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L'importanza delle competenze e il processo di acquisizione del personale: il caso BCC Fornacette s.c.p.a.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di laurea

L’IMPORTANZA DELLE COMPETENZE E IL PROCESSO DI

ACQUISIZIONE DEL PERSONALE: IL CASO

BCC DI PISA E FORNACETTE s.c.p.a.

Relatore

Chiar.mo Prof

.

Marco Giannini

Candidato

Lorenzo Citi

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Con affetto alla mia famiglia, ai parenti, agli amici tutti, senza il cui supporto non avrei mai potuto raggiungere questo importante obiettivo

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INDICE

INTRODUZIONE……….3

CAPITOLO 1 KNOWLEDGE MANAGEMENT E GESTIONE RISORSE UMANE 1.1 Premessa………6

1.2 L’importanza delle competenze………...7

1.3 Capitale tangibile e intangibile………..12

1.4 Knowledge Management………29

1.5 La direzione risorse umane e lo sviluppo del capitale intellettuale……46

1.6 La gestione dei talenti……….61

Bibliografia capitolo 1………90

CAPITOLO 2 PROCESSO DI RICERCA E SELEZIONE DEL PERSONALE 2.1 Il reclutamento………93

2.1.1 Strumenti di ricerca interna………...119

2.1.2 Strumenti di ricerca esterna………...122

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2.2.1 Le fasi della selezione………..136

2.2.2 I metodi per la selezione del personale………..140

2.3 La figura del selezionatore………...161

Bibliografia capitolo 2………..163

CAPITOLO 3 LA BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI PISA E FORNACETTE 3.1 Generalita’ sulle Banche di Credito Cooperativo……….167

3.2 Caratteristiche delle Banche di Credito Cooperativo………..169

3.3 Implicazioni sulle risorse umane………171

3.4 Competenze richieste al personale bancario……….175

3.5 La Banca di Credito Cooperativo di Pisa e Fornacette (BCCPF)…...177

3.6 BCC di Pisa e Fornacette: breve tracciato storico………178

3.7 I valori della BCCPF………...180

3.8 La motivazione in BCCPF: un caso singolare………...181

3.9 L’importanza del fattore umano in BCCPF………..182

3.10 Fattori caratterizzanti le risorse umane in BCCPF………..183

3.11 La scelta del responsabile risorse umane: un reclutamento interno...184

3.12 La nascita dell’ufficio risorse umane: generalita’………185

3.13 Gli strumenti di ricerca del personale………190

3.14 Il reclutamento fino al 2013………191

(5)

CONCLUSIONI………202

BIBLIOGRAFIA GENERALE………...204

SITOGRAFIA GENERALE………...209

(6)

INTRODUZIONE

Negli anni la funzione delle risorse umane ha subito un’evoluzione. Da ruoli strettamente di carattere amministrativo, ha assunto responsabilità strategiche all’interno delle organizzazioni, che richiedono l’introduzione di strumenti in grado di garantire l’efficacia dei processi di gestione del personale e quindi la valorizzazione delle risorse coinvolte e delle loro capacità.

L’elaborato si compone di tre capitoli, due teorici e uno applicativo.

Nel primo capitolo, viene affrontata l’importanza che rivestono oggi le risorse umane nelle organizzazioni. Autorevoli ricerche hanno infatti avvalorato la tesi che il capitale intellettuale e le persone che ne sono portatrici, rappresentano i fattori chiave per il raggiungimento di un vantaggio competitivo duraturo e rappresentano quindi dei “drivers” per il successo aziendale. Pertanto viene approfondito il tema del “Knowledge Management” per poi passare alle politiche di gestione dei talenti, le quali assumono sempre più la forma di veri e propri percorsi ideati dalla funzione risorse umane per attrarre, trattenere e valorizzare i profili più promettenti all’interno dell’organizzazione. Quindi si analizza il tema del talento da un punto di vista teorico: partendo dalla “Guerra dei talenti”, alla necessità di impiegarli e valorizzarli per raggiungere elevati livelli di performance. Viene, inoltre, tracciato un identikit del “talento”, delineando le sue caratteristiche più evidenti all’esterno, per rendere più agevole la sua individuazione in ambito aziendale. Dopo questa panoramica teorica vengono definite le politiche e gli strumenti concreti di cui si avvalgono le funzioni delle risorse umane all’interno delle organizzazioni, per gestire i collaboratori di talento in azienda: il talent management.

Nel secondo capitolo, vengono descritti i principali momenti e strumenti del processo di selezione del personale: il recruiting, vale a dire la ricerca dei candidati attraverso diversi tipi di canali informativi. Viene operato, pertanto, un confronto tra i canali di reclutamento di tipo “tradizionale” (annunci su

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quotidiani, radiofonici, agenzie interinali, università, etc..) e i cosiddetti “nuovi canali”, termine con il quale si indicano tutti quelli operanti tramite il web.

Ci soffermeremo soprattutto sul Social Recruiting, ossia sul reclutamento effettuato tramite i social network e i social media. Si tratta della tipologia di reclutamento più recente e maggiormente innovativa.

Tra i vari strumenti di selezione si approfondisce in particolar modo il metodo dell’Assessment Center, un processo di valutazione finalizzato a ridurre l’errore insito nel processo valutativo, attraverso l’utilizzo di più osservatori e tecniche di osservazione.

Sempre nel secondo capitolo si spiega brevemente la valenza che assume, attualmente, lo stage in Italia, e quindi i diversi modi di accesso al mondo del lavoro per neo-laureati e neo-diplomati.

Si conclude il capitolo parlando della figura del selezionatore in quanto in un mercato saturo dal punto di vista della disponibilità di prodotti, l’elemento che permette un vantaggio competitivo è, appunto, costituito dalle risorse interne, ossia da coloro che operano in linea con la filosofia aziendale e contribuiscono alla crescita e allo sviluppo del contesto lavorativo di cui fanno parte. La scelta del personale si rivela, dunque, un processo estremamente complesso poiché costituisce la base di una pianificazione volta al successo nel lungo termine. Di conseguenza, le competenze richieste alla figura del selezionatore sono mutate e aumentate.

Infine, nel terzo e ultimo capitolo, si avvalora e approfondisce ulteriormente quanto detto nel secondo capitolo analizzando da vicino il settore del credito ed in particolar modo il contesto della Banca di credito cooperativo di Pisa e Fornacette (BCCPF). Si presentano i tratti tipici delle politiche di ricerca e selezione che determinano lo sviluppo, se correttamente adottate, delle risorse umane nel settore bancario. A tal proposito si effettua un confronto del processo di selezione nella BCCPF prima e dopo il 2013.

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Il caso BCCPF è funzionale a far capire come un’organizzazione passi da una semplice amministrazione del personale ad un vero e proprio sviluppo della risorsa umana quale asse fondamentale del “saper fare banca”. Si cercano, inoltre, di capire i fattori di contesto che hanno fatto maturare l’esigenza di creare un centro unico di gestione, quale “l’ufficio risorse umane”, con responsabilità dirette sulle politiche e strategie della banca stessa.

A fine capitolo si presentano le conclusioni a cui sono giunto nell’analisi del “fattore umano” ed in particolar modo del personale in banca.

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CAPITOLO 1

KNOWLEDGE MANAGEMENT E GESTIONE RISORSE UMANE

1.1 PREMESSA

“L’elemento fondamentale di un’azienda è l’essere sicura di avere al proprio interno persone che sappiano fare determinate cose, non già di descrivere o prescrivere che cosa le persone debbano fare in una data posizione” (F.Ratti )

Queste note caratterizzano lo sviluppo applicativo nel nostro paese del “metodo delle competenze”, il metodo di gestione che a partire dagli ultimi anni ottanta ha profondamente innovato lo sviluppo delle risorse umane nelle organizzazioni. Da una parte il metodo delle competenze ha una caratteristica distintiva molto importante. Ha introdotto in azienda la “ricerca sociale a fini operativi” (F.Ratti) aprendo le organizzazioni ad accogliere la crescente indefinibilità delle diverse posizioni (job) e la crescente incontrollabilità da parte della gerarchia del diverso svilupparsi delle prestazioni delle persone. Per la prima volta nella storia e nella cultura dell’organizzazione, un metodo di gestione delle risorse umane (metodo delle competenze) sembra coerente con la dichiarata centralità del fattore umano per la creazione del valore.

