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Biomasse e agroenergia : un modello di governance regionale attraverso l'analisi del caso Campania

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B io m a ss e e ag r o e n e r g ia : u n m o d e ll o d i g ov e r n a n c e r e g io n a le at tr a ve r so l’a n a lis i d e l ca so c a m pa n ia

Biomasse e agroenergia

un modello di governance regionale

attraverso l’analisi del caso campania

collana politicHe per l’amBiente e l’agricoltura

a cura di roberta ciaravino e vincenzo sequino

in questi ultimi anni, il mondo della ricerca è stato chiamato ad affrontare temi fondamentali e di interesse globale sui rapporti tra agricoltura e ambiente. con tali consapevolezze, l’inea si è posta come obiettivo la valorizzazione delle attività attraverso la definizione di un’area di ricerca “politiche per l’ambiente e l’agricoltura”. da oltre un decennio, infatti, l’inea svolge studi su applicazione e valutazione delle politiche e sostenibilità dei sistemi agricoli, sviluppo dell’agricoltura biologica, ruolo dell’agricoltura nella difesa della biodiversità e nella lotta alla desertificazione, temi ambientali del settore forestale, fino a filoni più recenti quali la gestione del rischio climatico in agricoltura, i cambiamenti climatici e la produzione di bioenergie.

un ruolo importante è assegnato alla fase di condivisione dei risultati, affidato alla collana “politiche per l’ambiente e l’agricoltura”, che vuole valorizzare le competenze e la produzione scientifica nel settore e contribuire al dibattito sulle tematiche, di cui il presente rapporto rappresenta uno dei primi prodotti.

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Istituto Nazionale di Economia Agraria

Biomasse e agroenergia

un modello di governance regionale

attraverso l’analisi del caso campania

a cura di

roberta ciaravino e vincenzo sequino

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Istituto Nazionale di Economia Agraria

BIOMASSE E AGROENERGIA:

UN MODELLO DI GOVERNANCE

PER LA CAMPANIA

a cura di

INEA 2011

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Il presente lavoro, realizzato nell’ambito del progetto “Promozione dello sviluppo di filiere agroenergetiche in Campania”, vuole essere un momento di sintesi dell’attività svolta negli ultimi tre anni dal gruppo di lavoro INEA, coinvolto nello studio ed analisi delle dinamiche delle agroenergie in Campania, a supporto dell’Area generale di coordinamento Sviluppo Economico ai fini della programmazione strategica nella redazione del Piano Energia ed Ambiente Regionale (PEAR). La cooperazione tra istituto di ricerca in agricoltura ed as-sessorato allo sviluppo economico ha rappresentato la vera peculiarità dello studio svolto, in quanto gli scenari energetici, sono stati prefigurati cercando di facilitare l’incontro tra istanze provenienti dal settore produttivo e dal settore primario. In questo senso si ringra-zia per la fattiva collaborazione anche l’Area generale di coordinamento Sviluppo Attività Settore Primario della Regione Campania.

L’ elaborazione di metodologie ed analisi dello studio sono state realizzate dal Gruppo di lavoro INEA composto da: Roberta Ciaravino, Domenica di Matteo, Giovanni Paribello, Vincenzo Sequino, Rossana Spatuzzi.

Alla redazione del presente volume hanno contribuito:

Coordinamento scientifico: Roberta Ciaravino e Vincenzo Sequino

Capitolo I - Vincenzo Inserra (Cap. 1.1., 1.2) Roberta Ciaravino (Cap. 1.3, 1.4) Giovanni Paribello (Cap 1.5)

Capitolo II – Roberta Ciaravino Capitolo III - Rossana Spatuzzi Capitolo IV – Domenica di Matteo Capitolo V - Vincenzo Inserra

Elaborazioni cartografiche - Giovanni Paribello

Si ringrazia: il Professore Antonio Saracino del Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale della Facoltà di Agraria di Portici, il Settore Sperimentazione Infor-mazione Ricerca e Consulenza in Agricoltura (Se.S.I.R.C.A.) AGC 11- Regione Campania nella persona di Amedeo D’Antonio

Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto

Realizzazione grafica: Ufficio grafico INEA (Barone, Cesarini, Lapiana, Mannozzi) Segreteria di redazione: Roberta Capretti

(5)

I

ndIce

Premessa V

Introduzione VII

Capitolo 1

L

eagroenergIe

:

LadImensIonecomunItarIa

,

nazIonaLedeLLepoLItIche

1.1 La rinnovata sensibilità verso le fonti energetiche alternative:

gli anni ’90 e la congiuntura energetica europea 1

1.2 Lo sviluppo dell’agroenergia: da esigenza ambientale a nuova prospettiva

per il comparto agricolo ed il territorio 8

1.3 Evoluzione normativa del sistema energetico 10

1.4 Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili 14 1.5 Biomasse e biocombustibili: alcuni aspetti ambientali e fiscali 19

Capitolo 2

I

LruoLoregIonaLeneLsIstemaenergetIco

2.1 Il ruolo regionale nel sistema energetico 23

2.2 Il procedimento autorizzativo in Regione Campania 27

2.3 l bilancio energetico in Campania 28

2.4 Il PASER, il PEAR e gli altri strumenti di programmazione

tra efficienza, risparmio ed energia rinnovabile 30

Capitolo 3

a

groenergIaeagrIcoLturaIn

c

ampanIa

3.1 Biomassa dall’agricoltura 41

3.2 Colture energetiche dedicate 43

3.3 Biomassa residuale 45

3.4 Lo scenario agro-forestale regionale 47

3.5 Analisi SWOT e governance agro energetica 55

Capitolo 4

I

LpotenzIaLeagroenergetIcoIn

c

ampanIa

4.1 La metodologia di indagine 65

(6)

