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Moeller ci fa notare come nell’ultima grande opera12 di Luhmann questi dica di voler finalmente

approdare, oltre ogni compromesso, a un concetto di società radicalmente costruttivista, radicalmente anti-regionalista, radicalmente anti-umanista13.

Gli uomini e il mondo degli uomini restano relegati a una parte della interpenetrazione, in quella parte interazionale ed estremamente complessa, che Luhmann non si risparmia di definire

anarchica, perché radicalmente relazionale. Una società, se osservata dal punto di vista della

differenziazione sistemica, non consiste esclusivamente di esseri umani concreti: questi vi partecipano nelle forme più astratte – e dunque meglio determinate – di ruoli, persone, catalizzatori di aspettative, e così via. Persino la comunicazione, notoriamente ridotta a dialettica tra le dinamiche di comprensione e la competenza linguistica, è un meccanismo sistemico: non gli uomini, ma «soltanto la comunicazione comunica»14.

Il suo tentativo di una totale de-antropologizzazione della teoria sociale, come abbiamo detto, è già in atto nell’interpretazione che fornisce di Malinowski. Inserire l’osservatore nel contesto di osservazione, come atto epistemico, ha voluto dire trovare il modo per affrancarsi da una visione vichiana delle scienze umane: se è vero che l’uomo conosce solo ciò che fa, è altrettanto vero che non può conoscere e fare simultaneamente, e che perciò ha bisogno di costruirsi una pluralità di elementi mediani per sopportare la dipendenza che prescrive la contingenza del passaggio dal fare al conosce15. Tale separazione non riguarda solo una componente

antropologica: è il risultato di un processo di differenziazione, ed è già un sintomo di modernità. Parlando teoricamente, non c’è elemento costituito che non sia rappresentabile in quanto ambiente del sistema sociale. Ciò non vuol dire che ci si trova in un contesto di post- umanesimo16, ma soltanto che il tipo di discorso dell’umanesimo o dell’umanismo si mostra per

12 N. Luhmann, Die Gesellschaft der Gesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt, 1997. 13 Cfr. H.G. Moeller, Per comprendere Luhmann, cit., p. 33.

14 Cfr. N. Luhmann, La realtà dei mass media, Franco Angeli, Milano, 2000.

15 Come ha fatto notare Iacono in A.M. Iacono, L’evento e l’osservatore, cit., pp.21-23 (Prefazione 1987).

16 Su Luhmann e il post-umanesimo si guardi C. Wolfe, What is Posthumanism?, University of Minnesota Press, Minneapolis,

149 quel che è: una parte dell’articolazione teoretica del sistema di spiegazione scientifica, un capitolo notevolmente importante per la storia delle società umane. Un sistema autopoietico consiste di operazioni che costituiscono l’autoriproduzione del sistema, rispetto a un ambiente ultra complesso, in comunicazione con gli altri sistemi: inserendo gli uomini in un contesto così conformato, questi non scompaiono, semplicemente nessuna delle attività sociali viene caratterizzata come «esclusivamente o essenzialmente umana»17. E Moeller aggiunge: «Non nega

l’esistenza degli esseri umani ma dice che gli uomini sono poco in grado di controllare le funzioni sociali proprio come lo sono riguardo alle loro funzioni cerebrali»18. In altre parole:

Luhmann punta a una sociologia anti-umanista, o comunque non-umanista, al fine di tener conto di una più adeguata terminologia, perché risulti capace di strutturare una migliore teoria dei meccanismi sociali.

Detto ciò: esistono sistemi scientifici di spiegazione più adatti, mentre per una teoria generale dei sistemi, quale è la sociologia, la questione legata ai singoli sistemi interessa dal punto di vista della loro interpenetrazione in atto, poiché una conoscenza è sistemica soltanto se conosce il proprio specifico e ulteriore dispiegamento autopoietico. La temporalizzazione della complessità è l’architrave su cui possiamo fondare l’anti-umanismo di Luhmann. Questo aspetto fondamentale, inoltre, lascia intendere quanto la dimensione temporale ridiventi centrale come dimensione immediatamente selezionabile per l’ “essere” – Wesen ist, was gewesen

ist. Tuttavia, non è soltanto un modo particolare di intendere la hegeliana apprensione del

proprio tempo nel pensiero: secondo Moeller la «disumanizzazione della sociologia da parte di Luhmann»19 dipende dalla «sua concezione della politica»20.

