• Non ci sono risultati.

IL LATO BREVE A NORD

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 36-49)

L’animosa concitazione a bordo del natante è resa con tratti realistici: la nave è vista di lato leggermente inclinata sul piano, la poppa fuoriesce per una parte esigua dai limiti spaziali del pannello, la prua dai due profili è volta verso l’esterno e lambisce l’altro estremo del riquadro.

Due onde in corrispondenza degli alberi insidiano l’imbarcazione; una figura è fermata nell’atto di gettare un collo alla furia delle acque; un baule, e altre merci del carico galleggiano in mare.

Molte rappresentazioni simili sono presenti nell’arte non solo medievale, non solo nell’arte.

14

Un uomo, dal ponte, porge una fune ad un marinaio che sulla scala tenta di assicurare la vela all’albero, un personaggio a poppa, dai tratti grotteschi, con il braccio teso in alto, grida rivolto verso il marinaio ritratto in difficile atletica posa. In quella direzione si trova, nell’angolo in alto a destra, un demonio nell’atto di scuotere l’albero di prua, ne afferra l’estremità, in prossimità di una lanterna; è una figura spaventosa, ricoperto di pelliccia, dotato di corna, le mani armate di artigli e i piedi palmati, la coda, le ali.

Sul lato opposto in alto, la figura del santo, regge l’altro albero, dalla vela ammainata, impone la sua benedizione, ma il suo sguardo non fa parte della scena, è rivolto all’esterno, fuori dal quadro.

Un gruppo di tre uomini emerge al centro della nave, uno di questi con un cappello e il capo reclino è nascosto nel suo mantello (il pellegrino?), gli altri due, dalle fattezze ben definite, si distinguono dagli altri operosi personaggi, in quanto passeggeri, vestiti in abiti lunghi. Hanno lo sguardo diretto al santo, uno gli rivolge un cenno della mano, l’altro lo contempla con la mano sul petto.

La “cronaca” del Fondra ci permetterebbe di contestualizzare, verosimilmente datare, e individuare, la scena testé descritta, altrimenti ascrivibile a un altro ambito della rappresentazione artistica, quello relativo ai miracoli, ormai senza tempo, avuti per l’intercessione del santo, miracoli che il reliquiario testimonia in altre sue parti.

Che una reliquia si adoperi per la propria “salvezza” e, beninteso, per quella di marinai e passeggeri, è invece un episodio straordinario.

15 4. LA FRONTE DEL SARCOFAGO

Nel pannello adiacente il Viaggio in mare, sulla fronte ribaltabile del sarcofago (vi si trova in alto a sinistra l’ingombro di un fermo del piano mobile) lo sfondo architettonico ricorda il profilo di una basilica, con due tetti spioventi ricoperti di tegole e fra questi una teoria di finestre ad arco.

Un colonnato alla base, su cui si impostano archi a tutto sesto, regge la composizione ed è lo scenario, aperto su un fondo uniforme, di uno dei due episodi descritti nel riquadro, illuminati dalla lettura di Fondra.

Tre monaci tonsurati si adoperano per il seppellimento (o l’esumazione) di un corpo.

A sinistra, sotto una torre vista frontalmente, retta da un arco, decorata con motivi vegetali, tre uomini sono assisi su dei banchi di cui si intravede una sporgenza.

La torre presenta in alto, sopra una gronda, una bifora; una delle aperture è più alta dell’altra, una terza finestra, sullo stesso piano, apre sull’altro lato della torre, visto in una prospettiva appena suggerita, il tetto triangolare è rivestito con tegole dalla insolita forma di squame.

I tre uomini in basso vestono lunghi abiti cittadini, con mantelli fermati da bottoni sulla spalla o sul torso e indossano cappelli simili a turbanti.

L’uomo al centro sembra assorto, con le dita intrecciate appoggiate sulle gambe, mentre i gesti degli altri rivelano un certo eccitamento; entrambi sembrano indicare in una medesima direzione verso il secondo fuoco, a destra, della composizione, quello appunto dove figurano i monaci; uno di questi fornisce allo spettatore un dato inequivocabile: è

16

notte, il personaggio al centro difatti (dal sembiante ben distinto dall’altro religioso in ginocchio di cui si vede il profilo) tiene fra le mani una lanterna, lanterna simile a quella posta all’estremità di un albero della nave nella scena del naufragio.

