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Piccole e medie imprese vitivinicole a conduzione familiare e strategie competitive. Rilevanza e caratteri del radicamento territoriale: il caso del distretto biodinamico lucchese.

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Introduzione

Il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato dalla presenza massiccia di piccole e medie imprese a conduzione familiare. I dati parlano di una percentuale che si aggira, in media, intorno al 90% di anno in anno.

Sono proprio queste unità economiche di minori dimensioni ad essere il cuore pulsante dell'economia del nostro Paese, scandendone i ritmi vitali. Portatrici di una cultura, un'immagine, una ricchezza uniche ed inestimabili, da sostenere, tutelare e difendere, ma anche da diffondere e promuovere.

Nel presente lavoro è analizzata, nella fattispecie, la categoria delle piccole e medie imprese vitivinicole, produttrici di uno dei simboli per eccellenza del Made in Italy: il vino.

La mia passione e la crescente volontà di approfondire le questioni intorno al vino nascono dall’aver maturato la consapevolezza di come questo prodotto riesca, soprattutto nelle produzioni in piccola scala, a condensare in ogni sua parte la serie di valori apportati dal territorio di provenienza come la storia, le tradizioni, i cambiamenti geografici e sociali, così come la cultura e il lavoro manuale del singolo produttore.

Le piccole e medie realtà familiari forniscono al consumatore finale un prodotto il cui valore aggiunto è rappresentato proprio dalla capacità di sintetizzare una tale complessità di elementi.

Il vino racconta e si racconta, è espressione dei vignaioli che lo seguono in ogni fase della filiera vitivinicola. Il consumatore che acquista una bottiglia di vino dalle piccole realtà vitivinicole familiari è alla ricerca di un prodotto unico e inimitabile. Per questi motivi, sarà disposto a pagare un premium price, riconoscendo la qualità superiore del prodotto del vignaiolo che rispecchia le aspettative del cliente in termini di capacità di espressione culturale, storica e di tradizioni.

Se questo è vero, lo è anche il fatto che il settore del vino in Italia e nel mondo è in continua evoluzione e al suo interno operano anche grandi imprese quotate. La concorrenza spietata, accelerata dalla globalizzazione, mette costantemente a repentaglio la sopravvivenza delle piccole e medie imprese vitivinicole.

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L’obiettivo che si prefigge il lavoro è riconoscere, alla luce delle suddette considerazioni, le possibili leve di vantaggio competitivo su cui agire per assicurare alle piccole realtà vitivinicole familiari la continuità nel tempo.

Saranno individuati il radicamento territoriale e la creazione dei distretti quali determinanti fondamentali per la competitività delle piccole e medie imprese del settore del vino.

Il territorio rappresentativo, oggetto del presente lavoro, è racchiuso nei confini che delimitano l’area della DOC Colline Lucchesi, una delle denominazioni di origine della provincia di Lucca.

In particolare ci focalizzeremo sul peculiare distretto biodinamico lucchese, una realtà che si differenzia dalle altre del territorio toscano per il modo in cui si è costituito ovvero sulla base di una naturale constatazione, da parte dei produttori della zona, di lavorare tutti, o quasi, perseguendo i principi dell’agricoltura biodinamica e, di conseguenza, di condividere lo stesso interesse per la sostenibilità ambientale e per la tutela e la valorizzazione del territorio, della sua storia e delle sue tradizioni e del prodotto, frutto della compresenza di tutti i precedenti elementi insieme.

Nel dettaglio, in un primo capitolo di approfondimento teorico verranno delineati i caratteri essenziali e generali del fenomeno del family business: le numerose definizioni elaborate in letteratura, le possibili classificazioni, le particolarità di questa tipologia di imprese derivanti dalla presenza di tre sistemi – famiglia, proprietà e impresa – e le ripercussioni che scaturiscono dal diverso grado di sovrapposizione di questi ultimi in termini di corporate governance. Saranno analizzati i punti di forza e di debolezza, tutto al fine di preparare il lettore, permettendogli di acquisire, senza pretese di esaustività, gli strumenti essenziali per assumere un approccio attivo e critico nei confronti del tema specifico affrontato.

Nel secondo capitolo, sarà presentato il settore del vino in Italia e nel mondo attraverso considerazioni sulla base di statistiche e di studi condotti su diversi fronti. In questo capitolo troverà spazio una breve analisi del profilo del consumatore, dei suoi gusti e preferenze.

Nel terzo capitolo, saranno definiti gli attori chiave delle piccole e medie imprese in generale, soffermandosi sui caratteri di imprenditorialità e managerialità analizzati con

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l’ausilio dei modelli dell’orientamento strategico di fondo e della formula imprenditoriale.

Il capitolo terminerà con l’approfondimento dei concetti di radicamento territoriale e distretti, osservati dalla prospettiva di strumenti per la competitività dell’impresa.

L’ultimo capitolo, il quarto, presenterà al lettore la realtà peculiare del distretto biodinamico lucchese e tratteggerà i caratteri dei piccoli produttori di vino, i cosiddetti vignaioli.

A conclusione dell’elaborato verrà esposto il caso di studio Azienda Agricola Fabbrica di San Martino, grazie al quale sarà possibile calarsi in una delle realtà che vivono all’interno dell’area del distretto biodinamico. L’analisi e il racconto di un caso pratico hanno come scopo principale quello di raggiungere una migliore comprensione delle ipotesi avanzate nel corso dello studio circa l’importanza del radicamento territoriale come fonte di vantaggio competitivo per le piccole e medie imprese vitivinicole a conduzione familiare.

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CAPITOLO I

Modelli, struttura e funzionamento delle aziende familiari

Questo primo capitolo ha come obiettivo principale quello di definire l’oggetto di analisi: le aziende familiari.

Cenni teorici e considerazioni sullo scenario prospettico e attuale delle aziende familiari saranno d’ausilio al lettore per accompagnarlo verso una più profonda comprensione dell’elaborato e per una migliore oggettivazione dei contenuti dei capitoli successivi.

Le aziende familiari costituiscono una tipologia diffusa in quasi tutti i paesi del mondo, rappresentando gli organismi più importanti del sistema economico italiano e non solo.

Il fenomeno conosciuto come family business ha rappresentato e continua a rappresentare un punto di rilievo costante nei sistemi a economia di mercato o capitalistici.1 Una sorta di «invariante» di questi ultimi, come mostrano le ricerche statisticamente significative sulla rilevanza delle aziende familiari.2

Se da un lato, però, la proprietà familiare sembra essere connotata da tratti che la rendono estremamente adattabile a vari contesti, dall’altro, la stessa, presenta peculiarità riconducibili al Paese di appartenenza, come emerge dai confronti effettuati, sulla base di alcune caratteristiche, tra i vari modelli di azienda nei diversi Paesi e sistemi economici. Lasciando ad un secondo momento dati, definizioni e possibili classificazioni, andiamo “dentro alle parole” e soffermiamoci sui singoli termini “azienda” e “familiare” cercando di capire il legame esistente tra il sostantivo ed il suo aggettivo. Questa analisi immediata, ma al tempo stesso efficace, a parere di chi scrive, consentirà di avere un quadro più chiaro di quello che sarà l’oggetto dell’intero lavoro.

1 Parliamo di «capitalismo» facendo riferimento ad un sistema economico caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dalla libertà di iniziativa economica e dal ruolo regolatore esercitato dai pubblici poteri. Per un confronto tra le diverse forme di capitalismo, si veda Bertoli G., Il capitalismo

industriale nelle economie avanzate, Milano, Egea; Cfr. Montemerlo D., Il governo delle imprese

familiari. Modelli e strutture per gestire i rapporti tra proprietà e impresa, Egea, 2000.

2 Montemerlo D., Il governo delle imprese familiari. Modelli e strutture per gestire i rapporti tra proprietà e impresa, Egea, 2000.

