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4.6 Potenzialità di crescita per l’azienda familiare

4.6.1 Crescita dell’azienda e potenziale economico

Le prospettive di crescita dell’azienda sono strettamente correlate alle dinamiche evolutive della famiglia di Giuseppe e Giovanna.

L’intento è quello di continuare a coltivare secondo le leggi della natura e della biodinamica.

Un caso particolare, coerente con i valori aziendali, per esempio è la volontà di riscoprire vitigni autoctoni.

L’interesse per i vini ha avuto la sua massima espressione tra la fine degli anni ottanta e il 2000.

Il mercato dei vini oggigiorno, vista la forte concorrenza qualitativa e di prezzo, è difficile da saturare con qualche novità. La strategia per la crescita quindi si incentrerà sullo sfruttamento di possibilità commerciali, che puntano sulla forte professionalità e sulla forte identità territoriale.

L’accezione di crescita, quindi, sembra esclusivamente di tipo qualitativo, ma non è altrettanto ricercata e supportata una crescita dimensionale.

Il valore aggiunto dell’azienda risiede proprio nella solidità dei valori produttivi che derivano dall’etica familiare del rispetto del luogo.

Accanto allo sviluppo interno, si potrebbe profilare un più ampio tentativo d’internazionalizzazione cercando di penetrare maggiormente i mercati asiatici e nordamericani con l’obiettivo di fidelizzazione del cliente che deve riconoscere l’azienda dall’etichetta delle sue bottiglie che, secondo la filosofia della famiglia, dovrà rimanere immutata nel tempo, non essere sottoposta a modifiche dettate dai nuovi trend: perché l’etichetta racconta l’azienda che, a sua volta, racconta l’antica storia di un territorio.

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Conclusioni

Di che cosa stiamo parlando, quindi. Di impresa, di territorio e di competitività globale.

L’impresa di riferimento è una costante del tessuto imprenditoriale italiano, quella di piccole e medie dimensioni controllata da una famiglia. A seconda della definizione adottata, si ritiene, infatti, che si possano considerare imprese a conduzione familiare una percentuale tra il 75% e il 95% del totale delle imprese attive in Italia. Si parla di impresa familiare sulla base di una serie di variabili discriminanti. La definizione accolta in questo lavoro definisce impresa a conduzione familiare quella in cui «[…] una o poche famiglie,

collegate da vincoli di parentela, di affinità o da solide alleanze, detengono una quota del capitale sufficiente ad assicurare il ruolo dell’impresa».226 Ciò che permette di distinguere le imprese familiari dalle non familiari è rappresentato dalla sovrapposizione, in tutte le possibili situazioni riscontrabili, dei tre sistemi: famiglia, impresa e proprietà. Le situazioni estreme che è possibile tracciare sono quelle in cui, da un lato, tra il patrimonio della famiglia e quello dell’impresa c’è una continua mistione: parliamo della logica del family first. Dall’altro, si prospettano situazioni in cui gli interessi aziendali prevalgono su quelli della famiglia, con la conseguente separazione tra i patrimoni dei due istituti e con il prevaricare degli interessi aziendali su quelli familiari: ci riferiamo alla logica del business first. Tra le due condizioni antitetiche troviamo gli svariati profili delle imprese familiari, scaturiti dalle molteplici combinazioni possibili tra i tre sottosistemi.

Come ogni azienda che si rispetti, anche l’impresa familiare è un sistema sociale aperto, soggetto ai continui input esogeni ed endogeni capaci di comportare cambiamenti alla struttura dell’unità produttiva di riferimento. L’impresa deve allora adeguarsi ed interagire col sistema-ambiente in cui è immersa; sistema che è in costante evoluzione. Le modificazioni ambientali si ripercuotono inevitabilmente sulle singole organizzazioni che sopravvivono grazie alla predisposizione e allo sviluppo di competenze idiosincratiche di competitività per osteggiare gli ostacoli di natura sociale, psicologica e organizzativa.

Parlando di territorio intendiamo il luogo in cui nasce e si sviluppa l’impresa, che offre all’unità produttiva risorse e competenze particolari (specificità geografiche). Territorio

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che, però, rappresenta anche un luogo, uno spazio, dove è possibile l’incontro e l’interconnessione tra più imprese che condividono risorse e valori e si relazionano creando una fitta rete di rapporti informali.227

Queste le due variabili principali analizzate insieme e individualmente, in generale e nello specifico settore di riferimento scelto, quello vitivinicolo, al fine di dimostrare che le piccole e medie imprese italiane non solo funzionano ancora, ma riusciranno a resistere, alle condizioni dettate dalla globalizzazione e alla corsa all’internazionalizzazione, se riusciranno a tener salde e rigenerare le radici ancorate nel territorio di appartenenza, che è bacino fertile, ricco di cultura e tradizioni.