Il terzo monaco, in piedi, ha il volto coperto da un braccio ed è fermato, con la vanga levata sopra il capo, nell’atto di assestare un colpo a terra; i piedi poggiano sui basamenti delle due colonne fra le quali è inscritta la figura.

Il corpo esanime della reliquia, rappresentato con le braccia incrociate sul ventre, è di dimensioni molto ridotte rispetto a quelle dei tre religiosi. Le sue gambe scompaiono dietro una delle colonne mentre l’intero gruppo è visto su un piano ravvicinato al di qua del colonnato.

Un dato “realista” è rappresentato nella terra smossa nell’escavazione.

Se torniamo alla cronaca tramandata da Fondra, il pannello testé descritto appare di limpida lettura e i contorni più definiti.

I tre uomini vestiti in abiti cittadini sono i Rettori di Zara incontratisi nella notte. Destati da uno stesso sogno, discutono sul da farsi.

I tre monaci non stanno seppellendo un uomo, bensì esumando una reliquia. Il corpo, di dimensioni ridotte, è infatti, con ogni probabilità, quello di un santo, San Simeone, rappresentato senza aureola.

Era stato seppellito in quel cimitero da un pellegrino veneziano, giunto a Zara condotto da volontà celesti. Quella che a prima vista sembrava una basilica è in realtà un monastero, il monastero dei monaci nel cui cimitero si nascondeva, fino a questo momento, l’inestimabile tesoro.

17

La cassa reliquiario di San Simeone sorprende per la ricchezza dei temi iconografici che presenta.

Caratteristica è la varietà delle rappresentazioni, relativa ai luoghi, ai tempi e agli attori di queste scene. Nei pannelli, all’esterno e all’interno dell’arca, troviamo narrate leggende agiografiche, “cronache” di miracoli, storia ufficiale, storia sacra.

Nelle composizioni che abbiamo descritto del Viaggio e dell’Invenzione della reliquia, lo spazio è anch’esso protagonista.

I pannelli “minori” (che vedremo) narrano dei miracoli dovuti all’intercessione del santo: sono, questi, cronache di minuti avvenimenti, occorsi a personaggi comuni, semplici cittadini, talvolta anonimi uomini di chiesa: in questi pannelli compaiono pochi personaggi, le connotazioni ambientali sono ridotte a segni topici, lo sfondo è neutro. Per contro, altri episodi riguardano personaggi dei quali qualcosa ci è dato sapere: in una scena compare lo stesso artista all’opera (elemento degno di nota!), in un’altra la committenza.

La messa a fuoco sulle coordinate spaziali, temporali e relative allo statuto dei protagonisti muta continuamente e con essa, si direbbe, l’ambientazione delle singole scene: vi è, quindi, un esplicito riferimento alla storia ufficiale di Zara, ambientato in luoghi ben definiti, addirittura compresi nell’attuale geografia della città.

Se pure maestro Francesco non fu testimone oculare dei fatti, si trovò comunque a raccontare un avvenimento pressoché contemporaneo di grande importanza, un evento documentato anche da altre fonti che non siano la tradizione o la scultura dello stesso autore, alla quale questa volta “non deve negarsi quella fede che si presterebbe alla più

autentica scrittura del mondo”10.

Nel pannello di destra, sulla fronte del sarcofago, il soggetto rappresentato è la

18

Venuta di Ludovico d’Angiò a Zara nel 135711. Il nome di Francesco da Milano è menzionato per la prima volta a Zara in una lettera datata 5 Settembre 135912.

Ludovico d’Angiò fu consorte della regina Elisabetta d’Ungheria che promosse l’esecuzione del reliquiario; quindi, la narrazione della Venuta di Ludovico è connessa, oltre che alla storia della città, alla genesi dell’opera, opera che figura ben descritta nel quadro.

Fra supposta leggenda agiografica (l’Invenzione) e storia ufficiale (la Venuta di Ludovico d’Angiò), si inscrive nella fronte dell’arca la composizione centrale della Presentazione al Tempio, che non può non essere considerata storia, ma storia antica, storia sacra.

