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IL MODELLO GIOTTESCO

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 120-124)

Non ci è dato sapere se maestro Francesco da Milano, nei suoi spostamenti che infine lo porteranno a Zara, transitò da Padova, non ci sono documenti che lo certifichino. A Padova rimane comunque affrescato da Giotto, il prototipo della Presentazione al tempio, scena “riedita” da Francesco da Milano e situata nel pannello centrale della cassa reliquiario.

L’illustre modello è riproposto dal nostro artista nella sua opera di oreficeria: il riquadro di un episodio delle storie di Cristo affrescate da Giotto nella Cappella degli Scrovegni è traslitterato nell’argento, sbalzato e cesellato, così che, trasposto nel reliquiario di Zara, diviene il momento principe della grande narrazione intorno al santo, intorno al reliquiario dell’anziano profeta patrono della città dalmata. La medesima composizione, il medesimo impianto, stanno alla base delle due rappresentazioni.

La scena, riproposta con esigue varianti148 e l’omissione di alcune parti, figura protagonista nel fronte del reliquiario, al centro dei tre pannelli del lato nobile. Oltre a risaltare in primo piano per la collocazione eminente, il pannello che ritrae San.Simeone al cospetto della Sacra Famiglia risulta essere uno dei momenti di più alto tenore dell’arte dell’orafo zaratino d’elezione.

Non sappiamo se Francesco da Milano ebbe occasione di avere esperienza diretta dell’opus magnum di Giotto: forse che il nostro artista ebbe occasione di assistere, a suo tempo, allo spettacolo rappresentato dal ciclo di affreschi dipinto dal grande innovatore fiorentino?

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La questione può sembrare oziosa o di importanza documentaria ma per caricare questo interrogativo di una dose di fascino basti pensare che Francesco da Milano per parte sua non fu certo un innovatore.

L’ipotesi che vuole l’orefice al cospetto dell’opera di Giotto apre la strada a una diversa considerazione sulla sua maniera di vedere e di operare, considerazione di cui tener di conto ai fini di un’analisi stilistica pertinente dell’oggetto del nostro studio giacché le conseguenze che ne derivano non sono del tutto scontate.

Supponendo che Francesco da Milano abbia fatto diretta esperienza dell’opera, viene da chiedersi se capì o meno la lezione di Giotto dal momento in cui il ciborio presso il quale muove l’azione è l’unico episodio in cui Francesco da Milano si avvale di una impostazione prospettica.

Un riferimento a quel riquadro che riportato nell’argento del reliquiario rimarrà un brano di raffinata padronanza di tecnica orafa, lo si trova nel contratto che legò Francesco da Milano alla volontà della regina Elisabetta: “...Presentatione domini nostro Ihesu

Christi presentati ad altare, prout est quedam arca in carta bombicina data et facta...”149, il documento parla esplicitamente di un disegno preparatorio che altro non poteva essere se non una copia su carta dell’episodio narrato da Giotto, una copia che non poteva essere modificata, data et facta, ma il prezioso documento non specifica se autrice del modello fu effettivamente la mano del nostro artista.

È importante capire se Francesco può aver tratto spunto da una copia dell’affresco staccata dal contesto generale della grande lezione del pittore fiorentino, o se fu lui a operare la sintesi di quello che vide nella cappella Scrovegni al fine di giustificare

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determinate scelte che il maestro operò nella composizione delle altre scene, esulando dal “prestito” di Giotto, esulando da una scelta di modernità.

La soluzione più ovvia sarebbe supporre che maestro Francesco abbia composto la sua scena senza cognizione di causa, magari a partire da un disegno eseguito da un’altra mano; questa ipotesi sarebbe avallata da alcune considerazione che per ora ci esentiamo dal fare ma che sorgono spontanee vedendo il reliquiario che nel suo insieme risulta rispondente a canoni rappresentativi squisitamente medievali quando l’opera fu ultimata nel tardo 1380.

Da un episodio a noi noto del ciclo di affreschi presente nella cappella degli Scrovegni, episodio compreso fra le storie di Cristo, quindi situato sul lato sinistro dell’edificio, alla destra del dio creatore, è dedotto l’importante quadro della Presentazione al tempio: una riedizione per certi versi letterale del quadro giottesco, una traduzione, nei termini pertinenti a un altro ambito artistico, delle conquiste relative a una nuova concezione di comprendere lo spazio di cui il grande artista fiorentino fu pioniere.

Se proviamo a immaginare come lo sguardo del nostro orafo abbia potuto calarsi nella contemplazione dell’opera di Giotto, possiamo dedurre un altro particolare che può orientarci verso un’ipotesi che, se non prova, non esclude ma suggerisce una partecipazione diretta di Francesco al noto spettacolo della cappella degli Scrovegni: se vide, come vide?

La collocazione della Presentazione al tempio nel grande apparato figurativo della cappella degli Scrovegni è assolutamente centrale, e centrale, per ovvi motivi, è la collocazione della Presentazione nell’economia del reliquiario. Siamo in presenza di una

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concomitanza: il pannello con la nota scena del Nuovo Testamento non poteva che trovarsi al centro del reliquiario del santo, ma l’impaginazione degli affreschi della cappella degli Scrovegni rimarca la centralità della scena in un modo che, se non stupisce un ipotetico spettatore, di ogni epoca, stupì certamente uno spettatore particolare alla fine del XIV secolo, Francesco da Milano.

Se Francesco, come pensiamo, vide dunque Giotto, lo guardò con occhi di orefice. Notò probabilmente la scena “montata” in un contesto di alta, altissima pittura; ancora una volta maestro Francesco vide un gioiello e ne carpì quello che lo sguardo del suo mestiere, della sua arte, gli poteva suggerire: la collocazione di una parte “preziosa” nella posizione di massimo rilievo, pur trattandosi di figure dipinte, un quadro in un contesto di affreschi, un quadro letto come si legge la pietra più preziosa nel suo diadema.

Un indizio che potrebbe far pensare a un possibile passaggio di maestro Francesco dalla città patavina è, come abbiamo rilevato, la stretta dipendenza nell’organizzazione strutturale della sua operada un plausibile modello rappresentato dal reliquiario di San Luca in s.Giustina, opera apprestata a Padova nel 1301, e dunque pressoché contemporanea al ciclo degli affreschi.

Come è probabile che Francesco trasse spunto dal reliquiario di s.Luca per la struttura del suo reliquiario, è ipotizzabile che si sia impressa nella memoria del maestro orafo, diretto testimone della straordinaria opera di Giotto, quella scena collocata in posizione eminente e che quell’impressione riverberasse fino a tradursi nella “elevata” versione in argento.

Il nostro artista fa, si potrebbe dire, una scelta di reimpiego, smonta e rimonta quello che vide.

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Per usare un’altra terminologia, legata forse al “gusto” e quindi a contesti altri della storia dell’arte, si potrebbe dire che opera una citazione: Francesco da Milano ripropone la scena sul reliquiario, similmente a come fu ideata e dipinta da Giotto quasi un secolo prima, e la offre, frutto delle sue fatiche, alle spoglie mirabili del santo nell’arca a lui dedicata.

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 120-124)