Ed ecco il terzo elemento della discussione rispetto al quale costruire un confronto: la globalizzazione e quindi i mercati internazionali.

La globalizzazione ha attratto le PMI familiari nel vortice delle catene di distribuzioni delle grandi imprese, predisponendole alla competizione internazionale pur rimanendo nei piccoli mercati. Abbiamo analizzato, però, ampiamente le caratteristiche delle imprese di minori dimensioni deducendo che, dal punto di vista organizzativo, strategico e istituzionale, rimangono inermi di fronte all’ agguerrita e complessa competizione istigata dai mercati internazionali.

Ecco che il territorio sembrerebbe una risorsa ad alto potenziale per le PMI familiari, vitivinicole e non solo, e il fondamentale strumento nella lotta negli scenari mondiali, dai confini sempre più estesi.

Tirando le somme una cosa sembra chiara: non possiamo nascondere l’importanza delle esportazioni del vino italiano. L’ export di questo settore rappresenta una voce redditizia per la nostra nazione con un picco di 7,5 miliardi auspicato entro il 2020.

Da qui, consegue la necessità per le aziende italiane di mostrarsi al resto del mondo, riuscendosi a vendere alla stregua dei cugini francesi. Le carte in regola ci sono tutte se parliamo di prodotti di eccellenza.

Per l’Italia sembrerebbe solo giunto il momento di mettere a punto una strategia di penetrazione del mercato che deve comportare: una maggiore propensione da parte delle aziende alla collaborazione e quindi al “fare rete” (come in maniera lungimirante hanno

227 Cfr. Marshall A., Industry and trade. A study of industrial technique and business organization,

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colto a Lucca); una spinta alla promozione delle eccellenze territoriali ricorrendo anche a canali di promozione, vendita e distribuzione alternativi come l’e-commerce. Questo non vuol dire altro che continuare a puntare sulla qualità e far sì che questa, le nostre tradizioni, la nostra cultura, tout court il nostro territorio, diventino il punto di forza dell’Italia del vino che si appresta ad affacciarsi grazie a internet, alla vendita e alla promozione on line, sui panorami dei paesi del Nuovo Mondo, Cina su tutti.

«Nelle ultime settimane abbiamo venduto 25 milioni di bottiglie, ma solo il 6% è italiano. Quello francese era il 55%. Vuol dire che qui ci sono grandi potenzialità, potete arrivare al 66%. Di certo non possiamo portare 1,5 miliardi di cinesi in Italia a fare shopping, ma possiamo portare i vostri prodotti in Cina». Così ha parlato a Vinitaly 2016

il cinese Jack Ma, fondatore e presidente di Alibaba, il più grande e-commerce del pianeta.

Possiamo tentare di chiarire il concetto e di sintetizzare le riflessioni ricorrendo ad un’analogia tra la pianta della vite e le piccole e medie imprese.

La vite, pianta di tipo dionisiaco, è profondamente attratta dalle forze della Terra, tanto che affonda anche per decine di metri le proprie radici alla ricerca di elementi nutritivi, linfa per i propri frutti, ma non solo. Essa intelligentemente, se in difficoltà, cerca aiuto dalle “colleghe” vicine, per resistere.

Così, a loro modo, possono operare le piccole e medie imprese vitivinicole italiane di successo, come le piccole e medie imprese di altri settori. Fortemente radicate nel sistema locale, riusciranno a fronteggiare la morsa delle multinazionali sul mercato mondiale attingendo dal sistema locale di riferimento risorse e competenze uniche e spesso irriproducibili all’interno della struttura stessa.

Quello che si vuol cercare di riassumere e esplicitare è che per le PMI vitivinicole il territorio diventa il vero differenziale nei confronti della concorrenza, la risorsa su cui puntare per affermarsi e consolidare la presenza anche sui mercati internazionali.228

228 Cfr. Cavusgil S.T., On international process of firms. European Research 8, 1980, pp. 273-281; Czinkota

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Il territorio come una risorsa necessaria per fronteggiare la complessità e per tramutarla in una determinante di vantaggio competitivo.229

Al territorio viene riconosciuta una nuova valenza critica nelle dinamiche produttive: da contenitore diviene accumulatore. E’ uno spazio relazionale, complesso, unico e difficilmente imitabile230 che convoglia risorse e capacità catalizzandole per favorire gli attori che fanno parte del territorio e che, con le loro azioni, ne determinano l’evoluzione fisiologica ed inevitabile.231

Quindi, territorio come leva di vantaggio competitivo e anche e soprattutto da riscoprire come spazio per creare fitte relazioni. I distretti, le reti tra le imprese vitivinicole, come abbiamo avuto modo di osservare, sono strumenti fondamentali per il futuro successo delle piccole e medie imprese lucchesi, toscane e italiane in generale.