4.3 La filiera della biomassa lignocellulosica 78

4.4 La valorizzazione energetica delle biomasse 86

4.4.1 Potenziali energetici delle biomasse residuali individuate 90

4.4.2 Organizzazione delle filiere 92

Capitolo 5

L

areaLIzzazIonedIundIstrettoagroenergetIcoIn

c

ampanIa

:

costruzIonedIunmodeLLoteorIcodIrIferImento

5.1 Territorio, risorse, distretto e filiera come capitale per

l’implementazione di un progetto agroenergetico 107

5.2 Il piano di comunicazione del bacino agroenergetico 125

5.2.1 Il profilo teorico peliminare tra marketing ambientale e brand del territorio 137 5.2.2 Il profilo pratico del Piano di Comunicazione: output, strumenti, messaggi e

dimensioni comunicative 142

5.2.3 Il Piano di Comunicazione e la risoluzione dell’effetto NIMBY tra compensa-

zione riparatoria ed oggettività dell’informazione 151

Appendice 155

Riferimenti bibliografici

(7)

p

remessa

In uno scenario di sviluppo in cui l’approvvigionamento dell’energia che si deve co-niugare con la salvaguardia dell’ambiente, diventa uno dei punti più complessi alla base della evoluzione economica e sociale del mondo, l’azione delle realtà territoriali di piccola scala, si colloca molto bene in un quadro di bilanciamento degli interessi.

In Italia dopo la nazionalizzazione del sistema elettrico (1962), la trasformazione di ENEL in SpA (1992) e la liberalizzazione del mercato (1999), si è giunti alla sostituzione di una piccola parte dell’energia prodotta in energia pulita, ma non si è certo risolto il pro-blema della dipendenza energetica dagli altri Paesi (Francia e Slovenia principalmente).

Nel passaggio a politiche maggiormente mirate allo sviluppo sostenibile ed a visioni ecologiste ed ambientaliste, la produzione energetica nazionale ha contribuito alla gradua-le trasformazione da “produzione accentrata” (mega centrali di centinaia di megawatt a carbone, petrolio, gas naturale) a “produzione decentrata” (piccole centrali di pochi mega-watt di potenza, dislocate in maniera diffusa sul territorio, alimentate da fonti alternative e rinnovabili). Una sorta di “federalismo energetico” che spinge anche verso una maggiore infrastrutturazione dei territori, alla quale bisogna dedicare la giusta attenzione in fase di programmazione degli interventi, per poter preservare la naturalità del paesaggio rurale.

Ma qual è il contributo che l’agricoltura ed il mondo rurale possono dare al settore energetico e di contro quali sono i vantaggi che da questo nuovo filone economico ne pos-sono trarre?

L’energia prodotta a partire da fonti rinnovabili non ha conosciuto crisi. Il settore è incentivato a livello politico, economico, industriale e di ricerca. Le prospettive di svilup-po per il cosiddetto green job sono entusiasmanti. Eppure l’agroenergia stenta a decollare soprattutto in Campania. I fattori critici già individuati come freno all’avvio di un processo di sviluppo sono l’assenza di una filiera strutturata sul territorio regionale, la complessità dell’iter burocratico-amministrativo e la molteplicità di norme a cui questo fa riferimento, oltre alla diffidenza che attualmente hanno le comunità, gli enti locali, le utenze ad ac-cettare progetti riguardanti l’utilizzo di biomasse molto spesso identificate con il rifiuto indifferenziato.

Il presente lavoro vuole delineare un modello attuabile per lo sviluppo di filiere agro-energetiche attraverso la compartecipazione di imprese, attori locali, territori.

L’analisi effettuata parte dal presupposto che in Campania non è percorribile l’ipotesi di sfruttamento di terreni attualmente dedicati alle produzioni agricole food (di qualità e non) e d’altro canto è importante preservare sia il paesaggio rurale, la biodiversità, ma an-che l’informazione e la conoscenza da parte della popolazione locale.

Lo studio è stato quindi focalizzato sulle biomasse residuali, sottoprodotti dell’attivi-tà agri-silvicola che normalmente non solo l’impresa agricola non utilizza, ma che smalti-sce attraverso costi aggiuntivi, favorendo l’utilizzo energetico di materiali che attualmente hanno un impatto ambientale negativo (come le deiezioni animali), oltre alla salvaguardia di aree boscate da fenomeni di dissesto ed abbandono (recupero della biomassa ligno-cellulosica attraverso la corretta gestione forestale).

Secondo questo approccio, il comparto agricolo rappresenta il primo passo per un concreto start-up della filiera basato da un lato sul versante dell’autoconsumo per le

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im-prese del settore agricolo, dall’altro favorendo la creazione di vere e proprie filiere agro-energetiche nelle aree rurali con l’obiettivo di creare un sistema economico integrato con la produzione di energia pulita.

Benché gli obiettivi in termini di potenza installabile possano essere considerati non così rilevanti, le agroenergie originano molteplici attese in termini di sviluppo locale nelle aree rurali. L’approccio strategico alla materia quindi deve essere necessariamente di tipo multidisciplinare ed intersettoriale sia a monte, con una governance basata sull’in-terazione tra enti locali e centrali, sia a valle con la costituzione di partenariati complessi che assicurino il consenso intorno ad un progetto comune e definiscano il comportamento di tutta la filiera locale delle bioenergie.

Questo rapporto fornisce un quadro esaustivo creando le basi di alcune riflessioni importanti per ideare strumenti di azione.

Prof. Ing. Sergio Vetrella

Assessore Trasporti, Viabilità e Sviluppo Economico

(9)

I

ntroduzIone

Le parole “sostenibilità”, “cambiamenti climatici”, “energie rinnovabili”, “agroener-gia” sono sempre più presenti nel linguaggio corrente e cominciano a diffondersi anche tra i non addetti ai lavori. Ciò deriva dalla maggiore attenzione rispetto alle questioni ambien-tali e dalla crescente consapevolezza che determinati cambiamenti negli stili di vita non solo sono necessari, ma vanno messi in atto al più presto, a partire dagli accordi interna-zionali fino alle abitudini comuni del singolo cittadino.