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Gli studiosi, a prescindere dalle singole teorizzazioni, concordano su quella che potremmo definire la caratteristica base delle aziende familiari ovvero la stretta interdipendenza ed il condizionamento reciproco tra azienda e famiglia.3

Saremo, quindi, di fronte ad una unità produttiva con i requisiti propri di una “azienda”, con la particolarità di avere un soggetto economico coincidente con una famiglia (o più famiglie collegate e coordinate)4; sarà proprio quest’ultima ad apportare il capitale e le risorse manageriali necessarie al mantenimento dell’ente nel tempo. Ne consegue che la prosperità dell’azienda familiare sarà determinata dal conseguimento di risultati positivi in termini economici e competitivi, ma anche dalla capacità di remunerare adeguatamente i portatori di interessi che le gravano attorno; nello stesso tempo il successo di un’azienda familiare dipende pure dai legami e dalla motivazione dei familiari soci, elementi che, in prima battuta, possono essere misurati dalla stabilità della relazione tra proprietà ed azienda.

Nella locuzione “azienda familiare”, il primo termine è segnato dal secondo senza, però, esserne modificato o assorbito: la famiglia non costituisce ostacolo allo sviluppo dell’azienda e quest’ultima mantiene a tutti gli effetti i suoi connotati, con la peculiarità di essere “familiare”.5

Sembra utile, a questo punto, una puntualizzazione sul significato di “azienda”. Intendiamo per azienda «quella unità economica elementare fortemente integrata nel

sistema economico e nei sistemi sociali connessi, nella quale si svolgono i fenomeni

3 Cfr. Del Bene L., Aziende familiari: tra imprenditorialità e familiarità, Torino, Giappichelli, 2005. 4 Molti sono i contributi della dottrina in ambito definitorio relativamente alla astratta figura del

soggetto economico. Per Zappa il soggetto economico è colui «che esercita il controllo sull’azienda e la

persona fisica o il gruppo di persone nel cui prevalente interesse l’azienda è di fatto amministrata». Tale

soggetto quindi influenza le scelte adottate in azienda anche quando non sia coinvolto nella gestione. Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, Giuffrè, 1957. Per Bertini il soggetto economico è «colui o coloro che detengono le leve del potere» riferendo così sia gli esponenti più rappresentativi (criterio della prevalenza del capitale) sia i dirigenti di più alto grado (criterio della competenza professionale). In questa soluzione rientrano nell’area del soggetto economico sia i portatori di capitale che i portatori di risorse immateriali, quali le competenze, sottolineando in questo modo lo stretto parallelismo tra le due grandezze. Bertini U., 1990. Un’impostazione più soggettiva è proposta da Amaduzzi secondo il quale il soggetto economico è «colui in grado di controllare

l’amministrazione e ne ritrae i vantaggi finali», per approfondire Amaduzzi A., Il sistema dell’impresa nelle condizioni prospettiche del suo equilibrio, Roma, Signorelli, 1950. Il riferimento al potere di

indirizzo per definire il soggetto economico si ritrova in Onida, che lo definisce come colui che «di fatto

ha ed esercita il supremo potere nell’azienda subordinatamente solo ai vincoli d’ordine giuridico e morale ai quali deve o dovrebbe sottoporsi», Onida P., Economia d’azienda, Torino, Utet, p. 21. 5 Cfr. Del Bene L., Aziende familiari, cit. Per un approfondimento delle relazioni azienda-famiglia si

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produttivi e di consumo, supportati da sistemi gestionali, organizzativi e informativi volti all’ottenimento ed al mantenimento di un equilibrio economico durevole ed evolutivo».6

La suddetta definizione esplica il motivo per cui i termini azienda ed impresa possono essere entrambi affiancati all’aggettivo familiare, diventando quindi sinonimi in questo contesto senza che cambi la sostanza: l’approccio accolto, infatti, non mutua la prospettiva tipicamente aziendale.7 Si supera il «dualismo tra i concetti di azienda

(consumo, erogazione, ecc.) ed impresa (produzione di beni e servizi) nella identificazione di comuni problematiche e nell’evidenza di un unico fine (l’economicità durevole)».8

La tipologia che esamineremo sarà, quindi, l’impresa “azienda familiare” ovvero «l’azienda di produzione di proprietà familiare»9 distinta dalla azienda di consumo “famiglia”.

Nell’era moderna, infatti, assistiamo alla separazione degli istituti produttivi dalle unità di consumo.10

La conseguenza è stata la netta distinzione tra i diversi soggetti economici, patrimoni e organismi personali, nonostante non siano rari i casi (ad es. attività artigianali semplici e attività di commercio di piccole dimensioni) in cui la dicotomia tra azienda familiare (dell’istituto famiglia) e azienda di produzione di proprietà familiare (dell’istituto impresa) sia possibile solo concettualmente.

6 Anselmi L., Aziende familiari di successo in Toscana, Milano, Franco Angeli, 1999.

7 «La prospettiva aziendale tipicamente studia sotto il profilo economico l’organizzazione e la gestione delle aziende di ogni specie, ossia: - le imprese (aziende che producono per lo scambio e che operano, quindi, sul mercato); le aziende di consumo (aziende che destinano la loro produzione solo e

squisitamente ai soggetti – persone o istituzioni – che le mantengono in vita, senza attuare nessuno scambio sul mercato); - le aziende di erogazione (aziende che destinano la produzione a tutta la collettività, o ad una parte prestabilita di essa, tramite atti di mera liberalità, o dietro compenso sproporzionatamente inferiore alla spesa per la produzione da esse sostenuta). […]» Zocchi W., Profili economici-aziendali del «Family business», Torino, Giappichelli, 2012. Si consideri inoltre che non è raro

trovare in letteratura i due termini “erogazione” e “consumo” utilizzati per indicare un medesimo tipo di azienda. Questo perché con l’uso dei due distinti termini si è voluto indicare due diversi momenti aziendali: con il termine “erogazione” si accentua l’atto proprio della spendita di moneta, che si svolge di norma nelle «aziende di erogazione» per acquisire i beni; la locuzione “consumo” pone in risalto

l’attività delle «aziende di consumo» che è quella di soddisfare i bisogni mediante i consumi. Cfr. Corbetta G., Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo, Milano, Egea, 1995.

8 Anselmi L, Aziende familiari di successo, cit., p. 16.

9 Si veda Zocchi W., Profili economici, cit. p. 8. Cfr. Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 2. 10 Per approfondimenti sul concetto di “istituto” si rimanda alla nota 28.

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La separazione tra organismi personali, redditi e patrimonio si farà sempre più netta a mano a mano che saranno più famiglie o imprese a concorrere alla formazioni dei suddetti elementi strutturali di un’azienda; questo anche se ricerche sul campo dimostrano come la famiglia imprima il suo colore non solo nelle aziende di consumo, ma anche in quelle di produzione, ancorché di medie e grandi dimensioni.

Alla luce delle suddette riflessioni possiamo con tranquillità affermare che l’oggetto del presente lavoro altro non è che una particolare “specie” di aziende o, meglio ancora, un genere con molte specie.

Ed è proprio nel tentativo di distinguere con chiarezza tra le diverse tipologie di imprese11 a carattere familiare che sta l’obiettivo delle ricerche, degli studi e dei dibattiti degli ultimi decenni

1.1 Il fenomeno del family business in Italia e nel mondo. I risultati di alcune ricerche.

Da un punto di vista storico l’azienda familiare è la più antica forma di organizzazione imprenditoriale.

Tuttavia non risulta possibile datare la sua nascita, neppure considerando in maniera residuale l’avvento, fatto risalire intorno al 1870, dell’impresa manageriale.

Autorevoli ricercatori, soprattutto americani, delle più diverse discipline – storia, management, finanza, economia – hanno sostenuto, per lungo tempo, che la continua evoluzione del mercato portasse, seguendo uno sviluppo naturale, al declino progressivo delle imprese familiari e alla transizione verso imprese di tipo manageriali che sono espressione dell’affermazione del moderno capitalismo.12

11 L’utilizzo di questa locuzione per denominare l’oggetto di studio di questo elaborato afferisce al

campo dell’economia aziendale. (Cfr. Zappa G., Le produzioni, cit., p. 200) non è da confondersi con lo stesso termine utilizzato dalle discipline giuridiche, dove per impresa familiare si intende quella in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondoCfr. art. 230 bis del Codice Civile.

