• Non ci sono risultati.

Il reliquiario di San Simeone in Zara

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il reliquiario di San Simeone in Zara"

Copied!
164
0
0

Testo completo

(1)

1

Mossi da legittimi commendevoli riguardi e dal zelo della religione e divozione al pubblico nome le infrascritte famiglie dell’Albania ottomana hanno risolto di sottrarsi alla tirannia dei barbari e ricovrarsi nello Stato felicissimo di sua Serenità in queste province con l’abbandono totale di quanto possedevano rispettivamente in quelle parti.

Prem Vuka

Zara, 15 agosto 1733

Senza la retorica, nulla di serio e di vero può essere detto, mancando quel falso che è la misura del vero.

(2)

2 INDICE INTRODUZIONE pag. 5 CAPITOLO I

1. L’arca nello stato attuale pag. 9 2. Lo spiovente principale del coperchio pag. 9 3. Il lato breve a nord pag. 13 4. La fronte del sarcofago pag. 15 5. Il lato breve a sud pag. 24 6. L’interno del lato mobile pag. 26 7. Il retro pag. 30 8. I timpani pag. 34 9. Lo spiovente posteriore pag. 34 10. L’interno, la presentazione di Toma Martinov pag. 37

CAPITOLO II

1. Reliquie, reliquiari pag. 39 2. Reliquie cristiane pag. 40

(3)

3

3. Vero/Falso pag. 46 4. Tipologie dei contenitori pag. 52 5. Dalla reliquia al ritratto pag. 63

CAPITOLO III

1. “Hoc opus fecit” pag. 65 2. Un santo orefice pag. 66 3. Oreficeria monastica pag. 68 4. Il sistema delle tecniche pag. 72 5. Un orafo a corte pag. 79 6. Arte e fede, arte e scienza pag. 82

CAPITOLO IV

1. Problemi di stile pag. 85 2. La struttura pag. 88 3. Tre tombe per un santo pag. 93 4. Il modello giottesco pag. 97 5. Altre storie pag. 101 6. L’ornato pag. 107

APPENDICE

(4)

4

INDICE DELLE TAVOLE

pag. 113

INDICE DELLE FIGURE

pag. 116 BIBLIOGRAFIA

(5)

5

INTRODUZIONE

Un’elegante iscrizione in caratteri gotici, maiuscoli e corsivi, situata nel pannello centrale di un ordine tripartito, sul retro della cassa reliquiario di San Simeone in Zara, che costituisce l’oggetto della nostra ricerca, attesta che Francesco da Milano – Franciscus de

Mediolano – ne è l’autore e che fu ultimata nell’anno 1380: – milleno: treceno: octuageno

–.

Una reliquia insigne1: il corpo, integro nelle sue parti, non corrotto del Santo, vi dimora dal 16 maggio 1632, giorno in cui ebbe luogo la solenne traslazione: da un sarcofago in pietra del XIII secolo, situato all’epoca nella cappella di San Rocco2, alla chiesa che fu di Santo Stefano, e che in tale occorrenza venne dedicata al santo protettore di Zara, San Simeone.

“Era allora in Gerusalemme un uomo, di nome Simeone, persona giusta e pia, che aspettava la consolazione di Israele”.

Nel Vangelo di San Luca, II, 22-36, troviamo pochi ma eloquenti cenni relativi al ruolo e alla personalità del santo profeta che congiunse Antico e Nuovo Testamento.

“Gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non vedrebbe la morte prima di

1 Una reliquia che comprendeva se non il corpo intero quantomeno la testa, le braccia e le gambe veniva

classificata tra le reliquiae insignes. Le reliquie non complete erano dette reliquiae non insignes. Notabiles erano le mani o i piedi, exiguae le dita o i denti. J. Bentley, Ossa senza pace, Sugarco, Milano 1988, p. 48.

2 La cappella di San Rocco era connessa anticamente con la chiesa di Santa Maria Maggiore, dove si trovava

originariamente il corpo del santo. Durante il XVI secolo il governo veneziano circondò Zara con nuove mura. Fu necessario abbattere l’antica chiesa. L’8 luglio 1571 il corpo del santo ancora nell’arca di pietra fu trasferito nella sacrestia della stessa, che non fu demolita, e successivamente, il 10 aprile 1581, nella cappella di San Rocco. L’arca d’argento, vuota, venne affidata al convento delle suore Benedettine il 14 dicembre dell’anno 1593. Cfr. L. Fondra, Istoria della insigne reliquia di San Simeone profeta, Zara 1855, p. 180.

(6)

6

vedere il Cristo, così mosso dallo Spirito andò al tempio”.

San Simeone “il Vecchio”, profeta, è testimone della nascita del nuovo.

La Presentazione al Tempio, scena centrale, lavorata a sbalzo, composta in uno schema ancora tripartito, evidenziata dal freddo scintillio dell’argento a contrasto con brani di un’originaria doratura, corrisponde, nel lato rivolto ai fedeli, alla solenne iscrizione del lato posteriore: l’arca è sorretta da due angeli di bronzo secenteschi, a grandezza naturale, posti su un basamento marmoreo dietro l’altare maggiore.

Una scalinata di marmo permette ai fedeli di avvicinarsi e venerare in prossimità le sacre spoglie, e al visitatore di ammirare nei particolari l’opera di Maestro Francesco, l’unica a lui riferibile con certezza: ambientata sotto un ciborio, in uno spazio decorato a motivi vegetali, la Presentazione comprende le figure a corpo intero della profetessa Anna, San Giuseppe, la Vergine, e il Santo vegliardo nell’atto di accogliere, o porgere alla stessa, il bambino Gesù che le tende un braccio.

L’affresco di identico soggetto dipinto da Giotto nella cappella degli Scrovegni fu il riferimento cui guardò maestro Francesco.

La domenica mattina il prezioso reliquiario viene aperto per mostrare ciò che contiene: attraverso il cristallo si manifesta la sua vera ricchezza, il corpo integro del santo. Il lato dell’arca rivolto ai fedeli, dove ha luogo la Presentazione al Tempio, affiancata da altre due scene, a destra e a sinistra, declina su due perni di ferro usato dal tempo; il sacro oggetto si apre, si svela; compaiono sulla ribalta altri tre riquadri di argento sbalzato e parzialmente dorato, figure e segni di architetture in bassorilievo che aggettano da uno spazio ancora astratto, uniforme: le scene testimoniano dei miracoli dovuti all’intercessione del Santo; come in un exultet l’interno capovolto del lato “nobile” diventa

(7)

7 immediatamente leggibile a chi vi è posto innanzi.

Ma un’altra ricchezza attende l’osservatore: dietro il cristallo, dietro la spoglia rivelata, brilla di un oro intenso, per tutta la lunghezza del lato di fondo, all’interno del sarcofago, un bassorilievo di un autore diverso dal nostro, Toma Martinov.

Un’iscrizione autografa, datata 1497, fu decifrata solo nel 1908 da Brunelli3.

DIVO SIMEONI IVSTO PROPHETAE DICATUM IOANNE.ROBOBELLO.ANTISTITE IOANNE.BOLENO.PRAETORE FRANCISCO.MARCELLO.VRBIS PRAEFECTO ZOILO.DENASIS.ET MAVRO.CHRI SOGONO.ARCAE.PROCURATORIBUS MCCCCXCVII DIE VLTIMO MENSIS

APRILIS

OPVS.TOMAS.MARTINI.DE.IADRA ROGO.VOS.FRATRES.ORATE.PRO.ME

In un definito spazio architettonico dalle precise connotazioni ambientali, scandito da colonne corinzie decorate con ghirlande, addossate a pilastri da dove si impostano archi visti di scorcio, sotto un soffitto a cassettoni, il vegliardo tiene stretto fra le braccia il Salvatore; accanto, la Vergine con le braccia protese e San Giuseppe stante: ancora la

(8)

8 Presentazione al Tempio.

All’esterno, nell’opera di Francesco da Milano, la Sacra Famiglia è a sinistra dell’osservatore e il santo a destra. In questa il rapporto tra le figure è invertito.

Un secolo e diciassette anni sono passati dall’impresa di maestro Francesco; ci troviamo, con il lavoro di Toma Martinov, in un altro mondo. La scena arricchita da medaglioni in rilievo in cui figurano ritratti di ispirazione classica (Minerva, imperatori romani, Apollo e Marsia) che trovano posto fra i pilastri e al loro interno, è ora rappresentata nei modi della corretta prospettiva rinascimentale.

