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RELIQUIE CRISTIANE

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 63-69)

A parte le analogie con gli esempi pagani cui abbiamo appena accennato, la caratteristica più evidente dell’evoluzione del culto delle reliquie nella tradizione cristiana può essere individuata proprio in superficie, nella stretta relazione delle sacre parti con la preziosità, la ricchezza e la varietà dei manufatti che le contengono: oggetti d’arte, spesso raffinatissima. Altro aspetto lampante (rispetto ad esempio al Buddismo, altra religione storica che contempla il culto delle reliquie)25 è la quantità materiale prodotta, in termini di resti corporali, altre reliquie e reliquiari.

Inteso come ricettacolo di mortali spoglie di donne e uomini santi, o ancora di quanto è venuto in intimo contatto con loro, quindi di sacre reliquie dalle quali deriva il nome, il reliquiario, in ambito cristiano, conosce una storia quasi bimillenaria e una

24 J. Bentley, Ossa senza pace, cit., p. 35.

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strabiliante varietà tipologica. Contenitori e contenuti, forma e sostanza in rapporto osmotico, rappresentano, nel corso del Medioevo e oltre, l’espressione materiale (quando non realmente tangibile nelle pratiche di devozione) del progressivo affermarsi del culto dei santi (doulia = servitù)26, culto testimoniato a partire dalla metà del II secolo. Come si apprende dal resoconto del martirio del vescovo Policarpo27, i cristiani di Smirne ne raccolsero i resti, “più preziosi dell’oro e delle gemme più sontuose”, per farne oggetto della loro venerazione. Anima e corpo: gli stessi santi furono pensati come “vasa auri

excelsa et eminentia”28 e pertanto come reliquiari viventi.

Le reliquie affinano la preghiera e promuovono l’intercessione del santo; le reliquie operano miracoli, guariscono i malati, proteggono le chiese, gli eserciti, le città. Ai resti dei santi non si offrono sacrifici, ebbe a specificare Sant’Agostino; i santi non sono venerati come dei, il ruolo del santo è, dalle origini, quello di anello fra Cielo e terra, di tramite fra l’uomo e Dio; per dirla con le parole di San Girolamo, “onoriamo i servi, affinché l’onore dei servi ridondi sul Padrone”29.

Primi esponenti di una realtà, la santità, in continua evoluzione, sensibile al tempo e al luogo30, furono i martiri31; si designano in particolare con questa espressione (giacché la storia è disseminata in ogni epoca di fedeli martiri e quindi elevati a santi), quelle figure di uomini, poi innalzati alla più alta dignità cristiana, che versarono il sangue per Cristo in età pre-costantiniana, un epoca in cui il cristianesimo lungi da essere una religione di stato, era

26 G. Low, voce “santi”, in Enciclopedia Cattolica, Roma 1953, volume X, p. 1851. 27 Eusebio, Hist. Eccl., IV, 15, 43.

28 Teofrido di Echternach, Flores epitaphi sanctorum, II, 1; PL, volume CLVII, col. 339. 29 San Girolamo, Ep., 109, 1.

30 Per gli aspetti relativi all’evolversi del concetto di santità nel Medioevo, cfr. A. Vauchez, La santità nel

Medioevo, Il Mulino, Bologna 1989.

31 “Dal greco μάρτσς nel linguaggio cristiano è la persona che ha reso testimonianza a Cristo con il sangue”

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un culto ai margini della legalità, spesso inteso come una minaccia esplicita all’ordine di Roma, minaccia da sopprimere con ogni mezzo, compresa la persecuzione.