12 «Una corrente importante negli studi nord-americani, sin dagli anni trenta, è quella rappresentata dagli studiosi impegnati ad indagare il processo di progressiva separazione tra proprietà del capitale e controllo e gestione delle imprese e a dimostrare la progressiva decadenza delle imprese familiari, almeno con riferimento alle imprese di grande dimensione» Corbetta G., Le imprese familiari, cit., pp.

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Le ricerche condotte avevano la pretesa di dimostrare che il family business potesse assurgere a stadio iniziale del processo evolutivo che coinvolge un’impresa, che dallo start-up finisce per transitare nella forma di public company.13

Ancora oggi, secondo l’opinione pubblica, se pensiamo alla forma d’impresa che pervade i manuali di economia è difficile non riconoscere che si tratti della public

company americana, ovvero di una grande impresa, generalmente quotata, con capitale

diffuso tra una miriade di azionisti. La performance di tale impresa, poi, si misura in base alla sua capacità di massimizzare il profitto.

Si potrebbe dire che negli scorsi decenni si è progressivamente affermata la convinzione che si dovesse convergere verso un unico modello d’impresa: quello, appunto, della grande impresa quotata a proprietà diffusa e bramosa di profitto.

In tale contesto, le forme d’impresa discostanti da quel prototipo sono il più delle volte considerate anomale, immature, probabilmente frutto di un assetto instabile in attesa di evolvere verso la public company. Siamo perciò portati a pensare alle imprese familiari come a una forma d’impresa imperfetta.

Nella realtà, invece, le imprese familiari costituiscono una classe caratterizzata da condizioni strutturali e procedimenti vitali diversi da quelli delle imprese a proprietà privata diffusa (c.d. public company) o proprietà pubblica, ma non per questo non degne di considerazione.

Prima di prendere atto dell’evoluzione degli studi cui facciamo riferimento e prima di addentrarci nel marasma definitorio, riteniamo opportuno presentare alcuni dati sulla diffusione delle imprese familiari di piccola, media e grande dimensione in Italia e nel mondo.

Ai fini di una corretta interpretazione dei risultati, è necessario sottolineare come per questa tipologia di imprese sia difficile la determinazione in termini quantitativi ed oggettivi a causa delle numerose definizioni formulate dalla dottrina in questo campo. Per questo motivo, i dati provenienti da diverse fonti non sempre sono paragonabili, ma occorrerebbero ogni volta informazioni sulle imprese e sui contesti nei quali esse operano affinché sia possibile apprezzare al meglio i risultati reddituali, competitivi e sociali.

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In Italia, sono state numerose le ricerche che negli anni si sono occupate di raccogliere dati che consentissero di conoscere la rilevanza delle imprese familiari nel nostro Paese. Le prime due ricerche in ordine cronologico avevano come obiettivo quello di valutare l’incidenza del controllo familiare tra le imprese con meno di 1000 addetti.14

Da un’analisi dei dati emerse che le imprese familiari rappresentavano la grande maggioranza. 15

Inoltre, con particolare riferimento ad una delle suddette ricerche, fu possibile reperire informazioni circa la presenza delle imprese familiari nell’insieme delle grandi e grandissime imprese. Con riferimento a queste ultime, il gruppo di studio, considerando una definizione di impresa familiare che tenesse conto sia del potere di condizionamento degli organi di governo sia della proprietà del capitale di rischio, giunse alle seguenti conclusioni:

- Il 13% delle imprese risultarono «strettamente familiari»

- Il 23% delle imprese risultarono «controllate dalla famiglia ma con partecipazioni azionarie di terzi»

Inoltre, si calcolò che le imprese familiari rappresentavano quasi il 75% degli utili del totale delle imprese; questo insieme agli altri risultati consentirono di affermare la potenziale capacità delle imprese oggetto di studio di poter raggiungere le grandi dimensioni e di produrre risultati economici positivi.16

È del 1994 invece il lavoro più completo e statisticamente significativo sulla rilevanza delle imprese familiari in Italia. A svolgerlo è stata Banca d’Italia che ha condotto la ricerca su un campione di 1200 imprese con almeno 50 addetti.17

Dallo studio risultò che il 46% delle imprese industriali italiane era controllato direttamente da un imprenditore o da poche persone legate da vincoli di parentela e una

14 Cfr. Gennaro P., Le imprese familiari di grandi dimensioni in Italia, in «Sviluppo & Organizzazione», n.

87, 1985, pp. 15-19 e Boldizzoni D., L’impresa familiare, Milano, Edizioni il Sole 24 Ore, 1988.

15 Cfr. Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 4

16 Tra le altre ricerche menzioniamo quella condotta nel 1990 da INTERMATRIX per conto della Business Agency. Su un campione di 601 aziende rappresentative della realtà delle PMI italiane, il 58,1% delle imprese osservate sono di proprietà unifamiliare, e il 38,3% di proprietà plurifamiliare. Anche la ricerca sulle aziende familiari in Toscana coordinata da Anselmi e presentata in Anselmi L., Aziende familiari di

successo in Toscana, cit.

17 AA. VV., Proprietà, modelli di controllo e riallocazione nelle imprese industriali italiane, Roma, Banca d’Italia, 1994. Vedi anche Corbetta G., Le imprese familiari, cit., pp. 3-5.

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quota minoritaria di imprese è invece controllata da poche persone non legate tra loro da vincoli di parentela, da enti pubblici, da società finanziarie e da un elevato numero di piccoli azionisti. Il controllo dell’imprenditore o di familiari è più diffuso nelle imprese di piccole e medie dimensioni e in quelle che operano in settori tradizionali.

Sempre attraverso lo stesso studio, Banca d’Italia ha appurato che di un gruppo di 300 imprese con un numero di addetti compreso tra i 20 e i 500, l’80% è controllato, direttamente o indirettamente da un imprenditore o da familiari.

Sempre con lo sguardo all’Italia, riportiamo anche quanto elaborato dall’AIdAF. 18 L’Associazione parla di una stima di circa 784.000 aziende familiari, ovvero l’85% sul totale delle società italiane obbligate a depositare il bilancio. In termini di occupazione pesano invece circa il 70%.

Si riscontra, inoltre, in tema di corporate governance, che le imprese familiari italiane differiscono dalle “sorelle” delle principali economie europee in quanto a composizione del team di manager: il 66% delle aziende italiane ha tutto il management composto da componenti della famiglia, percentuale notevole se pensiamo che la stessa situazione si presenta nel 26% delle imprese francesi e nel 10% delle aziende familiari nel Regno Unito.

Dal canto loro le imprese italiane, proseguendo nell’analisi, si distinguono anche per longevità: nella classifica delle prime 100 aziende familiari più antiche al mondo, 15 sono italiane e, tra queste, cinque - Fonderie Pontificie Marinelli (anno di fondazione 1000), Barone Ricasoli (1141), Barovier & Toso (1295), Torrini (1369) e Marchesi Antinori (1385) - sono tra le dieci aziende familiari più antiche tuttora in esercizio.

Sempre grazie ad una rilevazione sostenuta da AIdAF – più precisamente si parla dell’Osservatorio AUB19 - scopriamo come nel segmento delle aziende di medie e grandi

18 Associazione Italiana delle Aziende Familiari fondata nel 1997 da Alberto Falck insieme ad un gruppo

di imprenditori per “tutelare e diffondere i valori del capitalismo familiare”. Raggruppa oggi più di 140 aziende familiari, rappresentando il 10% circa del PIL del nostro Paese, raccogliendo più di 600 mila collaboratori.

Si veda: Zambon E., Speciale AIdAF. Il coraggio del cambiamento, in «L’Impresa», n. 11, Novembre 2014, pp. 63-72.

19 L’Osservatorio AUB sulle aziende familiare italiane rappresenta l’unica rilevazione sistematica sulle

aziende italiane a controllo familiare con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro che monitora le strutture, le dinamiche e i risultati di tutte le aziende familiari italiane. Promosso da AIdAF Associazione Italiana delle Aziende Familiari (per approfondimenti si rimanda alla nota precedente), UniCredit Private Banking e UniCredit Corporate Investment Banking, dalla Camera di Commercio di Milano e dalla

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dimensioni (fatturato > 50 milioni €), le aziende familiari sono circa 4000, con un’incidenza intorno al 58% del totale del segmento, e coinvolgono circa 3 milioni di dipendenti.