Il metodo delle competenze:

 Deve poter accompagnare la donna e l’uomo che lavorano in un rapporto ricorsivo e creativo con l’ambiente organizzativo nel quale operano.

 Si nutre di localismo e di specificità, totalmente connesso alle caratteristiche strategiche, culturali, organizzative del contesto specifico di riferimento: lontani da questa ipotesi si adottano modelli universalistici che non connettono gli sforzi di miglioramento di attori organizzativi con

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quel quid di specifico.

 Deve saper registrare la specificità di ogni soluzione inventata dal best performer nello sviluppo delle sue competenze.

 Deve essere alimentato da una ricerca incessante, esso infatti è ontologicamente connesso con la risorsa umana, la realtà organizzativa in maggiore, continuo, imprevedibile mutamento.

1.2 L’IMPORTANZA DELLE COMPETENZE:

Nella realtà organizzativa delle aziende tradizionali, quella che gli anglosassoni chiamano “bricks and mortar” (letteralmente significa “mattoni e malta” si identifica una attività legata all'economia reale, caratterizzata dunque dall'esistenza di strutture aziendali fisiche, in cui i clienti posso recarsi di persona per vedere ed acquistare i prodotti. Negli anni 2000 il termine è entrato nel linguaggio comune, a indicare la differenza tra aziende "fisiche", dette la Old economy, in opposizione a quelle della "New economy") le strutture erano gerarchizzate e i compiti ben definiti. In questo contesto si è affermata la cultura della “job evaluation”.

Quando i meccanismi di funzionamento delle organizzazioni tradizionali si sono dimostrati non più all’altezza della esigenza di flessibilità, dovuta alla crescente complessità e variabilità dei mercati, si è imposta la necessità di destrutturazione dei compiti e della mansione. Si è chiesto alle persone di superare i confini organizzativi di quest’ultima, ecco allora affermarsi l’approccio delle competenze basato sulle caratteristiche delle persone e sul concetto di sviluppo dei punti di debolezza.

In tale contesto di mutevolezza e dinamicità dell’ambiente il vantaggio competitivo di un’impresa deriva dal differenziale di competenze che la stessa riesce ad esprimere e a far apprezzare ai propri clienti.

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Con la crescente variabilità e complessità dei mercati il quadro di riferimento va rapidamente cambiando e alcuni segnali si stanno modificando: dal lato dell’offerta, si affaccia sul mercato del lavoro una “superclasse nomade” costituita da professionisti altamente specializzati (nei campi della ricerca, della finanza ecc) per i quali l’autosufficienza, l’indipendenza e l’autonomia rappresentano i caratteri distintivi.

In una realtà produttiva integrata, fondata sull’ intreccio dei reticoli finanziari, industriali e tecnologici, il potere si basa sul nomadismo. I lavoratori nomadi dotati di un livello di professionalità elevato detengono ormai un potere di ricatto considerevole rispetto alle imprese che, oggi più che mai, fondano il loro benessere sulla qualità delle risorse umane che impiegano.

Per restare competitive a un livello globale le imprese devono reclutare i dipendenti più capaci. Attirare i “nomadi” pero’, non è sufficiente, bisogna anche essere in grado di trattenerli. Oggi, nessuno è più disposto a rispettare il comandamento della fedeltà aziendale; ciascuno si pone in un rapporto contrattuale con il proprio datore di lavoro. Non appena un’impresa è in grado di offrire condizioni più attraenti il nomade ci si dirige, si sposta, incurante dei legami precedentemente creati e delle responsabilità che possono essergli affidate.

I “nomadi” si annoiano in fretta e quando hanno l’impressione di aver tratto quanto c’era da imparare da una data esperienza, passano altrove; se l’azienda non è in grado di fornirgli nuovi stimoli, sarà la concorrenza a farlo.

In tale contesto si inseriscono le riflessioni di DRUCKER:

I knowledge workers possiedono i mezzi di produzione. Le conoscenze acquisite rappresentano un asset di grandissimo valore e totalmente esportabile, poiché i mezzi di produzione sono mobili. I top knowledge workers sono supportati da agenti che li rappresentano nella trattativa con le aziende.

L’attività di gestione della conoscenza prende generalmente il nome di Knowledge Management e rappresenta una attività chiave nel contesto dello

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sviluppo delle aziende che vogliono rimanere competitive nel settore della net economy.

La sfida delle competenze:

L’evoluzione del contesto organizzativo fa sì che sia necessario ripensare le politiche e le pratiche di gestione delle risorse umane, centrate tradizionalmente sui ruoli e posizioni per spostare l’accento sulle competenze.

L’evoluzione continua delle strutture organizzative, per tenere il passo con la dinamica di cambiamento dei mercati di riferimento, genera una progressiva indefinizione dei contenuti di ruoli e posizioni.

Vediamo attenuarsi sempre di più la mera elencazione dei compiti operativi mentre assume sempre più importanza cio’ che le persone sanno fare, specialmente nei settori di rilevanza strategica per l’azienda. L’acquisizione, il mantenimento e lo sviluppo delle competenze e capacità cruciali, rappresentano la nuova sfida nel campo della gestione delle risorse umane.

Questo spostamento di interesse genera la necessità di un ripensamento globale delle principali politiche e pratiche di gestione delle direzioni del personale. “Obiettivi x competenze” rappresenta la nuova equazione del successo aziendale. Con questo approccio l’enfasi viene a spostarsi nel medio-lungo termine che risulta meglio presidiato prestando attenzione al come le persone svolgono i propri compiti. Il presidio del breve termine, che non può e non deve essere dimenticato, sarà garantito da forme retributive variabili collegate con gli obiettivi annuali.

I piani di reclutamento e sviluppo delle risorse umane, verranno sempre piu’ ad assumere la rilevanza di veri e propri piani di investimento in cui, la variabile risorsa umana, cesserà di essere pensata in termini di costo per configurarsi invece come uno dei principali asset aziendali.

Il compito principale per la maggior parte delle aziende sarà non solo quello di introdurre pratiche di lavoro più flessibile, ma anche di garantirsi la possibilità di

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avere risorse umane in grado di far cogliere all’azienda tutte le opportunità che questo tipo di organizzazione può fornire. Ciò significa avere, ad esempio, manager/collaboratori formati a gestire sistemi produttivi “just in time”, cambiando radicalmente il proprio modo di pensare alla logistica ed a tutta la supply chain aziendale nonche’ ai sistemi interni di gestione: capi capaci di motivare e di organizzare lavori di gruppi di produzione e operai con capacità tali da poter svolgere molteplici job e di contribuire alla qualità e all’innovazione. Se la produzione degli anni ottanta, novanta si è sviluppata in nuove metodologie di produzione, oggi le aziende devono investire più pesantemente nella capacità dei loro manager e dei loro operatori.

Quindi il concetto di “job” risulta essere sempre meno definito, per le aziende assumerà sempre maggior importanza una precisa definizione delle capacità e competenze dei propri dipendenti per garantirsi un’adeguata sicurezza di conseguimento dei propri obiettivi strategici in una realtà crescente in termini di complessità e in cui le aziende tenderanno ad adottare un diffuso principio di servizio sia verso l’interno sia verso l’esterno.

Questo cambiamento di focalizzazione comporterà una diversa enfasi delle componenti dei sistemi di gestione delle risorse umane e un ripensamento dei loro contenuti.

