• Non ci sono risultati.

PROBLEMI DI STILE

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 108-116)

Generalizzando forse più del dovuto possiamo dire che la storia concreta del manufatto artistico (la grammatica su cui si basa la storia dell’arte), ovvero, le notizie relative all’artefice, alle tecniche occorse alla realizzazione dell’opera, ai materiali di cui essa stessa è costituita, all’uso cui fu destinata, all’apparato iconografico qualora fosse presente, e non ultime, le inevitabili influenze che le opere coeve, o altre soggiacenti e operanti da un passato più o meno remoto, esercitarono su qualsiasi fare artistico, (senza mai dimenticare il ruolo fondamentale della committenza che “materialmente” provvede alla realizzazione di un’opera d’arte in età medievale), questa storia materiale, storia di dati ipoteticamente concreti, si muove su due grandi binari: uno di essi è rappresentato dal luogo in cui l’opera viene eseguita (area geografica, linguistica, culturale, e quindi destinazione chiesa, palazzo, monastero etc.), l’altro dal tempo in cui venne concepita e realizzata, e quindi l’epoca di cui, bene o male, l’opera è testimonianza, sia che si tratti di una pittura, che di una scultura, di un arazzo, un calice o altro.

Il concetto di “arte guida” di un certo periodo storico o se si preferisce di un certo stile, quale fu a grandi linee l’oreficeria nel gotico, non è esente, ingrandendo la lente del nostro sguardo, da considerazioni pratiche di questa natura: dove, quando.

86

stesso discorso vale per la firma che potrebbe attestare la paternità e facilitare l’importante lavoro di attribuzione di questi oggetti d’arte, opere a noi lontane anche nel tempo, oggetti ad ogni modo desueti.

Per ovviare a tali immancabili lacune, si ricorre, per ricostruire, scandire e ordinare la storia, a pseudonimi, “maestro...” “scultore...” “pittore...” per designare l’artista citando opere a lui attribuite, e a indicazioni temporali più o meno vaghe del tipo “post...”, “ante”... cui segue una data desunta dallo stile che informa, nei casi più fortunati, il lavoro dell’artista messo a confronto con altre opere dello stesso, altrimenti con altre, non di sua mano, ma localizzate e datate, opere a lui presumibilmente contemporanee, quindi con altri artisti, con altre scuole.

La committenza, imprescindibile presupposto di ogni opera d’arte del Medioevo, il “perché” di un’opera di bellezza che si lega alla storia anche politica e religiosa, può forse dirsi il punto in cui convergono le due coordinate in realtà molto vaghe di spazio e di tempo: tutto ciò infine confluisce nello stile di un artista, nel suo linguaggio.

La committenza131, la contingenza storica che per altri versi generò l’opera d’arte non solo da un punto di vista “economico”, è una delle poche fonti da cui ci giungono le scarse notizie che abbiamo degli artisti medievali132 laddove non siano totalmente anonimi “maestri”, o semplici nomi senza una storia: notizie sugli artisti133, sul contesto nel quale operarono, sui loro spostamenti, le loro “botteghe”, ci giungono dai contratti stipulati fra la committenza e i realizzatori medesimi delle bellezze che il Medioevo ha lasciato in eredità

131 “Ars auro gemmisque prior. Prior omnibus autor”: “L’arte è superiore all’oro e alle gemme, ma prima di

tutti è il committente”, avverte l’iscrizione su uno smalto con l’immagine di Henri de Blois, arcivescovo di Winchester (c. 1150); cfr. E. Castelnuovo, L’artista, cit., p. 244.

132 “Nei testi medievali non troviamo un termine per designare coloro che chiamiamo oggi artisti; artifices

vengono comunemente designati gli artigiani e con loro gli artisti” (ivi, p. 241).

87

alle epoche successive; contratti conservati e tramandati nei secoli da chi ha investito l’artista di un determinato compito e che sono arrivati ai giorni nostri permettendo, fra mille lacune, di scrivere la storia che si dipana per mezzo delle creazioni oggi poste innanzi al nostro sguardo nelle sale dei musei, nei palazzi storici e negli edifici sacri, e che tanto ruolo ebbero nel tempo in cui esercitarono il loro influsso “nel mondo”.

Non bisogna dimenticare che l’arte del medioevo fu eminentemente religiosa. Religiosa e celebrativa: ovviamente veniva celebrata la committenza.

Geografia e storia, storia e geografia e committenza, sono così strettamente connesse e determinanti al fine di collocare un’opera o un artista nel proprio contesto, da lasciare, talora, ben poco margine ad altri tipi di considerazioni, relative ad esempio alla storia degli artisti, alla loro “personalità”, al loro mondo, ma bisogna ricordare che in questa epoca l’individuale occupa un posto molto secondario, è messo al bando, e per lunghi tratti il Medioevo, con le dovute eccezioni, ci appare “anonimo e abiografico”134.