Ci sembra poco plausibile parlare di territorio non menzionando i fenomeni distrettuale e di network, più o meno formalizzati ed essenziali nella generazione di vantaggi competitivi delle imprese che li realizzano.

Altro concetto essenziale sembrerebbe quello della “qualità”.

Qualità del prodotto/vino, che rappresenta sempre più un parametro fondamentale per l’acquisto da parte dei consumatori, mossi alla ricerca di qualcosa concepito come un

made in a cui è attribuita una superiorità organolettica, salutistica e per questo è più

apprezzato.

Il territorio può, quindi, rappresentare un bacino fertile dal quale attingere risorse e capacità, un bacino nel quale si crea un’atmosfera industriale, nelle componenti sociali, culturali, storiche e produttive. Sta però all’abilità dell’impresa rendergli giustizia, valorizzarlo esaltando le sue qualità.

Ed è quello che sta facendo Fabbrica di San Martino e il distretto lucchese con la biodinamica e quindi con l’attenzione alla sostenibilità ambientale, altro argomento che

229 Cfr. Garofali G., Sistemi locali e performance dell’impresa minore in Italia. In F. Traù La questione dimensionale nell’industria italiana. Bologna, Il Mulino, 1999; Beccatini G., Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; Rullani E., The Technological Evolution of Industrial Districts, Amsterdam, Kluwer, 2003; Viesti G., Come nascono i distretti industriali, Bari, Laterza, 2000 230 Rullani E., Più locale e più globale: verso una economia postfordista del territorio, in A. Bramanti &

M.A. Maggioni, La dimensione dei sistemi produttivi territoriali: teorie, tecniche, politiche. Milano, Franco Angeli, 1997

231 Caroli M., Il marketing territoriale: strategie per uno sviluppo sostenibile del territorio, Milano, Franco

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meriterebbe un approfondimento a parte. Se parliamo di fonti di vantaggio competitivo, infatti, l’attenzione all’ambiente quindi ai clienti, ai fornitori, ai processi interni, rivestono primaria importanza soprattutto in questi ultimi anni. In una parola sola l’adozione di comportamenti ispirati alla Corporate Social Responsibility (CSR) inizia a farsi strada anche tra le PMI.

Terminata la fase di sperimentazione, il dibattito sulla Corporate Social Responsibility (CSR), ovvero «l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle

preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate» (Libro Verde della Commissione delle Comunità Europee, luglio

2001), ha riservato ampio spazio alla relazione tra CSR e competitività delle imprese anche di piccole e medie dimensioni che non possono essere lasciate al margine delle riflessioni sulla CSR. “Le Istituzioni nazionali e sovranazionali devono promuovere un

quadro per la capillare diffusione della CSR nelle PMI” – questo è quanto si è affermato

durante la conferenza su CSR e PMI, organizzata dall’Unione Europea a Bruxelles il 3 Maggio dell’ormai lontano 2007.

Ed è quello che deve fare l’Italia delle piccole e medie imprese vitivinicole se vuole competere nel mondo.

E lo confermano anche le parole e le scelte degli addetti ai lavori, ma anche i dati al termine di un Aprile 2016 che ha visto l’Italia vetrina di incontri intellettuali e poliedriche verticali, dove le donne del vino salgono alla ribalta, dove sommeliers ed esperti più o meno autorevoli discorrono e giudicano tra un sorso di vino naturale e un altro studiato a tavolino.

La cinquantesima edizione di Vinitaly è stata anche l’occasione per la presentazione del Testo Unico della vite e del vino che è la prova tangibile del lavoro svolto dalla filiera italiana del vino.

Il settore vitivinicolo è strategico per l’economia nazionale in termini di produzione (650 mila ettari vitati, 385 mila aziende agricole e 65 mila imprese nelle fasi industriali di vinificazione e trasformazione) e di mercati (con l’export che vale 5,4 miliardi di euro, ovvero il 15% di tutto l’agroalimentare).

