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I.II.III. Critica dei presupposti di una teoria causalistica del potere

Osservare un sistema in atto implica che non si possono trarre conclusioni. Sistema, abbiamo imparato a capire, vuol dire complessità strutturata, e complessità strutturata vuol dire differenza e non identità. Sistema è la differenza che operativamente fa differenza e che attraverso una chiusura funzionale si fa carico e produce informazioni per la riproduzione di items necessari all’autoriferimento del sistema stesso. Ogni sistema sviluppa così strutture operativamente necessarie per rispondere alla situazione altamente contingente in cui si dà il proprio autoriferimento.

La riflessione sulla natura della società umana e sulle forme politiche che in queste si innestano, risulta interessante per un duplice motivo se confrontata alla teoria dei sistemi. Da un punto di vista ermeneutico, intanto, perché vale il principio heideggeriano del «soltanto quando, pensando, ci rivolgiamo al già pensato, siamo impiegati per ciò che è ancora da pensare»13, ma

interpretato a partire da ciò che ci resta normativamente tramandato, partendo cioè dalla pretesa di fondare verità, come discorso tipico di questa tradizione di pensiero europeo; mentre, da una prospettiva più sociologica, l’interesse riguarda la testimonianza di mutamenti evolutivi entro la società stessa, e le rispettive acquisizioni sul piano della semantica storico-politica. Prendiamo il caso del concetto classico di “potere”. «Il potere del potere – scrive Luhmann all’inizio di un saggio del 196914 - sembra principalmente fondarsi sul fatto che nessuno sa dire

11 Ivi, p. 116.

12 Ibid. Inoltre per il tema, si segnala S. Belardinelli, Una sociologia senza qualità : saggi su Luhmann, Angeli, Milano 1993. 13 M. Heidegger, Identità e differenza, a cura di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano 2013, p. 51.

14 N. Luhmann, La teoria classica del potere. Critica dei suoi presupposti, in Id., Potere e codice politico, tr.it. Gustavo Gozzi, Feltrinelli,

117 esattamente di cosa si tratti in realtà»15. L’oscurità del concetto ha però trovato nel postulato

della causalità un utile schema esplicativo. Alla base di ogni dottrina del potere, infatti, vige questa precomprensione, secondo la quale il potere figura come causa, «come quella causa che, innescando il processo, domina direttamente sull’accadere»16. Questo assunto, che sta alla base

della costruzione della teoria politica classica, mostrava sufficiente plausibilità e flessibilità, non a caso la teologia politica, da Schmitt in poi, non ha fatto altro che strutturare questa stessa impostazione in termini di autonomia del Politico, di katékon17. Tuttavia, tale modo di argomentare

esclude dalla teoria il problema dell’asimmetria di complessità tra il sistema e il suo ambiente, e la questione di come vadano considerate e valutate le alternative strutturali, le possibilità di sostituzione che si sviluppano già a partire dai processi in atto.

Se si concepisce il potere come causa non si può non ammettere al contempo «un’implicita infinità di altre cause che operino sia in anticipo che collateralmente»18. Per ogni causa esiste la

possibilità di ottenere un identico effetto per mezzo di una gamma di altre cause. Allora l’obiettivo è contestare al potere proprio l’attributo di causa, poiché, contrariamente, si finirebbe per rendere, tramite quest’ultimo, operativamente inconsistente il primo. Bisogna capire come sia possibile che, nell’emergere di strutture e di processi di riduzione della complessità sociale, il potere acquisti rilevanza causale. La causalità della causa-potere non deve essere ricondotta ad una forza immanente, ma alla selettività delle strutture sistemiche, alla «dipendenza sistemica del potere in quanto tale»19.