Da un punto di vista geografico, il 74% delle aziende familiari di medie e grandi dimensioni è presente al Nord del Paese, il 16% al Centro ed il 10% nel Sud e nelle Isole.

Altri risultati utili per approfondire la conoscenza del tessuto imprenditoriale italiano sono quelli raccolti ed elaborati da Bertoldi et al. (2013). 20

Lo studio analizza un campione di 3200 aziende (1600 familiari e 1600 ad azionariato diffuso). Tra queste il 31% si trova in Lombardia, nel Veneto è localizzato il 12% delle aziende analizzate come in Emilia Romagna. La Toscana con il 7% ed il Lazio con l’8% sono invece le uniche regione del Centro Sud con percentuali significative. Proseguendo analiticamente la lettura dei suddetti dati si scopre come, tra le regioni con una presenza più massiccia di imprese familiari, siano il Veneto e la Toscana ad essere più densamente popolate dalle imprese oggetto dello studio, piuttosto che la Lombardia ed il Lazio, che sono regioni dove, invece, la fanno da padrone le imprese non familiari.

L’analisi prosegue con un confronto, che può essere interessante, tra le imprese familiari e le imprese ad azionariato diffuso dal punto di vista finanziario (dati del 2009). Emerge che, sebbene le imprese familiari abbiano un profilo dimensionale e delle performance inferiori in termini assoluti, ponendo a confronto i due principali indici di redditività, ROI e ROE, queste hanno delle performance migliori. 21

Allargando gli orizzonti passiamo a contemplare i risultati sulla diffusione delle aziende familiari al di fuori dei confini nazionali.

Studiando il continente americano è evidente una significativa discrepanza, in termini percentuali, tra Nord, Centro e Sud, relativamente alla presenza delle aziende familiari:

Cattedra AIdAF -Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari dell'Università Bocconi.Le aziende familiari monitorate annualmente dall’Osservatorio AUB – circa 2700 aziende nella V edizione – si concentrano principalmente nel settore Manifatturiero (circa 43%) ed nel Commercio (28%), mentre meno significativa è la presenza nelle Attività finanziarie ed immobiliari (12%), Servizi (8%), Costruzioni (4%), Trasporti (3%) ed energia ed estrazioni (2%).

20 Bertoldi B., Branca S., Giachino C., Confronting Contemporary Business Challenges Through Management Innovation, Estoril, Euromed Press, 2013.

21 ROI delle imprese familiari è superiore di 0,91 punti percentuali rispetto allo stesso indice delle non

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negli USA la presenza di imprese familiari è pari al 95%, mentre in Argentina, Cile e Uruguay la diffusione è in media pari al 65%. 22

Ricerche meno recenti illustrano che la rilevanza delle imprese familiari negli Stati Uniti è legata soprattutto all’importanza delle organizzazioni di piccole e medie dimensioni: si è stimato che oltre l’80% delle imprese di piccole e medie dimensioni è classificabile come impresa familiare.

È possibile comunque individuare imprese o gruppi di imprese familiari di grandi dimensioni, anche se queste ultime sono più che altro una peculiarità dei settori manifatturieri italiani.

È stato stimato, inoltre, che negli USA le imprese familiari rappresentano il 49% del PIL e poco meno del 60% degli addetti.23

Nel continente asiatico, sponda orientale, le imprese familiari pesano per il 60-70% circa. Fanno eccezione il Giappone e le Filippine dove la percentuale si attesta intorno al 50%. Da una ricerca pubblicata nel 1984, con dati relativi al totale delle società giapponesi al 1982, emerge che nella società nipponica le imprese familiari costituivano circa il 20% delle imprese con capitale di rischio superiore a 10 miliardi di Yen. 24

Ritornando in Europa, troviamo nel Regno Unito una situazione similare a quella analizzata nel contesto del capitalismo anglosassone oltreoceano, ovvero un peso delle imprese familiari pari al 75% circa.

Anche in Germania si evidenza la presenza di un ampio e ricco tessuto di imprese familiari di piccole e medie dimensioni che rappresentano circa la metà del PIL, i due terzi della forza lavoro e il 60% delle imprese dello Stato.

In Francia, territorio con un sistema economico ed industriale più simile al nostro, la quota delle imprese familiari in termini percentuali è del 60%.

Per concludere, analizziamo di seguito ancora qualche dato, per avere una panoramica generale che sintetizzi quanto già accennato sull’Europa e che aiuterà a meglio inquadrare

22 Si fa riferimento ad uno studio pubblicato da Astrachan et al. (2003)

23 Cfr. Montemerlo D., Il governo, cit., Corbetta G., Le imprese familiari, cit. e Re P., La gestione dell’innovazione nelle imprese familiari, Torino, Giappichelli, 2014.

24 I dati sono stati presentati in Okochi-S Yasuuoka A. (a cura di), Family Business in the Era Of Industrial Growth, University of Tokyo Press, 1984. Vedi Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 6 e Re P., La gestione dell’innovazione, cit.

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e soppesare il fenomeno del family business nel nostro continente. Ci riferiremo ai dati del più recente studio condotto dal Family Business Network International (FBN International) del 2008. 25

L’Europa è sicuramente il continente in cui le imprese familiari sono maggiormente diffuse (fig. 1.1).

Secondo il Family Business Monitor di FBN International (2008) i settori in cui si registra una più alta presenza di imprese della tipologia oggetto del nostro studio sono tre: manifatturiero, delle costruzioni e commercio.

In termini di continuità delle imprese familiari e, quindi, di mantenimento di legami con la famiglia d’origine il primato lo detiene l’Italia con l’84% di imprese familiari guidate dalla prima generazione (International Family Enterprise Research Academy, 2003), mentre negli altri paesi le percentuali sono più basse (75-80%).

A questo proposito, osserva Corbetta che «[…] molte imprese familiari, durante il

processo di crescita, non riescono a superare le diverse fasi di transizione finendo per essere assorbite da altre imprese familiari o da imprese di altre classi.» 26

Proseguendo, il recente studio sopracitato del FBN ha evidenziato un impatto del 30% delle imprese familiari sul livello di occupazione di ciascun Paese analizzato.

Considerando invece la dimensione, sappiamo che la maggior parte delle aziende familiare ha meno di 10 dipendenti, quindi sono piccole imprese, anche se ci sono business che raggiungono dimensioni notevoli.

L’Italia ha anche l’ulteriore primato di avere la più alta percentuale di aziende familiari che superano i due milioni di euro di fatturato (18%), seguita da UK e Finlandia (rispettivamente 16% e 15%).

In conclusione, sempre estrapolando i dati dall’annoverato studio del FBN, possiamo affermare che i Paesi Bassi sono lo Stato in cui si registra la percentuale minima di imprese familiari (“solamente” il 61% del totale delle imprese). Mentre sono la Finlandia

25 Family Business Network (FBN), Family Business International Monitor, April 2008. 26 Corbetta g., Le imprese familiari, cit., p. 8

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(91%) e la Spagna (85%) i paesi in cui si osserva la diffusione massima. Per l’Italia la percentuale rilevata è del 73%.27

Figura 1.1 – Diffusione delle imprese familiari in Europa.

Fonte: Family Business Monitor (2008)

Al termine di questo breve excursus possiamo ribadire quanto affermato in precedenza sulla diffusione, numerosità e resistenza delle imprese familiari nei sistemi economici dei Paesi sviluppati e di quelli in evoluzione.

In questo lavoro analizzeremo con maggiore attenzione il “caso italiano”: prima, nelle sue dimensioni generali, dopo, scenderemo nel dettaglio a comprendere i meccanismi messi in atto da una particolare specie di impresa familiare: la piccola e media impresa vitivinicola.