In tale contesto, le nuove forme organizzative o le nuove modalità operative delle aziende tendono a destrutturare progressivamente i job. I confini divengono sempre meno definiti sia per la dinamica dei ruoli di fronte al processo continuo di cambiamento sia per le scelte di voluta sovrapposizione effettuate dalle aziende attraverso il sempre più continuo ricorso a processi di ampliamento e orizzontalizzazione delle relazioni.

La destrutturazione e il totale affidamento alle competenze porta ad una diffusa richiesta di comportamenti innovativi e imprenditoriali all’interno dell’organizzazione. Un'altra idea verso la destrutturazione è rappresentata dal fatto che le aziende tendono ad assumere sempre più le caratteristiche di “raccoglitori” di conoscenze.

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Tutto questo implica che all’interno delle aziende le funzioni che si occupano di ricerca e sviluppo o di innovazione in senso lato, vanno assumendo importanza e consistenza sempre più ampia. E il lavoro di questi gruppi è difficilmente riconducibile a prefissabili schemi.

Le competenze:

In tale contesto il rango aziendale della posizione dovrà essere determinato sia dal tipo di capacità e competenze di maggior importanza strategica per l’azienda sia dal loro grado di intensità. Occorre fare una precisazione: quando parliamo di capacità e competenze ci riferiamo al bagaglio delle conoscenze tecnico professionali possedute nel primo caso, ed a comportamenti organizzativi osservabili nel secondo. Come si vede non si tratta di predisposizioni innate, ma di elementi apprendibili sia teoricamente che nella realtà operativa. Un elemento discriminante da tenere in considerazione sarà rappresentato dalla difficoltà di acquisizione di questi elementi, che determinerà quindi il loro “valore” interno, e dalla loro diffusione all’esterno, che ne determinerà il loro valore sul mercato in maniera molto segmentata in relazione ai bisogni strategici specifici delle singole aziende.

Tale competenza risiede appunto nelle risorse umane che operano all’interno dell’azienda le quali rappresentano molto di più di un costo iscritto nel conto economico: sono un vero e proprio capitale, anche se intangibile perché non registrabile nello stato patrimoniale. Una parte significativa del differenziale tra il patrimonio netto attivo e il reale valore di mercato di un’impresa, tipicamente superiore al capitale finanziario, definito come Avviamento (goodwill), rappresenta la competenza distintiva sostenuta dal capitale umano.

Quindi il capitale umano come fattore essenziale per lo sviluppo economico in genere e per lo sviluppo dell’economia d’impresa in particolare. Si tratta di un “capitale vivo” che quando funziona bene consente all’impresa un apprendimento collettivo efficacemente espresso nel concetto di “learning organization”.

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L’idea di fondo è che la cura e l’accrescimento delle competenze individuali portino all’accrescimento della performance dell’intera azienda.

Nell’ambito del valore totale di un’impresa abbiamo da un lato, il valore contabile che emerge dal bilancio come differenza tra le attività e le passività e che corrisponde al patrimonio netto dell’impresa, cioè il suo capitale tangibile. Dall’altro lato abbiamo il cosiddetto capitale intangibile (o capitale intellettuale) che deriva dalla differenza tra il valore che il mercato azionario o un determinato acquirente attribuisce ad un’impresa e il citato valore contabile inscritto nello stato patrimoniale del bilancio.

E’ possibile affermare che l’economia dell’intangibile negli ultimi anni ha ormai di fatto eguagliato in rilevanza strategica e dimensioni l’economia del tangibile. Ciò naturalmente a tutto vantaggio delle aziende che per prime hanno investito tempo e risorse nella ricerca dei metodi migliori per valorizzare i propri asset strategici sul versante delle risorse intangibili, ossia quelle che prima delle altre hanno basato il proprio business sulla gestione di ciò che è stato definito capitale

intellettuale .

1.3 CAPITALE TANGIBILE E INTANGIBILE

L’idea del capitale intellettuale si contrappone logicamente, ma s’integra funzionalmente, con quello che i diversi esperti e praticanti chiamano capitale finanziario o capitale strutturale dell’organizzazione. Quest’ultimo è la piattaforma per così dire fisica su cui s’instaura la valutazione economica dell’azienda.

E’ la parte da sempre visibile del patrimonio aziendale fatto di costruzioni, attrezzature, disponibilità finanziarie e procedure normative che le fanno interagire. Introdurre il concetto di capitale intellettuale significa sottolineare una dimensione sicuramente già nota ma non sempre ritenuta decisiva nel processo di affermazione delle imprese.

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L’uso del concetto fa emergere il patrimonio invisibile o intangibile dell’azienda e la porta a fattore comune con gli altri valori economici e finanziari. La parte “invisibile” del bilancio può essere classificata come una “famiglia dei tre”:

1. Struttura Interna: è data dai brevetti, concetti, modelli, sistemi amministrativi e reti informatiche. Queste sono create dagli impiegati e sono generalmente “di proprietà” dell’organizzazione e aderiscono ad essa. Talvolta tali beni possono essere acquistati dall’esterno. Anche la “cultura” o lo “spirito” appartengono alla Struttura Interna. Essa assieme alle Risorse umane costituisce quello che generalmente si chiama “organizzazione”.

2. Struttura Esterna: consiste nelle relazioni con clienti e fornitori, nei marchi e nella reputazione o “immagine”. Alcuni di questi possono essere legalmente considerati “proprietà”, ma il confine non è così marcato come nel caso della Struttura Interna, in quanto gli investimenti in questi elementi non possono essere fatti con lo stesso grado di confidenza. Il valore di tali beni è principalmente influenzato dalla capacità dell’azienda di risolvere i problemi dei suoi clienti e in ciò, vi è sempre un elemento d’incertezza. I beni intangibili non sono particolarmente liquidi e a differenza dei beni materiali possono essere o non essere di proprietà dell’azienda. Questo flusso diretto verso l’esterno crea relazioni, network, immagine, ossia gli elementi della struttura esterna dell’organizzazione.

A causa della scarsità delle risorse finanziarie per investimenti in beni intangibili, il loro sviluppo è in gran parte autofinanziato. In altre parole i beni invisibili si accoppiano nella sezione delle fonti di finanziamento con una parimenti invisibile finanza, gran parte della quale forma il capitale invisibile.

3. Competenze delle persone: è l’abilità delle persone ad agire in varie situazioni. Include le capacità, l’istruzione, l’esperienza, i valori e le abilità sociali.

Le competenze non possono essere di proprietà di nessuno al di fuori della persona che le possiede, perché fino a prova contraria gli impiegati sono membri volontari delle organizzazioni.

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Tuttavia un’eccezione può essere fatta per includere le competenze nel bilancio d’esercizio, in quanto è impossibile immaginare un’organizzazione senza personale. I dipendenti tendono ad essere leali se trattati equamente e avvertono una sensazione di responsabilità condivisa. Ecco perché le organizzazioni sono generalmente liete di pagare dei bonus a coloro che vanno in pensione o devono essere licenziati. Questi bonus variano da stato a stato ma spesso prendono la forma di uno stipendio ridondante, di accordi “paracadute”, di pensioni. Sebbene tali impegni di solito non vengono registrati come passività di bilancio, essi possono essere visti come promesse o impegni alla stregua dei contratti di leasing o di affitto e dunque come una forma di finanziamento invisibile delle competenze degli individui.

Utilizzando la seguente figura si esamina la struttura patrimoniale dell’organizzazione basata sulla conoscenza.

Capitale intellettuale

Figura tratta da: G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, FrancoAngeli, Milano 2002, pag.90.

Risorse umane Patrimonio di innovazione Proprieta’ intellettuale Patrimonio organizzativo

Capitale stutturale Strutture fisiche

Attrezzature Finanza

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Il patrimonio invisibile (asset intangibile) è fatto prima di tutto dalle Risorse umane che hanno capacità più o meno elevate di prestazione e creazione. Un’impresa manifatturiera di qualità ha bisogno di progettisti attivi e creativi nell’area dei nuovi prodotti e di esecutori “perfetti”, efficienti riproduttori nell’area di fabbricazione.