La teoria classica arriva a definire il potere come qualcosa di effettuale, ma qui si assesta e non concepisce oltre. Per poter spiegare l’effettività del potere, la teoria politica deve far poi ricorso alla formula dell’ “esercizio del potere”, e condurre la riflessione sulle forme, sulla natura e sull’origine di tale esercizio. L’esercizio del potere diventa il riferimento sistemico immediato, e ci si trova costretti a ricorrere a ulteriori condizioni per formulare una spiegazione cogente, obbligando la teoria a dare per scontato che chi detiene il potere sia in possesso di un sufficiente grado di informazione sulla natura di questo esercizio. Questo postulato si fonda sul presupposto di una possibile anticipazione del futuro: avere potere o incarnarlo si esplicita sulla possibilità e sulla facoltà di condizionare il futuro, di prevederlo, di mutarne il corso. In un regime di eterogenesi dei fini e di sostituibilità delle cause «né la pianificazione degli interventi,

15 Ivi, p. 21. 16 Ivi, p. 22.

17 Cfr., tra gli altri, J. Habermas, Verbalizzare sacro. Sul lascito religioso della filosofia, tr.it. Leonardo Ceppa, Laterza, Roma-Bari

2015, M. Cacciari, Il potere che frena: saggio di teologia politica, Adelphi, Milano 2013.

18 N. Luhmann, La teoria classica del potere, cit., p. 23. 19 Ivi, p. 25.

118 né una valutazione a posteriori, possono di per sé decidere se l’esercizio del potere sia o meno in grado di produrre un determinato effetto»20. L’assunto causale potrebbe essere messo in

relazione con l’analisi probabilistica, tuttavia chi detiene il potere è costretto a interrogarsi sulle procedure che legittimano questa detenzione costantemente, proprio in virtù del fatto che gli mancano informazioni adeguate. La questione che allora si pone Luhmann è: esiste e come si dà un potere che nell’aspetto di pubblicità del suo esercizio appare debole, sebbene cerchi comunque e, anzi, più pervicacemente, di arrivare ai risultati che si era prefigurato, uno su tutti quello di mantenersi come istanza di potere? «Non è vero – scrive Luhmann – che il potere tuteli lo stato di cose esistenti, favorendone una costante riproduzione: lo fa, piuttosto, escludendo in modo rigido e sistematico ogni eventualità residua di comportamenti devianti, in modo tale che, col concorso di altre cause (…) possa derivarne una stabilizzazione dello status quo»21.

Il postulato dell’informazione era sorretto dalla dottrina del diritto naturale, e la filosofia sociale europea poteva condurre il suo discorso edificante, facendo dell’uomo il soggetto della Bildung, lì dove, piuttosto, si sarebbe dovuto parlare di «sistemi variabili e capaci di adattamento, il cui universo è aperto e la cui struttura consente una vasta gamma di possibilità comportamentali»22.

Ecco, «ciò che ancora manca è una teoria del potere che le stia al passo»23.

Un altro aspetto classico del “potere del potere” riguarda l’idea di una natura dei bisogni fissata dalla costituzione antropologica del genere umano. Partendo da tale presupposto, la teoria classica del potere deriva la necessità dei conflitti, di una insocievole socievolezza tra gli uomini. Scarsità di beni e paura della morte sarebbero le radici antropologiche dalle quali si origina il bisogno di un potere costituito e assoluto. Dal punto di vista teorico «l’orientamento secondo il conflitto, come già quello secondo i bisogni, serve a ridurre la complessità di un campo sociale di possibilità causali»24. Questa situazione polarizza l’accesso al potere in blocchi contrapposti.

Si contende per una maggiore potentia, per avere maggiori chances, per accaparrarsi la maggior parte delle possibilità che sono già in atto. Per disporne occorre essere, anche di poco, i più forti. La dinamica di conflittualità e consenso, di legittimità ed esclusione, mette in luce la necessità di un potere che deve affermarsi in assenza di conflitto, ma la teoria classica non è in grado di concepire un tale potere perché non può individuare, nell’esercizio effettivo di questo,

20 Ivi, p. 26. 21 Ivi, p. 27. 22 Ivi, p. 28. 23 Ibid. 24 Ivi, p. 29.

119 una stratificazione delle sue fonti, di formulare una dottrina che ne regoli le forme in relazione a un diverso livello di differenziazione sociale.

Il potere è considerato come un bene di possesso. L’uso della semantica della proprietà, dell’avere potere, significa che potere come categoria è ciò di cui si fa uso senza compiere ancora lo sforzo di un acquisto ulteriore; significa limitatezza del patrimonio e quindi l’incarico di premunirsene contro specifici rischi; infine, significa variabilità e fungibilità di ciò che si possiede. Tuttavia, sostiene Luhmann, «Questa categoria, così facilmente intelligibile, simula una conoscenza proprio lì dove dovrebbe porsi una domanda; e tale domanda suona precisamente in questo modo: quali condizioni sistemiche debbano essere adempiute affinché il potere possa costituire un possesso acquisibile e, come tale, sia passabile di conquista, gestione, trasmissione, incremento o decremento?»25.