L’oggetto della nostra ricerca, l’impresa familiare, è una realtà molto complessa e variegata e interessa numerosi campi dello scibile che vanno dal diritto, alla sociologia, alla psicologia, oltre che toccare tematiche di economia e management. È evidente che siamo dinanzi all’incontro di due istituti sociali differenti, la famiglia e l’impresa.28 Come

27 Re P., La gestione dell’innovazione, cit.

28 Definiamo istituto «una società umana caratterizzata da istituzioni, ovvero da regole e strutture di

comportamento stabili». Masini C., Lavoro e risparmio, Torino, Utet, 1970. La famiglia e l’impresa sono due dei principali tipi di istituti. I tratti distintivi di questa tipologia di organizzazione sono: il fatto di essere costituiti per durare nel tempo, di essere ordinati secondo leggi proprie, di essere dinamici,

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tali necessiteranno di strutture e regole di comportamento proprie, ma, nella realtà superiore dell’azienda familiare, occorrerà una qualche forma di composizione per dar vita ad un sistema azienda del tutto particolare.

L’ analisi esposta nelle prossime pagine, che ripercorrerà cronologicamente gli studi sulle imprese familiari prima e nel corso gli anni ottanta, per poi evolversi sino ai giorni nostri, sarà, per ragioni di “economia espositiva”,29 limitata alla classe disciplinare economica aziendale, con spunti tratti dalla storia economica.

1.2 L’evoluzione degli studi sulle imprese familiari

Gli studi in materia di family business hanno subìto nel tempo un’importante evoluzione: per decenni il modello delle imprese familiari è stato largamente sottovalutato ed è solo negli ultimi trent’anni, più o meno, che, in un climax ascendente, è cresciuto l’interesse nei confronti della tematica del family business.

Per limitarsi alla disciplina dell’Economia Aziendale, alcuni Maestri, tra cui Pietro Onida30, avevano riconosciuto da tempo la specificità dei problemi di gestione, organizzazione e rilevazione delle imprese familiari, ma in periodi anteriori agli anni ottanta del XX secolo non si annoverano studi monografici sulle aziende familiari, a differenza di quanto avvenuto, ad esempio, per le imprese a controllo statale o per quelle di piccole dimensioni31.

Con la duratura presenza di imprese familiari di ogni dimensione, i primi processi di ricambio generazionale di molte imprese nate sulle macerie della seconda guerra mondiale e la contemporanea ripresa di interesse per le imprese di piccole e medie dimensioni, anche come conseguenza del fallimento – negli anni settanta e ottanta – di molte imprese a proprietà diffusa, si assistette all’avvicinamento di alcuni studiosi di management nord-americani alla classe delle imprese familiari. Alle prime pubblicazioni

unitari, complessi, a tal punto che per la loro comprensione si richiede il supporto di più discipline ed inseriti in un ambiente coabitato da altri istituti con cui tessono relazioni.

29 Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 8 30 Onida P., Economia d’azienda, cit.

31 In entrambi i casi, verso la fine degli anni ottanta si registra la fondazione di riviste accademiche

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di volumi dedicati al tema, hanno fatto seguito numeri speciali, i forum sulle riviste e la prima rivista specializzata.32

Sono nate successivamente anche le prime associazioni di studiosi, consulenti, imprenditori e manager e sono state istituite le prime cattedre in family business in Europa e Nord America.

Oggi, l’avvento della globalizzazione economica senza alcun dubbio rappresenta un’importante sfida per le aziende familiari.

Procediamo, quindi, con un’esposizione più dettagliata dell’evoluzione degli studi accennati, organizzata in una prima parte dedicata agli studi ante anni ottanta ed una seconda parte rivolta all’approccio che hanno avuto gli studiosi nel corso degli anni ottanta.

1.2.1 Gli studi ante anni ottanta

Riportiamo le principali riflessioni, con data anteriore agli anni ottanta, messe a punto da studiosi nord-americani e italiani; per chiarezza espositiva specifichiamo che considereremo in questo paragrafo, in prima approssimazione, il termine impresa familiare facendo riferimento a quella unità economica in cui una o più famiglie, strette da legami di parentela o affinità, svolgono un ruolo rilevante.

I primi scritti monografici risalgono agli anni ottanta del XX secolo, ma i primi studi, di matrice nord-americana, sono datati agli anni trenta dello stesso secolo. Sin da quegli anni, infatti, gli studiosi statunitensi si sono impegnati ad indagare la separazione tra la proprietà delle imprese e la gestione e il controllo delle stesse.

Questi ricercatori hanno cercato di dimostrare che il controllo familiare non consente una gestione efficace ed efficiente delle imprese, in particolare di quelle di grandi dimensioni, riconoscendo tre tipi di limiti:

- Manageriale: il radicato nepotismo in questa tipologia di organizzazioni

colloca ai vertici delle aziende persone professionalmente inadatte e limita

32 La rivista monografica sulle imprese familiari, «Family Business Review», ha iniziato le proprie

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l’entrata a non familiari che potrebbero apportare un importante contributo nel governo e nella gestione dell’azienda.

- Finanziario: mancano le risorse necessarie a sostenere un percorso di

crescita nel lungo periodo, a causa dell’ostinazione della famiglia (“capitalista senza capitale”) di mantenere il controllo dell’azienda pur senza mezzi economici a disposizione.

- Di coesione della proprietà: i familiari possono facilmente trovarsi

coinvolti in litigi che mettono a repentaglio l’unità della proprietà e compromettono gli assetti di governo e di gestione aumentando anche il deficit manageriale o finanziario con l’uscita di qualche familiare e la conseguente riduzione di risorse finanziarie. 33

Quindi, in buona sostanza, in questi scritti le imprese familiari non vengono studiate nel loro divenire: sono considerate imprese nella fase di transizione destinata ad essere superata per fisiologica crescita dimensionale e per l’aumento della complessità delle combinazioni economiche. I ricercatori mettono in discussione la continuità di tali imprese nelle fasce dimensionali maggiori.

Un secondo filone di studi nord-americani, sviluppatosi soprattutto a partire dalla fine degli anni sessanta, non ritiene impossibile l’esistenza duratura di imprese familiari di grandi dimensioni, pur associando questo genere di imprese soprattutto alle piccole e medie dimensioni. Ciò che questi studiosi mettono in discussione è l’esercizio contemporaneo di ruoli familiari e ruoli aziendali da parte dei familiari impegnati in azienda. La famiglia viene considerata come ostacolo allo sviluppo aziendale in quanto «introduce elementi di razionalità non economica nei processi decisionali»34. Gli studiosi di questa corrente si concentrano quasi esclusivamente sul tema della gestione del ricambio generazionale nella famiglia proprietaria, connotando le imprese familiari come organizzazioni in cui a farla da padrone sono i rapporti interpersonali tra padri e figli.

Passando in rassegna gli studi anteriori agli anni ottanta pubblicati nel nostro Paese, ci accorgiamo come, anche in questo caso, non sono pervenuti contributi monografici sulle imprese familiari. Questo nonostante il tessuto imprenditoriale italiano, a differenza di

33 Corbetta G., L’impresa familiare: profili aziendalistici, XXVI Convegno di studio su “L’impresa familiare:

modelli e prospettive”, Courmayeur, 30 settembre – 1 ottobre 2011.

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quello nord-americano, non sia stato caratterizzato dalla presenza di public company, ma, al contrario, la presenza delle imprese familiari, anche di grandi dimensioni, sia stata sempre considerevole.

In Italia, ad onore del vero, già nei decenni precedenti, autorevoli aziendalisti italiani parlavano nelle proprie opere del fenomeno delle imprese familiari, indagando sulla esistenza del carattere di aziendalità nelle manifestazioni economiche di vita delle comunità familiari e ascrivendo la presenza de “l’istituto” famiglia nel campo delle aziende familiari. 35

Possiamo concludere dicendo che, nei periodi precedenti agli anni ottanta, l’Economia Aziendale sembra non aver dedicato attenzione specifica alle imprese familiari per diverse ragioni, tra cui la tesi della non sopravvivenza di tali imprese, la convinzione che la valutazione delle caratteristiche delle imprese familiari non fosse di pertinenza esclusiva dell’economia aziendale ed anche il tentativo di ricercare una uniformità tra i vari tipi di impresa invece della specificità.

