conto del comportamento fattuale considerando unicamente le premesse e le conseguenza causali, aprendo la strada all’ambito di ricerche che per reazione ha poi concentrato il proprio focus sulla

49 Cfr. A.M. Iacono, Il borghese e il selvaggio. L’immagine dell’uomo isolato nei paradigmi di Defoe, Turgot e Adam Smith, ETS, Pisa1982,

in particolare, a pp. 20-21: «La storia dell’universalismo e del suo affermarsi moderno influenza anche l’osservatore e i suoi modi di interpretare i processi che intende descrivere. Vi è un implicito che determina il punto di vista, che, a sua volta, nasconde la parzialità del vedere […] Il “falso evoluzionismo” descritto da Lévi-Strauss, ovvero quel processo che in questo lavoro è stato chiamato “omogenizzazione di partenza” e che si caratterizza, come già si è accennato, attraverso un processo universalizzante di riconoscimento dell’altro, ma in una gerarchia temporale (la non contemporaneità dei selvaggi contemporanei) che rende diseguali uomini e popoli, ha funzionato da implicito per modelli di interpretazione che pretendevano di descrivere i in modo semplice e trasparente». Per una indagine critica di questo implicito, su un piano contiguo, cfr. Id., Teorie del feticismo. Il problema filosofico e storico di un «immenso malinteso», Giuffrè, Milano 1985, in un sorta di indagine cibernetica, diremmo à la Luhmann, del punto di vista del punto di vista, ovvero del feticismo (operativo nell’osservazione) del feticismo (omegenizzato dell’osservato), come anche a Id., Storia, verità e finzione, Manifestolibri, Roma 2006. Al tema dell’ «omogenizzazione di partenza» ha fatto esplicito riferimento Niklas Luhmann nel saggio, appunto, Die Homogenisierung des Anfangs. Zur Ausdifferenzierung der Schlerziehung, in Zwischen Anfang und Endean die Pädagogik, herausgegeben von N. Luhmann und K.E. Schorr, Suhrkamp, Frankfurt a M. 1990, pp. 73-111, in particolare cfr. p. 89.

50 Cfr. E. Cassirer, Sostanza e funzione : ricerche sui problemi fondamentali della critica della conoscenza, a cura di Massimo Ferrari, La

Nuova Italia, Firenze 1999. D’altronde, anche nella più tarda opere Filosofia delle forme simboliche, la quale viene costruita come prosecuzione, rimando e svolta proprio a partire dal lavoro degli anni ’10, e in relazione alla possibilità di intendere la critica della ragione anche come critica della civiltà, il che significa prendere sul serio il concetto di Dialettica trascendentale in Kant, si legge: «La questione decisiva sta sempre nell’alternativa se noi cerchiamo di intendere la funzione partendo dal prodotto o il prodotto partendo dalla funzione, se facciamo in modo che quest’ultimo “si fondi” sulla prima o viceversa», cfr. E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, cit., vol. 1, p. 12.

51 N. Luhmann, Metodo funzionale e teoria dei sistemi, cit., p. 34. 52 Ivi, p. 33.

40 dinamica di emersione delle forme di vita, sulla centralità dei corpi. Un confronto tra la sociologia di Luhmann e le tradizionali scienze sociali di impostazione normativa sul punto della definibilità critica – condizioni di possibilità – del comportamento effettuale può partire da qui: nel quadro della teoria causalistica l’effetto di una data causa, o riconducibile a un concorso di cause, una volta classificato e tipizzato, smette di risultare interessante di per sé, mentre è proprio qui che si trova il nocciolo della questione.

La formula incentrata sui problemi svela come la riconduzione degli effetti alle cause non sia l’esclusiva ambizione teorica del funzionalismo delle equivalenze. Caratterizzati come problemi, gli effetti assumono l’aspetto di cause ulteriormente determinabili. Si dirà: impostando così il discorso, non si farebbe altro che sostituire alla cattiva infinità di un regressus ad infinitum quella di un progressus ad infinutum, poiché in entrambi i casi sfuggirebbe il principio che informa la serie. «La problematica inerente al concetto di problema viene […] trasposta prematuramente sul piano della fattualità»53, per poi compiere un salto meta-fattuale, in coerenza col tipo di schema

formale aprioristico esibito dal ricercatore.