In Campania non è stato ancora avviato un vero e proprio processo di sviluppo dell’agroenergia. Fatta eccezione per poche ed isolate iniziative, non sono ancora presenti sul territorio regionale delle filiere agro energetiche. Il crescente interesse del mondo im-prenditoriale è testimoniato però dalle numerose richieste di autorizzazione presentate presso gli uffici regionali competenti. Diventa cruciale in questa fase gestirne il processo di sviluppo per indirizzare e monitorare le ripercussioni sul territorio in particolare in relazione all’agricoltura.

Se si pensa ad un contesto socioeconomico consolidato, più o meno ampio che sia, è facile immaginare la complessità delle azioni da intraprendere perché questo possa riadat-tarsi/ ristrutturarsi e rispondere concretamente alle richieste di sostenibilità. Tale rivolu-zione sostenibile è da intendersi come un riequilibrio tra le fonti energetiche a vantaggio delle rinnovabili ed allo stesso tempo la loro più efficiente utilizzazione. Il tutto, in una visione più ampia, associato ad una corretta gestione delle attività produttive e dei relativi carichi inquinanti nell’ambiente, etc. È compito delle Istituzioni gestire questo cambia-mento, informare sulle opportunità e sui rischi, divulgare le possibilità sempre nuove delle tecnologie emergenti, offrire un’adeguata gamma di incentivi.

Sul tema delle energie la Regione Campania ha emanato, nel marzo 2009, una propo-sta di Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR) incentrando l’attenzione nel valoriz-zare le risorse naturali e ambientali territoriali, promuovere processi di filiere corte terri-toriali, stimolare lo sviluppo di modelli di governance locali, generare un mercato locale e regionale della CO2, potenziare la ricerca e il trasferimento tecnologico, avviare misure di politica industriale. L’introduzione di politiche volte a “decarbonizzare” l’economia, cioè a ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera, potrà offrire importanti opportunità commerciali nei settori tecnologici legati all’efficienza energetica ed alle energie rinnovabili, promuo-vendo il contenimento della spesa relativa all’approvvigionamento energetico, una moder-nizzazione in chiave ecologica del sistema economico e la creazione di comunità locali più sostenibili.

Il tema dell’agroenergia riveste, quindi, un importante ruolo nella programmazione regionale, suscitando grande interesse nel settore agricolo ed agroindustriale. Se da un lato questa è una opportunità per il settore agricolo in un’ottica di multifunzionalità, come opportunità di integrazione al reddito e primo passo nel contenimento del carico di azoto stabilito dalla Direttiva sui nitrati (91/676/CEE), dall’altro il business è talmente cresciuto da attirare i grandi capitali anche estranei all’agricoltura, soprattutto per gli impianti di grandi dimensioni.

Il contesto normativo, soprattutto a livello nazionale, è in continuo divenire: se da un lato si lavora per agevolare e semplificare le procedure per l’autorizzazione alla

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realizza-zione ed all’esercizio degli impianti, dall’altro il rapido evolversi delle politiche su modalità e tempi di incentivazione, rende il mercato altamente instabile e con esso praticamente nulle le possibilità di accedere alle risorse finanziarie necessarie ad attivare l’investimento iniziale.

L’idea quindi di un modello per lo sviluppo di una nuova filiera agroenergetica deve tener conto soprattutto della fluttuazione dell’intervento pubblico ed essere quindi capace di autonomia economico/finanziaria oltre che sostenibile dal punto di vista territoriale ed energetico.

In altre parole è necessario analizzare la possibilità di sviluppo della filiera sulla base delle sue caratteristiche endogene e non strettamente legate a incentivi esterni.

Ma qual è il contributo che l’agricoltura ed il mondo rurale possono dare al settore delle energie pulite ma anche quali sono i vantaggi che da questo nuovo filone economico ne possono trarre?

In Campania il settore agricolo ed agroalimentare mostra caratteri distintivi soprat-tutto in termini di qualità delle produzioni nel comparto oleicolo, lattiero-caseario, carni ed ortofrutticolo (10 DOP e 8 IGP riconosciute, 12 prodotti in corso di riconoscimento), con un comparto vitivinicolo che presenta più di 20 vini a denominazione di origine.

Questo scenario induce a valutare gli interventi di sviluppo delle agroenergie nelle aree rurali con estrema cautela a causa dell’impatto che questi potrebbero avere sul terri-torio, soprattutto con riferimento allo sfruttamento economico di terreni fertili per la pro-duzione di biomasse e bioliquidi, dovendo interessare grandi superfici dedicate in colture estensive e con basso impiego di manodopera per raggiungere livelli economici competiti-vi, cosa difficilmente ipotizzabile, considerate le caratteristiche strutturali dell’agricoltura campana.

Le valutazioni da effettuare sono molteplici e rispondono non solo a criteri di fattibi-lità e convenienza economica ma soprattutto a criteri di sostenibifattibi-lità ed effettiva riduzione delle emissioni gassose in atmosfera, oltre che al mantenimento di un armonioso sviluppo del territorio in tema di paesaggio, biodiversità e produzioni agricole. È inoltre da consi-derare il livello di accettazione della popolazione residente rispetto alla installazione di impianti per la produzione di energia seppure di piccola taglia.

In questo senso l’ottica di sottrarre aree agricole alle coltivazioni per produzioni de-dicate alle agroenergie non è una strategia perseguibile, per gli effetti che avrebbe nel breve periodo sul territorio e nel lungo sul valore economico della PLV campana.

Benché gli obiettivi in termini di potenza installabile possano essere considerati non così rilevanti, le agroenergie originano molteplici attese in termini di sviluppo locale nel-le aree rurali. L’approccio strategico alla materia quindi deve essere necessariamente di tipo multidisciplinare ed intersettoriale sia a monte, con un modello di governance basa-to sull’interazione di diverse aree dell’Amministrazione regionale (ambiente, agricoltura, attività produttive, politiche del territorio), sia a valle con la costituzione di partenariati complessi che assicurino il consenso intorno ad un progetto comune e definiscano il com-portamento di tutta la filiera locale delle bioenergie.