1.2.2 Studi durante gli anni ottanta

È solo in tempi recenti alla fine degli anni settanta e soprattutto durante gli anni ottanta che è cresciuto l’interesse nei confronti della tematica del family business.

Da allora, numerosi sono stati i contributi che hanno esaminato le imprese familiari cercando di districarsi tra le diverse definizioni e configurazioni. Il comune denominatore è stato senza dubbio la corrispondenza biunivoca tra la continuità dell’impresa familiare e l’evoluzione del nucleo familiare, portatore del capitale di rischio, da un lato, e le decisioni stabilite all’interno di tale nucleo, dall’altro. 36

L’accresciuto interesse è riscontrabile tra le fila degli studiosi nordamericani così come tra gli aziendalisti italiani ed è da ricollegarsi al fatto di aver potuto riscontrare, in quest’epoca, il successo stabile e duraturo di molte piccole e medie aziende di famiglia, dimostrando l’inadeguatezza delle teorie passate che le vedevano destinate ad una effimera sopravvivenza.

35 Zappa G., L’economia delle aziende di consumo, Giuffrè, 1962. Masini C., Lavoro e risparmio, cit. 36 Corbetta G., Le imprese familiari, cit.

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Alla pubblicazione dei primi studi monografici segue la nascita delle prime riviste specializzate, nonché le prime associazioni di studiosi, manager imprenditori37; sono inoltre istituite le prime cattedre in family business nelle università americane ed europee.38

Riassumendo, sono tre i filoni di studio che si sono evoluti negli ultimi venti anni: - Primo filone: superata la fase dell’affermazione della non continuità

dell’impresa familiare, si studiano le condizioni per il suo sviluppo; si dà risalto in particolar modo al fenomeno della successione generazionale quale momento critico nella vita di un’azienda familiare. Le aziende osservate sono di piccole e medie dimensioni.

- Secondo filone: si allarga la veduta anche alle aziende di grandi

dimensioni; principalmente si analizzano le caratteristiche e le specificità dell’impresa familiare concentrando l’attenzione sulle condizioni che ne garantiscono lo sviluppo e la durabilità nel tempo.

- Terzo filone: il più recente, comprende tutti quegli studi sulle relazioni tra

impresa familiare e sviluppo economico di un Paese; l’impresa familiare, quindi, come motore di sviluppo e colonna portante dell’economia dei Paesi.

I tre filoni procedono in modo parallelo, anche se i contributi al primo filone possono considerarsi ormai esauriti.39

Le riflessioni sulle imprese familiari sono appena all’inizio del loro sviluppo e si prevede un’intensificazione degli studi sul tema.

Lo scoglio insormontabile resta, come accade in queste fasi iniziali di crescita, il riuscire a delimitare il campo delle ricerche e quindi dare una definizione unica che possa

37 In Italia l’Aidaf, Associazione italiana delle aziende di famiglia (1997). L’Aidaf svolge la propria attività

anche a livello internazionale in quanto è Chapter italiano di FBN (Family Business Network), fondato nel 1990 con lo scopo di creare un’associazione internazionale dedicata esclusivamente a migliorare la qualità della leadership e del management delle aziende familiari; aderiscono al FBN circa 1900 associati appartenenti a 78 Paesi. Ricordiamo poi la GEEF (European Group of Family Enterprises), l’associazione di aziende familiari europee, il cui obiettivo è lo studio degli specifici problemi, sia di carattere

economico che legislativo, che le aziende familiari si trovano ad affrontare. Inoltre la GEEF difende e promuove gli interessi familiari nei confronti delle pubbliche autorità.

38 Ricordiamo Harvard University, University of Southern California e per l’Europa IMD di Losanna e IESE di Barcellona

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soddisfare i teorici che si dedicano ad elaborare modelli e strumenti per un’agevole comprensione dell’oggetto di analisi.

Ma, ad oggi, una definizione non esiste. Alla riflessione su questo tema è dedicato il prossimo paragrafo.

1.3 Definizioni e possibili classificazioni 1.3.1 Le definizioni di impresa familiare

Dopo aver dato spazio agli studi sulle imprese cosiddette familiari, passiamo in rassegna le diverse definizioni che scaturiscono da queste riflessioni, giungendo poi alla definizione che decidiamo di abbracciare in questa trattazione.

Lo scopo dell’attività definitoria, in questo caso come in altri, è quello di «distinguere

un sottoinsieme di unità (le imprese familiari) all’interno di un insieme più vasto (le imprese)». 40

Definire con precisione un’impresa familiare non è semplice. Nonostante ciò si possono individuare tre insiemi di definizioni41:

- Un primo insieme di definizioni sviluppate in letteratura si concentra sulla variabile proprietà e quindi sul controllo: sono imprese familiari quelle organizzazioni economiche in cui una o più famiglie, legate tra loro da vincoli di parentela o affinità, siano coinvolte nella proprietà dell’azienda.42 Si guarda preventivamente se la quota di capitale di rischio posseduta dalla famiglia è tale da consentire il controllo sull’azienda.

Alcuni aggiungono all’assetto proprietario anche il coinvolgimento nel management. Condividendo tali impostazioni, si fornisce una definizione restrittiva di impresa

familiare che viene considerata come quella tipologia di impresa in cui portatori di capitali di rischio e prestatori di lavoro appartengono ad un’unica famiglia o a più famiglie legate

40 Ivi p.16.

41 Per lo sviluppo di tale analisi seguiamo lo schema proposto in Del Bene L., Aziende familiari, cit., pp.

5-12.

42 In questo approccio rientra una delle definizioni di impresa familiare più restrittiva, quella di

Dell’Amore, secondo cui: «Si dice familiare un’impresa in cui i portatori di capitale appartengono ad

un’unica famiglia o a poche famiglie collegate tra loro da vincoli di parentela o affinità». Dell’Amore G., Le fonti del risparmio, Giuffrè, 1962.

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tra loro da rapporti di parentela o affinità. In tal modo, si contempleranno solo i casi in cui «esiste una sovrapposizione quasi completa tra gli elementi strutturali delle aziende

di consumo e di produzione interessate. I due sistemi 43vengono quasi a coincidere».44

Questa definizione comprende soprattutto imprese di piccole dimensioni: circoscritte dal numero di familiari che lavorano nell’impresa.

Si assiste ad uno sviluppo di questo primo insieme di definizioni arrivando ad un’accezione di impresa familiare «in senso ampio» facendo riferimento al concetto di «reciproco condizionamento» tra l’azienda e una o più famiglie, legate tra loro dagli stessi vincoli di parentela o affinità, che detengono quote del capitale di rischio.45

L’ambito coperto da questo tipo di definizione è ampio, perché ciò che rileva è la «significativa influenza».

Come puntualizzato da Corbetta, «le definizioni fondate sul reciproco

condizionamento risultano diverse a seconda che l’accento sia posto su: - la proprietà del capitale di rischio dell’impresa; - Il controllo dell’impresa, nel senso dell’esercizio dei poteri di controllo, in primis quelli riguardanti la nomina o la sostituzione delle persone che compongono gli organi di governo e di alta direzione; - la gestione dell’impresa».46 Questa prosecuzione della definizione permette di includere tra le imprese familiari non solo le piccole, ma anche le medie e grandi aziende.

Sempre in questo primo ambito definitorio, è importante segnalare il contributo di Shanker e Astrachan che sviluppano i concetti fino ad ora esposti introducendo altre varabili: al requisito del controllo sulle decisioni strategiche, si aggiunge la volontà dei controllanti di mantenere l’impresa all’interno della famiglia.47 Gli studiosi si pongono come obiettivo l’inquadramento della definizione in un «continuo» inserendo il concetto di intensità del coinvolgimento della famiglia nell’azienda.

43 Definiamo sistema “un’entità concettuale o concreta costituita da un insieme di parti in interazione

dinamica, organizzata in vista del raggiungimento di un complesso di fini”. Tra gli altri, Bertini U., Il sistema d’azienda. Schema di sistema organizzativo aziendale, Milano, Franco Angeli, 1997. 44 Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 17.