San Simeone è testimone della nascita del nuovo.

La disposizione attuale, del santo e della cassa reliquiario, è tarda alla data della messa a punto dell’opera. Nel contratto4 siglato nel 1377 (committente fu la regina Elisabetta d’Ungheria che si avvalse di intermediari locali) ricorre il termine “cicius”, declinazione trecentesca di “citius”, rapidamente, come per sottolineare il termine di scadenza per il lavoro ultimato, inizialmente di un solo anno.

L’antica sistemazione della reliquia, in un’arca di pietra, dove, in mezzo a un’incorniciatura a losanghe, la figura del Santo appare distesa in abiti sacerdotali sul fronte del sarcofago (oggi altare della chiesa di San Simeone), avrebbe mosso a pietà la regina, di passaggio in quelle terre di Zara, che si sarebbe impegnata personalmente per la costruzione di una nuova, degna dimora5.

4 Il documento originale fu pubblicato nel 1930 da G. Praga, Documenti intorno all’Arca di San Simeone ed

il suo autore Francesco da Milano, “Archivio storico per la Dalmazia”, V, 9, Roma 1930.

5 “Cum illustrissima principissa at domina nostra naturalis domina Helisabet Dei gratia regina Hunagarie,

Polonie et Dalmatie, et gloriosi dicti domini nostri regis Hungarie consors, diuino spiritu comota visitare voluisset corpus Beati Simoni Iusti in sua fidelle ciutate existens, quo viso humilli compassione comota non iacere ut conueniens est, idcirco Iadram post recessum suum destinauit mille marcas argenti causa ipsi beatissimo corpori Sancti Simeonis Iusti fabricandi arcam unam argenteam in qua dictum corpus sanctum reponetur ut dictum est, et pro dicto opere cicius ...” (ivi, p. 227).

(9)

TAVOLE

(10)

(11)

(12)

(13)

Tavola V Tavola V

(14)

(15)

(16)

(17)

(18)

(19)

(20)

(21)

(22)

(23)

(24)

(25)

(26)

(27)

(28)

(29)

(30)

(31)

(32)

9 CAPITOLO I

1. L’ARCA NELLO STATO ATTUALE

La cassa reliquiario d’argento dorato, di base rettangolare, lunga 1,92 metri, alta 1,27 e larga 62 centimetri, è lavorata a sbalzo e decorata a punzone su tutta la superficie esterna (base compresa) e, all’interno, sui lati lunghi. La cassa è coperta da un tetto a spioventi largo 62 centimetri e alto 53. Il piano di fronte, delimitato fra due bande di motivi decorativi, in alto e in basso, è apribile; al suo interno troviamo, al cospetto della venerabile reliquia, tre pannelli che raccontano dei miracoli del santo. L’ordine tripartito caratterizza anche i rilievi, dalle diverse soluzioni iconografiche, sulla fronte del sarcofago e sul retro, nonché sullo spiovente posteriore del coperchio. I quadri della fronte e del retro dell’arca sono scanditi da colonnette tortili, alla cui sommità figura un busto d’angelo,gli angeli sulle sommità delle colonne sono testimonianza di un restauro del 16326.

2. LO SPIOVENTE PRINCIPALE DEL COPERCHIO

La figura intera del santo è sbalzata in altorilievo, a dimensioni naturali, sul lato del coperchio della cassa reliquiario, che inclina verso la navata.

Rispetto all’antica arca-altare in pietra, la posizione del santo profeta è invertita.

(33)

10

La testa (alla destra dell’osservatore), dalla fluente chioma stilizzata, dalla lunga barba di fluidi riccioli e volute, posa, incorniciata da un nimbo baccellato, su un cuscino decorato a fiori e motivi vegetali. Agli angoli di questo e alla metà dei lati in vista, trovano posto delle nappe.

La santa effige, ad occhi chiusi, accoglie lo spettatore con un’espressione intensa del volto, vibrante e luminosa, marcata dal disegno di linee orizzontali che percorre la fronte come segni di marea nell’arenile. Il vecchio veste una lunga tunica, da cui emergono abbozzate le punte dei piedi, e un mantello, fermato con una fibbia posta al centro del petto. La tunica e il mantello sono percorsi da un’imitazione di disegno tessile con ricami a motivi vegetali ottenuti mediante punzonatura. La figura giace supina su un rilievo decorato con ornamenti ancora in forma di foglie e tralci, sbalzati.

La testa e le mani completamente modellate hanno dettagli realistici. Le mani, sono quelle di un uomo vecchio segnate da vene e solcate da pieghe.

Sull’orlo della veste che cinge il petto e sui polsini della stessa è presente una iscrizione in Gotico minuscolo, sanctus Simeon propheta.

Non esiste nessun documento ufficiale relativo all’invenzione della reliquia di San Simeone a Zara.

Esistono però delle iscrizioni che possono attestarne il culto, le più antiche delle quali sono state rinvenute nelle rovine della chiesa Santa Maria Maggiore.

SIMEON IUSTUS QUI FILIO MEO SAL...

(34)

11

EX VOTO D:P:O:M: SIMEONI DIVO

PACHARIUS PR: F: F: MCCLXXXVIII7

Un documento è stato rinvenuto il giorno della traslazione, voluta dall’alto clero come atto di devozione al fine di arrestare un’epidemia. Dall’arca di pietra, dove fino a quel giorno si trovava l’insigne reliquia, fu tratto l’originale scritto, inciso su cuoio, di un registro datato 1283, un elenco di centouno nomi di nobili famiglie zaratine, facenti parte del Consiglio Maggiore della città, tutti nomi presenti negli archivi.

Lorenzo Fondra in un manoscritto del 1686 (pubblicato a Zara solo nel 1855), attingendo, come sostiene, da una tradizione ancora viva, scrisse una dettagliata storia della reliquia8, che qui riassumeremo.

Nell’anno 1273 una galera veneta, partita da Soria, navigava verso Venezia. Nell’Adriatico viene sorpresa da una burrasca, scatenata dai demoni. Nella lotta contro i marosi ed il vento, la nave sta per naufragare.

I marinai ed i passeggeri corrono ai ripari e sbarazzano la nave di tutto il suo carico. Superata la burrasca la galera si trova sospinta nelle acque di Zara, raggiunge il porto e sosta a lungo per le necessarie riparazioni.

Fra i passeggeri viaggiava pure un ignoto nobile cittadino veneziano, reduce dal pellegrinaggio ai luoghi santi. Egli recava una cassa gelosamente custodita che neppure nel pericolo aveva voluto abbandonare.

Nel soggiorno a Zara il pellegrino trovò ospitalità presso un monastero di religiosi;

7 V. Brunelli, Storia della città di Zara, Venezia 1913, p. 421. 8 L. Fondra, Istoria della insigne reliquia di San Simeone profeta, cit.

(35)

12

là portò il prezioso bagaglio, chiedendo ai monaci la carità di seppellirlo nel loro cimitero giacché conteneva la salma di un suo fratello morto in Soria. Ma il pellegrino si ammalò gravemente; si rivolse così ai religiosi raccomandando loro di esaminare dopo la sua morte tutti i documenti che possedeva perché avrebbero appreso notizie molto importanti. Dopo la morte del pellegrino i monaci adempirono la pia volontà e, appeso al collo del defunto, trovarono un documento celato con somma cura. Esso diceva che la cassa fatta sotterrare nel cimitero racchiudeva non il corpo di suo fratello, ma quello di San Simeone Giusto e Profeta.

Attoniti per sì inattesa rivelazione, subito i monaci pensarono di appropriarsi della reliquia onde arricchire del prezioso deposito la loro chiesa e di non divulgare la notizia prima di aver esumato i sacri resti collocati nel cimitero. A notte inoltrata si accingono a disseppellirli, ma vengono sorpresi nel lavoro dai tre Rettori della città: questi nella medesima notte erano stati avvertiti da un egual sogno, che nel cimitero di quei religiosi giaceva il corpo di un gran santo di recente portato dall’Oriente; si affrettassero ad esumarlo ed esporlo alla venerazione dei fedeli. Ciascuno dei tre uscì dalle abitazioni e si incamminò verso il luogo indicato dal sogno. Strada facendo si incontrarono nel medesimo crocevia e, vinta la sorpresa di quell’imprevisto incontro, si narrarono a vicenda il sogno misterioso risolvendo di obbedire subito all’arcano e comune invito.