Una teoria è una prassi, in quanto opera una selezione e perché corrisponde all’attività sensibile di soluzione di una problematica. Un problema è una risposta che ci interpella in quanto formulatori di domande: è una risposta in cerca di domanda. Risolto nel concreto, il problema si ri-attualizza come dato conoscitivo grazie a una domanda sulle sue condizioni di possibilità. Le contraddizioni che si incontrano nell’analisi dei processi concreti svolgono una funzione catalitica, di auto-catalisi, sia che si guardi al giudizio dei fenomeni sia se si tiene conto dei fenomeni in quanto tali. Tuttavia, secondo Luhmann, ed è chiaro che non si tratta soltanto di una questione terminologica, più che di “contraddizioni” sarebbe più opportuno parlare di

conseguenze disfunzionali54. Non è logicamente possibile, infatti, dedurre l’intero sviluppo

temporale a partire dalla logica oppositiva di posizione e negazione, da una contraddizione rilevabile a livello dei contenuti determinati di una certa forma di sviluppo, nonostante si accetti «il presupposto teorico di tipo ontologico che sta alla base di una tale deduzione, cioè l’assunto secondo cui ciò che è realmente e stabilmente non può non-essere»55. O meglio: dedurlo è

53 N. Luhmann, Metodo funzionale e teoria dei sistemi, cit., p. 35. 54 Cfr., ivi, p. 36.

41 possibile – in quanto è stato fatto56 – ma che risulti operativa come entità astratta è un altro –

notevolmente complesso – problema da considerare57.

Nella tradizione di pensiero filosofico tedesco la fusione della dimensione temporale e di quella materiale era possibile nell’atto stesso della comprensione operata dal soggetto. Nell’universo di discorso tipico di una apprensione del proprio tempo secondo il pensiero, queste considerazioni ci avvicinano a una riflessione sulle dinamiche di sviluppo di un sistema quando si fa riferimento al ruolo che la coscienza può rivestire in questa dinamica. Al di là di questo, che è un tema piuttosto complicato e che merita una analisi e un confronto specifici, possiamo sintetizzare così la posizione del Luhmann che stiamo trattando: per il sociologo tedesco è insufficiente impostare il concepimento dei problemi e il loro superamento a livello sistemico se si colloca il soggetto nello spazio esclusivo della sua comprensione. In tale dominio problematico «nell’ambito dei presupposti fondamentali non ci si può accontentare di una confutazione logica. Molto più interessante e fecondo è chiedersi quale sia, dietro queste ipotesi, l’immagine che l’uomo ha di se stesso»58.

Ora, invece, poiché «La soluzione di un problema richiede che ci si orienti rispetto ad alternative tanto al livello del pensiero quanto al livello dell’azione»59, il funzionalismo può

56 Ad esempio, rispetto alla dialettica e al modo di intendere il buon uso della contraddizione, si può dire, Marx lo ha fatto.

Ci riferiamo alla posizione del concetto di capitale, del perché solo con la pubblicazione del primo libro di Das Kapital Marx fosse stato in grado di uscire dal “modo della ricerca”, del continuare a scrivere delle Introduzioni, delle Zur..., e di arrivare al “modo dell'esposizione”, alla scrittura dell’autoesposizione dell’oggetto, per la quale l’espressione “Critica della economia politica” poteva finalmente essere solo un sottotitolo. È noto che l’elaborazione scientifica di Marx, infatti, si alimenti della distinzione che fissa tra Forschungs- e Darstellungs-weise. Per il critico dell'economia politica, infatti, «il modo di esporre un argomento deve distinguersi formalmente dal modo di compiere l’indagine. L’indagine deve appropriarsi il materiale nei particolari, deve analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve rintracciarne l’intimo concatenamento. Solo dopo che è stato compiuto questo lavoro, il movimento reale può essere esposto in maniera convincente», cfr. K. Marx, Il capitale, I, cit., «Poscritto alla seconda edizione». Questa distinzione riassume i fondamenti metodici dell’opera di Marx, e perciò anche del procedimento «dall’astratto al concreto», teorizzato come procedimento «scientificamente corretto», come ne parla nella “soppressa” Introduzione del 1857, cfr. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica della economia politica, tr. it. di Enzo Grillo,