Il programma di spiegazione della teoria classica del potere si è basato su un concetto ipercomplesso di causa e sulla eccessiva concretezza della sua costruzione teorica. Il risultato è stato quello di produrre un certo grado di confusione tra ciò che è causalmente possibile e ciò che, nei sistemi sociali, acquista rilevanza di potere. La questione è sempre la stessa per chi fa professione di funzional-strutturalismo: quale è il sistema nel quale è possibile individuare strutture tali da poter essere definite come potere? Il potere era fondato sulla necessità di dominio, che da sola provvedeva alla definizione di un sistema di presupposti che giustificavano i vari attributi del potere costituito, sempre orientato nel senso del “diritto” e della “legittimità”. Caduto tale ambito di garanzia, manca alla moderna teoria del potere un esplicito riferimento sistemico26.

«Partendo dal presupposto che A possa accampare pretese nei confronti di B senza alcun riguardo per la sua volontà (poiché, evidentemente, può costringerlo con la forza), anche i sistemi di potere possono essere costruiti come sistemi chiusi»27, e dunque: l’unità e la consistenza

della dottrina classica del potere deriva, più che dalla logica non-contraddittoria degli enunciati, dal rapporto in cui i suoi attributi e le sue articolazioni vengono a trovarsi nei confronti del problema della causalità. Il gioco linguistico della causa mette in scacco lo stesso concetto del potere, imbrigliato nella difficoltà di discernere il suo contributo effettuale e concreto da un condizionamento generalizzato e aprioristico. Ciò che ogni teoria del potere, ovvero ogni teoria che continua a giocare il gioco semantico della causalità del potere, anche per difendersi e per

25Ivi, pp. 36-37.

26Almeno, si può aggiungere, e proprio in virtù di ciò che Luhmann sta sostenendo, fino alla definizione del paradigma

biopolitico, e, in questa prospettiva, proprio la ricerca di un riferimento sistemico diverso da quello che fonda il discorso moderno sul potere, sia in Machiavelli che in Hobbes, potrebbe anche spiegarci il ricorrere a dimensioni originali nella teologia politica.

120 criticare, esclude dalla sua elaborazione è la «differenza fra un’infinità di fattori concatenati causalmente e l’eventualità concreta di una causa che generi un effetto»28.

Sono i sistemi a consentire i processi causali, non viceversa, ovvero una causa diventa spiegabile non se la si colloca in una catena di cause, ma se si è in grado di stabilire che essa esclude altre possibilità. Il potere, aggiunge Luhmann, «è pertanto una selezione che dipende dalla struttura»29. La

sua funzione costitutiva appartiene all’ambito più generale dell’aumento di selettività. La selettività del potere mostra come nei sistemi complessi l’esistenza di un maggior numero di alternative richiede un maggior lavoro di selezione, e dunque l’attivazione di un potere più vasto, più pervicace e meno esuberante, «fino al momento in cui – si legge più sotto – non emergano delle tecniche funzionalmente equivalenti»30.

Se questo addomesticamento del Leviatano debba essere riletto alla luce della biopolitica, e si debbano valutare le tecniche funzionalmente equivalenti in relazione all’ ermeneutica del soggetto, a pratiche di de-soggettivazione, sarebbe interessante appurarlo. D’altronde, un primissimo punto di contatto con Foucault può essere rinvenuto in ciò che scrive Luhmann di seguito: «Dal punto di vista della teoria dei sistemi il potere riposa propriamente sul fatto che la struttura di un sistema sociale produce delle alternative “da evitare”»31. L’affinità si può riportare anche alla

maturità dell’analisi, al suo rapporto intrinseco con lo sviluppo reale della differenziazione sociale: che si abbandonasse il concetto semplicistico di causalità, nella spiegazione dei fatti

sociali, era per logica e per aspettative più che necessario.