I monaci nel frattempo avevano esumata la salma del Veggente ancora mirabilmente intatta...

Il Fondra termina il racconto con un curioso epilogo:

“Il successo si ha per pura tradizione, e raccolta da noi da molti vecchi e savii soggetti,

(36)

13

mirabilmente confermano questa verità, sono le sculture dell’arca d’argento, specialmente il primo e il secondo quadro, nei quali si può con l’osservazione scoprire tutto esso fatto, vedendosi nel primo, la nave agitata dalle tempeste, i demoni che vomitano le medesime, ed il santo che la protegge; nel secondo, i religiosi che estraggono il cadavere dal cimitero, ed i tre Rettori assieme raccolti. A questa scultura non deve negarsi quella fede che si presterebbe alla più autentica scrittura del mondo”9.

Le scene descritte, il Viaggio in mare del corpo santo e l’Invenzione dello stesso nel cimitero dei monaci, sono rappresentate rispettivamente in uno dei riquadri dei lati brevi e, attiguo, nel primo a sinistra dei tre pannelli sul lato anteriore del sarcofago.

3. IL LATO BREVE A NORD

L’animosa concitazione a bordo del natante è resa con tratti realistici: la nave è vista di lato leggermente inclinata sul piano, la poppa fuoriesce per una parte esigua dai limiti spaziali del pannello, la prua dai due profili è volta verso l’esterno e lambisce l’altro estremo del riquadro.

Due onde in corrispondenza degli alberi insidiano l’imbarcazione; una figura è fermata nell’atto di gettare un collo alla furia delle acque; un baule, e altre merci del carico galleggiano in mare.

Molte rappresentazioni simili sono presenti nell’arte non solo medievale, non solo nell’arte.

(37)

14

Un uomo, dal ponte, porge una fune ad un marinaio che sulla scala tenta di assicurare la vela all’albero, un personaggio a poppa, dai tratti grotteschi, con il braccio teso in alto, grida rivolto verso il marinaio ritratto in difficile atletica posa. In quella direzione si trova, nell’angolo in alto a destra, un demonio nell’atto di scuotere l’albero di prua, ne afferra l’estremità, in prossimità di una lanterna; è una figura spaventosa, ricoperto di pelliccia, dotato di corna, le mani armate di artigli e i piedi palmati, la coda, le ali.

Sul lato opposto in alto, la figura del santo, regge l’altro albero, dalla vela ammainata, impone la sua benedizione, ma il suo sguardo non fa parte della scena, è rivolto all’esterno, fuori dal quadro.

Un gruppo di tre uomini emerge al centro della nave, uno di questi con un cappello e il capo reclino è nascosto nel suo mantello (il pellegrino?), gli altri due, dalle fattezze ben definite, si distinguono dagli altri operosi personaggi, in quanto passeggeri, vestiti in abiti lunghi. Hanno lo sguardo diretto al santo, uno gli rivolge un cenno della mano, l’altro lo contempla con la mano sul petto.

La “cronaca” del Fondra ci permetterebbe di contestualizzare, verosimilmente datare, e individuare, la scena testé descritta, altrimenti ascrivibile a un altro ambito della rappresentazione artistica, quello relativo ai miracoli, ormai senza tempo, avuti per l’intercessione del santo, miracoli che il reliquiario testimonia in altre sue parti.

Che una reliquia si adoperi per la propria “salvezza” e, beninteso, per quella di marinai e passeggeri, è invece un episodio straordinario.

(38)

15 4. LA FRONTE DEL SARCOFAGO

Nel pannello adiacente il Viaggio in mare, sulla fronte ribaltabile del sarcofago (vi si trova in alto a sinistra l’ingombro di un fermo del piano mobile) lo sfondo architettonico ricorda il profilo di una basilica, con due tetti spioventi ricoperti di tegole e fra questi una teoria di finestre ad arco.

Un colonnato alla base, su cui si impostano archi a tutto sesto, regge la composizione ed è lo scenario, aperto su un fondo uniforme, di uno dei due episodi descritti nel riquadro, illuminati dalla lettura di Fondra.

Tre monaci tonsurati si adoperano per il seppellimento (o l’esumazione) di un corpo.

A sinistra, sotto una torre vista frontalmente, retta da un arco, decorata con motivi vegetali, tre uomini sono assisi su dei banchi di cui si intravede una sporgenza.

La torre presenta in alto, sopra una gronda, una bifora; una delle aperture è più alta dell’altra, una terza finestra, sullo stesso piano, apre sull’altro lato della torre, visto in una prospettiva appena suggerita, il tetto triangolare è rivestito con tegole dalla insolita forma di squame.

I tre uomini in basso vestono lunghi abiti cittadini, con mantelli fermati da bottoni sulla spalla o sul torso e indossano cappelli simili a turbanti.

L’uomo al centro sembra assorto, con le dita intrecciate appoggiate sulle gambe, mentre i gesti degli altri rivelano un certo eccitamento; entrambi sembrano indicare in una medesima direzione verso il secondo fuoco, a destra, della composizione, quello appunto dove figurano i monaci; uno di questi fornisce allo spettatore un dato inequivocabile: è

(39)

16

notte, il personaggio al centro difatti (dal sembiante ben distinto dall’altro religioso in ginocchio di cui si vede il profilo) tiene fra le mani una lanterna, lanterna simile a quella posta all’estremità di un albero della nave nella scena del naufragio.

Il terzo monaco, in piedi, ha il volto coperto da un braccio ed è fermato, con la vanga levata sopra il capo, nell’atto di assestare un colpo a terra; i piedi poggiano sui basamenti delle due colonne fra le quali è inscritta la figura.

Il corpo esanime della reliquia, rappresentato con le braccia incrociate sul ventre, è di dimensioni molto ridotte rispetto a quelle dei tre religiosi. Le sue gambe scompaiono dietro una delle colonne mentre l’intero gruppo è visto su un piano ravvicinato al di qua del colonnato.

Un dato “realista” è rappresentato nella terra smossa nell’escavazione.

Se torniamo alla cronaca tramandata da Fondra, il pannello testé descritto appare di limpida lettura e i contorni più definiti.

I tre uomini vestiti in abiti cittadini sono i Rettori di Zara incontratisi nella notte. Destati da uno stesso sogno, discutono sul da farsi.

I tre monaci non stanno seppellendo un uomo, bensì esumando una reliquia. Il corpo, di dimensioni ridotte, è infatti, con ogni probabilità, quello di un santo, San Simeone, rappresentato senza aureola.

Era stato seppellito in quel cimitero da un pellegrino veneziano, giunto a Zara condotto da volontà celesti. Quella che a prima vista sembrava una basilica è in realtà un monastero, il monastero dei monaci nel cui cimitero si nascondeva, fino a questo momento, l’inestimabile tesoro.

(40)

17

La cassa reliquiario di San Simeone sorprende per la ricchezza dei temi iconografici che presenta.

Caratteristica è la varietà delle rappresentazioni, relativa ai luoghi, ai tempi e agli attori di queste scene. Nei pannelli, all’esterno e all’interno dell’arca, troviamo narrate leggende agiografiche, “cronache” di miracoli, storia ufficiale, storia sacra.

Nelle composizioni che abbiamo descritto del Viaggio e dell’Invenzione della reliquia, lo spazio è anch’esso protagonista.

I pannelli “minori” (che vedremo) narrano dei miracoli dovuti all’intercessione del santo: sono, questi, cronache di minuti avvenimenti, occorsi a personaggi comuni, semplici cittadini, talvolta anonimi uomini di chiesa: in questi pannelli compaiono pochi personaggi, le connotazioni ambientali sono ridotte a segni topici, lo sfondo è neutro. Per contro, altri episodi riguardano personaggi dei quali qualcosa ci è dato sapere: in una scena compare lo stesso artista all’opera (elemento degno di nota!), in un’altra la committenza.

La messa a fuoco sulle coordinate spaziali, temporali e relative allo statuto dei protagonisti muta continuamente e con essa, si direbbe, l’ambientazione delle singole scene: vi è, quindi, un esplicito riferimento alla storia ufficiale di Zara, ambientato in luoghi ben definiti, addirittura compresi nell’attuale geografia della città.

Se pure maestro Francesco non fu testimone oculare dei fatti, si trovò comunque a raccontare un avvenimento pressoché contemporaneo di grande importanza, un evento documentato anche da altre fonti che non siano la tradizione o la scultura dello stesso autore, alla quale questa volta “non deve negarsi quella fede che si presterebbe alla più

autentica scrittura del mondo”10.