L’eccellenza intellettuale di entrambi questi gruppi professionali è definita come un asset organizzativo intangibile (una risorsa patrimoniale) importante. Così come lo è la disponibilità e la precisione informativa del centralinista e di ogni altro operatore front-line nelle organizzazioni di servizio.

Quelli appena citati sono esempi di brainpower (potere mentale) applicato a differenti funzioni dell’organizzazione e che costituiscono il capitale intellettuale. Un altro esempio è dato dalla capacità di networking del responsabile di marketing o di vendita. Le liste di contatti e clienti registrati su carta o nella memoria di PC sono oggetti fisici, costituenti del capitale strutturale d’impresa. Il ruolo specifico (il know-how) con cui il responsabile effettivamente usa quelle liste, realizza i contatti e completa il risultato è capitale intellettuale. Le liste dei contatti o dei clienti dell’organizzazione si possono materialmente vedere. Le modalità di azione (anche se “ispezionabili” dall’esterno) sono un patrimonio nascosto dell’operatore che le realizza. Peraltro nell’organizzazione tutti sanno che alcune persone hanno know-how (cioè valgono professionalmente) e altre no; e che alcuni addetti sono un peso per l’impresa, mentre altri sono un continuo investimento produttivo.

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Con la seguente figura si rappresenta il ruolo delle Risorse umane nell’azienda:

Generano valore

-Macchinari -Know-how -Prodotti -Immagine

-Impianti -Innovazione -Relazioni con i

clienti

-Strumenti teconol. -Cultura -brand

Figura tratta da: A. Cravera, La valorizzazione degli asset intangibili: due modelli di rendicontazione a confronto, HAMLET, AIDP, N.29-11/2001, pag.60.

La nozione di capitale intellettuale ha poi a che vedere con la proprietà

intellettuale dell’impresa. Questa si traduce in oggetti stabili (legalmente tali)

come marchi, brevetti, licenze, che hanno valore strutturale e una valutazione economica definita nel bilancio aziendale.

Come componente del capitale intellettuale d’impresa, la proprietà intellettuale è da intendere in modo più ampio. Essa include non solo il sapere esplicitato, ma anche il cosiddetto sapere tacito che è nelle menti delle Risorse umane e che può

Le persone

Interno Esterno

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essere fatto emergere attraverso le attività innovative di lavoro: progetti, ricerche, applicazioni creative, ecc.

Fra le risorse invisibili dell’impresa vi sono una serie di comportamenti organizzativi che non corrispondono ad organigrammi e procedure strutturate ma che li integrano attraverso la sensibilità attiva di chi li mette in essere. A cominciare dalla strategia generale del top management per finire all’ultima applicazione quotidiana del customer care, tutto si ricomprende nell’area di implementazione del capitale intellettuale d’impresa.

La tabella seguente dà una prima sommaria lista delle componenti dell’intelligenza visibile o nascosta delle organizzazioni.

Risorse umane Livelli educativi Qualifiche professionali Sapere specialistico Competenze applicative Reti di consulenza Proprietà intellettuale Segreti industriali Brevetti Marchi registrati Copyright Software proprietario Metodologie proprietarie Commerciali Nome dell’azienda Brand

Fedeltà della clientela

Canali distributivi Posizionamento territoriale Contratti da evadere Reti di mediazione Licenze Organizzativi

Orientamenti strategici del Top Management

Cultura aziendale

Uso dei sistemi informativi

Networking

Relazioni finanziarie

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Oltre a questi aspetti cruciali ce ne sono altri che distinguono il capitale intellettuale dagli “asset tangibili” di un’organizzazione.

1. Il capitale intellettuale è l’unico asset che si rivaluta nel tempo invece di deprezzarsi. I macchinari, gli edifici e gli altri asset simili iniziano a perdere di valore dal giorno stesso in cui vengono acquistati; il know-how delle persone, invece, è in continua evoluzione e genera nuove conoscenze. Il compito principale del manager moderno è quello di far crescere e rendere produttivo il know-how delle persone, trasformando il capitale intellettuale in valore per il cliente.

2. Il capitale intellettuale di un’organizzazione non si “consuma” con l’uso e non diminuisce a mano a mano che viene usato, anzi, è probabile che aumenti. Mentre è possibile vendere il prodotto/servizio frutto del capitale intellettuale, il know-how resta e può essere utilizzato nuovamente un numero infinito di volte. 3. A differenza degli asset tradizionali che sono posseduti nella quasi totalità dall’organizzazione, il capitale intellettuale appartiene principalmente alle persone che ne fanno parte. La distinzione, che talvolta diviene contrapposizione, tra i diversi detentori dei due principali mezzi di produzione tradizionali, il lavoro che è delle persone e il capitale che normalmente viene fornito dall’impresa, nella nuova economia basata sulla conoscenza viene superata perché è la persona il principale detentore sia del lavoro sia della nuova forma di capitale, per l’appunto quello intellettuale.

Questa nuova e dirompente prospettiva pone al management odierno una serie d’interrogativi cui occorre trovare una risposta efficace. Il paradosso dei giorni nostri sembrerebbe essere che proprio nel momento in cui le persone diventano la risorsa più importante e più critica per il successo futuro di un’azienda, gli imprenditori non sono in grado di poter offrire un posto di lavoro sicuro.

Quindi il capitale intellettuale come fonte di vantaggio competitivo in quanto le fonti tradizionali del successo delle imprese negli anni hanno perso la loro

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rilevanza di leve strategiche a favore di variabili quali la conoscenza, capacità, competenza, la cultura, l’apprendimento, ecc.. (Gurrado, 2004).

Il concetto di capitale intellettuale è riconducibile in parte all’interno del sistema azienda, negli individui che vi lavorano e nel suo assetto organizzativo, ed in parte al suo esterno, nelle relazioni con gli interlocutori esterni.

Le componenti del capitale intellettuale sono rappresentate da :

il capitale relazionale (o cliente)

il capitale umano

il capitale organizzativo (Fruci, Gnan, 2009): si tratta di fattori fondamentali per creare valore e implementare una strategia basata sulla conoscenza.

Il capitale cliente si riferisce alla capacità di instaurare relazioni stabili col mercato e gli stakeholder esterni. Per capire che cosa rappresenti realmente il capitale cliente e quali opportunità di ricchezza crei sia per l’acquirente sia per il venditore, occorre prendere in esame la catena del valore. Si ricorda che quest’ultima è il processo attraverso il quale un prodotto o un servizio passa dal primo fornitore all’utente finale, dalle materie prime ai prodotti finiti. Il valore si aggiunge, o dovrebbe aggiungersi, in ciascuno dei diversi stadi. L’idea è di aggiungere il massimo valore possibile al minor costo possibile e di conteggiare questo valore nella propria percentuale di ricarico sui costi.

Il capitale cliente è da intendere anche in termini di comportamento attivo e passivo da parte dell’operatore aziendale. In ogni momento, per i prodotti e servizi offerti, si è cliente e fornitore lungo la catena del valore e su una rete di relazioni.

Il sapere aziendale non viene più acquisito unicamente con sforzi di ricerca e sviluppo interni ed autonomi. L’innovazione si ottiene da una fitta interrelazione sui quattro poli del networking strategico aziendale (si veda la seguente figura).

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Nuovi mercati

Fornitori Clienti

concorrenti

(Figura tratta da: G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, FrancoAngeli, Milano 2002, pag.101.)

Ciascuno degli attori dà e guadagna sapere, attraverso processi di consultazione e condivisione, e l’applicazione di processi di concorrenza cooperativa.

La componente più ambita, in termini di valorizzazione finanziaria, è sicuramente quella della dominanza d mercato o, se si vuole, della prevalenza nel customer management nell’area del proprio business.

La solidità dei rapporti con il cliente e la valorizzazione di questa componente intangibile del capitale intellettuale interviene a più livelli e con diversi indicatori come: Obiettivo strategico aziendale Allean ze di diversi ficazio ne Alleanze a valle Alleanze a monte Al lean ze o riz zo n tali

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 il tipo di cliente;

 la durata della fornitura;

 il ruolo del cliente;

 il supporto ricevuto dal cliente;

 il succeso del cliente.