L’assenza di una filiera agroenergetica, fa sì che diventi indispensabile la presenza di un sistema locale pronto a cogliere le opportunità di sviluppo partendo dal basso. Il ruolo degli enti locali in questo senso può diventare essenziale nel favorire l’aggregazione volontaria dei diversi attori, integrando nella filiera non solo i fornitori, i produttori ed i

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trasformatori, ma anche il sistema amministrativo, il sistema creditizio e il terziario e cre-ando la massa critica necessaria alla sostenibilità di un progetto di investimento in energia da fonti rinnovabili. Tra i soggetti indispensabili per la formazione del partenariato: enti locali; operatori del settore energetico; aziende agricole, forestali, agroindustriali anche in forma associativa (Organizzazioni di produttori, Cooperative, Consorzi di bonifica;); istituti di credito.

Da qui la necessità di individuare e stabilire un modello per favorire ed indirizzare lo sviluppo delle agro energie. Per tale ragione nel libro si propone di sviluppare una gover-nance su scala locale, che alimenti il sistema competitivo mediante la partecipazione delle comunità territoriale.

Quando si parla di agro energia si intende da un lato l’energia strettamente deriva-ta da materia prima prodotderiva-ta a partire dal comparto agricolo, dall’altro si fa riferimento all’energia prodotta da altre fonti rinnovabili che insistono su aree agricole. Si tratta nel primo caso di energia dall’agricoltura e nel secondo di energia “per” l’agricoltura, trattan-dosi il più delle volte di impianti posizionati in territori rurali, in cui almeno una parte dell’energia prodotta è destinata alle attività agricole.

Ma tenendo conto delle caratteristiche dell’agricoltura campana quali filiere è possi-bile attivare?

Con la SAU al 41,4% del territorio regionale, valore di poco inferiore a quello nazio-nale che è pari al 42,3%, e con un’agricoltura partecipa per 3.100 milioni di euro alla ric-chezza regionale, la Campania ospita il 38% delle aziende produttrici di ortofrutta e cereali DOP ed IGP del Mezzogiorno ed il 4% di quelle nazionali, ed il 18% delle aziende dedicate all’allevamento di vitigni per la produzione di vini DOC e DOCG, ovvero circa 9.700 su un totale di 60.00 aziende. La presenza di un consistente numero di prodotti tipici e tradizio-nali completano il quadro dell’agroalimentare di qualità.

Premesso il forte interesse a livello generale per i nuovi prodotti agroenergetici, è opportuno chiedersi quali sono le filiere concretamente realizzabili sul territorio regionale. Vista l’importanza economica rivestita da alcuni comparti del settore e le superfici dedica-te all’agricoltura di qualità non è ipotizzabile uno sviluppo che vada a discapito dell’attuale assetto produttivo.

La tipologia di biomassa che garantisce il rispetto dell’alto valore dell’agroalimentare regionale senza alterarne il sistema produttivo è la cosiddetta biomassa di seconda genera-zione, ovvero ottenuta dalle attività di recupero e non da colture dedicate. L’utilizzo di tale materia prima deve necessariamente rispondere a tre requisiti. Deve essere disponibile in quantità significativa, di facile reperibilità e consentire l’economicità del recupero. Questi sono gli elementi che condizionano l’approvvigionamento degli impianti di trasformazione dai quali dipende l’efficacia della prima fase della filiera.

Nel Capitolo 4 viene condotta un’approfondita analisi sul territorio relativa al com-parto agricolo ed agroalimentare sui quantitativi di biomassa residuale presenti in Cam-pania. La corretta gestione della attività di recupero di tali biomasse, inoltre, può rappre-sentare un importante vantaggio per i produttori che intendano, o debbano, disfarsene. Si tratta infatti di materiali si scarto di attività produttive che data la loro concentrazione in aree limitate e la forte stagionalità che caratterizza le produzione agricole ed agroin-dustriali possono rappresentare un vero e proprio problema per il produttore che ne ha la responsabilità. Più difficile stabilire a priori i costi di recupero considerati i diversi fattori e

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le variabili di influenza: oscillazione dei prezzi dei prodotti energetici, variazione dei costi di trasporto, distanze etc..

Esiste il rischio, però, che il comparto agricolo non sia preparato per gestire corret-tamente l’avvio della filiera e quindi che la fase di trasformazione, di gran lunga più remu-nerativa, assorba tutti i vantaggi delle nuove attività escludendo il settore primario dai be-nefici economici correlati. Nella maggioranza dei casi il singolo imprenditore agricolo non è in grado di sostenere da solo l’investimento necessario per la costruzione dell’impianto e delle infrastrutture connesse, né riuscirebbe facilmente a gestire impianti che non siano “micro”, né potrebbe assorbire all’interno dell’azienda tutta l’energia prodotta.

Di qui l’interesse strategico verso nuove forme di governo del territorio verso, cioè, l’attivazione di strumenti che favoriscano l’aggregazione degli attori coinvolti nella filiera, favorendo la creazione di partenariati tra imprenditori agricoli, investitori privati ed enti locali, e che potrebbero ingenerare comportamenti virtuosi e creare il microclima neces-sario allo sviluppo economico, puntando su impianti di piccole dimensioni, associati a materie prime reperibili in loco.