La scena della Presentazione è espressamente menzionata nel contratto dell’arca, dal quale risulta che l’artista realizzò l’opera trasportando nell’argento “...Presentatione

domini nostro Ihesu Christi presentati ad altare, prout est quedam arca in carta bombicina data et facta...”.

Trattasi quindi di un’opera di “traduzione” da un disegno oggi andato perduto. Nelle vicinanze di un ciborio, alzato su pilastri decorate a losanghe, diverse dalle slanciate colonne tortili dell’originale giottesco, ha luogo l’incontro della Sacra Famiglia con Bambino e San Simeone con la profetessa Anna, che tiene in una mano un rotolo spiegato, mentre San Giuseppe porta con sé una colomba votiva.

Sotto il ciborio, un altare.

Le figure sono trattate con grande realismo: è una scena viva, drammatica, le

11 I. Petricioli, St. Simeon’s shrine in Zadar, cit., p. 14. 12 Ivi, p. 8.

19

fisionomie sono individuate e esprimono con intensa partecipazione l’accadimento, in una pluralità di atteggiamenti.

Tutte le superfici libere, comprese quelle in vista del ciborio e dell’altare, sono riccamente decorate a rilievo: sarmenti, tralci, foglie; solamente gli archi del ciborio aprono su spazi ciechi, neutri: il contrasto di queste parti con quelle decorate (che ritorna spesso nell’arca), non può essere più netto.

Le figure sono battute in un rilievo più alto che nelle altre composizioni: San Simeone aggetta di 2,5 centimetri.

Rispetto alla già menzionata filiazione del lavoro di Francesco da Milano dall’affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni (Cappella dell’Arena), nell’opera dell’orefice vengono omesse due figure: l’angelo, a destra in alto, e l’ancella di Maria, a sinistra nella composizione originale.

Inoltre nell’affresco, il Bambino è rivolto al Santo, mentre nell’arca egli guarda alla Vergine.

Il taglio della composizione è diverso: nell’opera di maestro Francesco, è negata ogni profondità che non sia suggerita dal ciborio visto in prospettiva o dalla resa plastica delle figure: queste sono poggiate in una linea orizzontale che coincide con la base del quadro; nell’opera di Giotto, invece, le figure poggiano su un piano obliquo.

Il quadro a destra della Presentazione al Tempio illustra, come abbiamo accennato, l’entrata cerimoniale di re Ludovico d’Angiò nel porto di Zara. Il sovrano venne accolto nella città dalmata nell’occasione della firma di un trattato di pace con Venezia, il 25

20 Febbraio 135713.

L’arca sarà commissionata solo venti anni più tardi.

Sullo sfondo, possiamo vedere le mura di cinta della città e una porta; non ci sono dubbi che questa sia quella tuttora esistente che apre sul porto di Zara; vicino si trovava la chiesa di Santa Maria Maggiore, nella quale il corpo di San Simeone riposò fino al 1571 ancora composto nell’arca in pietra. Le mura sono rappresentate realisticamente, scandite da corsi di pietre squadrate poste alterne l’una sull’altra, e appaiono percorse in alto da merlatura. Sopra la porta è una torre dalle tre aperture e su questa il tetto coperto di tegole a forma di squame; più lontano a destra, dietro le mura, si alza il campanile della chiesa di Santa Maria Maggiore; le mura terminano sotto una terza torre che presenta due finestre e merli sulla sommità.

Sopra la porta e in corrispondenza del campanile troviamo gli stemmi dei reali. La figura principale del re è posta quasi nel mezzo della composizione; la linea mediana verticale della superficie passa giusto alle spalle del sovrano, che è visto di profilo, avvolto in un pesante mantello foderato di pelliccia che copre tutto il suo corpo, del quale solo le mani e i piedi sono visibili. Ha lunghi capelli e una barba appuntita; sulla sua testa una corona aperta con fiori di giglio.

Un gesto della mano descrive la solennità della situazione con l’indice rivolto al cielo.