Ecco perché è necessario, secondo tutti i protagonisti della filiera, proteggere i vini e i loro territori di origine, che negli anni sono diventati strategici. Le Organizzazioni

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chiedono impegno ai governi nazionali ed europei per aiutare le PMI a proteggere le proprie posizioni concorrenziali con strumenti a favore della loro competitività sui mercati internazionali e la capacità di assorbire variazioni di mercato.

La filiera tutta mira a supportare quei progetti in grado di aumentare il valore delle nostre esportazioni, puntando sui Paesi emergenti e consolidando quelli già partner di scambi commerciali, favorendo iniziative integrate tra imprese in grado di affrontare l’export con una comunicazione efficace e incisiva. Ecco perché è importante essere uniti ed evitare interventi pubblici che portino spreco di energie e risorse, mentre nel mondo le nostre denominazioni subiscono continui attacchi di contraffazione.

Saranno ben accolti negoziati bilaterali per aiutare il settore a difendere il patrimonio vitivinicolo italiano, consentendo di tutelare effettivamente le denominazioni di origine e riconoscendo agli Stati produttori il diritto di intervenire in ambito internazionale facendo cessare gli abusi. Le Organizzazioni lanciano un chiaro messaggio: il futuro della viticoltura è strettamente correlato alla capacità di far leva sugli elementi vincenti che caratterizzano l’intero comparto, a patto che ci sia una visione complessiva di lungo termine e una analisi e misurazione delle misure di sostegno concertata e approfondita con tutti gli attori della filiera.

Anche dal punto di vista turistico, sviluppando capacità attrattive di respiro internazionale.232

Quale il futuro del vino italiano? Quale il futuro delle piccole e medie imprese familiari forgiate dalle mani sapienti degli artigiani fondatori?

Secondo le Organizzazioni occorre non disperdere il patrimonio che rende unica l’espressione enologica di ogni territorio. Un approccio corretto al bere passa attraverso il racconto del vino come elemento della nostra storia e della nostra cultura. Quindi, la risposta va ricercata nella tradizione che ruota necessariamente intorno all’innovazione, intorno alla globalizzazione e alla internazionalizzazione.

È importante non perdere la propria identità, cultura, storia che è ciò che caratterizza ogni persona, ogni famiglia, ogni impresa, ogni Paese, ogni popolazione ed è ciò che ci

232 Articolo tratto da http://www.confagricoltura.it/ita/press-room_anno-2016/aprile-2/vino-produttori- e-protagonisti-in-europa-e-nel-mondo-il-ruolo-della-filiera-nella-definizione-delle-politiche-e-delle- strategie-di-mercato.php

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permettere di sopravvivere e continuare a tramandare valori ed ideali; ma è importante, nel giro di boa della rivoluzione digitale guardare oltre il proprio naso.

Per il buon vino italiano quindi pochi ingredienti: sosteniamo le politiche di esportazione, ma facciamolo in modo eticamente corretto, caldeggiando il vero Made in

Italy, tutelando le denominazioni d’origine, promuovendo il turismo enogastronomico,

mettendo a punto strategie di marketing a sostegno della comunicazione e diffusione della bellezza che contraddistingue il nostro Bel paese.

Concludendo, ancora, per l’ultima volta in questo lavoro, non possiamo non rimarcare in senso lato la potenzialità strategica di un’impresa familiare che nasce in un determinato spazio, fisicamente definito, e che crea, a partire da questo, un “territorio” nella sua accezione di insieme composito di valori, cultura, storia e tradizioni. Le imprese familiari italiane, a maggior ragione se vitivinicole, devono la propria ragion d’essere all’appartenenza all’ambiente naturale dove sorgono, che infonde loro caratteristiche uniche ed inimitabili, fonte di vantaggio competitivo di focalizzazione basata sul prezzo per quelle realtà economiche che ne colgono e ne apprezzano il valore. D’altro canto, le stesse imprese, con la loro evoluzione e la rete di rapporti socio-economici che tessono con i vari stakeholder, riescono a dar forma e vita propria al territorio, che si anima e vive in rapporto con l’impresa sul filo di un’inflazionata sostenibilità, che, in senso puro, è l’artefice della continuità nel tempo delle forme produttive locali.

Nessun territorio è uguale ad un altro. Ognuno ha le proprie peculiarità tali per cui non è concepibile produrre un Colline Lucchesi DOC nel pur fervido Veneto.

Se vogliamo salvare e salvaguardare il patrimonio economico, ma anche di conoscenze culturali ed artistiche, gelosamente custodito nelle casseforti invisibili delle piccole imprese familiari, non dobbiamo dimenticarci delle radici che contengono il nostro DNA.

Il radicamento territoriale scava profondi sentieri da percorrere per sopravvivere nel tempo e nello spazio.

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