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UN ORAFO A CORTE

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 102-105)

Come abbiamo detto, nel Medioevo laboratori e officine di arte orafa sorgono principalmente presso i monasteri che non di rado rappresentano insieme i destinatari e i gestori della produzione; la situazione si modifica con il rapido sviluppo delle città: già nel secolo XIII sono ricordate officine di laici, quella ad esempio del Grand-Pont di Parigi dove si fabbricavano “a l’usage des barons et des nobles dames” spille, collane e altri oggetti di ornamento personale126.

Con il fiorire delle città e lo sviluppo dei commerci il numero degli orefici secolari crebbe. A Parigi nel 1292, quando fu emanata la tassa conosciuta come Livre de la Taille, furono registrati 116 orefici dalle cui mani uscivano in gran copia gli arredi sacri e liturgici, le suppellettili domestiche e i gioielli signorili. Nel 1368 la London Company of Goldsmith contava 135 maestri orafi. Nell’ambito della nuova società cittadina e privilegiata la richiesta di oggetti di lusso viene aumentando, il monile adempie alla funzione di simbolo di prestigio sociale; a questo proposito basterà ricordare il rimpianto di Cacciaguida (Dante, Paradiso XV) per quei tempi più austeri, quando la donna fiorentina

non avea catenella, non corona,

125 L’altare d’oro di Sant’Ambrogio, a cura di C. Capponi, Silvana Editoriale, Milano 1996, p. 150. 126 L’oreficeria medievale, testo di I. Belli Barsali, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1966, p. 119.

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non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona127.

Jean de Garlande nel suo Dizionario scritto nel 1220 ci fornisce una descrizione di una bottega orafa e del lavoro e dei prodotti d’orefice: “Gli orefici siedono davanti alle

loro fornaci e tavole sul Grand-Pont e fanno collane d’oro e d’argento e spille e fermagli e bottoni, e scelgono granati e diaspri, zaffiri e smeraldi per gli anelli...”. Come oggi sul

Ponte Vecchio a Firenze, quegli orafi parigini conquistarono ben presto una posizione anche logistica di grande prestigio, una postazione di estremo riguardo là dove il ponte rappresenta un luogo di incontro e transito obbligato di uomini e merci.

La parabola che descrive il ruolo di un orafo a corte, un laico, è ben delineata dalla vicenda di un maestro, William di Gloucester128, che fu il il principale protegé di Enrico III di Inghilterra. Egli appare per la prima volta nei registri regali nel 1251 quando ricevette una somma di denaro e il prezioso metallo che doveva usare per realizzare un calice per il re. Lo stesso anno si dedicò a costruire e ornare undici ghirlande d’oro con una quantità di pietre preziose il cui valore corrispondeva a quello dell’oro usato per la messa a punto dell’opera: le ghirlande d’oro decorate con pietre preziose per le nozze del sovrano.

Nel dicembre 1252 fu designato orafo del re. Inclusi nei pagamenti di quell’anno troviamo una considerevole somma per la realizzazione della corona offerta da Enrico al re di Norvegia e denaro, in quantità più modeste, dovuto al maestro per la fabbricazione di gioielli e sei coppe destinate a Alice di Lusignan, sorella del re. Seguiranno altre

127 Ivi, p. 144.

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commissioni che illustrano l’ampia gamma di richieste, di esigenze, di un re medievale: fermagli, spille, anelli (141 solo nel 1253), cinture, candelabri, calici, mitre, pastorali, turiboli, piatti, bicchieri.

Oltre a fabbricare un incensiere e un calice offerti dal devotissimo re a Sant’Edoardo il Confessore, un raccoglitore di offerte per Eleonora di Castiglia, una mitra e una croce per il vescovo di Londra, William di Gloucester fu coinvolto in imprese di più largo raggio: una di queste fu la produzione dei penny d’oro di Enrico III, il primo conio in oro in ambito insulare, datato 1257: non è di poco conto che il nome del maestro figuri sul retro della moneta, ma era una consuetudine antica; sul dritto è il bel ritratto del re, seduto sul trono con in mano lo scettro e il globo.

Una simile figura assisa ricorre nel Gran Sigillo che fu commissionato al maestro il quale lo incise nel 1259. Un “impronta” di questo sigillo e i penny d’oro sono gli unici esempi sopravvissuti dell’opera di William di Gloucester, ma sappiamo che lavorò dietro importantissime commissioni regali: prestò infatti il suo talento per il paliotto dell’altare di Sant’Edoardo, e ritrasse la figlia di Enrico III in un’immagine d’argento che fu posta in Westminster dove la fanciulla fu sepolta nel 1257.

William di Gloucester fu incaricato di eseguire il reliquiario d’oro di Sant’Edoardo da collocarsi in Westmister: per i tre ultimi anni della sua vita fu dedito alla messa a punto dell’opera che rimase tuttavia incompiuta, sicché la traslazione delle spoglie del santo nel nuovo sarcofago avvenne nell’Ottobre del 1269 pochi mesi dopo la scomparsa dell’orefice. Il maestro, come abbiamo visto, attese alle più alte committenze sotto il regno di Enrico III ed ebbe di contro importanti posizioni alla zecca di Londra e Canterbury e, diversi privilegi fra i quali l’esenzione fiscale per la sua “bottega”.

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Il suo ruolo di cittadino di Londra fu comunque non sempre compatibile con la lealtà nei confronti di chi lo aveva elevato a cotanta gloria terrena, egli si schierò contro il re nelle guerre baronali che finirono con la vittoria del sovrano nel 1265; William di Gloucester fu imprigionato a Windsor, ne uscì poco dopo per lavorare fino alla fine dei suoi giorni al reliquiario del Confessore.

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 102-105)