Di fronte a lui sono cinque figure inginocchiate, anch’esse viste di profilo, delle quali due sono uomini di chiesa tonsurati; una di queste, con un cappuccio fissato sotto il mento, è fermata nell’atto di baciare la mano del re, mentre alle sue spalle un uomo dalla lunga barba ha le mani giunte in atto di preghiera.

21

Sopra questo gruppo (sospinto all’indietro dall’imponente persona regale, quasi fosse luminosa), sta la vivida figura, che sembra incedere, vista di tre quarti, dell’arcivescovo mitrato, il nobile Nikola Matafar, in atto di benedire lo stesso re. A differenza degli altri personaggi del pannello e, verrebbe da dire, dell’intera arca, si direbbe un ritratto e non un tipo: se la scena è affollata e caratterizzata da una certa fissità, l’elegante fisionomia dell’arcivescovo emerge, ben definita, mobile, a sé stante.

Dietro di lui si trova un altro religioso di profilo e il volto di un personaggio visto frontalmente, dai tratti espressivi, gli occhi sgranati, si affaccia sulla scena; forse è un cittadino, dal caratteristico copricapo.

Alle spalle del re Ludovico, il suo seguito, in esso una figura intera, frontale, con i piedi visti di profilo; indossa una lunga veste e un mantello fissato alla sua destra con una fibula; porta un cappello dalla strana foggia, ha una lunga barba; con la mano sinistra, come una didascalia, indica il sovrano di spalle; fra i due, il volto di un terzo uomo.

Un altro personaggio, in secondo piano, dai capelli ondulati e dalla lunga barba e un uomo con un cappello che reca sulla sommità una vistosa piuma, entrambi di profilo, chiudono il gruppo del regale seguito, mentre la testa inclinata di un giovane, sporgente, con lo sguardo rivolto al centro della scena, aggiunge vivacità all’insieme, facendo da contrappunto alla presenza vibrante dell’arcivescovo sull’altro fronte dell’azione. Sono gli unici due personaggi che non sono visti di profilo o frontalmente: tramite questi i due gruppi di figure si collegano e si compattano. Emerge, la testa di giovane, fra il gruppo certamente statico del seguito. Il giovane, addetto al trasporto del sarcofago, si affaccia dalla composizione e testimonia il solenne momento, come un estratto giornalistico in un libro di storia.

22

Alla destra del pannello presumibilmente dei tendaggi, arricchiti dai blasoni regali, sono decorati a punzone; bandiere al vento issate su imbarcazioni connotano ancora la scena e celebrano il sovrano. Sulle barche, allineati come scacchi, stanno dei busti di personaggi risolti in maniera sommaria ma efficace, tutti di profilo, ciascuno diverso dall’altro. Due uomini in posa eretta sulle imbarcazioni, uno guarda in direzione opposta all’azione.

Sullo sfondo, in alto a destra (in prossimità dell’altro fermo di ferro del piano mobile) veleggia col vento in poppa una nave vista frontalmente.

Fra le figure che animano la scena e le mura sullo sfondo, su un piano intermedio, è mostrato un brano dell’arca di San Simeone, l’effige del santo, inclinata sullo spiovente verso l’osservatore somiglia, per quanto possibile, a quella sul coperchio dell’opera che stiamo descrivendo, ma, in quell’anno così importante per la città di Zara, in quella storica circostanza, la cassa reliquiario di cui in questo pannello abbiamo la più fedele citazione, non poteva ancora essere stata realizzata, né può trattarsi di un riferimento all’arca di pietra, certa dimora del santo fino al 1571 e quindi anche in quell’occorrenza. Infatti la testa aureolata del vegliardo è nella posizione in cui la collocò Francesco da Milano nella sua opera, dove figura invertita rispetto al precedente sarcofago in pietra.

Sopra il gruppo di sinistra, la testa dalla folta barba di un portatore è rivolta verso la porta di ingresso alla città: lo segue, all’altra estremità della cassa, il secondo portatore, con barba e capelli lunghi.