Importantissimo per lo sviluppo del capitale cliente è inoltre il contributo che ciascun cliente fornisce per migliorare la prestazione nei propri confronti e degli altri customers. Nell’area del capitale cliente si sviluppa, infine, una grande quantità del valore aggiunto contenuto nei prodotti/servizi ad alta intensità di conoscenza: ad esempio i servizi informatici.

Il capitale organizzativo (strutturale) comprende invece la conoscenza codificata che resta nell’impresa, indipendentemente dalle persone, nonché le procedure, la strategia, il clima, ecc…

L’obiettivo del management è contenere e trattenere la conoscenza affinché divenga proprietà dell’azienda. E’ ciò che si chiama capitale strutturale.

Secondo Peter Drucker: “Soltanto l’organizzazione può assicurare quella continuità di fondo di cui i lavoratori della conoscenza hanno bisogno perché il loro lavoro sia efficace. Soltanto l’organizzazione, quindi, può trasformare in rendimento il saper specialistico del “lavoratore della conoscenza”. Questo significa che anche le persone più intelligenti hanno bisogno di un meccanismo che assembli, confezioni, promuova e distribuisca il frutto del loro pensiero. Un’azienda dotata di ottimi professionisti e di un altissimo potenziale in termini di capitale umano può forse operare nel brevissimo termine, ma non ha alcuna speranza di essere competitiva o addirittura di sopravvivere nel medio termine se non crea le condizioni affinché si crei capitale intellettuale di tipo strutturale, ossia affinché il lavoro dei suoi professionisti non venga gestito, strutturato e valorizzato al di là della singola commessa.

Per chiarire con un esempio, usando una analogia ben nota per chi si occupa di reti: se il capitale umano è rappresentato dalle automobili circolanti in

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un’autostrada, il capitale strutturale è costituito dall’autostrada stessa, e dalle infrastrutture che sono messe a disposizione degli automobilisti (autogrill, pompe di benzina, ecc…), che fanno sì che gli automobilisti si muovano meglio e, in ultima analisi, la società che gestisce l’autostrada ottenga un maggior profitto. La gestione del capitale strutturale risponde quindi alla domanda: “cosa lascia un professionista all’azienda nel momento in cui lascia l’azienda?”. Se la risposta è nulla, allora la propria struttura non è in grado di gestire il capitale intellettuale di tipo strutturale, ovvero non è in grado di mettere a sistema i contributi dei professionisti che vi lavorano.

Il capitale strutturale appartiene all’organizzazione nel suo complesso. Può essere riprodotto e messo a disposizione di ogni individuo.

Una parte di ciò che rientra nella definizione di capitale strutturale, fa parte dei diritti legali di proprietà: tecnologie, invenzioni, dati, pubblicazioni e procedimenti possono essere brevettati, coperti da copyright o protetti dalle leggi sul segreto aziendale.

Un’altra parte è sapere scientifico avanzato e poi, strategia e cultura, strutture e sistemi, prassi e procedure organizzative, ossia tutti beni che spesso sono più estesi e preziosi di quelli codificati.

Un sinonimo più generale di capitale strutturale è cultura organizzativa cui bisogna aggiungere la specifica di “innovativa” o “produttiva” o “orientata all’apprendimento continuo”.

Il principale fattore di cultura organizzativa è quello manageriale in senso stretto. Si tratta di far funzionare l’organizzazione in termini di processi efficaci ed efficienti, con un premio visibile sulle capacità di implementare le innovazioni e lo spirito di acquisizione di nuove opportunità di mercato.

Essenziale al buon funzionamento di un’organizzazione è l’esistenza di:

 un organigramma snello;

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 una dotazione logistica all’altezza delle prestazioni intellettuali del personale professionale;

 un sistema di compensazione del personale tempestivo ed equo.

Il management è considerato un asset quando riesce a governare con spirito imprenditoriale una serie di fattori di intelligenza operativa riassunti nella seguente matrice. Nella stessa, sono anche riportati i processi di gestione del sapere che conseguono alla scelta di investire sul capitale intellettuale.

Il segreto per la gestione delle strutture del sapere aziendale è tenere a mente che il capitale organizzativo è in primis un capitale, e che come ogni capitale si può considerarlo in parte immobilizzato (riserva) e in parte circolante (flusso). Fritz Machlup sostiene che: “In qualsiasi momento esiste un magazzino di conoscenze; nell’arco di un certo tempo, si verifica un flusso di conoscenze”.

Gestire il capitale strutturale non è né particolarmente difficile né strano ma è una cosa nuova e c’è molto da imparare dall’esperienza delle aziende più avanzate che per prime hanno applicato i processi di Knowledge Management già esaminati.

Infine, il capitale umano comprende le competenze e le qualità intellettuali degli individui che fanno parte dell’organizzazione suddivise in conoscenze e capacità. Il capitale umano è la fonte dell’innovazione, il denaro parla ma non pensa, le macchine eseguono, spesso meglio di quanto possa fare un individuo, ma non inventano. In ogni azienda di dimensioni ragionevoli esiste un qualche modulo che i manager riempiono prima di acquistare nuove apparecchiature: una richiesta di spese in conto capitale che presuppone un calcolo dell’utile sul capitale investito. Questo non è niente però al confronto con l’inventiva che occorrerebbe per riempire un identico modulo che calcolasse l’utile sul capitale investito in un nuovo dipendente.

Un lavoro di routine che richieda scarse capacità anche se eseguito manualmente non genera né impiega capitale umano per l’organizzazione. Spesso il lavoro richiesto in impieghi del genere può essere automatizzato. E in ogni caso quando

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non può essere automatizzato, il lavoratore, che in termini di capacità un po’ dà e un po’ riceve, può essere facilmente sostituito nel caso se ne vada: è ingaggiato in qualità di braccio e non di mente.

La concezione di capitale umano ha come epicentro i termini capacità e competenza, però non tutte le capacità e competenze sono uguali per natura. Qualsiasi compito, procedimento o attività poggia su tre tipi diversi di capacità: 1. Le capacità-merce: capacità che non sono specifiche di un settore particolare, sono di pronto reperimento e hanno più o meno lo stesso valore per qualsiasi numero di imprese. Appartengono a questo gruppo il saper usare un computer e l’avere modi cortesi al telefono, ma anche alcune capacità altamente tecniche come la manutenzione dei condizionatori d’aria o l’amministrazione dei contributi previdenziali.

2. Le capacità con effetto-leva: competenze che, pur non essendo specifiche di una particolare azienda, sono più preziose per questa che per altre organizzazioni. Generalmente le capacità di questo tipo sono specifiche di un intero settore, non di una singola azienda.

3. Le capacità esclusive: sono i talenti specifici ad una data azienda, attorno ai quali un’organizzazione costruisce la sua attività. Il sapere esclusivo, via via che si approfondisce, diventa un punto di forza delle vendite. Ad esempio la McKinsey è la società di consulenza strategica per eccellenza. Alcune di queste capacità esclusive vengono codificate in brevetti, diritti d’autore e altri tipi di proprietà intellettuale.

Le competenze hanno a che fare con la specializzazione tecnica degli operatori nell’organizzazione, ma anche con le loro capacità di comunicare i risultati di ciò che realizzano (sviluppo cooperativo e processi di team), nonché di applicare o elaborare applicazioni con altri come risultato “fatturabile” del loro operare. Alcuni economisti indicano le caratteristiche fondamentali delle Risorse umane di pregio come:

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competenza + atteggiamento + abilità intellettuale.

Solo un’efficace integrazione tra le varie azioni di gestione delle risorse umane può generare un processo di accumulo del valore del capitale umano.