Un fenomeno tipico a partire dal IV secolo32, e dunque contemporaneo alla svolta costantiniana, fu quello della scoperta (inventio)33 dei corpi di chi era morto tragicamente avendo testimoniato la propria fede in Cristo, scoperta che si voleva fosse il frutto di sogni e visioni di uomini viventi, di solito religiosi: i santi “chiamavano”, i santi chiedevano di essere rinvenuti dimostrando l’esistenza di un un punto di tangenza e di collegamento, di un canale di comunicazione tra vita terrena e aldilà, tra esistenza “diurna” e visione onirica, là dove il secondo termine poteva esercitare un influsso pratico e direttivo sul primo. Conseguente alla scoperta dei corpi venerabili era il loro trasferimento (traslatio) in chiese che sovente venivano appositamente costruite ad essi dedicate34; nota è la traslazione dei martiri Gervasio e Protasio effettuata nel 386 da Sant’Ambrogio nella chiesa da lui fondata i n loro nome davanti alle mura di Milano.

La Bibbia (Numeri 19, 11) proibisce qualsiasi contatto con i morti: “chiunque avrà

toccato un cadavere, di qualsiasi persona, sarà impuro per sette giorni”. La venerazione

dei sacri resti testimonia così, in un certo aspetto, un netto affrancamento dalla legge giudaica35. Questo è un elemento da tenere in considerazione specialmente alla luce dell’evoluzione di pratiche relative alle reliquie come la divisione del corpo in frammenti più o meno “significanti” e della loro esposizione alla venerazione dei fedeli, che spesso contemplava un contatto diretto con le reliquie: prostrarsi, toccarle, baciarle.

32 Cfr. Enciclopedia La Piccola Treccani, cit., volume X, p. 75. 33 Cfr. ivi, volume X, p. 75.

34“La dedicazione delle chiese non è che una sepoltura dei santi” (H. Grisar, Roma alla fine del mondo

antico, III ed., Roma 1930, volume II, p. 202).

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Esistono reliquie non relative ai corpi (graticole, calzari, catene, cilici); esistono reliquie non relative ai santi. Secondo la tradizione, Elena, madre di Costantino, compì un pellegrinaggio in Terra Santa in cerca di testimonianze tangibili della vita di Cristo. Riuscì a trovarle, scoprì la corona di spine, i chiodi della croce e la vera croce36. Nei secoli a venire non solo gli strumenti del martirio, ma tutto quello che ha avuto un contatto con Cristo diverrà reliquia.

Il Medioevo produsse (o ri-produsse), attraverso oggetti “trovati”, veri o falsi, ma sicuramente reali, fra le altre reliquie, quella della mangiatoia dove dormì Gesù Bambino, quella della tavola dell’Ultima Cena, della scala del palazzo di Pilato, della colonna della flagellazione di Cristo, della veste senza cuciture che i soldati romani si giocarono a dadi sotto la croce, dell’asta con cui Longino trafisse il costato di Gesù... Queste porzioni di mondo (e altre ancora di cui parleremo) “in un mondo alla ricerca di sé”37, questi oggetti “maiuscoli”, non preziosi in sé, non finemente lavorati, apparentemente uguali ad altri di uso quotidiano, ma carichi di una forza che li rende, appunto, più ricchi dell’oro e delle gemme, prototipi estratti dal mondo delle idee, eletti a occupare un posto in un luogo diverso dal mondo, in una categoria più alta e nobile di realtà, questi oggetti, dunque, non sono in relazione con i santi ma con Dio stesso: è questa una differenza di cui tener di conto nella prospettiva di una classificazione.

Le regole date per la disciplina del culto delle reliquie sono state nei secoli soggette a continua trasformazione, come del resto il concetto stesso di santità, col risultato che la normativa che riguarda reliquie e reliquiari è assai larga ma concerne, di fatto, più le

36 Ivi, pp. 43-44.

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reliquie in se stesse che non la materia e la forma degli oggetti che le contengono38.