Nel pannello di destra, sulla fronte del sarcofago, il soggetto rappresentato è la

(41)

18

Venuta di Ludovico d’Angiò a Zara nel 135711. Il nome di Francesco da Milano è menzionato per la prima volta a Zara in una lettera datata 5 Settembre 135912.

Ludovico d’Angiò fu consorte della regina Elisabetta d’Ungheria che promosse l’esecuzione del reliquiario; quindi, la narrazione della Venuta di Ludovico è connessa, oltre che alla storia della città, alla genesi dell’opera, opera che figura ben descritta nel quadro.

Fra supposta leggenda agiografica (l’Invenzione) e storia ufficiale (la Venuta di Ludovico d’Angiò), si inscrive nella fronte dell’arca la composizione centrale della Presentazione al Tempio, che non può non essere considerata storia, ma storia antica, storia sacra.

La scena della Presentazione è espressamente menzionata nel contratto dell’arca, dal quale risulta che l’artista realizzò l’opera trasportando nell’argento “...Presentatione

domini nostro Ihesu Christi presentati ad altare, prout est quedam arca in carta bombicina data et facta...”.

Trattasi quindi di un’opera di “traduzione” da un disegno oggi andato perduto. Nelle vicinanze di un ciborio, alzato su pilastri decorate a losanghe, diverse dalle slanciate colonne tortili dell’originale giottesco, ha luogo l’incontro della Sacra Famiglia con Bambino e San Simeone con la profetessa Anna, che tiene in una mano un rotolo spiegato, mentre San Giuseppe porta con sé una colomba votiva.

Sotto il ciborio, un altare.

Le figure sono trattate con grande realismo: è una scena viva, drammatica, le

11 I. Petricioli, St. Simeon’s shrine in Zadar, cit., p. 14. 12 Ivi, p. 8.

(42)

19

fisionomie sono individuate e esprimono con intensa partecipazione l’accadimento, in una pluralità di atteggiamenti.

Tutte le superfici libere, comprese quelle in vista del ciborio e dell’altare, sono riccamente decorate a rilievo: sarmenti, tralci, foglie; solamente gli archi del ciborio aprono su spazi ciechi, neutri: il contrasto di queste parti con quelle decorate (che ritorna spesso nell’arca), non può essere più netto.

Le figure sono battute in un rilievo più alto che nelle altre composizioni: San Simeone aggetta di 2,5 centimetri.

Rispetto alla già menzionata filiazione del lavoro di Francesco da Milano dall’affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni (Cappella dell’Arena), nell’opera dell’orefice vengono omesse due figure: l’angelo, a destra in alto, e l’ancella di Maria, a sinistra nella composizione originale.

Inoltre nell’affresco, il Bambino è rivolto al Santo, mentre nell’arca egli guarda alla Vergine.

Il taglio della composizione è diverso: nell’opera di maestro Francesco, è negata ogni profondità che non sia suggerita dal ciborio visto in prospettiva o dalla resa plastica delle figure: queste sono poggiate in una linea orizzontale che coincide con la base del quadro; nell’opera di Giotto, invece, le figure poggiano su un piano obliquo.

Il quadro a destra della Presentazione al Tempio illustra, come abbiamo accennato, l’entrata cerimoniale di re Ludovico d’Angiò nel porto di Zara. Il sovrano venne accolto nella città dalmata nell’occasione della firma di un trattato di pace con Venezia, il 25

(43)

20 Febbraio 135713.

L’arca sarà commissionata solo venti anni più tardi.

Sullo sfondo, possiamo vedere le mura di cinta della città e una porta; non ci sono dubbi che questa sia quella tuttora esistente che apre sul porto di Zara; vicino si trovava la chiesa di Santa Maria Maggiore, nella quale il corpo di San Simeone riposò fino al 1571 ancora composto nell’arca in pietra. Le mura sono rappresentate realisticamente, scandite da corsi di pietre squadrate poste alterne l’una sull’altra, e appaiono percorse in alto da merlatura. Sopra la porta è una torre dalle tre aperture e su questa il tetto coperto di tegole a forma di squame; più lontano a destra, dietro le mura, si alza il campanile della chiesa di Santa Maria Maggiore; le mura terminano sotto una terza torre che presenta due finestre e merli sulla sommità.

Sopra la porta e in corrispondenza del campanile troviamo gli stemmi dei reali. La figura principale del re è posta quasi nel mezzo della composizione; la linea mediana verticale della superficie passa giusto alle spalle del sovrano, che è visto di profilo, avvolto in un pesante mantello foderato di pelliccia che copre tutto il suo corpo, del quale solo le mani e i piedi sono visibili. Ha lunghi capelli e una barba appuntita; sulla sua testa una corona aperta con fiori di giglio.

Un gesto della mano descrive la solennità della situazione con l’indice rivolto al cielo.

Di fronte a lui sono cinque figure inginocchiate, anch’esse viste di profilo, delle quali due sono uomini di chiesa tonsurati; una di queste, con un cappuccio fissato sotto il mento, è fermata nell’atto di baciare la mano del re, mentre alle sue spalle un uomo dalla lunga barba ha le mani giunte in atto di preghiera.

(44)

21

Sopra questo gruppo (sospinto all’indietro dall’imponente persona regale, quasi fosse luminosa), sta la vivida figura, che sembra incedere, vista di tre quarti, dell’arcivescovo mitrato, il nobile Nikola Matafar, in atto di benedire lo stesso re. A differenza degli altri personaggi del pannello e, verrebbe da dire, dell’intera arca, si direbbe un ritratto e non un tipo: se la scena è affollata e caratterizzata da una certa fissità, l’elegante fisionomia dell’arcivescovo emerge, ben definita, mobile, a sé stante.

Dietro di lui si trova un altro religioso di profilo e il volto di un personaggio visto frontalmente, dai tratti espressivi, gli occhi sgranati, si affaccia sulla scena; forse è un cittadino, dal caratteristico copricapo.

Alle spalle del re Ludovico, il suo seguito, in esso una figura intera, frontale, con i piedi visti di profilo; indossa una lunga veste e un mantello fissato alla sua destra con una fibula; porta un cappello dalla strana foggia, ha una lunga barba; con la mano sinistra, come una didascalia, indica il sovrano di spalle; fra i due, il volto di un terzo uomo.

Un altro personaggio, in secondo piano, dai capelli ondulati e dalla lunga barba e un uomo con un cappello che reca sulla sommità una vistosa piuma, entrambi di profilo, chiudono il gruppo del regale seguito, mentre la testa inclinata di un giovane, sporgente, con lo sguardo rivolto al centro della scena, aggiunge vivacità all’insieme, facendo da contrappunto alla presenza vibrante dell’arcivescovo sull’altro fronte dell’azione. Sono gli unici due personaggi che non sono visti di profilo o frontalmente: tramite questi i due gruppi di figure si collegano e si compattano. Emerge, la testa di giovane, fra il gruppo certamente statico del seguito. Il giovane, addetto al trasporto del sarcofago, si affaccia dalla composizione e testimonia il solenne momento, come un estratto giornalistico in un libro di storia.

(45)

22

Alla destra del pannello presumibilmente dei tendaggi, arricchiti dai blasoni regali, sono decorati a punzone; bandiere al vento issate su imbarcazioni connotano ancora la scena e celebrano il sovrano. Sulle barche, allineati come scacchi, stanno dei busti di personaggi risolti in maniera sommaria ma efficace, tutti di profilo, ciascuno diverso dall’altro. Due uomini in posa eretta sulle imbarcazioni, uno guarda in direzione opposta all’azione.

Sullo sfondo, in alto a destra (in prossimità dell’altro fermo di ferro del piano mobile) veleggia col vento in poppa una nave vista frontalmente.

Fra le figure che animano la scena e le mura sullo sfondo, su un piano intermedio, è mostrato un brano dell’arca di San Simeone, l’effige del santo, inclinata sullo spiovente verso l’osservatore somiglia, per quanto possibile, a quella sul coperchio dell’opera che stiamo descrivendo, ma, in quell’anno così importante per la città di Zara, in quella storica circostanza, la cassa reliquiario di cui in questo pannello abbiamo la più fedele citazione, non poteva ancora essere stata realizzata, né può trattarsi di un riferimento all’arca di pietra, certa dimora del santo fino al 1571 e quindi anche in quell’occorrenza. Infatti la testa aureolata del vegliardo è nella posizione in cui la collocò Francesco da Milano nella sua opera, dove figura invertita rispetto al precedente sarcofago in pietra.