I sistemi governano se stessi e il sistema politico può irritare o perturbare altri sistemi, ma non ha un immediato potere causale su di essi. I limiti del governo21, il vincolo della governance, stabilito

in ambito di differenziazione delle semantiche del potere, all’interno del sistema politico stesso, dipendono dal fatto che «Il governo è sempre un auto-governo dei sistemi»22. E questo perché:

a) Luhmann nega il concetto di una generale razionalità umana, intesa come ciò che contribuisce in modo preponderante al costituirsi di una dialettica della razionalizzazione sociale. Mai più la ragione!23 è il motto anti ed iper-illuminista del sociologo dei sistemi

sociali;

17 H.G. Moeller, Per comprendere Luhmann, cit., p. 37. 18 Ivi, p. 38.

19 Ibid. 20 Ivi, p. 39.

21 Come si legge in N. Luhmann, “Limits of Steering”, Theory, Culture, and Society 14, n°1, 1997. 22 Ivi, pp. 49-50.

150 b) Luhmann nega che la società sia un unicum omogeneo. L’aspetto sociale della società va

tutte le volte designato all’interno dei processi di differenziazione;

c) Luhmann attacca l’idea che un sistema della società possa includere tutti gli altri come sue parti;

In questo senso lo spirito della politica è sempre stato utopistico. L’utopia, come autentico linguaggio della politica, nasce dall’incapacità sistemica di controllo delle azioni umane, o meglio: stabilizzandosi la richiesta di controllo come formula di contingenza, a partire dalla ingovernabilità di fatto dei sistemi sociali, si è immaginata la possibilità di intervenire, di disporre di un potere di direzione. Come accade per ogni categoria, anche quella del potere si erge in relazione a ciò che non-è-potere, rispetto alla sua parte negativa – unmarked space – e che restando nel punto cieco dell’osservazione, rimane presente in termini di motivazione e di rischio. Il potere politico sfrutta il codice della continuità e della discontinuità per sopperire all’elevato grado di implosione che lo contraddistingue: è costretto come sistema a recuperare parte di potere, appunto, sul piano della dimensione temporale, attraverso la proiezione futura di utopie ed ucronie24, proprio perché sfugge a ogni sorta di controllo la dimensione sociale e la

dimensione materiale.

Ora, si può chiedere: se utopia è l’odine liberale del libero mercato e la giustizia dello Stato del benessere, completare il programma dell’Illuminismo, non si è mostrato nella contemporaneità come un progetto conservativo e restrittivo? Non risulterebbe più gratificante per la teoria smettere di cercare migliori soluzioni ai problemi, problemi che sono costruiti dai mezzi di comunicazione, ma indagare le fonti di questa problematicità? Ad esempio, in Complessità e

democrazia25 Luhmann dubitò non tanto delle forme di governo in generale, in quanto

ordinamenti strutturali specifici del sistema politico, quanto sul significato dell’espressione “governo del popolo”. Che cosa è, in breve, secondo la teoria dei sistemi, una democrazia

effettivamente esistente? Primo tentativo di risposta: «Mi sembra, a dire il vero, che se si vuole

intendere la democrazia dei sistemi politici complessi come norma e come realtà sia necessaria una radicale reinterpretazione del concetto classico di democrazia come forma di dominio»26.

Nel caso si continui a stupirsi del perché ad Atene si faccia così, per i molti e non per i pochi, continua Luhmann, «costringeremmo prassi e teoria entro prospettive incongruenti, e le

24 Sulla possibilità di invertire, almeno sul piano temporale, il processo di rimando, ci sia consentito di rinviare, come tema di

confronto, al concetto foucaultiano di eterotopie – o “utopie localizzate”, spazi altri – sia in un senso critico (ad esempio i manicomi, le prigioni, la camera da letto vittoriana, le case chiuse) che libertario (la liberazione di spazi). Cfr. M. Foucault, Utopie Eterotopie, a cura di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2006.

25 N. Luhmann, Complessità e democrazia, in Id., Stato di diritto e sistema sociale, a cura di Alberto Febbrajo, Guida, Napoli, 1978. 26 Ivi, p. 66.

151 condanneremmo ad una permanente falsa coscienza»27. Moeller, allora, ci pare autorizzato a

schematizzare come segue. Una democrazia in un regime di complessità diventa:

a) una forma per esercitare il potere, ovvero per favorire il processo di stipulazione e di trasmissione di decisioni collettivamente vincolanti;

b) una struttura funzionale che consente una continua alternanza tra i governi;

c) un simbolismo che fornisce al sistema politico ciò di cui ha più bisogno per soddisfare la sua funzione di stabilire decisioni vincolanti, è cioè la dimensione che semanticamente rende meglio la richiesta comunicativa di legittimità.