Il termine "capitale umano" fu coniato dall’economista T. Schultz il quale evidenziò come i concetti tradizionali dell'economia non avessero finora preso in considerazione questo aspetto molto importante (Fitz-enz, 2000). Può essere descritto come la combinazione di:

 Caratteristiche individuali apportate dalla persona nel proprio lavoro: intelligenza, energia, attitudine positiva, affidabilità, impegno;

 Capacità di imparare: prontezza, immaginazione, creatività e "street smarts", o senso pratico;

 Motivazione nel condividere le informazioni e le cognizioni: spirito di squadra e orientamento verso gli obiettivi.

Il capitale umano è però il patrimonio più difficile da amministrare, a causa dell’infinita varietà e imprevedibilità degli esseri umani. Ciò nonostante, le persone sono l'unico elemento nell'azienda che ha l'intrinseco potere di generare valore. Tutte le altre variabili non ne sono in grado a meno che un essere umano non ne liberi il potenziale e lo metta in azione (Fitz-enz, 2000).

È perciò evidente ancora una volta come la chiave di successo di un’impresa risieda nelle persone che partecipano alla sua gestione, e quindi quanto sia necessario valorizzare le loro potenzialità per accompagnare la loro crescita e creare valore non solo per l’impresa ma anche per tutti coloro che ne sono coinvolti. Si attribuisce quindi un’importanza crescente al capitale umano, inteso come insieme di conoscenze, capacità e abilità dei membri di un’organizzazione (Becker, 1974; Pennings et al., 1998).

Per creare valore in maniera continuativa e mantenere il vantaggio competitivo le imprese devono gestire in modo proattivo il loro capitale umano: ciò significa identificare, selezionare, sviluppare e trattenere i talenti, cioè quel gruppo di

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persone capaci di raggiungere obiettivi ambiziosi e di assorbire le conoscenze e i valori dell’azienda (Vettori, Reho, 2010).

La conoscenza è diventata, infatti, una delle principali fonti del vantaggio competitivo di un’impresa, è quindi l’elemento da sviluppare per favorire continua generazione di valore. Numerosi studi hanno riscontrato che non tutte le risorse sono funzionali alla creazione di valore, ma che lo sono soprattutto quelle risorse basate sulla conoscenza. Il motivo di ciò sta nel fatto che un’organizzazione è in primis un sistema cognitivo, cioè basa il suo agire sulla conoscenza codificata (routine e procedure) e sulla conoscenza implicita, racchiusa nelle persone (Gurrado, 2004). La conoscenza inoltre, essendo un fattore intangibile, è difficilmente imitabile e quindi più adatto a generare un vantaggio rispetto ai concorrenti.

Infine, c’è da considerare la caratteristica autogenerativa della conoscenza (Vicari, 1997), cioè il fatto che non si consuma con l’uso, ma che si sviluppa e dà vita a nuova conoscenza quanto più viene utilizzata. Nonostante la conoscenza sia una risorsa critica, sorgono non poche difficoltà nel governarla e proprio per questo negli ultimi due decenni si sta tentando di individuare delle strategie efficaci per gestire tale risorsa, universalmente note come “knowledge management”.

Il knowledge management può essere definito, secondo il pensiero di Karl Wiig (1999) come “La sistematica, esplicita e deliberata costruzione, applicazione e rinnovamento della conoscenza per massimizzare l'efficacia della base conoscitiva di un'azienda ed i relativi benefici dai suoi asset conoscitivi.” In passato spesso si è verificato che dei programmi di gestione della conoscenza si siano rivelati deludenti nel supportare le attività di business: è necessario inquadrare le azioni di intervento sulla conoscenza in relazione al contesto specifico in cui bisogna intervenire e predisporre strumenti operativi e strutture che incentivino e consentano l’applicazione di nuove conoscenze alla gestione d’azienda (Gurrado, 2004).

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Organizzare l’informazione per trasformala in conoscenza definita appunto “nuova ricchezza”, non basta limitarsi a raccogliere l’ informazione “circolante” all’interno dell’azienda per creare capitale intellettuale. Un appunto su di un foglio, il report di una riunione, non rappresentano di per se’ elementi di knowledge , gestire la conoscenza (knowledge management) vuol dire identificare dati coerenti, ottenere da questi delle informazioni utili quindi trasformarle in conoscenza e renderla funzionale al processo di pianificazione strategica aziendale.

Quindi dati,informazioni e conoscenze, sono tre termini chiave nella gestione del capitale intellettuale di un azienda:

Pianificazione strategica Conoscenza

Controllo manageriale Informazioni

Supporto operativo Dati

I dati aziendali sono di norma caratterizzati da una serie di fatti concernenti argomenti, notizie ed eventi di interesse per l’azienda. L’attivita’ centrale che fornisce valore aggiunto a tali dati consiste nella capacità di analizzarli, organizzarli, sintetizzarli e trasformarli in informazioni utili.

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 Tali informazioni rappresentano il prodotto di un lavoro di contestualizzazione di dati e di esperienze rispetto alla realtà aziendale. Le informazioni - o esperienze esplicite - sono di norma dati aggregati e trattati, ai quali viene attribuito particolare valore e che possono essere di interesse per la gestione manageriale dell’azienda e dei suoi processi.

 Ad un livello ancora superiore rispetto all’informazione si piazza la conoscenza vera e propria. La conoscenza è generata dall’attivita’ di analisi delle informazioni a disposizione dell’azienda effettuata con lo scopo di esplicitare le conoscente tacite, ossia la somma di idee, intuizioni, valori, giudizi, previsioni, inerenti il mercato e desunte dall’analisi delle informazioni, dall’esperienza degli individui, dalla storia dell’azienda stessa.

Le conoscenze esplicitate, e quindi trasformate in capitale intellettuale dell’azienda, si configurano come un supporto fondamentale nelle fasi decisionali inerenti lo sviluppo di un progetto, di una strategia, di una soluzione. E si trasformano in Sapere.

L’abilità delle figure atte alla gestione dell’attività di generazione della conoscenza in azienda è costituita dalla capacità di effettuare analisi, relazione e sintesi dei dati grezzi e trasformarli in informazione e quindi in conoscenza, e nella capacità di sfruttare le tecnologie per facilitare tale processo.

L’attività di gestione della conoscenza prende generalmente il nome di Knowledge Management e rappresenta una attività chiave nel contesto dello sviluppo delle aziende che vogliono rimanere competitive nel settore della net economy.

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1.4 KNOWLEDGE MANAGEMENT

Quanto più le aziende hanno intenzione di muoversi nel mercato dell’e-business, tanto più la gestione delle conoscenze e delle competenze circolanti all’interno dell’azienda diviene importante. Le aziende, però, per valorizzare questo asset, devono prima essere in grado di gestirlo. Ciò spiega l’estrema attenzione che si è posta negli ultimi anni nei confronti della disciplina del Knowledge Management, ossia la gestione delle conoscenze. Letteralmente a centinaia si contano le definizioni date al Knowledge Management negli ultimi anni.

 Il Knowledge Management deve assistere l’individuo nella ricerca di informazioni di cui ha bisogno;

 Il Knowledge Management deve sviluppare la capacità di raccogliere, organizzare e rendere disponibili in tempo reale informazioni di cui i dipendenti hanno bisogno per prendere decisioni e nello svolgimento delle loro mansioni;

 Il Knowledge Management è un processo che parte dalla acquisizione della conoscenza, proseguendo per la sua archiviazione, il suo accesso ed infine la sua analisi per poterla riutilizzare e quindi migliorare.

Particolarmente utile, però, appare ciò che afferma Davenport:

«Fare Knowledge Management vuol dire identificare, gestire e valorizzare cosa l'organizzazione sa o potrebbe sapere: skill ed esperienze delle persone, archivi, documenti e biblioteche, relazioni con i clienti e fornitori, materiali archiviati in basi di dati a disposizione dell’azienda».