Il problema è, se si vuole essere all’altezza dei nodi teorici che pone la complessità: esiste ed è esistita una cecità della dottrina del potere nei riguardi del sistema, poiché nella filosofia sociale vetero-europea e nella filosofia pratica si è assunta l’etica e il diritto naturale come punti di partenza. Estrapolati dalla lunga catena della civilizzazione, ipostatizzati come modelli e indagati secondo la conformità delle cose a questi, la tradizione ha allineato la natura delle domande e il contenuto delle risposte, il senso dei problemi e lo scopo della ricerca. “Potere” è invece un concetto che designa soltanto un aspetto parziale del problema più generale della riproduzione sociale nel suo insieme.

28 Ivi, p.49.

29 Ivi, p.50. 30 Ibid. 31 Ivi, p.51.

121 II.II.III. Autonomia del sistema politico

Rispetto a tale sguardo d’insieme si può certo meglio argomentare. Si parla di “sistema politico” soltanto nel caso – teoricamente più astratto e, dunque, più adeguato ai livelli di differenziazione sociale – si sia in grado di definire, con un elevato grado di precisione, i confini di questo dal suo ambiente, dalla società.

Come sappiamo lo sviluppo della differenziazione sociale avviene in relazione a livelli diversi di creazione del senso, nel caso della differenziazione del sistema politico siamo in presenza dell’emersione di ambiti di azione che si determinano «prevalentemente al livello dei ruoli»32. La

codificazione in termini di programmi decisionali e di valori che la struttura sociale del ruolo è capace di ancorare funzionalmente alle singole condotte di vita, aiuta la comunicazione sociale a percepire con rapidità se un determinato agente è immediatamente attribuibile al sistema politico, oppure no. Questo concetto slega coloro che svolgono funzioni politiche dal doversi conformare ad aspettative sociali che li interpellano in quanto identità concrete, in relazione alla loro vita complessiva. Certo, l’ambito legato al processo consensuale in un regime democratico si fonda sul controllo da parte della così detta opinione pubblica, ma ha soltanto un valore tattico per la realizzazione di certe relazioni. Tuttavia, il discorso verte su «un cambiamento del

modo con cui il nesso fra i ruoli sorregge la struttura sociale»33. E, cioè: «L’attuazione dei ruoli entro i

sistemi che sono frutto di una differenziazione deve […] essere precisata in relazione al comportamento fra partners di uno stesso ruolo e deve essere resa indipendente da altri ruoli svolti dai singoli partners»34.

Soltanto in questo modo è possibile una differenziazione tra un modo di interazione sociale e uno più prettamente politico. Chi svolge un ruolo politico è perciò in grado sistemicamente di assumere la “società” come oggetto di pianificazione politica35, reinserendosi nel contesto di

osservazione in quanto sistema della pianificazione e dell’amministrazione. I ruoli vengono stabiliti in base a criteri interni, relativi a idoneità e rendimento36, e questo assicura al sistema

politico un certo margine di garanzia nel mantenimento di standard regolativi autonomi.

Le condizioni attraverso le quali l’autonomia del sistema politico si articola sono le stesse che coinvolgono ogni sistema in formazione: rispetto al tempo, fa notare Luhmann, l’autonomia del politico vuol dire che il sistema sviluppa processi attraverso cui ha letteralmente il tempo di

32 N. Luhmann, La sociologia del sistema politico, in Id., Illuminismo sociologico, cit., p. 180. 33 Ivi, p. 181.

34 Ibid.

35 Cfr. N. Luhmann, Stato di diritto e sistema sociale, a cura di Alberto Febbrajo, Guida, Napoli1978, in particolare pp. 131-172. 36 Ivi, p. 182.

122 elaborare i flussi di comunicazione sociale che intende perpetrare in termini di informazioni. Per risparmiare tempo, ovvero per riuscire a indirizzare meglio selettività temporalizzata rispetto agli input ambientali, il sistema stabilisce una propria organizzazione del tempo, la quale «non può non essere coordinata pienamente con quella dell’ambiente, generando in tal modo una serie di difficoltà di adattamento di secondo grado»37. Sul piano materiale, invece, vuol dire

che un sistema resta collegato con il proprio ambiente in base alla creazione di diverse unità di senso – ad esempio attraverso ruoli, scopi, norme. Entro il proprio sistema sociale un sistema politico deve godere, come sistema, di un margine di immunità riconosciuto, affinché «non si fondi su promesse di decisioni specifiche, che non assuma quindi di volta in volta la forma di uno scambio, e che non venga neppure ritirato ogni qualvolta si verifichi un insuccesso»38. Il

diritto e il potenziale di conflitto che si genera nei sistemi sociali svolgono, ognuno nel suo autonomo ambito funzionale, proprio questa funzione immunitaria. Rispetto alla dimensione sociale, infine, significa differenziazione funzionale in sistemi differenti di partners. Il riconoscimento generale e i suoi simboli di riferimento «regolano e limitano ciò che è possibile al livello più concreto dei rapporti quotidiani»39, senza identificarsi immediatamente con questi.