45 Questo tipo di definizione è stata elaborata da studiosi italiani di economia aziendale e similarmente

anche dai teorici nordamericani. Con riferimento a questi ultimi si riporta la definizione di Davis, secondo cui è impresa familiare «quella dove la politica e la direzione aziendale sono soggette ad una significativa influenza da parte dei membri di una o più famiglie». Davis P., Realizing the Potential of

Family Business, in «Organizational Dynamics», n. 2, 1983, p. 47. 46 Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 20.

47 Per approfondimenti su questi e successivi studi di Shanker e Astrachan si veda Del bene L., Lattanzi

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Riassumendo potremmo dire che già questo primo insieme di definizioni presenta diverse sfumature: un accordo potrebbe essere trovato in merito alla proprietà con le considerazioni esposte. Poi la situazione si complica quando consideriamo il «coinvolgimento» della famiglia nel management, rimanendo comunque all’interno di un campo di indagine ristretto. Quest’ultimo si allarga nel momento in cui andremo a parlare di «condizionamento» tra impresa e famiglia/e proprietaria/e del capitale di rischio.

Se prediligiamo questa definizione si giunge ad una “definizione estesa” di azienda familiare incrementando le manifestazioni rientranti in questa tipologia, ma rendendo meno nitido il limite discriminante tra aziende familiari e non.

- Passiamo adesso ad un secondo gruppo di definizioni, che raccoglie una concezione di impresa familiare “in senso stretto” o restrittiva che dir si voglia. Gli autori di questo filone di studi ritengono che a caratterizzare le imprese oggetto del nostro studio sia il «il trasferimento intergenerazionale della proprietà e della

gestione»48 concentrandosi sull’annosa problematica del passaggio generazionale e dando invece per assodate le caratterizzazioni in termini di appartenenza, controllo e gestione delle imprese. Senza pretese di completezza ricordiamo la definizione di Donnelley (1964) che considera impresa familiare un business in cui devono essere identificate almeno due generazioni della stessa famiglia i cui legami devono influenzare tanto le politiche d’impresa quanto gli interessi e gli obiettivi della famiglia stessa.49

- Un terzo insieme di definizioni comprende quelle che accolgono aspetti di entrambi i filoni precedenti. Combinano variabili oggettive come la proprietà e il coinvolgimento del management e variabili più soggettive come l’identificazione nell’azienda di famiglia, senso di appartenenza, e i legami affettivi che si instaurano inevitabilmente in organizzazioni come quelle familiari. Tra queste

48 Del Bene L., Aziende familiari, cit., p. 7.

49 Donnelley R.G., The family business, in Harvard Business Review, july- august 1964, pp. 94-103. Ricordiamo anche l’autorevole contributo di Schillaci la quale identifica in familiare un’impresa che

“possa intimamente identificarsi in una famiglia, o più famiglie, per una o più generazioni”. Sempre

secondo quest’autrice, un’impresa per essere definita familiare deve possedere, anche se non in maniera congiunta, determinate caratteristiche, quali: - organi decisionali composti da membri della famiglia; - valori aziendali che si identificano con quelli familiari; - vicende familiari che incidono, in maniera più o meno intensa, sulle vicende dell’azienda; - membri familiari coinvolti nell’attività operativa dell’impresa; - relazioni familiari quale fattore importante nel processo successorio. Schillaci C.E., I processi di transizione del potere imprenditoriale nelle imprese familiari, Torino, Giappichelli, 1990.

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ricordiamo la definizione di Gallo50 che definisce le imprese familiari quelle imprese in cui esiste un nesso, che poggia su valori su cui si fondano le modalità di gestione dell’azienda e dei rapporti con la famiglia, e da tale relazione scaturisce un legame permanente tra famiglia e azienda.

Facciamo rientrare in questo ultimo insieme anche la definizione di Demattè e Corbetta.51

Secondo gli studiosi italiani siamo in presenza di una impresa familiare quando uno o più nuclei familiari legati da stretti legami di parentela o affinità mettono a disposizione dell’impresa capitali finanziari a “pieno rischio” o a “rischio limitato”, garanzie personali o reali di skills manageriali. In questo modo si prevede una quasi sovrapposizione tra l’impresa di consumo e di produzione.

Giungiamo, infine, alla definizione che decidiamo di accogliere in questo scritto, nonché la più diffusa in letteratura: «un’impresa si definisce familiare quando una o

poche famiglie, collegate da vincoli di parentela, di affinità o da solide alleanze, detengono una quota del capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell’impresa».52 Questa definizione ampia messa a punto da Corbetta abbraccia la definizione prevalente in letteratura superandola al tempo stesso.

Rientrano sotto il cappello di impresa familiare anche quelle aziende in cui:

- Una o poche famiglie esercitano i poteri di governo pur non detenendo la maggioranza del capitale;

- I membri della famiglia non sono presenti o non costituiscono la maggioranza negli organi di governo;

- Nessun familiare è impegnato nella gestione dell’impresa;

- Sussistono due o tre famiglie non collegate da legami di parentela, ma solo da solide alleanze, che esercitano il controllo.

50 Gallo M.A., Cultura en impresa familiar, Nota Tecnica de la Division de Investigacion del IESE DGN 457,

Barcelona, 1992.

51 Demattè C., Corbetta G., I processi di transizione delle imprese familiari, Milano, Mediocredito

Lombardo, 1993, p. 45.

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In tutti questi casi il controllo è esercitato o attraverso accordi di minoranza o attraverso la nomina di amministratori di fiducia. Tale definizione, in altre parole, ha il merito di considerare familiari tutte quelle imprese la cui esistenza duratura è strettamente collegata, da un lato, all’evoluzione della/e famiglia/e proprietaria/e, dall’altro, alle decisioni che vengono prese all’interno della/e stessa/e.53

Facendo una breve ricognizione, potremmo con tranquillità affermare che, a prescindere dall’approccio, le imprese familiari si distinguono per cinque motivi:

1. Convivenza tra i due istituti famiglia ed impresa, diversi tra loro per natura ed obiettivi.54

2. Una quota importante del capitale di rischio dell’impresa è detenuta dal nucleo familiare o dai nuclei familiari.

3. I più importanti valori aziendali si identificano con quelli familiari. 4. Uno o più membri della famiglia sono coinvolti nell’attività operativa aziendale.

5. Le relazioni familiari rappresentano uno dei fattori più importanti nei processi di successione e di trasmissione del potere.

La dimensione non assurge a criterio discriminante: nel pensare ad un’impresa familiare si è spesso portati a considerare imprese trascurabili sul piano dimensionale, di tipo artigianale. La realtà, tuttavia, ci propone un’ampia varietà. Vi sono infatti aziende molto più grandi e note, come le imprese della famiglia Agnelli, Barilla, Ferragamo, Antinori per citarne qualcuna; imprese che sono esempio della capacità di sopravvivenza delle aziende cosiddette familiari, che si traduce, poi, in un contributo durevole allo sviluppo economico del Paese.55

53 Ivi,pp. 20-22. Vedi anche Cesaroni F.M., Ciambotti M. (a cura di), La successione nelle imprese familiari. Profili aziendalistici, societari e fiscali, Milano, Franco Angeli, 2011.

54 Definiamo la famiglia come “istituto della società umana che, nel suo ordine economico, persegue il soddisfacimento, in via diretta, dei bisogni dei suoi componenti, mediante il consumo di beni e servizi” in

contrapposizione all’impresa, definita come: “azienda di produzione che, a scopo di lucro, produce beni e

servizi per la soddisfazione, in via indiretta dei bisogni individuali”. Per un approfondimento: Caramiello

C., L’azienda. Alcune brevi riflessioni introduttive, Milano, Giuffrè, 1993; Airoldi G., Brunetti G., Coda V.,

Economia aziendale, Bologna, Il Mulino,1994; Masini C., Lavoro e risparmio, cit. 55 Per un approfondimenti sui sistemi di corporate governance: v. infra paragrafo 1.5.

