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Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 124-133)

Percorrendo le parti varie che compongono il reliquiario di San Simeone, ci accorgiamo subito che le singole scene anche nei pannelli di maggiore interesse non sono mai comprese in uno spazio visibile, ma in uno spazio “leggibile”; questo succede anche nella Presentazione al tempio, quando Francesco da Milano dialoga con Giotto, ma di fatto ambienta figure e architettura in un contesto, in un’aria, decorata di racemi: la scena dall’intelaiatura prospettica, “visibile”, razionale, è inserita dentro una partitura di motivi vegetali e collocata nell’astrazione dell’elemento decorativo ancor simile a una grafia.

Almeno per quanto riguarda i pannelli di maggior impegno sembra che la visione di insieme, l’idea, venga in qualche maniera sacrificata a una certa opulenza descrittiva, a una ricchezza di particolari, all’individuazione ossessiva del dettaglio, dettaglio che diviene determinante per far vivere i quadri minori ambientati, visti, fra due colonne tortili, sotto un arco cuspidato ribassato, su fondo neutro.

Questa sovrabbondanza di minute, particolari attenzioni (lettere che costituiscono parole, parole che diventano discorso), disegna l’atteggiamento veramente caratteristico

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del nostro autore verso tutto ciò che connota un personaggio: una scarpa (nella scena dell’indemoniato) la ritroviamo sbalzata nell’argento in un reliquiario a piede150 di primo Trecento, a Zara, una cintola borchiata in un busto marmoreo a Padova151, così, troviamo cappelli di tutte le fogge, e fissaggi, capigliature, abiti, persino le tonsure e la barba sono descritte con una fitta punzonatura.

È una bella enciclopedia del costume del tempo, sotto questo aspetto, l’opera di Francesco da Milano, ma i personaggi e lo spazio in cui agiscono non si fondono mai in un insieme organico, non si integrano, le immagini sono divise in due, là dove vivono le figure e là dove sono le architetture; il nostro maestro orafo opera come se si muovesse con diverse attenzioni in due dimensioni distinte facenti parte di due mondi separati, là dove è vita, nelle figure, e là dove vita non è, le architetture, poco indagate ma in qualche modo “espressive”, segni, indicazioni pur necessarie, che si comportano come un vibrante controcanto alla scoperta dei personaggi sapientemente descritti.

È un mondo gerarchicamente organizzato a partire dalle figure, dai particolari che costituiscono le figure, maestro Francesco è assolutamente indifferente alla novità costituita dalla prospettiva, a parte l’epitome della lezione giottesca costituita dalla Presentazione.

Figure e architetture, architetture e figure, ma mai lo spazio, quello del nostro artista è un mondo “prezioso” che si costruisce a partire dal particolare: grande assente in Francesco da Milano, è lo spazio, il respiro di una superficie dove accade anche qualcosa, lo spazio che il maestro tende sempre a riempire in un modo o nell’altro o a ridurre a un piano cieco.

150 The splendour of Zadar Treasures, catalogo della mostra, Zagabria 1990, p. 184. 151 W. Wolters, La scultura veneziana gotica 1300/1460, cit., p. 210.

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Un gusto spiccato per la narrazione da cui deriva l’attenzione minuziosa alla ricerca del particolare, ricerca parallela a una certa esuberanza decorativa, sembrano essere le caratteristiche stilistiche del nostro artista alle prese con il suo grande gioiello.

Spesso nelle scene convivono due tempi diversi, due diversi presenti, o, se preferiamo, un prima e un dopo; rispetto all’uso della prospettiva il nostro artista predilige gli antichi canoni medievali, più funzionali alla sua esigenza di raccontare, raccontare molto, raccontare molto in uno spazio esiguo.

Il progetto della committenza, che doveva a sua volta “narrarsi”, essere più presente di qualsiasi presente, può essere all’origine della crescita del racconto intorno alla famiglia reale e al santo e, verrebbe da dire, al racconto stesso.

Gli omaggi alla committenza, per trattarsi di un reliquiario offerto a un santo, sono ingenti, a essa sono strettamente connessi tre dei pannelli principali cioè L’entrata di re Ludovico, il Furto della reliquia, L’offerta del reliquiario al santo e i timpani del tetto a capanna recanti i blasoni della dinastia angioina.

Il quadro del Furto della reliquia presenta simultaneamente due momenti, durante il furto e dopo sicché la regina è rappresentata due volte. L’architettura sullo sfondo, che chiama in causa presumibilmente un edificio sacro dotato di una cupola compresa fra due campanili, è visto esternamente: rimane da capire dove si trovino, se non all’interno della chiesa, il reliquiario e la regina al momento del furto.

Passando poi alla scena della Inventio della reliquia, notiamo che l’ambientazione è del tutto incongrua ma straordinariamente efficace. Le coordinate spaziali sono assolutamente subordinate alle esigenze del racconto, racconto che dovrebbe svolgersi in

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due luoghi, probabilmente in due tempi diversi, forse, in parte, in un sogno.