Sopra il gruppo di sinistra, la testa dalla folta barba di un portatore è rivolta verso la porta di ingresso alla città: lo segue, all’altra estremità della cassa, il secondo portatore, con barba e capelli lunghi.

Sulla fronte tripartita del sarcofago abbiamo così una declinazione di tre “tempi” diversi, tre storie: una storia tutta “cittadina” svoltasi in un passato non così remoto (più probabilmente l’illustrazione di una leggenda agiografica, o altro, dato che le supposte

(46)

23

spoglie del presunto santo mancano dell’aureola), un brano di storia sacra, la Presentazione al Tempio, e un fatto storico risalente a poco più di venti anni prima, la celebrazione di Re Ludovico al suo ingresso nella città: tre quadri che costituiscono un ideale continuum volto a legittimare attraverso il vegliardo santo intercessore, all’ombra di Cristo bambino, il nuovo sovrano di Zara.

Nel pannello della storia del Re si tratta di un passato prossimo; se in quell’anno (1357) il nostro artista si trovava a Zara non è dato saperlo, ma è perlomeno ipotizzabile che assistette di persona all’evento, evento che avrebbe poi ricostruito nei dettami dell’arte; il tempo remoto della storia sacra è l’antico della Presentazione e “antica” è appunto anche la figura di San Simeone... quando il tempo si svolge dentro una leggenda agiografica, questo è ancora volto inevitabilmente al passato; nel lato nobile della cassa sono rappresentati tre diverse “qualità” di tempi che furono.

Sotto la lente dell’artista questi episodi sono sgranati in diversa maniera, nel primo pannello sembra di sentire il bisbiglio che ha corso di bocca in bocca per decenni, il bisbiglio della tradizione, quei monaci sembra di spiarli da lontano; la scena di centro è aulica, i girali vegetali sullo sfondo ci dicono che questa ancora sta succedendo in un tempo antico fermato per sempre: ma il “ritratto” del reliquiario nel pannello dedicato alla venuta di Re Ludovico in Zara, questa citazione dell’opera dentro l’opera, mise en abime, in un contesto riconducibile ad una data e a un luogo, oltre che alla presenza di due personaggi a noi noti, quel reliquiario, che recita qui meglio che altrove il ruolo dell’opera effettivamente realizzata da Francesco da Milano nel 1380, appartiene invece ad un futuro, un futuro prossimo, lontano poco più di vent’anni.

(47)

24 5. IL LATO BREVE A SUD

Sul lato breve adiacente al pannello della Venuta di Ludovico d’Angiò, un altro quadro è caratterizzato da una struttura architettonica importante e dal numero cospicuo dei personaggi che vi sono rappresentati. La cornice nella quale ha luogo la scena rappresenta sullo sfondo un edificio, quasi certamente una chiesa.

A destra e a sinistra del pannello si alzano due torri squadrate, sulle quali si aprono finestrelle ad arco; un’ampia volta, al centro, dalle ormai caratteristiche tegole a forma di squama, si leva sopra una balaustra che ne percorre tutta la base e che continua il suo corso fino a descrivere il perimetro in vista delle due torri; la balaustra, sotto la volta, poggia su tre archi, due dei quali, ai lati, sono di modesto raggio, mentre quello centrale comprende buona parte della composizione.

Il quadro è dominato dalle figure intere, centrali, di una donna e di un uomo, presumibilmente due nobili, riccamente vestiti. Una terza figura intera si trova sul lato sinistro, in prossimità di una porta.

Un gruppo indistinto di cui si intravedono le sommità del capo, emerge dallo sfondo dietro la nobile figura di signora; questa indossa un abito decorato a punzone e un mantello calato sulle spalle, tenuto da un fermaglio sullo scollo; punta con il dito indice il petto, l’altra mano, aperta, si trova levata alla stessa altezza in atto di manifesta pudicizia.

L’uomo alla sua sinistra, dall’atteggiamento vagamente inquisitorio, con le mani poggiate sui fianchi, dalla lunga barba appuntita e la fluente chioma, veste un abito a bande orizzontali percorso in verticale da una fila di bottoni; su una fascia che muove da una

(48)

25

spalla all’altra corre una iscrizione in caratteri gotici: “va ...vant”14.

Ai margini della composizione, a sinistra, la terza figura intera: un uomo avvolto in un lungo mantello indica con ambo le mani una porta aperta, mentre guarda la figura femminile nella rigida posa; fra i due, una testa dalla folta barba si affaccia dal gruppo indistinto.

Sul lato destro, in secondo piano, tre nobili vestono cappelli ornati di lunghe, ondeggianti piume che vivacizzano la scena; sopra a questi, il profilo di un personaggio in lontananza guarda innanzi.

La composizione è tagliata, nell’angolo inferiore a destra, dalla diagonale del sarcofago del santo, aperto, con la reliquia esposta, riccamente decorato a motivi vegetali, appoggiato su due colonnette tortili: non somiglia né a quello in pietra, né alla cassa realizzata dal nostro autore fedelmente citata nel quadro precedente, sebbene chiusa e vista da un’altra angolazione.

Una donna vestita come la figura femminile che abbiamo descritto (la medesima acconciatura, il mantello fissato da un fermaglio sul petto e le maniche della veste decorate a punzone) è raffigurata nell’angolo in basso, mentre si sporge nella cassa. Tiene in mano un dito del santo.

Tutte le interpretazioni che sono state date di questa scena sono viziate dal rapporto con la tradizione secolare che la accompagna: la regina Elisabetta, desiderando avere un figlio maschio per erede, ruba un dito del santo per ottenere la grazia e lo nasconde nel petto; nello stesso tempo si apre una ferita là dove la regina aveva celato la sacra reliquia sottratta al santo, e lei, confusa, non sa come uscire dalla chiesa (nella quale si intuisce si trovi, ma la cui volta è rappresentata esternamente); la figura alla sua destra starebbe

(49)

26 indicandole la porta15.

In questa scena la “regina” sarebbe stata rappresentata due volte, una volta nell’atto di rubare e una volta circondata dal suo seguito. L’uomo al suo fianco sarebbe re Ludovico. Fra i due, un profilo di signora, ancora somigliante, al nostro sguardo, alla “regina”.

6. L’INTERNO DEL LATO MOBILE

L’interno della parete mobile di chiusura del sarcofago presenta una successione di varie scene con illustrati i miracoli del santo.

I tre pannelli riferiti ai Miracoli del Santo, situati all’interno del piano mobile, visibili insieme con il corpo sacro, sono composti in una doppia cornice che le delimita, in alto e in basso. La fascia superiore è lavorata a sbalzo in un rilievo appena accennato: sono rappresentate foglie d’edera comprese nell’andamento curvilineo dei tralci; lo spazio di risulta è lavorato a punzone e imbrunito dal tempo. Il rapporto è invertito nella banda inferiore, decorata con dei gigli stilizzati, gli stessi che troviamo alla base del lato di fronte. I gigli appaiono in “negativo” rispetto ai motivi sopra descritti, essendo stampati con una fitta punzonatura.

Mentre la fascia inferiore è continua, quella superiore si interrompe ad ogni pannello, per poi riprendere con evidente soluzione di continuità.

La prima scena è ambientata sotto un arco impostato su colonne tortili con basi e capitelli decorati. Le basi delle colonne si trovano su uno stesso piano, mentre l’arco poggia su capitelli di diversa grandezza posti a una diversa altezza, che intendono

(50)

27 suggerire una diversa profondità.

Lo sfondo è neutro.

Un arco potrebbe simboleggiare uno spazio chiuso o aperto, sacro o profano.

All’interno di questo luogo, sommariamente individuato, su cui ritorneremo, si svolge la scena in cui sono rappresentati due uomini abbigliati alla stessa maniera, con una veste che li copre fino alla coscia, fermata ai fianchi, e dei calzari: i due uomini si adoperano intorno ad un terzo personaggio, differentemente vestito, un laico, un ossesso nell’atto di espellere dalla bocca un demonio (simile a quello che abbiamo visto nel quadro del Viaggio) che, a sua volta, vomita fiamme.

Una lanterna sospesa sul lato sinistro bilancia la composizione che non sembra aver bisogno di altri elementi per essere inquadrata nel suo genere, la Liberazione di un indemoniato.