Le reliquie hanno una differenziazione di rango: il Codex iuris canonici del 1817, cann.1276-1286 dava ampio spazio alla normativa sulle reliquie39: insigni, quindi oggetto di culto pubblico, sono quelle del corpo, della testa, della mano, del ginocchio o di quella parte del corpo in cui il santo ha subito il martirio, purché sia intera e non piccola. Sono

insigni anche quelle relative alla Passione e Redenzione di Cristo e quelle della Vergine40

(la cintura, il vestito, il velo, l’anello nuziale), sono definite non insigni le rimanenti, previa un’ulteriore classificazione che riguarda un peculiare uso dei resti sacri noto solo alla cultura cristiana: fino al VII secolo, la Chiesa romana fu assolutamente contraria alla frammentazione dei corpi santi (pratica promossa invece dalla Chiesa orientale sin dal IV secolo)41, e rispondeva alle continue richieste di chi desiderava un elemento tangibile cui rivolgere la propria devozione inviando reliquie ex contactu42, cioè oggetti soprattutto pezzi di stoffa43 messi a contatto con le tombe venerate, ma anche ampolle contenenti l’olio delle lampade che ardevano nei sepolcri, la cera delle candele che li illuminavano o la terra dei sepolcri stessi; anche queste, insieme ai sacri umani resti di importanza secondaria, sono reliquie non insigni per le quali è concesso il culto privato44.

Secondo un’altra classificazione, “assoluto” è il culto con cui vengono onorate i corpi dei santi, mentre il culto con cui vengono onorati gli oggetti che hanno un qualche

38 M. Collareta, Arredi, suppellettili, decorazioni mobili, in Arti e storia nel Medioevo, a cura di E.

Castelnuovo e G. Sergi, Einaudi, Venezia 2003, volume II, p. 309.

39 Voce “reliquia”, in Enciclopedia La Piccola Treccani, cit., volume X, p. 75. 40 P. Palazzini, voce “reliquie”, in Enciclopedia Cattolica, cit., volume X, p. 758.

41 S. G. Mercati, voce “relics”, in The Oxford Dictionary of Byzantium, Oxford university press, Oxford

1991, p. 1780.

42 Voce “reliquiari”, in Enciclopedia La Piccola Treccani, cit., volume X, p. 75.

43 “Le reliquie ottenute per contatto vennero dette dagli antichi brandea, memoria, nomina, pignora,

sanctuaria” (P. Palazzini, voce “reliquie”, cit., p. 749).

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rapporto con loro è definito “relativo”45.

Poiché come si è visto, i primi santi furono i martiri che rievocarono nel supplizio il modello di Cristo, gli altari che sorsero sulle loro tombe furono i primi reliquiari46. In epoca precoce si creò dunque tra tomba del martire e altare cristiano uno stretto rapporto basato su Apocalisse 6, 9: “vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati sgozzati a

causa del Vangelo di Dio e per la testimonianza che ne avevano dato”. Questo rapporto

percorre l’intera storia del culto delle reliquie: le norme che fanno da introduzione al nuovo Messale (1970) raccomandano di mantenere “l’uso di racchiudere nell’altare da consacrare, o di collocare sotto di esso le reliquie dei santi, anche se non martiri”47. Le capselle argentee ritrovate sotto l’altare maggiore del Duomo di Grado, risalenti al V-VI secolo ed altre, in pietra, coeve, rinvenute nelle antiche chiese dell’Africa romana, sono testimonianza della pratica antica di racchiudere reliquie all’interno della mensa o alla base dell’altare qualora questo non sorgesse su un sepolcro venerato48.

Una testimonianza indicativa del legame fra altare e reliquie è rappresentata da un’ordinanza emessa dal quinto concilio di Cartagine (389), con la quale si faceva obbligo ai vescovi di abbattere tutti gli altari costruiti su reliquie di cui era impossibile constatare l’autenticità49.

45 G. Low, voce “santi”, cit., p. 1851. 46 Suppellettile ecclesiastica I, cit., p. 157.

47 Voce “reliquia”, in Enciclopedia La Piccola Treccani, cit., volume X, p. 75. 48 Voce “reliquiario”, in Enciclopedia La Piccola Treccani, cit., volume X, p. 75. 49 J. Bentley, Ossa senza pace, cit., p. 232.

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Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 63-69)