Il nuovo massimo problema28 riguarda il fatto che in un sistema complesso ogni decisione è «che

lo si voglia ammettere o no, una selezione fra molte altre possibilità, e ciò per il fatto stesso che tale decisione esiste»29. Questo causa non pochi disturbi all’interno di un postulato normativo

che vuole la democrazia quale sistema politico universalmente valido, una forma di giustificazione razionale della politica. «Noi attuiamo una politica contingente»30: questa è il

nuovo punto di vista, che collega ogni situazione, anche quella personale31 a una dimensione

27 Ibid.

28 L’espressione è di Kant, cfr. I. Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (I793), in I. Kant,

Scritti di storia, politica e diritto, cit., p. 153.

29 N. Luhmann, Complessità e democrazia, cit. p. 71. 30 Ivi, p. 72.

31 Secondo Achille Ardigò tra il 1971 – anno di pubblicazione di Politische Planung, tradotto parzialmente in italiano nel 1978

col titolo, appunto, di Stato di diritto e sistema sociale – e il 1982, anno in cui Luhmann dà alle stampe Teoria politica nello stato del benessere, cfr. N. Luhmann, Teoria politica nello stato del benessere, tr.it. di Raffaella Sutter, presentazione di Achille Ardigò, Angeli, Milano 1987, è avvenuto uno spostamento teorico forte, quasi una riformulazione della teoria dei sistemi. Lo spostamento consisterebbe in ciò: la componete che nel ’71 veniva ancora caratterizzata come capacità specifica del sistema politico di rispondere alla funzionale differenziazione della società attraverso una pianificazione funzionale dell’azione politica – nel 1982 diventa la manifestazione di una incapacità strutturale. Il sistema politico, sovrastato dagli input che arrivano dall’ambiente, perde consistenza rispetto a quelle dinamiche che per tutta la storia del suo concetto moderno sono state proclamante quali articolazioni specifiche della sua propria natura: controllo, direzione, compensazione. (Lo Spirito Assoluto, si potrebbe dire con un hegelismo, rispetto all’assoluto spiritualismo dello sviluppo della società civile si è tanto ridimensionato che è divenuto proprio nello Stato, più che compiuto, irriconoscibile). Per il cattolico Ardigò la crisi del welfare state è il momento nel quale finalmente l’onesto e arduo sociologo tedesco può ri-scoprire e concepire la centralità della categoria di “persona”, l’importanza e la dignità, la grazia meta-sistemica della persona. Ora, a dispetto di ciò, si concorda con Ardigò su un solo punto: in Teoria politica nello stato del benessere Luhmann riscopre e rilegge la teoria dell’azione e del potere di Weber, dandogli tutt’altro peso rispetto al precedente Politische Planung. Questo diverso peso, però, non è interessante se lo si associa alla riscoperta del tema della persona. Per due motivi particolari: rispetto alla teoria dei sistemi ‘persona’ e ‘personalità’ si configurano in quanto prestazioni di sintesi psichica e interazionale, relative a dinamiche di attese di reciprocità; rispetto alla teoria politica, così come viene sviluppata nel 1982, invece, la questione sarebbe: se il welfare state, al netto dei costi e dell’incompetenza sistemica, è la forma più attuale di azione politica e sociale in un contesto di economia di mercato, la differenziazione dei sistemi ha reso le “vecchie” funzioni dell’organizzazione, del controllo e della compensazione come inadeguate. La crisi, afferma Luhmann, non riguarda la logica dei sistemi, bensì la teoria sociologica, ancora troppo legata alle agende politiche e allo sviluppo teorico di tradizioni di pensiero superate dalla radicalità dello sviluppo concreto. Lo spostamento, allora, esiste solo nelle richieste di prestazione che la differenziazione sociale, come ambiente, avanza a un sistema politico incapace di rispondere. Non è un caso che su questo piano si scontrino discorsi che da un lato reclamano una minore presenza dello Stato, e dall’altro, invece, ne osannano l’assenza. Più che di ‘persona’, come fa Ardigò, a questo punto analitico, sarebbe invece più cogente indagare il concetto foucaultiano di produzione di soggettività e di biopolitica e di confrontarli con i concetti di ‘complessità’ e di ‘codice politico’ di Luhmann: ovvero di ragionare su di un confronto teorico rispetto al tema di un ‘potere’ che smette di controllare e comincia a orientare, un potere che rende autonomi i soggetti esclusivamente nella forma della propria autonomia, a immagine della propria autonomia, come somministrazione di una rovesciata imitatio Christi, secondo cui un ‘soggetto’ può fare solo ciò che il sistema è in grado di fare per sé: nel caso della

152 affermativa, come esclusione di possibilità, ovvero secondo la negatività del senso che seleziona32.