I tre rettori sono stati svegliati nella notte da una stessa visione avuta nel sonno e si trovano insieme per discuterne: le reliquie di San.Simeone si trovano nel cimitero di un monastero in città, alcuni monaci si stanno adoperando per la riesumazione del sacro corpo sepolto sotto mentite spoglie. Ammesso che il monastero (o meglio una chiesa, o la chiesa del monastero) sia l’architettura sullo sfondo e che i rettori si trovino in prossimità dell’entrata di un transetto, la distanza che separa i due gruppi in primo piano e posti sullo stesso piano, è assolutamente impercorribile.

Il quadro racconta di due momenti, distanti e distinti: ammettere che i monaci siano i monaci nel sogno che i rettori si stanno raccontando, potrebbe essere una possibilità da non escludere.

La scena, che vede negare ogni definizione spaziale coerente, è dichiaratamente, volutamente contraddittoria, per questo motivo le gambe della reliquia spariscono dietro una colonna che dovrebbe trovarsi, secondo rapporti e proporzioni, ben lontana.

Lo stesso monaco che impugna la vanga e ha il volto celato dalle braccia alzate, soluzione di un certo realismo, si trova davanti alle colonne che reggono il loggiato quando le gambe del santo si perdono interrotte dietro una di queste: la base della medesima colonna, sulla quale poggia il piede il monaco escavatore, non è alla stessa altezza di quella che divide i rettori dal gruppo di monaci e lascia intendere un certo movimento, una certa intenzione di conferire a quell’ambiente una profondità spaziale, addizionale, puramente “visiva”, particolare.

È questo lo spazio di maestro Francesco: un contesto animato, “animista”, fluttuante, in cui si mescolano tempi, spazi e punti di vista diversi, forse la veglia e il

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sogno, ma straordinariamente funzionale e capace di descrivere, forse più di quanto non faccia una lettura dello spazio basata sulla prospettiva.

Le cornici architettoniche presenti nelle scene minori, quando si tratta di semplici archi e colonne divisorie, come accade negli episodi relativi ai miracoli del santo, ci riportano alla struttura ad arco a cuspide ribassato retto da colonne tortili dei ricchi polittici di Paolo Veneziano152.

L’apice di astrazione si ha nelle scene dei miracoli dove figure e oggetti “segno” (la cassa del santo in primis, architetture, una barca...) si stagliano su di un piano uniforme, vuoto.

Nella scena del salvataggio di un naufrago, la cuspide dell’arco che argina la scena è esattamente riportata nel profilo del natante, Francesco da Milano è un artista medievale, ancora legato al piano, in maniera talvolta divertente.

La serie dei miracoli pur parca di elementi narrativi e decorativi, riesce a tradurre, quasi alla lettera, non sempre, gli episodi in questione, forse per il ricorso a casi e formule stereotipate: si leggono immediatamente come lucide cronache, emblematici resoconti. Non articolate narrazioni ma episodi semplici, non storia ma cronaca.

È in questi casi che l’attenzione filologica al dettaglio del costume, delle diverse capigliature, della gestualità neomedievale (la cui eloquenza è affine per esempio alle sculture esterne di palazzo Ducale in cui Eva e Adamo commentano l’ebbrezza di Noè)153, finanche la cura nel disegnare le espressioni, le pose, i profili di personaggi in dialogo, sortisce i migliori effetti, deviando da quanto di ornamentale e dispersivo ritroviamo in

152 M. Lucco, La pittura nel Veneto, tomo primo, Il Trecento, Electa, Milano 1992, pp. 41, 50. 153 W. Wolters, La scultura veneziana gotica 1300/1460, cit., p. 176.

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altri quadri più costruiti.

Questo accade dove il maestro non è costretto a raccontare troppo.

Nella complessità dell’opera, le scene dei miracoli, certamente meno impegnative di quelle principali, sono “minori” per importanza e qualità (ad esempio sono dei rilievi molto più bassi), ma ciò è dovuto ad una vera e propria orchestrazione dei casi trattati. Dal solenne della fronte del reliquiario, al lento di altre parti (ad esempio l’iscrizione), all’adagio dei miracoli, semplici quadri didascalici.

Fatta eccezione per l’effige del santo sullo spiovente, è alla pittura e non alla scultura che si devono i prestiti che vivono nell’opera di Francesco da Milano per quanto riguarda la resa delle figure. Le cadenze dei panneggi hanno a un primo sguardo qualcosa di semplificato, è una “grossa” scrittura anche quando il maestro indugia nella sua opera di definizione “realista”.

I panneggi riassunti in pochi pesanti tratti che conferiscono alle scene un lento andare, ci riportano in area veneta a determinati artisti che si esprimevano con il colore e il pennello, quali Paolo Veneziano154, Marco di Martino155 e Semitecolo156 riguardo la resa dei panneggi delle figure, e ancora Guariento157 cui sembra rimandare la distribuzione del gruppo che accoglie re Ludovico alla sua entrata in Zara.