Nello stesso pannello, a destra della colonna, l’uomo liberato è rappresentato in ginocchio, in preghiera, rivolto al santo effigiato in una cassa dalla struttura a due spioventi, come quella che stiamo analizzando.

È interessante, relativamente allo spazio in cui si svolge la scena, considerare il pannello successivo dove un personaggio in balia delle onde, viene strappato dalle correnti da un uomo a bordo di una barca. Troviamo qui, dove un’imbarcazione ondeggia in mare aperto, la medesima cornice architettonica dell’episodio dell’ossesso: un arco cuspidato, seppur incompleto.

Relativamente a questi “segni” di architetture, non si può dire evidentemente che si tratti di dettagli realistici (di cui l’arca non è peraltro esente), ma di ambientazioni “fantastiche”, con una loro logica interna. Escluderemmo che siano archi di costruzioni

(51)

28

civili. Non sono gli archi in una chiesa, ma è la Chiesa in quegli archi, “la” Chiesa: essa è ovunque, anche, proprio, nei flutti di una tempesta dove l’uomo è in difficoltà, in uno spazio simbolico, chiuso e aperto, reale e fantastico, dove certi avvenimenti possono accadere, compresi gli esorcismi e le guarigioni miracolose.

Anche il secondo miracolo cui abbiamo accennato è scandito in due episodi, divisi da una colonna (che separa ancora un prima e un dopo), sulla quale si impostano due archi cuspidati, incompleti su uno sfondo neutro: a sinistra, la piccola imbarcazione è rappresentata fra le onde del mare; su di essa sta un uomo composto in plastica posa, con una lunga barba e un copricapo dalla particolare foggia; armato di una lunga staffa cui è assicurato un rampone ricurvo, sta recuperando dai flutti il naufrago visto di spalle con la testa rivolta verso il basso. Un curioso particolare riguarda una parte del profilo dell’imbarcazione (incluso fra l’asta brandita dal personaggio a bordo, e la prua) e l’unica parte visibile dell’arco. La cuspide sembra “riportata” sul breve tratto descritto.

Il secondo atto, suddiviso a sua volta in due momenti, si svolge a destra della colonna, presso l’arca del santo, mostrata in una curiosa prospettiva (il lato breve in profondità è più lungo di quello in primo piano), spogliata delle sue caratteristiche, anche le più salienti: si tratta di una semplice cassa rettangolare decorata, in cui il santo è rappresentato in un lato ma visto dall’alto. Là dove starebbe la copertura a spioventi, troviamo un piano, sul quale è adagiato il corpo dell’uomo che è stato tratto in salvo dalle acque; una donna avvolta da una veste dalle ampie maniche, sulla destra, sta trattando il corpo come se stesse componendo una salma.

(52)

29

borchiata, questi appare vittima dei marosi a sinistra, sdraiato sulla cassa del santo a destra, lo vediamo ora, al centro, inginocchiato in preghiera con le mani giunte, redivivo: tre momenti diversi in cui agisce, o è agito, lo stesso personaggio. Abbiamo già avuto occasione di incontrare questo espediente narrativo, sia nella scena che abbiamo precedentemente trattato, quella della Liberazione dell’indemoniato (che però era più semplicemente divisa da una scansione rappresentata da una colonna, che separava il prima e il dopo), sia nel quadro del Furto della reliquia, dove la presunta regina è vista nello stesso pannello due o, a parer nostro, tre volte.

Il terzo pannello comprende due scene che hanno come protagonista un “cattivo” predicatore nei cui riguardi il santo interviene: forse uno specifico caso, traslato da una cronaca del tempo. Sono rappresentati nello stesso spazio senza elementi di demarcazione, due momenti distinti, un prima e un dopo. Una lanterna appesa al soffitto può essere ascritta sia alla prima che alla seconda scena.

A sinistra della composizione, vediamo il religioso dentro un pulpito. Questo stupisce per l’incongruente sistema di archetti e colonne che sostiene la parte praticabile, decorata esternamente a fiorami; il leggio è invece visto in una resa prospettica non facile e certamente coerente con lo spazio.

Sopra al pulpito, stanno due immagini sacre di facile lettura, una è un’ Imago

Pietatis, l’altra è la Vergine con il Cristo infante. Il religioso indica con la sua destra il

ritratto della Vergine, ma non sembra che ci sia uno spazio percorribile fra l’immagine e l’uomo, la mano è semplicemente “sovrapposta” all’immagine.

(53)

30

pedana decorata, e accostato a una cortina: le coperte, la cortina e lo sfondo su cui sono citate le immagini sacre, sono arricchite dello stesso motivo a punzone.

Nel letto dorme il religioso, San Simeone emerge dalla cortina dietro il letto minacciandolo con una spada alzata sopra la sua testa, pronto a colpire. Probabilmente si tratta di un’apparizione in sogno del santo, accaduta ad un prete che aveva deviato il suo cammino16.

7. IL RETRO

I tre pannelli qui narrati riguardano tutti la committenza; in quello centrale, che corrisponde alla principale composizione della fronte, la Presentazione al Tempio, troviamo appunto un’iscrizione votiva e la firma dell’artista.

L’iscrizione è composta in un riquadro, all’interno del pannello, incorniciato da foglie di vite comprese nell’andamento ad “S” dei tralci. Sugli angoli della cornice sono rappresentati gli stemmi di re Ludovico d’Angiò.

L’iscrizione è divisa in due parti; la parte che riguarda la dedica è composta di lettere gotiche maiuscole battute in altorilievo:

SYMEON: HI.C.IVSTUS.Y EXUM.DE.VIRGINE.NAT UM.VLNIS:QUI.TENVIT HAC.ARCHA.PACE.QVIE 16 Ivi, p. 21.

(54)

31 SCIT.HUNGARIE.REGI NA.POTENS:ILLVSTRI S:ED.ALTA:ELYZABET.I VNIOR:QVAM.VOTO:CON TVLIT.ALMO.ANNO.MI LLENO:TRECENO:OCTV AGENO

Sotto di questa, in una riga, in caratteri gotici, stilizzati, corsivi, è battuta la firma dell’orefice:

HOC OPUS FECIT FRANCISCUS DE MEDIOLAN

Alla sinistra del pannello, la scena della Donazione è connessa con l’iscrizione. Essa mostra la Regina Elisabetta, vestita di un lungo mantello, con la corona in testa, inginocchiata in presenza delle tre figlie, nell’atto di offrire la cassa reliquiario al santo Simeone.

La composizione è semplice e armoniosa, incorniciata in un triplice arco cuspidato poggiante su due colonne tortili di diversa altezza ai margini del quadro. La figura aureolata del vegliardo, imponente, avvolta in un mantello, accoglie il dono della Regina tenendolo su una mano. Ricorre ancora l’oggetto rappresentato nell’oggetto, il reliquiario nel reliquiario, ancora una volta, come in altre occasioni, ciò accade senza che l’artista si curi di farne una riproduzione se non fedele, coerente: basta il segno. L’arca è di dimensioni modeste, un semplice parallelepipedo, decorata con fitti ornamenti di foglie

(55)

32

d’acanto sul lato lungo (diviso in due pannelli) e su un riquadro, inscritto in quello breve; la figura del santo è riassunta sopra il coperchio, spariscono gli spioventi.

In confronto alla “schiettezza” didascalica delle scene dei Miracoli, questa immagine si offre allo sguardo dicendoci qualcosa di più (gli attori sono personaggi a noi noti), e soprattutto in maniera diversa: un ritmo più blando, un andamento cerimoniale ma quasi dimesso, la presenza sullo sfondo di una decorazione che stempera la solennità dell’occasione. È un racconto più lento, di una prosa sostenuta ma ancora contenuta.

Le tre principesse, sotto la cassa reliquiario, sono poste in ordine decrescente a partire da quella in prossimità della Regina, in fila, in ginocchio anch’esse, con le mani giunte in preghiera e la corona in testa. Ai profili del gruppo, compreso quello della Regina risponde il volto quasi frontale del Santo.

Un dettaglio decorativo è al centro dell’arco, una croce sbalzata su una forma ovale.

La scena a destra dell’iscrizione mostra, secondo la tradizione17, la malattia o la morte del padre della Regina Elisabetta, il Ban della Bosnia Stepan Kotromanic, sotto gli auspici di San Simeone.

Anche in questo caso, la composizione comprende due momenti: uno ambientato in una stanza, l’altro in una chiesa (riassunta in un arco) dove si trova il reliquiario, quindi il corpo del santo.