Vincenzo Sequino

(13)

Capitolo i

L

e

agroenergIe

:

La

dImensIone

comunItarIa

e

nazIonaLe

1.1 La rinnovata sensibilità verso le fonti energetiche alternative: gli anni ’90 e

la congiuntura energetica europea

L’inesorabile esaurirsi delle fonti energetiche primarie di origine fossile, le profonde modificazioni della biosfera in atto, la competizione tra fabbisogno energetico ed alimen-tare hanno accresciuto, nel corso degli ultimi decenni, la sensibilità dell’opinione pubblica e quindi impegnato l’agenda politica dei governi con quella che potremmo definire la ‘que-stione energetica’, o meglio l’approccio integrato alle questioni energetiche1, secondo cui si afferma il legame imprescindibile tra preservazione dell’ambiente, diversificazione delle fonti energetiche di riferimento (graduale abbandono delle fonti fossili2 e successivamente del nucleare per la produzione di energia) e razionalizzazione degli usi.

È da qui che bisogna partire per meglio comprendere come sia possibile successiva-mente parlare, forse per la prima volta, di Fonti Energetiche Rinnovabili3 (FER) e dunque dare forma e sostanza a filoni di studi, divulgazioni e condivisione delle conoscenze di livello comunitario tra gli Stati, negli Stati, per gli Stati.

Il cambiamento della mentalità collettiva, della sensibilità politica, degli orientamen-ti e delle dichiarazioni di intenorientamen-ti, dunque, si consuma, si profila e si perfeziona prima ad un livello meramente teorico-programmatico, per aver soltanto dopo, non con qualche problematica battuta di arresto, una ricaduta reale e concretamente impattante sui sistemi legislativi nazionali e quindi sui territori e sui sistemi produttivi.

Il collegamento tra il vecchio ed il nuovo, tra il passato ed il futuribile, sembra ormai a portata di mano: termini come eolico, geotermia, fotovoltaico, entrano a pieno titolo a far parte del linguaggio comune e dell’opinione pubblica.

Anche le energie, o meglio il mutamento della sensibilità collettiva, sono il risultato

1 È bene specificare che con la dicitura approccio integrato alle questioni energetiche non si intende fare riferimento ad un preciso obiettivo politico né ad un provvedimento legislativo ad hoc da parte delle istituzioni europee circa la materia delle politiche dell’ambiente e della produzione dell’energia, ma ci si riferisce a livello più ampio, ad un importante orientamento strategico comunitario relativo alla realizzazione di interventi che possano combi-nare tutela dell’ambiente e sistemi puliti per la produzione delle energie necessarie per rispondere al fabbisogno nazionale. La strategia dell’approccio integrato, infatti, puntava sulla diversificazione, valorizzazione e razio-nalizzazione delle risorse energetiche alternative. Cfr., Quaderni INEA – Rete Leader, Bioenergia rurale. Analisi e valutazione delle biomasse a fini energetici nei territori rurali, 2008.

2 A tal proposito si parla anche di defossilizzazione e decarbonizzazione per la produzione di energia alternativa, in contrasto con le risorse energetiche tradizionali altamente inquinanti.

3 Con l’acronimo FER (Fonti Energie Rinnovabili) sono da considerarsi energie rinnovabili tutte quelle che sono generate da fonti che si rigenerano o che non sono soggette ad esaurimento, nel senso di futura scarsa rilevabilità e presenza e, per esteso, tutte quelle risorse il cui uso non pregiudica le condizioni ambientali, la sostenibilità e la presenza di risorse naturali per le generazioni a venire. Tradizionalmente sono FER il sole, il vento, il mare, il ca-lore della Terra, ovvero quelle fonti disponibili anche per il futuro al di là del loro utilizzo, in contrasto con le altre fonti, dette appunto non rinnovabili, giacché sono il risultato di lunghissimi processi di origine e sedimentazione storica (in particolare le fonti fossili quali petrolio, carbone, gas naturale).

(14)

di un processo storico-economico di evoluzione, così come evidenziato nella tabella a se-guire.

Tabella n. 1.1 – Fonti energetiche e orientamento storico-economico

FONTE ENERGETICA PRINCIPALE CONGIUNTURA STORICA ED ECONOMICA ORIENTAMENTO DELL’OPINIONE PUBBLICA

CaRBoNE/ElEttRiCita’ (1770- 1890)

avvio industrializzazione; sviluppo reti ferroviarie e commer-ciali;

prima rivoluzione industriale in inghilterra;

sensibilità al tema energia ed am-biente assente;

pessime condizioni di vita delle popolazioni;

ceti operai delle città-fabbrica sot-topagati;

GENERalita’ FoNti FoSSili (1900-1950)

perfezionamento totale dello sviluppo dell’occidente;

il ‘900 come secolo della prosperità; le due guerre mondiali tra lo sviluppo dell’industria pesante e bellica e l’impiego dell’acciaio come materiale di riferimento;

sensibilità al tema energia ed am-biente assente;

inquinamento industriale indi-scri-minato visto come volano di sviluppo necessario per il rag-giungimento del tanto agognato benessere econo-mico;

la guerra sui due fronti: politico-mili-tare ed economico-indu-striale;

GENERalita’ FoNti FoSSili “pEtRoliZZaZioNE” E aVVio DEl NUClEaRE

(1950-1990)

ricostruzione post bellica (piano Marshall e nuova industrializ-zazione europea);

indipendenza ex colonie: avvio industrializzazione nei pVS; costruzione della società di massa: altissimi livelli di consumo e derego-lamentazione mercato;

anni 70/80: austerity, shock petroli-fero, stagflazione, crisi mediorientale; caro greggio, dipendenza delle eco-nomie occidentali dall’oro nero, vero e proprio fattore di balance of power geopolitica internazionale;

rinnovata sensibilità dell’opinione pubblica verso i temi dell’ambiente e dell’energia,

eventi chiave: disastro di Chernobyl (1986), disastro di Seveso (1976), re-ferendum abrogativo nucleare italia (1987), direttiva 96/82/CE Seveso i; sviluppo dei movimenti politici e sociali ambientalisti: (primo partito verde in australia UGt – 1976, Green party GB 1973, partito dei Verdi italia 1985, WWF e legambiente)