Il sistema politico non ha il monopolio del potere diffuso nella società, e ciò vuol dire che esistono istanze del potere che non sono immediatamente riconducibili al potere costituito. Ciò significa che non ha monopolio neanche sulle decisioni. Ha, spiega ad esempio Moeller, sicuramente monopolio nella trasmissione delle decisioni e nell’esercizio del potere: si specializza rispetto a queste due formule di contingenza, e le istituzionalizza come le formule che meglio assorbono complessità sociale sulla dimensione temporale. Paradigmatico dell’autonomia del sistema politico è che «In questo senso le scelte politiche in definitiva non decidono e non determinano nulla […] abilitano soltanto il potere politico a prendere altre decisioni»33. In relazione a questa dinamica, si pone la domanda: cosa può essere detto a rigore

“democratico”? Cosa si può intendere per “volontà popolare”? Intanto: una radicalizzazione del principio di democrazia deliberativa, sia in termini elitisti – à la Habermas – sia in quelli post- operaisti34 - à la Hardt e Negri35 – non considerano l’effetto politico di poteri non

immediatamente politici, legati più all’ordine simbolico della decisionalità diffusa che all’autonomia concreta della differenziazione sociale. Anche per questi modelli vale l’ammonimento di Luhmann che «Chi intende così la democrazia deve, infatti, giungere alla conclusione che essa è incompatibile con la razionalità; oppure deve, più semplicemente, postulare la compatibilità come ragione presente nelle menti dei partecipanti»36. La legittimità

formale dei diversi interessi non supera l’interesse dell’intesa, poiché l’unica intesa praticabile è quella sulla legittimità di avere un diverso interesse, e questo significa «conservazione di complessità, nonostante la continua attività decisionale»37.

Dunque: il problema generale della democrazia politica può essere ricondotto alla formulazione astratta secondo la quale la complessità del sistema politico deve risultare disponibile a cambiamenti continui, e cioè, a continuare a poter essere decisa mediante mutamenti strutturali. Il processo democratico è tale perché produce una stabilizzazione delle relazioni tra ridondanza

produzione di soggettività, autonomia è prodursi come soggettività, e produrre, in generale, per esistere come entità individuale, autonoma.

32 Una biopolitica affermativa, ovvero il programma filosofico che segna la nuova fase di speculazione, in Italia, di Roberto

Esposito, si avanza l’ipotesi, non è già in atto nell’autoreferenza del sistema politico? Cfr. R. Esposito, Politica e negazione. Per una filosofia affermativa, Einaudi, Torino 2018. Luhmann, nel testo di Esposito è citato solo tre volte(p.186, p.189, p.202 n), ma mai tematizzato per come, pensiamo noi, meriterebbe.

33 N. Luhmann, Complessità e democrazia, cit. p.119.

34 Per la definizione si veda l’intervento di T. Negri, “Postoperaismo? No operaismo”, http://www.euronomade.info/?p=9189.

35 Cfr. M. Hardt, T. Negri, Assembly, Oxford University Press, New York 2017. 36 N. Luhmann, Complessità e democrazia, cit. p.74.

153 e varietà38. Produce stabilità consentendo un certo grado di instabilità determinabile – ovvero è

democratico quel regime che riesce a raccogliere informazioni del tipo “decisioni vincolanti”. In tale contesto “volontà popolare” lavora per ricostruire semanticamente l’unità del sistema, in quanto «costrutto simbolico di una relazione numerica che è generato da un’elezione»39. Il

miracolo della fusione dell’individuale con il generale – filtrato dal sistema elettorale, poiché anche generale si dice in molti modi nelle democrazie – non è però qualcosa che può essere semplicemente criticato, insistendo sull’aspetto semi-magico delle elezioni, come fa Moeller stesso40.

In nessun punto della sua elaborazione Luhmann propone un discorso normativo: democrazia diventa la più importante condizione per l’ininterrotta esistenza di sistemi politici che hanno raggiunto un certo grado di contingenza, e, sebbene la democrazia esista più su un piano simbolico di generalizzazione differenziata di trasmissibilità ed esercizio del potere della decisione vincolante tra uomini e apparati, non si può non tenere conto di ciò che Luhmann scrive alla fine di questo saggio del 1970. E cioè: «Una teoria funzionale del sistema politico, riferita ai problemi, può per lo meno prospettare la possibilità di collegare il problema della democrazia con i concetti teorici dell’organizzazione della complessità sistemica, e di riformulare tale problema in modo tale che mantenga le interazioni della tradizione politica occidentale e, contemporaneamente, corrispondere alla odierna “situazione sociale del problema” meglio della norma democratica classica»41. Al centro di questa riformulazione

possibile si trova l’idea di una inversione specifica della teoria di Luhmann: guardare all’essere umano come parte dell’ambiente della società e non come parte della società stessa. Per questa via, si possono ricollocare le premesse di molti problemi insoluti che provengono dagli ambiti di aspettativa attivati della tradizione, quindi anche le premesse di un umanesimo politico e concettuale.