Nella stanza si trova un letto, alzato su una pedana decorata con rombi, rosette e piccoli archi. Una cortina decorata, assicurata in alto ad una asta orizzontale, fa da sfondo, inquadrando la scena.

La figura dell’uomo sdraiato, con la testa poggiata sul cuscino, è quella di un

(56)

33

vecchio, con una lunga barba e capelli fluenti, vagamente somigliante al santo. Porta un cappello.

A ridosso del letto, sul lato sinistro, San Simeone è rappresentato nella abituale maniera, avvolto nel mantello fermato da un fibula all’altezza del petto, la testa è meno definita rispetto alla figura del santo riprodotta nell’occasione della Donazione. San Simeone tiene una mano sul capo dell’uomo sdraiato.

Dietro al letto si trovano due donne, visibili dalla vita in su: a sinistra una giovane con la folta chioma sciolta, e una mano sul viso e una sul petto, dolente; a destra un’anziana che porta un cero nella sua destra, la testa avvolta in un velo che cade sulle spalle, anch’essa con la sinistra sul petto.

Sul lato destro, sotto un arco da cui pende una lanterna, su un fondo uniforme, è inserita una figura di giovane, inginocchiato in atto di preghiera: è al cospetto dell’arca del santo, riprodotta nella sua versione “semplificata”, in una prospettiva quantomeno azzardata; questa si trova dietro una delle colonne su cui è impostato l’arco, e davanti all’altra, più corta e robusta, su cui l’arco piega.

Il giovane in preghiera, si trova contemporaneamente sul pianale del letto, in ginocchio, guardando ancora alla cassa del santo, mentre, con il gesto delle mani, si direbbe, gli si rivolge direttamente, affinché sia testimone presso l’uomo morente. Se questa ipotesi è valida, la scena del giovane in preghiera presso il reliquiario dovrebbe essere successiva, e potrebbe esservi fissato il momento di ringraziamento al santo per la sua intercessione.

(57)

34 8. I TIMPANI

Sui timpani del reliquiario sono montati i due spioventi, in uno di essi è assicurata la figura a grandezza naturale del santo descritta all’inizio di questo capitolo, nell’altro, ancora, i suoi miracoli.

I timpani sono entrambi decorati alla stessa maniera, con i blasoni di re Ludovico, sbalzati in altorilievo. Vi è uno scudo diviso longitudinalmente in due parti: le barre orizzontali, Ungheresi, sul lato sinistro, e i fiori di giglio, Angioini, sul lato destro; compare l’elmo da armatura di profilo, con sopra una corona aperta e un ricco mantello di pelliccia in basso, al vertice della composizione si trova il cimiero in forma di struzzo coronato, con le ali spiegate e un ferro di cavallo nel becco.

Tutto intorno stanno delle decorazioni di foglie d’acanto; fra queste, a destra e a sinistra dello stemma, le iniziali del re: L.R., Lodovicus rex.

Una banda decorata con dei fiori stilizzati separa la parte ora descritta dal pannello del lato breve sottostante.

9. SPIOVENTE POSTERIORE

Sullo spiovente posteriore troviamo altre composizioni, ancora in gruppo di tre: ricorrono i miracoli del santo. Benché di dimensioni pressoché equivalenti rispetto alle altre scene di miracoli presenti nella ribalta, si direbbe che le immagini di questi pannelli siano viste sotto un’altra lente, in un fuoco più definito: queste figure sono più nette e

(58)

35

slanciate, e il racconto appare dotato di un più ampio respiro.

Sono presenti figure e parti di architetture; il rilievo appena pronunciato e lo spazio vuoto del piano di fondo accomunano i due gruppi di composizioni.

In alto corre una cornice di fiori di giglio, rosette e fiorami sbalzati.

La scena al centro è di particolare interesse perché vi compare l’artista al lavoro. Ovvero il presente.

Ciò potrebbe indurci a pensare che tutti i miracoli riportati nei pannelli abbiano avuto un “presente”, che tutti siano stati riferibili a qualche fatto dell’epoca, fatto minuto di cui si è persa ogni memoria, ogni tradizione che non sia la versione in immagini del nostro autore.

La scena a sinistra, impostata sopra una inedita banda decorativa composta di archetti trilobati ornati nei pennacchi di trifogli stilizzati, mostra al centro, la cassa del santo in una vertiginosa prospettiva, poggiata su tre colonnette.

Sul lato esterno del pannello, si erge un edificio retto da esili archi di diversa altezza, decorato in gran parte a motivi vegetali; in corrispondenza dei due archi più bassi stanno due piccole finestre. Ai piani superiori, divisi da una cornice, altre due coppie di finestre: una è divisa in due da una piccola colonna, un’altra, ad un’unica luce, è vista di scorcio.

Notiamo la doppia presenza di un personaggio, “declinato” alla maniera cui siamo ormai abituati: lo vediamo (vestito di una tunica decorata a punzone, fermata sulla spalla da quattro bottoni, e cappello), in prossimità del sarcofago: sembra toccare la sacra effige con un dito mentre si rivolge direttamente a due uomini intenti ad ascoltarlo, uno dei quali,

(59)

36

a figura intera, ha le mani giunte. Il terzo, fra i due, è visibile solo dal petto in su. Dietro sta un gruppo indistinto di cui si intravede solo le sommità delle teste.

Un religioso, discosto, ieratico, testimonia l’avvenimento che le fonti ci dicono essere la Punizione di uno spergiuro18.

Il “doppio” del personaggio descritto è riprodotto a sinistra: colpito da un provvedimento ultraterreno, cade su se stesso e, nell’atto di cadere, perde il cappello, fermato a mezz’aria dalla mano dell’artista.

Nel pannello di destra cinque religiosi sono raggruppati intorno ad una cassa sulla quale è posto il corpo del santo, la figura adagiata sul coperchio non è riproduzione di quella sbalzata sullo spiovente principale del reliquiario, come appare altrove, la sacra reliquia in carne ed ossa appare ora in una versione inedita, coperta da un sudario.

È una scena molto vivace, tagliata in una leggera diagonale; i gesti sono espressivi, le fisionomie ben individuate, il ritmo incalzante; sembra di poter percepire un brusio di suoni e parole, con il “basso” di un monaco di profilo (in un’atmosfera di gaudio e sorpresa), in disparte, in secondo piano, che pare non dedicarsi all’accadimento.

Altri due religiosi sono riprodotti dalla vita in su, un terzo sporge per un lembo della sua veste dalla cassa reliquiario. Solo uno è rappresentato a figura intera: sta tenendo la gamba sinistra del sacro corpo con la sua mano destra, l’altra mano è portata al volto, con espressione ambigua; la scena, indecifrabile, si svolge sotto un arco, le cui colonnette sono collocate ai bordi della composizione con le basi a una differente altezza.

Nel pannello centrale, centrale come la scena principale della Presentazione al Tempio, centrale come l’importante iscrizione votiva e la firma dell’autore, troviamo

(60)

37

un’altra scena che non è stata ricondotta a un preciso significato, nella quale compare lo stesso artista rappresentato all’opera presso l’arca. Tiene nelle mani un martello e un cesello, intento a lavorare ad una delle colonne di sostegno del sarcofago e indossa una tunica e un cappello. Non è certamente un ritratto, è una figura appena descritta. La scena è accompagnata dall’andamento di in un’arcata di cui vediamo una colonna tortile su cui poggia un arco intero e uno incompleto.

Altri due personaggi sono rappresentati alla sinistra del pannello e l’artista ha girato la testa per guardarli: una donna, avvolta in una lunga tunica che le copre anche la testa, in posizione eretta, leggermente inclinata in avanti come se stesse muovendo, con le braccia protese, e la figura innanzi di un giovane uomo inginocchiato. La donna, l’artista e la colonna poggiano su uno stesso piano, mentre la figura di giovane sembra lievitare sospesa.

Un elemento architettonico alle spalle della donna, non è riferibile ad alcun contesto.

10. L’INTERNO, LA PRESENTAZIONE DI TOMA MARTINOV

La più importante aggiunta al sarcofago è il rilievo rinascimentale al suo interno. Questo è visibile solo con l’ostensione della reliquia. Il piano di fronte, ribaltabile, ruota sui cardini di 180 gradi e solo il cristallo incorniciato dai gigli e da diversi motivi a fiorami su lamina d’argento, si frappone tra il fedele e il prezioso contenuto. Sul lato opposto, oltre la reliquia, ecco la Presentazione al tempio di Toma Martinov, datata, come si legge alla

(61)

38

base di un pilastro, nell’iscrizione già citata19, 30 Aprile 1497.