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Quindi, qualsiasi impresa definibile familiare in senso lato, può essere compresa in questo studio, sia essa una grande impresa di proprietà o sotto il controllo di famiglie, o sia essa piccola, in cui le relazioni e i processi non sono formalizzati e la direzione è affidata ad un imprenditore-proprietario, fortemente accentratore; ovvero un’impresa che opera a livello multinazionale con struttura evoluta, relazioni interne e processi formalizzati.56

1.3.2 La varietà delle imprese familiari

Come è facile intuire, le distinte definizioni e la moltitudine di caratteristiche strutturali che i sistemi di corporate governance possono assumere forniscono una panoramica di elementi che, combinati tra loro, possono dar luogo a differenti tipologie di imprese familiari, sempre e comunque contraddistinte da caratteristiche omogenee.

I diversi approcci definitori contemplano imprese diverse per dimensione, stadio evolutivo, settore di attività; ma esiste un sottile fil rouge che lega le diverse definizioni tra di loro e che permette di discernere le imprese familiari dalle non familiari ed è rappresentato dalla sovrapposizione, in tutti i casi, dei tre sistemi: famiglia, impresa e proprietà.

L’impresa familiare, a prescindere da quale definizione si decida di accogliere, appare il genere più diffuso.57 Rimangono escluse le public company, le imprese dove la famiglia detiene una quota di capitale di rischio non sufficiente a consentirle l’esercizio del controllo e le imprese pubbliche.

Alla luce di quanto detto, chiaramente sussiste il problema, di non poco conto, di riunire in un unico genere specie di imprese tra loro molto differenti. L’interdipendenza dei tre sistemi, infatti, varia a seconda dello stadio di sviluppo dell’impresa e i mutamenti scaturiscono a causa della diversa gradazione con la quale, nelle fasi di vita di un’impresa familiare, una singola famiglia controlla sia il capitale dell’impresa sia le funzioni imprenditoriali e manageriali; senza dimenticare l’ipotizzabile differenza tra due imprese

56 Mastroberardino P., Significato e ruolo dei clan familiari nel governo dell’impresa, Padova, Cedam,

1997.

57 Ricordiamo che nella presente trattazione decidiamo di assumere la seguente definizione:

«un’impresa si definisce familiare quando una o poche famiglie, collegate da vincoli di parentela, di

affinità o da solide alleanze, detengono una quota del capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell’impresa.» In Corbetta G., Le imprese familiari, cit., p. 20.

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familiari relativamente al grado di sovrapposizione dei valori, delle regole e delle aspettative della famiglia rispetto a quelli dell’impresa: in alcuni casi la sovrapposizione è totale, in altri meno. D’altronde, l’attenuarsi dell’intensità di raccordo tra famiglia ed impresa è effetto di due fenomeni, noti in letteratura come «deriva generazionale» –- ovvero l’aumento nel tempo dei membri di una famiglia - e «raffreddamento dei soci» – - ovvero la perdita, nel tempo, dell’attaccamento identitario con la famiglia, l’allentarsi dei legami affettivi o di affinità.58

Una prima classificazione, considerando che le imprese familiari differiscono tra loro in base al grado di controllo da parte della famiglia sul capitale proprio dell’impresa e sulle funzioni imprenditoriali-manageriali, ravvisa diverse tipologie di impresa familiare disposte su uno spazio caratterizzato da differenti livelli di controllo (figura 1.2).59

Le due estreme configurazioni sono:

- «Impresa monofamiliare chiusa con piena e totale sovrapposizione tra una famiglia ed un’impresa»;

- «Impresa dove miriadi di famiglie, ognuna con quote limitate di capitale, non esercitano né il controllo sul capitale d’impresa, né quello sulle funzioni imprenditoriali e direzionali». Si parla di public company in questo caso.

Si elencano poi tipologie intermedie dove la differenza si sostanzia nel diverso grado di controllo della famiglia sul capitale e sulle funzioni imprenditoriali-direzionali. Seguendo questa linea, nello spazio si potrebbero riconoscere le seguenti categorie di imprese familiari:

- «Impresa monofamiliare aperta – un’impresa che pur controllata da una famiglia ha tra i propri azionisti, ma solo tra essi, anche terzi»;

- «Impresa plurifamiliare – nella quale più famiglie si dividono il capitale e le posizioni di governo»;

58 Cfr. Demattè C., Corbetta G., I processi di transizione, cit., pp. 45-50; Corbetta G., Le imprese familiari,

cit., Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., Aziende familiari, cit., pp. 44-50.

59 La seguente classificazione si basa eminentemente sul lavoro di Demattè C., Corbetta G., I processi di transizione, cit.

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- «Impresa monofamiliare managerializzata – nella quale una famiglia ha il controllo dell’impresa e vi esercita la funzione imprenditoriale, ma gestisce con l’ausilio di manager esterni».

Proseguendo si possono delineare i contorni di altre tipologie di imprese più meno familiari.

In sintesi, tuttavia, emerge che sono riconoscibili due macro categorie di imprese familiari:

1) le imprese familiari in senso stretto; 2) le imprese familiari allargate.

Fra le prime (in alto a sinistra della matrice) si annoverano le imprese monofamiliari e quelle plurifamiliari di prima o seconda generazione originate dallo stesso ceppo. Sono caratterizzate dall’accentramento della proprietà in mano di pochi che hanno anche il controllo delle decisioni strategiche. Si registra un senso di appartenenza molto forte e l’esistenza di procedure informali.

Le imprese familiari allargate invece vantano la compresenza di più famiglie dello stesso ceppo dopo la seconda generazione o di ceppo differente dopo la prima generazione. Le quote di proprietà sono quindi dispersi tra più soggetti e i vincoli di parentela sono meno forti. Svolgono ruoli di direzione solo alcuni dei soggetti appartenenti alla famiglia mentre altri sono solo azionisti e dipendenti

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Si riscontra spesso, in questa tipologia, la presenza di manager esterni alla famiglia.

Figura 1.2 – Impresa familiare: un genere con molte specie

Fonte: Demattè e Corbetta, 1993

Corbetta60, in sviluppo della precedente classificazione, ne svolge una ulteriore che permette di distinguere le imprese familiari sulla base dell’utilizzo di tre variabili: il modello di proprietà del capitale di impresa; la presenza di familiari negli organi di governo e di direzione dell’impresa; la dimensione dell’organismo personale.

La prima variabile presenta diverse dimensioni, che sono:

- capitale posseduto da un solo proprietario, rappresentativo del modello di proprietà assoluta, tipica delle prime fasi di vita dell’impresa, se fondata da una sola persona;

- capitale posseduto da un ristretto numero di persone, caratteristico del modello di proprietà familiare del tipo “chiusa-stretta”, tipico delle imprese familiari di prima

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generazione, se fondate da più soci ovvero di seconda generazione se discendenti da un unico ceppo;

- capitale posseduto da un numero di persone più ampio, tipico del modello di proprietà familiare “chiusa-allargata”, diffuso nelle imprese familiari a partire dalla seconda generazione, in caso di più fondatori, e dalla terza generazione in poi per le imprese che discendono da un unico ceppo;

- capitale posseduto da soci discendenti dal fondatore e da altri soci, caratteristico del modello di proprietà familiare aperto, che si può rinvenire nelle imprese familiari di ogni generazione.

La seconda variabile è strutturata in:

- Cda e organi di direzione composti solo da membri della famiglia proprietaria del capitale;

- Cda composto da familiari e organi di direzione composti da familiari e non familiari; - Cda e organi di direzione dove sono impegnati familiari e non familiari.

La terza variabile è suddivisa in:

- dimensione piccola (impresa composta da poche decine di persone); - dimensione media (fino a poche centinaia di persone);

- dimensione grande.

Combinando le tre variabili si giunge all’individuazione di diversi modelli di impresa familiare, tra i quali possiamo individuare:

- Impresa familiare domestica, caratterizzata da modello proprietario di tipo assoluto o stretto; dimensioni aziendali piccole; Cda e organi di direzione composti da familiari.

- Impresa familiare tradizionale, con modello proprietario di tipo assoluto o stretto; dimensioni che possono anche essere piccole, ma di norma sono medie o grandi; Cda composto solo da familiari; gli organi di direzione possono essere composti da familiari e non.

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