DECaRBoNiZZaZioNE, SoStitUZio-NE FoNti FoSSili E FoNti ESoStitUZio-NERGE- ENERGE-tiCHE RiNNoVaBili. VERSo l’ECoNo-Mia DElla SoStENiBilita’

(anni ’90 ad oggi)

industrializzazione matura; ristrutturazione dei sistemi pro-dut-tivi: dall’industria pesante alla lean production;

just in time, terziarizzazione del-l’economia, economia dei servizi e delle consulenze;

approccio qualitativo e non solo quantitativo della domanda; conferenza di Rio (1992);

il tema ambiente ed energia e’ al cen-tro del dibattito politico e sociale; eventi e concetti chiave: scioglimento dei ghiacciai, accesso alle risorse ali-mentari, articolazione dello sviluppo sostenibile, la RSi e la RSt, responsa-bilità intergenera-zionale;

movimento no global, il cosiddetto “popolo di Seattle”

Fonte: elaborazione INEA. Per la voce eventi e concetti chiave si consulti Roberto Della Seta, La difesa dell’ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento ecologista, Edizioni Franco Angeli, Milano, 2000.

(15)

Il Protocollo di Kyoto, oramai datato tredici anni, seppur all’interno di un quadro economico e politico assai problematico, ha avuto il merito di aver realmente accelerato il cammino verso una lunga stagione di riflessione e di riforma della politica climatica degli Stati: benché il conto delle promesse disattese e delle drammatiche contraddizioni sia di fatto sotto gli occhi di tutti, l’accordo sui cambiamenti climatici adottato nell’omonima città giapponese costituisce un sostanziale passo in avanti rispetto ad analoghe decisioni siglate in precedenza.

Per l’Italia l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% rispetto ai valori del 1990, entro il periodo 2008-2012 è risultato con il tempo abbastanza ambizioso, sia perché l’Italia è caratterizzata da una bassa intensità energetica sia in funzione del fatto che dal ‘90 ad oggi le emissioni nazionali di gas serra sono già notevolmente aumentate e, senza l’applicazione di politiche e misure adatte, sono destinate a crescere ancora. Nono-stante ciò nell’ultimo periodo la riduzione del consumo di energia dovuta alla crisi econo-mica ha fatto sì che fosse abbattuto anche il livello di emissioni.

Per comprendere lo sforzo di riduzione che l’Italia dovrà ulteriormente effettuare per raggiungere tale obiettivo, basti pensare che lo scarto tra scenario di emissione “tenden-ziale” di gas serra al 2010 (579,7 Mt CO2 eq) e quota limite di emissioni assegnata (487,1 Mt CO2 eq) è pari a ben 92,6 Mt CO2 equivalenti.

Il raggiungimento dell’obiettivo finale di riduzione delle emissioni, dovrebbe seguire un passo differenziato secondo il settore di riferimento così come mostrato dalla tabella che segue.

Tabella 1.2 – Riduzione emissioni CO2 in Mt eq. Dettaglio per misura/settore di riferimen-to. Programma di Implementazione Nazionale

Periodo 2008/2012 SETTORE OBIETTIVO in Mt eq. Energia 6,8 industria 28,2 trasporti 16,8 Civile 10,2 agricoltura 30,8 totale 92,8

Fonte: elaborazione INEA su dati Ministero dell’Ambiente, CIPE e Comitato Nazionale di Gestione e Attuazione della Direttiva 2008/87CE n. 033/2007.

Nonostante un miglioramento della tendenza generale – così come confermano le nor-mative e le misure presentate nella legge finanziaria 2010 – l’Italia ha essenzialmente sotto-valutato l’importanza degli impegni sottoscritti a Kyoto. I costi per la mancata applicazione del Protocollo di Kyoto in Italia rischiano di aumentare fino a 2,56 miliardi di euro all’anno se non verranno adottate delle politiche rigorose e costanti di riduzione delle emissioni di circa 98 Mt/anno tra il 2008 e il 2012.

Queste riflessioni si collegano direttamente al tortuoso percorso che sia l’Italia sia gli altri paesi hanno compiuto sino al Vertice di Copenhagen, quale ulteriore tappa di sviluppo

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della politica internazionale a tutela del clima, per il potenziamento delle misure previste nel primo periodo di attività del Protocollo di Kyoto, nonché per l’implementazione di altre stra-tegie relative sia al brevissimo periodo, che a scenari di medio termine, val a dire a partire dal 2013.

Almeno negli intenti, la conferenza di Copenhagen si presentava come un appunta-mento di importanza cruciale, previsto per scongiurare il pericolo di ulteriori slittamenti nella definizione di nuovi ambiziosi obiettivi per la riduzione dei gas a effetto serra.

In ragione della loro maggiore responsabilità storica sull’effetto serra, i paesi industria-lizzati erano stati chiamati ad agire per primi, siglando un duplice impegno che prevedeva:

• l’impegno a ridurre entro il 2020 i gas serra del 40 per cento almeno rispetto ai livelli del 1990, come indicato da tutte le associazioni che fanno parte del Climate Action Network;

• lo stanziamento di almeno 110 miliardi di euro all’anno per permettere alle economie in via di sviluppo di fare fronte agli impatti del cambiamento climatico, per adottare tecnologie verdi e sostenibili e per la lotta alla deforestazione. Somme, queste ultime, che dovevano essere pubbliche e aggiuntive rispetto agli aiuti allo sviluppo già previsti dai governi.

Al di là dei principali obiettivi relativi alla riduzione delle emissioni, al sostegno per l’implementazione delle tecnologie e delle energie verdi e della responsabilità differenziata nelle emissioni tra paesi sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo, il Vertice danese non ha di fatto portato a nessun risultato degno di nota.