Gli archi e i soffitti a cassettoni, come abbiamo detto nel primo capitolo, sono visti in prospettiva, la scena è chiusa in uno spazio architettonico razionale che sottolinea, con l’importanza dell’ambientazione (dove compaiono archi, nicchie, pilastri e colonne), la solennità del momento. L’antico tempio, rappresentato nel ciborio intorno al quale Maestro Francesco dispone la sua scena, è riproposto in fattezze sontuose nelle caratteristiche di ordine e grandiosità di una architettura classica, sebbene le figure giganteggino nelle loro pose: gli archi racchiudono le effigi dei quattro patroni di Zara, alla destra Santa Anastasia e San Zoilo, a sinistra San Donato e San Crisogono, tutti girati verso il centro della scena dove ha luogo la Presentazione.

Agli angoli dell’edificio sullo sfondo stanno i simboli degli evangelisti.

(62)

39 CAPITOLO II

1. RELIQUIE, RELIQUIARI20

Le reliquie21, dal latino reliquiae -arum “avanzi, resti”, anche di un morto (derivazione di reliquus “restante” affine a relinquere lasciare)22 possono essere

considerate il più antico oggetto di rilevanza antropologica23, ancora prima dell’immagine, della parola e della scrittura. In area mediterranea in tempi storici, nell’antico Egitto, alle parti del corpo di Osiride si attribuivano varie tombe disseminate in vari luoghi, templi e diverse città, così come diverse dimore, sacre o profane, può oggi vantare il corpo frammentato di uno stesso santo: dalle chiese, ai santuari, ai musei, alle semplici case di privati, siano questi collezionisti di meraviglie o credenti devoti.

Nel culto greco degli eroi, tra le reliquie degli stessi, realmente esistiti o mitici, e degli stessi dei, troviamo oltre che resti corporali, oggetti d’uso, armi, strumenti musicali, ornamenti, così come i santi e le sante cristiani – oltre a resti corporali interi o moltiplicati in parti – ci hanno lasciato sacri calzari e cilici, catene e vesti sacre. La lancia di Achille era conservata nel tempio di Atena a Phaselis, diversi templi rivendicavano il possesso della

20 Testo di riferimento del presente capitolo è Dizionari terminologici, Suppellettile ecclesiastica I, a cura di

B. Montevecchi, S. Vasco Rocca, Edifimi, Firenze 1988.

21 Come testo guida per la trattazione degli aspetti generali riguardanti le reliquie si consideri: J. Bentley,

Ossa senza pace, cit.

22 Definizione tratta dalla voce “reliquia”, in Enciclopedia La Piccola Treccani, Roma 1996, volume X, p.

75.

23 V. H. Elbern, voce “reliquiari”, in Enciclopedia dell’arte medievale, Ricordi, Milano 1998, volume IX, p.

(63)

40

lira di Orfeo, lo scettro di Agamennone era a Cheronea, il tempio di Atena a Iapigia vantava un sandalo di Elena. La testa di Orfeo fu sepolta a Smirne (dove poi i cristiani avrebbero custodito i resti di Policarpo), la scapola di Pelope giaceva in una bara di bronzo a Elide e in un altro sarcofago bronzeo erano conservate le spoglie di Tantalo, ad Argos24.

Nell’Antico Testamento, possono essere trovate nell’usanza di venerare le tombe dei patriarchi, le vestigia dell’antica consuetudine di onorare i santi, ricordiamo ancora che nell’arca dell’Alleanza si conservano come autentiche reliquie la manna e le tavole della legge.

2. RELIQUIE CRISTIANE

A parte le analogie con gli esempi pagani cui abbiamo appena accennato, la caratteristica più evidente dell’evoluzione del culto delle reliquie nella tradizione cristiana può essere individuata proprio in superficie, nella stretta relazione delle sacre parti con la preziosità, la ricchezza e la varietà dei manufatti che le contengono: oggetti d’arte, spesso raffinatissima. Altro aspetto lampante (rispetto ad esempio al Buddismo, altra religione storica che contempla il culto delle reliquie)25 è la quantità materiale prodotta, in termini di resti corporali, altre reliquie e reliquiari.

Inteso come ricettacolo di mortali spoglie di donne e uomini santi, o ancora di quanto è venuto in intimo contatto con loro, quindi di sacre reliquie dalle quali deriva il nome, il reliquiario, in ambito cristiano, conosce una storia quasi bimillenaria e una

24 J. Bentley, Ossa senza pace, cit., p. 35.

(64)

41

strabiliante varietà tipologica. Contenitori e contenuti, forma e sostanza in rapporto osmotico, rappresentano, nel corso del Medioevo e oltre, l’espressione materiale (quando non realmente tangibile nelle pratiche di devozione) del progressivo affermarsi del culto dei santi (doulia = servitù)26, culto testimoniato a partire dalla metà del II secolo. Come si apprende dal resoconto del martirio del vescovo Policarpo27, i cristiani di Smirne ne raccolsero i resti, “più preziosi dell’oro e delle gemme più sontuose”, per farne oggetto della loro venerazione. Anima e corpo: gli stessi santi furono pensati come “vasa auri

excelsa et eminentia”28 e pertanto come reliquiari viventi.

Le reliquie affinano la preghiera e promuovono l’intercessione del santo; le reliquie operano miracoli, guariscono i malati, proteggono le chiese, gli eserciti, le città. Ai resti dei santi non si offrono sacrifici, ebbe a specificare Sant’Agostino; i santi non sono venerati come dei, il ruolo del santo è, dalle origini, quello di anello fra Cielo e terra, di tramite fra l’uomo e Dio; per dirla con le parole di San Girolamo, “onoriamo i servi, affinché l’onore dei servi ridondi sul Padrone”29.

Primi esponenti di una realtà, la santità, in continua evoluzione, sensibile al tempo e al luogo30, furono i martiri31; si designano in particolare con questa espressione (giacché la storia è disseminata in ogni epoca di fedeli martiri e quindi elevati a santi), quelle figure di uomini, poi innalzati alla più alta dignità cristiana, che versarono il sangue per Cristo in età pre-costantiniana, un epoca in cui il cristianesimo lungi da essere una religione di stato, era

26 G. Low, voce “santi”, in Enciclopedia Cattolica, Roma 1953, volume X, p. 1851. 27 Eusebio, Hist. Eccl., IV, 15, 43.

28 Teofrido di Echternach, Flores epitaphi sanctorum, II, 1; PL, volume CLVII, col. 339. 29 San Girolamo, Ep., 109, 1.

30 Per gli aspetti relativi all’evolversi del concetto di santità nel Medioevo, cfr. A. Vauchez, La santità nel

Medioevo, Il Mulino, Bologna 1989.

31 “Dal greco μάρτσς nel linguaggio cristiano è la persona che ha reso testimonianza a Cristo con il sangue”

Riferimenti

Documenti correlati

Tuttavia, come già detto, sarà bene sottolineare che tale ipotesi non riguarda solo i casi di patente alterazione della materialità dell’indice: è la stessa

Rispetto al fine vita (e non solo), parole che producono eufoniche consonanze sono dialogo, comunicazione, compartecipazione. È da molti riconosciuto come il passaggio più

• € 85.261,18 più Iva (€ 104.018,64 Iva inclusa) per lavori alla voce contabile U.1.03.02.09, livello V 008 livello VI 01 (Missioni e Programmi predefiniti), che

Per l’esercizio dei diritti previsti dal Regolamento (UE 2016/679), relativi alla presente procedura l’interessato potrà rivolgersi al responsabile della protezione dei

• E’ possibile iscriversi ad uno dei Corsi di studio post-laurea dell’Università degli Studi di Teramo esclusivamente on-line seguendo la procedura

nostro gruppo di ricerca ha sviluppato un sem- plice sistema nel quale un macrociclo transita unidirezionalmente lungo un asse molecolare in modo ripetitivo usando la luce come unica

L’immagine di un punto oggetto, anche per uno strumento ideale, ha una dimensione fisica finita, determinata dal diametro del disco di diffrazione (disco di Airy), di

I rami relativi allo strato coerente sono associati ad onde di tipo membranale e le due curve decrescente e crescente, al cut-off, esibiscono oscillazioni rispettivamente