Il concorso di queste tre dimensioni determina la condizione più importante per l’autonomia del sistema politico: concepire che questo non sia più descrivibile come unico potere ambientale omogeneo – Stato, Chiesa, capitale finanziario – ma che dipenda da, e contribuisca a creare, più ambienti di pertinenza del potere sociale.

Un ambito di pertinenza è qualcosa che designa un contesto di riferimento, un luogo, diverso da ciò che si intende quando si usa un costrutto semantico che si basa su una ontologia più forte, come il concetto esibito dalla formula classica delle “fonti del potere”. Ed infatti, una tale differenziazione, conseguentemente, crea problemi di legittimazione che devono essere risolti su un piano teorico, come su quello pratico. Il tema della compiutezza del sistema politico andrebbe discusso a partire dal concetto di autonomia, facendo appello alla competenza specifica del sistema politico di sviluppare e di garantire la legittimità del suo criterio di legittimità. E, infatti, il sistema politico «può anche strutturarsi secondo un principio oggi più importante, e cioè in una pluralità di sistemi differenziati sotto il profilo funzionale e quindi diversi»40. 37 Ivi, p. 184. 38 Ibid. 39 Ibid. 40 Ivi, p. 185.

123 Il sistema politico, posto dinanzi a una pluralità così determinata, deve poter decidere quali azioni, quali situazioni e quali ruoli hanno una funzione specificamente politica, al livello dell’interazione concreta, e conferire a queste decisioni «un effetto vincolante»41.

Non si tratta di una forma di giudizio che ha validità formale o intersoggettiva: la società vincola effettivamente i partners secondo un processo politico in quanto ristruttura «le aspettative delle persone interessate […] [e si pone] in tal modo come presupposto del comportamento ulteriore»42. Si tratta, cioè, non di una facoltà del soggetto o della comunità: è

un apprendimento effettivo delle strutture sociali.

L’apprendimento resta aperto da due punti di vista: rispetto ai temi sui quali si decide; rispetto alle motivazioni che inducono ad accettare. Se vigesse una certa rigidità rispetto anche a uno solo dei livelli coinvolti, si dovrebbe rinunciare al grado di libertà che il sistema politico si costruisce a partire dalla determinazione concreta della sua autonomia autoreferenziale.

La condizione più importante che occorre realizzare è, come in ogni sistema, stabilizzare i confini in modo da far corrispondere complessità interna e complessità esterna. Ciò significa sviluppare sequenze decisionali via via ulteriori, selezionate in relazione a complessi motivazionali e tematici sempre più differenziati. Il potere, per mantenersi quale istanza di potere, è orientato ad ammette «le alternative, le possibilità di variazione, il dissenso e i conflitti»43, come costanti funzionali del proprio processo di chiusura autopoietica. La

produzione di una quantità tollerabile di indeterminatezza rappresenta un’acquisizione vantaggiosa perché stabilizza in termini di potenzialità decisionale del sistema quest’ordine altamente improbabile di azioni, ruoli, motivazioni e temi.

Dunque, il sistema politico si forma come sistema autonomo poiché in relazione alla complessità sociale sviluppa una selettività orientata alla produzione di decisioni vincolanti; nel far ciò costruisce la propria storia tipica, in relazione alle strutture e ai processi specifici che

41 Ivi, p. 186, e aggiunge in nota: «È relativamente raro che questa posizione venga sostenuta apertamente. Essa è invece

idonea come formula sintetica di una molteplicità di altre determinazioni quali essa è implicita. Si è supposto di poter individuare l’essenza della politica in formule finalistiche estremamente generiche quali la giustizia, la pace, il bene comune, la cui definizione indica la necessità di decisioni. Altri hanno accentuato l’eccesso di complessità fino a ipotizzare l’assenza di qualunque struttura ed hanno individuato l’essenza della politica in riduzioni altrettanto drastiche, quali l’assunzione