Laddove la storia che tentiamo di ricostruire, nel caso specifico che stiamo trattando, Francesco da Milano e il reliquiario di San Simeone in Zara, è orfana di un bene prezioso, ovvero una esauriente biografia dell’artista prestato alla storia, siamo costretti oltremodo a questo genere di considerazioni legate ai dati di spazio e tempo e committenza: nel nostro caso, non solo non abbiamo notizie di rilievo riguardo la vita dell’artista e la sua bottega, i suoi viaggi, (abbiamo il contratto e l’opera è firmata dell’autore), ma, il suo lavoro stesso, il grande gioiello che è il reliquiario di San Simeone, rappresenta l’unica opera attribuita al maestro Francesco che, da Milano, mosse verso la città dalmata di Zara.

88

Per cominciare a circoscrivere e contestualizzare il lavoro, l’unico attribuito al nostro artista, per individuare le influenze cui fu soggetto e mettere in luce gli stimoli che agirono sull’opera di Francesco da Milano, partiremo con il confronto obbligato con altri reliquiari a cassa e con le simili tombe di nobili, in area veneta.

Un confronto obbligato sarà fatto, in particolare per quanto riguarda la figura giacente sulla sommità, con un altro reliquiario, la tomba di un santo che tutt’oggi come al tempo del nostro artista, Zara contende a Venezia e viceversa: San Simeone medesimo si trova infatti nello stesso tempo in due luoghi diversi, due città, non così lontane sulla carta geografica e molto vicine, all’epoca, per contesto sociale culturale e artistico; il “vero” San Simeone riposa in due dimore, nel marmo scolpito da Marco Romano e nell’argento lavorato ad opera del nostro autore.

2. LA STRUTTURA

Come abbiamo visto in precedenza135 il reliquiario di San Simeone a Zara appartiene a una tipologia ben precisa inscritta nel multiforme mondo dei contenitori sacri136, approfondiremo questo aspetto relativo al tipo, alla luce di confronti con altri esempi di reliquiari a cassa e, più in generale, con i monumenti funebri di nobili personaggi del tempo in area veneta; prenderemo in esame tombe, di santi e non che il nostro artista può aver visto e tenuto in considerazione per la realizzazione della sua opera di oreficeria, del suo grande, unico gioiello.

Le osservazioni sullo stile, sull’arte di Francesco da Milano di sbalzare le figure e l’ornato dalle lastre d’argento, non possono essere esenti da considerazioni ulteriori attorno

135 Cfr. supra, capitolo II, paragrafo 2. 136 Cfr. supra, capitolo II, paragrafo 3.

89

alla struttura stessa dell’oggetto che accoglie le figurazioni, struttura che comprende e presenta in un certo modo e non in un altro, e le figure e l’ornato: le nostre riflessioni saranno dedicate al “contenitore” non tanto del corpo santo quanto dell’apparato di immagini volto a celebrarlo, “l’ambito” intorno al quale gli episodi che abbiamo descritto nel primo capitolo (compresa l’iscrizione) sono stati concepiti e montati.

Il “come” i singoli pannelli sono disposti sarà tema delle nostre attenzioni preliminari, la stessa collocazione nello spazio del reliquiario sarà oggetto delle nostre ulteriori considerazioni.

Trattasi intanto, nel caso dell’opera di Francesco da Milano, di singoli quadri disposti intorno a una cassa (esclusi quelli dello spiovente, i timpani, e quelli all’interno del lato mobile), in numero di otto, inchiodati su un supporto di rovere; in questa sezione è la loro funzione di suddividere in pannelli la superficie del corpo ligneo, e non il loro contenuto, a interessarci.

Come abbiamo avuto occasione di dire137, i quadri di maggior pregio e impegno realizzati dal nostro artista, si dispongono attorno alla cassa nei lati lunghi e in quelli brevi, il fronte e il retro della cassa sono organizzati in un sistema tripartito scandito da colonnette tortili.

Per quanto riguarda il lato principe, esso, come vedremo, risponde immancabilmente a modelli preesistenti riconducibili non solo a diversi reliquiari ma anche a tombe nobiliari che maestro Francesco ebbe forse occasione di vedere se non altro nel viaggio che lo portò da Milano a Zara.

Tale struttura tripartita del fronte della cassa reliquiario, negli esempi che

90

prenderemo in esame, con o senza la scansione delle colonne (lo stesso tipo di colonne tortili che troviamo a Zara), con o senza figurazioni, risponde come abbiamo detto a un “modulo” ben preciso, se non comune, nel contesto dei monumenti funerari e dei reliquiari veneti. Questo tipo di spartizione di una superficie si presenta poi declinato secondo differenti modalità, rispondenti, sembra, anche alla condizione delle spoglie che conservano, allo status del personaggio non tanto in vita quanto post mortem.

Mentre per i reliquiari l’iconografia ci propone soluzioni in cui compaiono figurazioni delle santità in vita, come nel caso del reliquiario di s.Luca138 in santa Giustina a Padova, del 1301, dove in uno degli otto quadri l’evangelista appare nell’atto di scrivere, o come in quella, delle quattro Vergini di Aquileia139 del 1330 situata nella basilica della città, dove esse appaiono al cospetto di s.Ermagora benedicente, nelle tombe dei personaggi legati al “mondo”, come la tomba di Duccio degli Alberti140 a Venezia in Santa Maria dei Frari, o quella di Manno Donati141 in Sant’Antonio a Padova (dove il defunto appare giacente sulla sommità del sarcofago), l’iconografia profana, lungi dal narrare storie o presentare figure inerenti alla persona in vita, si orienta verso l’esibizione di stemmi, e insegne che celebrano la famiglia cui i nobili appartennero.