Nel pannello dell’entrata di re Ludovico sono presenti alle sue spalle le barche del seguito da cui emergono l’equipaggio e le bandiere issate al vento montate sulle aste. Probabilmente sono mutuate da un mosaico presente in San Marco a Venezia, in cui

154 M. Lucco, La pittura nel Veneto, tomo primo, Il Trecento, cit., pp. 26-27. 155 Ivi, p. 72.

156 Ivi, p. 154. 157 Ivi, p. 132.

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l’anonimo mosaicista narra l’arrivo a Chio del doge Michiel158: nell’ambito del reliquiario al tre quarti dei volti degli equipaggi si sostituiscono due teorie di profili. In ambo i casi, a Zara e a Venezia, spicca sui marinai un personaggio di cui è visibile la figura fino alle gambe.

La scena del salvataggio del naufrago, dove il mare tempestoso è reso attraverso vortici spiraliformi che si estinguono l’uno nell’altro, ci riporta ancora a Venezia nel contesto della pala d’oro, nella celebre scena della traslazione per mare delle reliquie di San Marco159.

6. L’ORNATO

Un discorso a parte merita l’ornato, il ricco corredo di decorazione di cui l’arca fa sfoggio in una sorta di horror vacui di stampo gotico veneziano: nella fitta vegetazione eseguita a rilievo, stampigliata o sbalzata, o ancora lavorata a bulino o a punzone, ritroviamo lo stile, finanche certi motivi della Pala d’Oro160 e del tesoro di San Marco161. Vive nel reliquiario di maestro Francesco, l’esuberanza della decorazione profusa in tutta la superficie dell’opera laddove non figurino scene, e non di rado anche, s’è visto, all’interno delle scene stesse.

Sullo sfondo della Presentazione al tempio dipinta da Giotto vi è un profondo cielo

158 S. Bettini, Mosaici antichi di San Marco a Venezia, Istituto italiano di arti grafiche, Bergamo 1944, tavola

CXIV.

159 H.R. Hahnloser - R. Polacco, La Pala d’Oro, Canal stamperia Editrice, Venezia 1994, tavola XLI. 160 H.R. Hahnloser – R.Polacco, La pala d’oro, Canal stamperia, Venezia 1994, tavola LXXXV 161 H.R Hahnloser, Il tesoro e il museo, Sansoni editore, Firenze 1971, tavola CXLVII.

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blu sul quale si libra un angelo in volo che fa respirare un ampio spazio. Maestro Francesco restituisce quello spazio al piano e lo fa innestando sullo sfondo due ordini di motivi vegetali diversi: uno di questi, leggermente rielaborato, ritorna nei timpani. Curiosamente brani di queste decorazioni le ritroviamo analoghe oltre che in diversi prodotti di oreficeria, in opere pittoriche in area veneta, testimonianza questa dei mutui scambi fra le arti di cui l’orafo Francesco, non è che un esempio. I racemi con cui è affrescata la banda sopra l’Angelo annunziante e la Vergine annunziata in San Fermo a Verona162, dipinti che appartengono a un maestro che vi cominciò a lavorare a partire dai primi anni trenta del Trecento, propongono con qualche variante, come l’innesto di alcune figure, il motivo riproposto nei timpani e a destra del quadro della Presentazione.

In tutte le apparizioni del reliquiario nel reliquiario, esso figura decorato con elementi vegetali: stesso discorso vale per gli spazi di risulta fra gli archi che incorniciano le scene minori; l’altare stesso della Presentazione è decorato con grandi foglie stilizzate. La scena in cui la regina, con le figlie, offre il reliquiario al santo è immersa in una decorazione condotta a punzone senza che però se ne riconosca l’ordito.

Meritano ancora attenzione, incise a bulino e lavorate a punzone, le decorazioni floreali e le volute di foglie d’acanto (le stesse che ritroviamo a rilievo sulla base dello spiovente su cui poggia l’effige del santo), che rendono la tunica della figura giacente di San Simeone simile a una stoffa preziosa: un analogo trattamento della superficie, anche se diverso è il disegno, connota il reliquiario del mento di S.Antonio a Padova. Il motivo a foglia d’acanto della tunica che ritroviamo a rilievo sulla base dello spiovente principale,

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ricorda da vicino quello di un reliquiario del 1326 contenente i resti di San Crisogono163 a Zara, ma è quasi identico in un altro reliquiario della secondo quarto del Trecento, sempre a cassetta, facente parte del tesoro di San Marco164.

Sulla superficie della base, rettangolare della cassa, ricorre a oltranza il giglio angioino.

Il giglio corre reiterato nella banda sottostante le scene dei lati lunghi, all’esterno e all’interno del reliquiario, e ancora sui lati lunghi della cornice attorno al vetro che offre la reliquia allo sguardo dei fedeli. Qui, come nelle altre parti, i fiori sono disegnati con il punzone e imbruniti dal tempo, mentre le foglie d’edera comprese nell’andamento curvilineo dei tralci sono ottenute in negativo, con la punzonatura del contorno.

163 The splendour of Zadar Treasures, cit., p. 214.

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CONTRATTO PER LA REALIZZAZIONE

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 124-133)