In particolare numerosi nodi non sono stati sciolti, ovvero:

• la mancata individuazione di adeguati strumenti per la lotta alla deforestazione, attual-mente responsabile del 25% delle emissioni globali di gas ad effetto serra;

• la mancata realizzazione di una riforma strutturale dei meccanismi flessibili attual-mente previsti dal protocollo di Kyoto, soprattutto al fine di limitare il ricorso ai crediti di carbonio;

• la mancata definizione di un quadro di strumenti atti a realizzare la riduzione delle emissioni nelle economie a rapida crescita del 15-30 per cento in meno rispetto ai livelli previsti fino al 2020;

In effetti, l’indisponibilità della maggior parte dei paesi a rinunciare a quote importanti di emissioni, specie in relazione ai settori strategici per lo sviluppo economico interno, così come la generica presa d’atto dei contenuti programmatici del Vertice, ha prodotto scarsi ri-sultati, vanificando anche la possibilità di apportare un sostanziale miglioramento agli stru-menti previsti dal Protocollo di Kyoto che costituisce l’inizio di questo cammino.

Dopo il sostanziale immobilismo di Copenhagen è già partito il conto alla rovescia per la preparazione della Conferenza UNFCCC Messico 2010 (COP 16) che dovrebbe portare alla firma di un nuovo accordo per combattere il cambiamento climatico.

Oltre alla definizione di misure che possano realmente comportare una modificazione dei modelli climatici attualmente stabiliti, la lotta contro il cambiamento climatico necessita dello sviluppo immediato di azioni che limitino le emissioni di gas serra: la sfida principale di Messico 2010 è quella di far convergere misure, provvedimenti ed iniziative verso una specifica strategia politica di respiro globale, giacché solo la trasversalità dei programmi e la disponibilità piena delle Parti interessate, può determinare il concreto avvio dell’inversione di tendenza.

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Le politiche UE

All’interno della cornice strategica dei Programmi Comunitari e della programma-zione relativa alla Politica Agricola Comune, il tema della valorizzaprogramma-zione delle fonti ener-getiche rinnovabili e tra queste, delle bioenergie, assume una particolare importanza solo a partire dall’inizio degli anni ’90, in concomitanza con altri importanti cambiamenti del mercato dell’energia in Europa4.

Per questo motivo, l’attenzione verso la produzione di energia dal recupero delle bio-masse, hanno seguito la naturale evoluzione della politica comunitaria, verso l’accoglimen-to più generale del concetl’accoglimen-to di sviluppo sostenibile5. In tale ottica, quindi, le biomasse sono state poste al centro della politica ambientale ed energetica focalizzando su due condizioni di partenza: da una parte le attività agro-silvo pastorali offrono una grande massa di mate-riale potenziale a disposizione e, dall’altra, il suo recupero determina certamente positivi effetti sul mix energetico, soprattutto in termini di incidenza delle FER sulla quota di ener-gia complessivamente prodotta in Europa.

Infatti, le iniziali ricadute positive relative per lo più alle possibilità di utilizzo di energia da biomassa in termini di autoconsumo e produzione di biocombustibili, più tardi hanno mostrato importanti performance di risultato anche relativamente ad altri aspetti come la riduzione dell’inquinamento atmosferico da emissioni di CO2, l’aumento dei tassi di occupazione e la minore dipendenza commerciale da fonti energetiche extracomunita-rie.

Concetti come diversificazione delle fonti energetiche, sicurezza degli approvvigio-namenti e riutilizzo degli scarti, hanno poi trovato vero e proprio fondamento giuridico in alcune direttive comunitarie, che per la prima volta hanno disciplinato in maniera cogente la materia6.

A tal proposito, nella tabella che segue, si riportano le principali dichiarazioni UE in materia di energia ed agroenergie.

Nell’anno 2005, con il Piano di Azione per la Biomassa, la Commissione Europea ha dato impulso all’utilizzo e produzione di energia a partire da biomassa.

Tra gli obiettivi individuati: la riduzione delle emissioni di CO2, la copertura di una quota prestabilita del fabbisogno energetico UE tramite fonti rinnovabili, la rimozione degli ostacoli tecnici, maggiore impulso alla ricerca tecnico scientifica

4 A livello generale ci si riferisce al rinnovato ruolo delle politiche della tutela ambientale e del risparmio energetico, mentre più nello specifico gli avvenimenti cui si intende fare riferimento sono l’avvio della liberalizzazione del mercato dell’elettricità (prima direttiva 96/62/CE, poi 2003/54/CE) e del mercato del gas (prima direttiva 98/30/ CE, anche in questo caso poi successivamente sostituita con 2003/55/CE).

5 Il termine sviluppo sostenibile apparve per la prima volta nel 1987 all’interno del Rapporto Brundtland, così chiamato dal nome della Presidentessa della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo. Nel Rapporto la definizione di sviluppo sostenibile recita: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presen-te senza comprometpresen-tere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. In tale conpresen-testo non viene menzionata l’accezione ambientalista vera e propria, mentre ci si concentra maggiormente sul benessere e sulla qualità della vita come qualità dell’ambiente circostante. A partire da questo concetto, la dimensione della sostenibilità che riguarderà l’uso razionale delle risorse e la responsabilità per le generazioni future, sarà presso-ché accolta nei maggiori Documenti programmatici e strategici sia UE sia ONU.

6 Il fondamento giuridico relativo alle biomasse trae origine da due direttive, la prima dir. 2001/77/CE e la succes-siva dir. 2003/30/CE, agganciate anche alla definizione di biocombustibile. Ai sensi di tali direttive, la biomassa è la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, comprendente sostanze vegetali e animali, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e ur-bani. Per biocarburanti, invece, si intendono carburanti liquidi o gassosi per i trasporti, ricavati dalla biomassa.