Stemmi, e insegne, là dove non figura un crocifisso, occupano un posto d’onore nel lato lungo della cassa addossata al muro, divisa in tre quadri.

Nel caso del nostro reliquiario la celebrazione della dinastia angioina e le storie della vita e dei miracoli di s.Simeone sono compresenti: il quadro della venuta di re Ludovico, i blasoni dei timpani, il bizzarro episodio del furto della reliquia da parte della

138 W. Wolters, La scultura veneziana gotica 1300/1460, Alfieri edizioni d’arte, Venezia 1976, p. 151. 139 Ivi, p. 156.

140 Ivi, p. 166. 141 Ivi, p. 200.

91

regina, e il pannello dove essa appare con le figlie al seguito nell’atto di offrire il reliquiario al santo, ne sono diretta testimonianza.

Il reliquiario di Aquileia mostra, nel pannello centrale del fronte, le quattro Vergini, rappresentate al cospetto del santo benedicente, e sul retro, sempre al centro, Cristo giovane fra i due donatori inginocchiati, gli altri pannelli sono semplici piani privi di figurazioni. La principale scena relativa a San Simeone nei quadri intorno alla cassa, quella che lo ritrae in vita, è la Presentazione al tempio e è posta fra i due quadri dell’Inventio e dell’Entrata di re Ludovico a Zara, assicurando così al soggetto più importante una collocazione al centro, nella posizione di massimo rilievo: in corrispondenza, nel retro del reliquiario, si trova sotto l’iscrizione, la firma dell’artefice, segno dei tempi, segno di una conquistata autonomia dell’artista.

La cassa reliquiario di San Luca a Padova presenta il medesimo schema tripartito e scolpito sul fronte e sul retro e un quadro sui lati brevi, per questo sembra offrirsi da modello all’opera di maestro Francesco.

Un’altra considerazione importante che differenzia fortemente le tombe dei santi e quelle di nobili defunti, e che getta una nuova luce sull’opera che stiamo tentando di descrivere, è quella relativa alla fruizione dell’opera, (da qui le importanti considerazioni sulla struttura primigenia e la collocazione nello spazio del reliquiario di Zara).

Le tombe dei santi che abbiamo preso in considerazione, furono concepite per essere viste ma anche agite; il reliquiario di San Luca è posto su un sostegno centrale formato da quattro angeli schiena contro schiena e è retto da quattro colonne, il sarcofago rialzato permetteva ai fedeli e agli officianti il transito sotto il sarcofago per la venerazione

92

delle sacre spoglie.

Per il reliquiario delle quattro Vergini di Aquileia vale lo stesso discorso relativamente alla sua collocazione nello spazio, anch’esso è rialzato e sostenuto da quattro colonne.

Le tombe nobiliari che abbiamo preso in considerazione sono invece sempre addossate alla parete, sia che abbiano la base a terra, sia che si trovino sopraelevate come quella di Corrado e Daniele Sala in s.Antonio a Padova142.

Tornando al nostro oggetto di studio, è opportuno ora prendere in considerazione alcuni dei quadri da noi descritti nel primo capitolo.

Le rappresentazioni che ci interessano sono quelle in cui appare in diverse circostanze il reliquiario riprodotto in piccola scala nei diversi contesti: la scena bipartita alla sinistra del pannello mobile (scena dell’indemoniato), quella adiacente del naufrago salvato dai flutti, quella dello spergiuro sullo spiovente posteriore, quella nel lato breve a sud (scena del furto della reliquia), quella, infine, che rappresenta l’artista all’opera. Queste scene presentano il reliquiario montato su colonne, lo stesso tipo di colonne tortili che ritroviamo sovente nei monumenti veneziani che abbiamo preso in esame, sia che fungano da sostegni (il reliquiario di s.Luca ne presenta due sul lato di fronte), sia che abbiano ruolo di scansioni fra un quadro e l’altro (come ad esempio, nella tomba di Manno Donati).

Senza dubbio l’opera di Francesco da Milano almeno da quanto si desume dalle dirette testimonianze delle rappresentazioni sopraddette, ci è giunta priva di una importante componente. Esso, appartiene a una specifica tipologia di contenitore sacro, il reliquiario a cassa rialzato su colonne per prestarsi all’uso da parte dei fedeli nel modo in lo furono

93

quelli cui abbiamo fatto riferimento. La scena dell’indemoniato offre una diretta testimonianza di questa consuetudine là dove l’uomo in ginocchio sanato dall’intervento del santo si trova in preghiera sotto il reliquiario stesso.

Non trova invece riscontri evidenti in area veneta il tetto a spioventi dove si colloca l’importante effige del santo e altre storie relative ai miracoli che egli operò.

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 108-116)