Davenport attribuisce al Knowledge Management lo scopo di mirare a convertire la conoscenza personale in conoscenza aziendale organizzata e strutturata facendo emergere le conoscenze “locali” (individui, gruppi, processi) e trasformandole in conoscenza dell’organizzazione (capitale intellettuale). Garantendo inoltre anche il processo inverso. Il che va ben oltre la semplice

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organizzazione delle informazioni di tipo documentale e mette a sistema tanto la conoscenza come prodotto che la conoscenza come processo.

Dal punto di vista storico le politiche di ridimensionamento, adottate da molte imprese negli anni Ottanta per aumentare la flessibilità e l’efficienza organizzativa (nel periodo che ha visto la fine dei grandi complessi industriali concentrati in un’unica sede) hanno sollecitato il management ad investire maggiori risorse in attività dirette allo sviluppo e alla valorizzazione delle conoscenze, per bilanciare gli effetti negativi derivanti dalla perdita di risorse umane di valore e di competenze critiche per l’impresa.

Da una prospettiva di mercato, invece, la dinamica dei processi competitivi e la globalizzazione, la necessità per le aziende di rivedere sempre più spesso la propria idea di business e di ricercare l’innovazione, nonché l’elevato contenuto di conoscenza di molti prodotti e servizi, sono solo alcuni dei principali fattori che hanno reso la creazione e la diffusione di conoscenza, esistente ma dispersa nell’impresa, due obiettivi fondamentali per le organizzazioni.

Inoltre, le tecnologie di informazione e comunicazione, da un lato, hanno favorito e accelerato il decentramento organizzativo e l’affermarsi di una struttura organizzativa “a rete”, rendendo di vitale importanza la progettazione di sistemi di Knowledge Management diretti a facilitare la condivisione di conoscenze sviluppate tra unità organizzative differenti; dall’altro, hanno fornito nuovi strumenti sia per la gestione che per la diffusione e lo sfruttamento della conoscenza.

In questa direzione, nuove prospettive di mercato e rinnovate tecnologie di comunicazione e informazione hanno riconfigurato l’idea stessa di fare business: in tale contesto, il valore di mercato e il vantaggio competitivo dell’impresa divengono sempre meno legati alle sue risorse tangibili e, viceversa, sempre più dipendenti dallo sfruttamento di quegli asset intangibili, risultato di attività basate sulla gestione attenta ed efficace della conoscenza.

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Le prime imprese ad avvertire la necessità di ispirare l’intero sistema aziendale al management della conoscenza sono state quelle operanti nel settore dei servizi, dove la valorizzazione delle risorse intangibili è più immediatamente percepita come la chiave fondamentale per avere successo. Ma la centralità del capitale intellettuale, l’importanza della capacità di creare e diffondere sapere e conoscenze giocano un ruolo cruciale in ogni tipo di impresa. In qualsiasi contesto aziendale l’adozione di un approccio orientato al Knowledge Management diviene indispensabile per sviluppare la condivisione di esperienze, saperi e conoscenze; condivisione che rappresenta il presupposto fondamentale per consentire alle aziende di coniugare l’esigenza di efficienza e di successo con la capacità di apprendimento e innovazione, sempre più importante in un mercato in continua evoluzione.

Il Knowledge Management, dunque, costituisce un approccio finalizzato ad incentivare la competitività dell’azienda. Per raggiungere tale obiettivo occorre trovare il modo di far emergere tutte le conoscenze tangibili e intangibili proprie dell’azienda, organizzarle e valorizzarle. Quindi, risulta essenziale individuare le caratteristiche di sistemi informatici e tecnologie che possano supportare il management nella gestione delle conoscenze, facilitarne il reperimento e la diffusione. Obiettivo ultimo delle aziende che sviluppano approcci di Knowledge Management deve essere quello di rendere disponibile il patrimonio informativo e conoscitivo dell’impresa in modo tale che tutti coloro che ne hanno bisogno per svolgere la propria attività ne possano beneficiare, nella forma e nel modo più coerente con le diverse necessità specifiche.

In una prospettiva generale, dunque, l’adozione di un approccio orientato al Knowledge Management all’interno delle organizzazioni deve necessariamente basarsi su alcuni fattori determinanti:

- Il contesto. Il Knowledge Management necessita di un ambiente favorevole per la creazione e la condivisione della conoscenza, sia dal punto di vista organizzativo sia in una prospettiva culturale;

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- Le persone. Tutti i membri di un’organizzazione sono detentori di conoscenza; per questo motivo, tutti dovrebbero essere coinvolti e motivati nei processi di creazione e condivisione di conoscenza;

- Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Nel contesto di uno sviluppo sempre più rapido e progressivo delle nuove tecnologie, a favore delle aziende si aprono rinnovate opportunità per la creazione, la diffusione e l’utilizzo della conoscenza nel contesto aziendale. La metodologia. Il Knowledge Management, per consentire alle aziende di raggiungere competitività organizzativa, necessita di politiche mirate e ad hoc, integrate nella più complessa strategia dell’organizzazione.

In questa direzione, l’adozione di approcci per la gestione della conoscenza

impatta inevitabilmente su tre dimensioni rilevanti del contesto aziendale:

Innanzitutto l’organizzazione. Gli interventi di Knowledge Management sulla struttura organizzativa di un’azienda sono mirati alla condivisione, all’utilizzo e alla creazione di conoscenza ai livelli organizzativi per i quali si ritiene che essa abbia importanza strategica. In particolare, tali interventi possono riguardare:

- I ruoli e le responsabilità delle figure preposte alle funzioni di Knowledge Management;

- I processi di interazione, di scambio di informazioni e di conoscenza tra le persone dell’organizzazione;

In secondo luogo, le risorse umane. Gli interventi sulle persone di un’organizzazione mirano alla creazione di una cultura aziendale orientata alla collaborazione, alla comunicazione, alla motivazione e alla fiducia reciproca. Gli interventi possibili riguardano:

- le competenze individuali e di gruppo;

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- i sistemi di valutazione, di riconoscimento e di incentivazione per la condivisione della conoscenza;

- i sistemi di apprendimento e di aggiornamento professionale;

Infine, la struttura tecnologica. La tecnologia rappresenta l’elemento determinante nella condivisione e nella distribuzione della conoscenza: - le reti permettono alle persone di scambiare informazioni e conoscenze all’interno e all’esterno delle organizzazioni;

- alcune tecnologie, soprattutto quelle Web based, hanno reso sempre più facili ed efficaci i processi di raccolta, catalogazione e distribuzione di forme di conoscenza strutturata;

- le potenzialità di elaborazione delle nuove tecnologie di comunicazione e informazione consentono alle aziende di gestire enormi volumi di saperi e conoscenze, con sempre maggiore efficacia.

Più nel dettaglio, è necessario impostare alcuni elementi e criteri essenziali per implementare con efficacia un sistema di Knowledge Management in un’organizzazione, ovvero:

Visione condivisa tra tutti i membri che vi fanno parte, in grado di stimolare e facilitare la comprensione dell’intera organizzazione e dei suoi obiettivi;

Cultura organizzativa focalizzata sulla conoscenza, che consente il raggiungimento dell’obiettivo di fare della propria organizzazione un contesto che apprende e che, pertanto, è in grado di sfruttare le evoluzioni del mercato;

Infrastrutture e tecnologie appropriate. L’utilizzo di soluzioni e infrastrutture di ICT rappresenta uno dei fattori cruciali e più funzionali all’implementazione efficace di un sistema di Knowledge Management in un contesto aziendale;

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Integrazione nella strategia organizzativa. La progettazione e l’implementazione del Knowledge Management vanno intese come processi organizzativi chiave per le aziende, parte integrante dunque della strategia generale delle organizzazioni;

Solida metodologia. Il sistema di Knowledge Management deve essere fondato su solide politiche, strategie e metodologie, le cui fasi e componenti siano in grado di contribuire concretamente al raggiungimento dell’obiettivo di apprendere dall’esperienza e dalla conoscenza.