Sulla fronte tripartita del sarcofago abbiamo così una declinazione di tre “tempi” diversi, tre storie: una storia tutta “cittadina” svoltasi in un passato non così remoto (più probabilmente l’illustrazione di una leggenda agiografica, o altro, dato che le supposte

23

spoglie del presunto santo mancano dell’aureola), un brano di storia sacra, la Presentazione al Tempio, e un fatto storico risalente a poco più di venti anni prima, la celebrazione di Re Ludovico al suo ingresso nella città: tre quadri che costituiscono un ideale continuum volto a legittimare attraverso il vegliardo santo intercessore, all’ombra di Cristo bambino, il nuovo sovrano di Zara.

Nel pannello della storia del Re si tratta di un passato prossimo; se in quell’anno (1357) il nostro artista si trovava a Zara non è dato saperlo, ma è perlomeno ipotizzabile che assistette di persona all’evento, evento che avrebbe poi ricostruito nei dettami dell’arte; il tempo remoto della storia sacra è l’antico della Presentazione e “antica” è appunto anche la figura di San Simeone... quando il tempo si svolge dentro una leggenda agiografica, questo è ancora volto inevitabilmente al passato; nel lato nobile della cassa sono rappresentati tre diverse “qualità” di tempi che furono.

Sotto la lente dell’artista questi episodi sono sgranati in diversa maniera, nel primo pannello sembra di sentire il bisbiglio che ha corso di bocca in bocca per decenni, il bisbiglio della tradizione, quei monaci sembra di spiarli da lontano; la scena di centro è aulica, i girali vegetali sullo sfondo ci dicono che questa ancora sta succedendo in un tempo antico fermato per sempre: ma il “ritratto” del reliquiario nel pannello dedicato alla venuta di Re Ludovico in Zara, questa citazione dell’opera dentro l’opera, mise en abime, in un contesto riconducibile ad una data e a un luogo, oltre che alla presenza di due personaggi a noi noti, quel reliquiario, che recita qui meglio che altrove il ruolo dell’opera effettivamente realizzata da Francesco da Milano nel 1380, appartiene invece ad un futuro, un futuro prossimo, lontano poco più di vent’anni.

24 5. IL LATO BREVE A SUD

Sul lato breve adiacente al pannello della Venuta di Ludovico d’Angiò, un altro quadro è caratterizzato da una struttura architettonica importante e dal numero cospicuo dei personaggi che vi sono rappresentati. La cornice nella quale ha luogo la scena rappresenta sullo sfondo un edificio, quasi certamente una chiesa.

A destra e a sinistra del pannello si alzano due torri squadrate, sulle quali si aprono finestrelle ad arco; un’ampia volta, al centro, dalle ormai caratteristiche tegole a forma di squama, si leva sopra una balaustra che ne percorre tutta la base e che continua il suo corso fino a descrivere il perimetro in vista delle due torri; la balaustra, sotto la volta, poggia su tre archi, due dei quali, ai lati, sono di modesto raggio, mentre quello centrale comprende buona parte della composizione.

Il quadro è dominato dalle figure intere, centrali, di una donna e di un uomo, presumibilmente due nobili, riccamente vestiti. Una terza figura intera si trova sul lato sinistro, in prossimità di una porta.

Un gruppo indistinto di cui si intravedono le sommità del capo, emerge dallo sfondo dietro la nobile figura di signora; questa indossa un abito decorato a punzone e un mantello calato sulle spalle, tenuto da un fermaglio sullo scollo; punta con il dito indice il petto, l’altra mano, aperta, si trova levata alla stessa altezza in atto di manifesta pudicizia.

L’uomo alla sua sinistra, dall’atteggiamento vagamente inquisitorio, con le mani poggiate sui fianchi, dalla lunga barba appuntita e la fluente chioma, veste un abito a bande orizzontali percorso in verticale da una fila di bottoni; su una fascia che muove da una

25

spalla all’altra corre una iscrizione in caratteri gotici: “va ...vant”14.

Ai margini della composizione, a sinistra, la terza figura intera: un uomo avvolto in un lungo mantello indica con ambo le mani una porta aperta, mentre guarda la figura femminile nella rigida posa; fra i due, una testa dalla folta barba si affaccia dal gruppo indistinto.

Sul lato destro, in secondo piano, tre nobili vestono cappelli ornati di lunghe, ondeggianti piume che vivacizzano la scena; sopra a questi, il profilo di un personaggio in

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 36-49)