In altri termini, Knowledge Management significa anche promuovere una cultura della comunicazione e della condivisione del sapere, all’interno di tutto il sistema azienda: attraverso l’aumento dei flussi informativi all’interno e verso l’esterno del contesto organizzativo, l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione e informazione, l’aumento delle relazioni e delle occasioni di contatto e di scambio tra i membri dell’organizzazione, lo snellimento gerarchico, l’attenzione e l’ascolto delle esigenze di tutti gli anelli della catena del valore (dai fornitori ai clienti), il trasferimento delle conoscenze, il coinvolgimento di tutti i dipendenti e i collaboratori dell’azienda attraverso soluzioni flessibili e interattive.

Per fare questo, uno dei primi interventi che le aziende che intendono adottare un approccio di Knowledge Management sono chiamate a realizzare riguarda la strategia di coinvolgimento delle risorse umane.

I vecchi modelli organizzativi, cioè quelli “top-down” e “bottom-up”, nel complesso risultano incapaci di alimentare l’interazione dinamica necessaria alla creazione di conoscenza organizzativa.

A riguardo Takeuchi e Nonaka hanno proposto una terza via, che parte dal centro dell’organizzazione: il middle-up-down. In questo modello sono i manager intermedi a ricoprire il ruolo di creatori di conoscenza, agendo attraverso un processo di conversione a due vie che coinvolge sia il vertice aziendale, sia i dipendenti e i collaboratori; nel fare questo, i manager intermedi si trovano a

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riassumere la conoscenza tacita, presente sia nel top management che nei dipendenti, e a renderla esplicita incorporandola in tecnologie, prodotti e programmi. Secondo Nonaka e Takeuchi questo è lo stile di management che riesce meglio a supportare la creazione di conoscenza all’interno dell’azienda. Se dallo stile di management si passa alla struttura organizzativa, si nota come anche le due entità organizzative classiche, burocrazia e task force (gruppi specializzatiteamwork), sono inadeguate allo sviluppo, creazione e circolazione della conoscenza. La struttura burocratica è efficiente in condizioni di stabilità (ormai sempre più rare) e pone l’accento sul controllo e sulla prevedibilità di funzioni specifiche, che finiscono per creare una serie di ostacoli all’iniziativa individuale. Il ricorso alla task force prevede la creazione istituzionale di uno o più team di progetto con obiettivi da raggiungere entro una certa scadenza, che limita il processo di trasferimento di conoscenza.

Ancora una volta i due autori nipponici hanno proposto un ibrido organizzativo tra i due modelli, che prende il nome di organizzazione ipertestuale. La metafora, basata sul concetto informatico di ipertesto, paragona il modo in cui le informazioni sono presentate sullo schermo di un computer a quello che succede quando un simile modello viene adottato in un’azienda. In un ipertesto ciascun elemento testuale è, di solito, immagazzinato separatamente in un file diverso; ciò offre all’utente la possibilità di accedere a più livelli di testo contemporaneamente; simili livelli (o strati) devono essere interpretati come contesti a disposizione di chi li consulta. Gli strati pongono la conoscenza del documento ipertestuale in un diverso contesto. Gli strati, tra loro connessi, che compongono un’organizzazione ipertestuale sono:

il sistema di business, che rappresenta lo strato centrale, è quello nel quale sono condotte le normali operazioni di routine e, dal momento che la struttura burocratica è in grado di svolgere con efficienza le pratiche routinarie, questo strato è strutturato come una piramide gerarchica;

lo strato al vertice è rappresentato dai gruppi di progetto impegnati in attività di creazione di conoscenza e sviluppo (ad es. nuovi prodotti);

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la base di conoscenza rappresenta l’ultimo gradino, ma non per questo meno importante, dove la conoscenza organizzativa, generata nei due strati superiori, viene categorizzata e contestualizzata; in realtà questo strato non si traduce in un’entità organizzativa vera e propria ma trova espressione nella vision (ciò che è alla base della struttura aziendale) nella cultura organizzativa e nella tecnologia.

In un’organizzazione ipertestuale dunque, coesistono tre strati o contesti totalmente differenti tra loro che consentono a tutti i membri di muoversi facilmente al loro interno per potersi adattare alle mutevoli situazioni interne ed esterne dell’organizzazione, ponendosi come sintesi perfetta dell’efficienza della burocrazia e della flessibilità della task force.

I ruoli professionali del Knowledge Management:

Qualsiasi piano di Knowledge Management presuppone un dialogo e un confronto continuo tra le diverse unità organizzative che compongono un’azienda. Per facilitare queste relazioni può essere utile ricorrere all’inserimento di ruoli professionali con il compito di facilitare i processi di management della conoscenza.

In alcuni contesti aziendali dipendenti e collaboratori svolgono un ruolo di mediazione nei processi di trasferimento della conoscenza, senza che il loro ruolo sia legittimato o in qualche modo riconosciuto. Questi “guardiani della conoscenza” spesso ricoprono posizioni di confine tra unità organizzative e/o organizzazioni differenti e, attraverso lo sviluppo di relazioni sociali informali, fanno sì che anche le conoscenze non formalizzate si diffondano all’interno dell’azienda. Gli individui che occupano posizioni centrali nel network di relazioni professionali hanno la possibilità, infatti, di accedere ad un maggior numero di fonti di conoscenza svolgendo, al tempo stesso, un importante ruolo di mediazione e collegamento tra parti del sistema organizzativo tra loro distanti. Oltre a favorire lo sviluppo di reti di collaborazione, il management può supportare questi processi informali istituendo dei ruoli organizzativi deputati

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formalmente al management della conoscenza. Questi “knowledge manager” ricoprono posizioni cruciali e possono efficacemente intervenire sulla gestione dei progetti, del cambiamento e sul ruolo della tecnologia in questi processi. Si tratta dunque di un ruolo molto complesso, che richiede competenze professionali specifiche, un’ampia conoscenza delle tecnologie di informazione e comunicazione e, ovviamente, competenze manageriali che dovranno essere in grado di emergere alternandosi a seconda delle esigenze.

Tra le varie possibili professionalità inseribili in sistemi di questo tipo, molte imprese, soprattutto quelle operanti nel campo della consulenza, hanno predisposto un ruolo responsabile dei processi di management della conoscenza a livello dell’intera organizzazione: il chief knowledge officer (CKO) che deve essere in grado di progettare e supervisionare le basi a supporto della conoscenza dell’impresa (biblioteche, centri di ricerca, network di collaborazione), gestire tutte le relazioni con i possibili fornitori di sapere esterni all’organizzazione, raccogliere, misurare e definire il valore della conoscenza provvedendo anche a stabilire i criteri per la sua codificazione, nonché creare un senso di comunità tra gli individui spingendoli a collaborare. Per ricoprire questo ruolo sono dunque necessarie competenze nel campo delle IT e una particolare attenzione alle caratteristiche del contesto sociale e agli strumenti di comunicazione formali ed informali dell’azienda di riferimento.

Solitamente il CKO è un manager di alto livello alle dirette dipendenze della direzione generale, proveniente da una esperienza interna all’azienda e quindi profondo conoscitore delle sue dinamiche e del clima culturale presente in essa e, naturalmente, in possesso di una buona conoscenza delle tecnologie informative. Il suo ruolo non si limita a quello di filtro di conoscenza proveniente da fonti interne ed esterne, ma punta a realizzare l’effettiva istituzionalizzazione, formalizzazione e diffusione della conoscenza all’interno dell’azienda, ricorrendo ad un dialogo continuo con gli opinon leader che faciliti l’adozione e la diffusione delle innovazioni attraverso la costruzione di un linguaggio ed una interpretazione condivisi.

Figura

Figura tratta da: G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, FrancoAngeli, Milano 2002, pag.90
Figura  tratta  da:  A.  Cravera,  La  valorizzazione  degli  asset  intangibili:  due  modelli  di  rendicontazione  a  confronto, HAMLET, AIDP, N.29-11/2001, pag.60
Tabella tratta da: G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, FrancoAngeli, Milano 2002
Fig. - Modello adattivo e modello generativo
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