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Tabella 1.3 – Principali atti/dichiarazioni UE in materia di energia e agro energie

Tipologia Atto Campo di Interesse

libro Verde 1996 Energia per il Futuro – Fonti Energetiche Rinnovabili Direttiva 1996/62 (Sostituita Da 2003/54) liberalizzazione Del Mercato Dell’energia Elettrica Direttiva 1998/30 (Sostituita Da 2003/55) liberalizzazione Del Mercato Dei Servizi Di Erogazione Del Gas libro Verde 2000 Sicurezza Degli approvvigionamenti

piano Di azione 2005 azioni integrate per l’utilizzo Della Biomassa Direttiva 2003/30 alimentazione Biocarburante Sistema pubblico Dei

trasporti

Risoluzione Del 26/09/07 politica Estera Comune in Materia Di Energia

Direttiva 2001/77 Biomassa

Direttiva 2009/28 promozione Fer

Direttiva 2003/30 Biocombustibili

Comunicazione N. 59/2007 Sottoprodotti – Scarti Della lavorazione

Direttiva 2008/98 Rifiuti – processo Di Recupero Ed Elenco Materie prime Secondarie ammesse

Tabella n. 1.4 - Atti Comunitari e Obiettivi Biomasse/FER – Gli strumenti principali I/III

ATTI INIZIATIVE PROVVEDIMENTI UE OBIETTIVI PREFISSATI

liBRo BiaNCo 1997

produzione di 135/MtEp di biomassa entro il 2010; incidenza del 12% di FER sul mix energetico complessivo dell’UE entro il 2010.

piaNo Di aZioNE DElla BioMaSSa 2005

Miglioramento degli approvvigionamenti; Rimozione degli ostacoli tecnici; promozione di Studi e Ricerche;

Correzione obiettivi libro Bianco: da 135/MtEp a 149/ MtEp annuali, dal 12% al 10% di incidenza complessiva FER sul mix energetico UE;

50% impianti domestici per il riscaldamento alimentati da biomassa;

37% di produzione elettrica da biomassa;

12,5% di produzione di diesel e bioetanolo vegetali; Riduzione complessiva aliquota iVa per impianti di tele-riscaldamento.

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Tabella 1.5 – Atti Comunitari e Obiettivi Biomasse/FER – Gli strumenti principali II/III

ATTI INIZIATIVE PROVVEDIMENTI UE OBIETTIVI PREFISSATI

paCCHEtto Di aZioNi iN MatERia ENERGEtiCa (2007)

Realizzazione di una politica energetica europea (pEE); limitazione del surriscaldamento (massimo 2 gradi Celsius);

Sviluppo mercati interni del gas e dell’elettricità; produzione sostenibile di energia elettrica da combusti-bili fossili;

azzeramento a partire dal 2020 delle emissioni da car-bone,

linee di indirizzo per il settore nucleare;

indicazione progressi nell’uso di biocarburanti e altri combustibili provenienti da FER;

Realizzazione di un piano Strategico europeo per le tec-nologie energetiche;

Monitoraggio risultati azioni implementate all’indomani del libro Verde;

indagini a norma dell’articolo 17 del Reg. CE n. 1/03 nei settori europei del gas e dell’elettricità.

Tabella n. 1.6 – Atti Comunitari e Obiettivi Biomasse/FER- Gli strumenti principali III/III

ATTI INIZIATIVE PROVVEDIMENTI UE OBIETTIVI PREFISSATI

CoRNiCE StRatEGiCa Di pRoGRaMMaZioNE iNtEGRata DEl CoNSiGlio EURopEo Di pRiMaVERa (2007)

pRiNCipio DEl 20-20-20 (entro il 2020): riduzione delle emissioni di gas serra del 20%; aumento dell’efficienza energetica del 20%; formazione di un mix energetico proveniente per il 20% da Fonti Rinnovabili, tra queste l’8% da biomasse e biocarburanti, arrivando al 10% di utilizzo di questi biocarburanti verdi sul totale del consumo di benzina e gasolio per autotrazione.

Al momento uno dei principali riferimenti politici a livello europeo nel settore del-la bioenergia e delle politiche energetiche è il pacchetto di azioni in materia energetica, adottato dalla Commissione europea il 23 gennaio 2008: il documento “Due volte 20 per il 2020. L’opportunità del cambiamento climatico per l’Europa” ha lo scopo di istituire una nuova politica energetica per l’Europa finalizzata a combattere i cambiamenti climatici, a rafforzare la sicurezza energetica e la competitività dell’UE definendo obiettivi ambiziosi riguardo alla riduzione delle emissioni di gas serra e allo sviluppo di energia rinnovabile.

Altro aspetto da non sottovalutare, vista la particolare natura della produzione di energia da biomasse, è quello del rapporto tra biomassa e produzioni agricole, in partico-lare tra biomassa e regimi normativi e di sussidio previsti dalla Politica Agricola Comune (PAC).

A partire dal 2003 la PAC ha subito un generale processo di riforma, svincolando il sostegno agli agricoltori dalle quantità prodotte ed incentivando il ruolo multifunzionale dell’agricoltura.

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Questa riforma, nello specifico, ha offerto la possibilità di coltivare qualsiasi materia prima agricola su superfici cosiddette set-aside no food, ovvero terreni a riposo non desti-nati a colture alimentari, e beneficiare ugualmente dei sussidi, determinando la formazio-ne di coltivazioni eformazio-nergetiche, l’aumento della produzioformazio-ne di materia prima per biocombu-stibili con colture dedicate7.

In tale contesto si è avviato un processo di metamorfosi dell’attività imprenditoriale agricola nel campo della produzione delle energie rinnovabili, soprattutto per quanto ri-guarda la produzione di biocarburanti e di energia elettrica e termica a partire da biomassa.

1.2 Lo sviluppo dell’agroenergia: da esigenza ambientale a nuova prospettiva

per il comparto agricolo ed il territorio.

Nell’aprile 2009 il Libro bianco “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso

un quadro d’azione europeo”8 stabilisce le strategie per migliorare la capacità di

adat-tamento ai cambiamenti climatici in Europa, sottolineando la necessità di integrare la questione in tutte le principali politiche europee e rafforzare la cooperazione tra i vari livelli di governo. Il documento intende favorire la comprensione dei cambiamenti clima-tici e l’impatto che essi potranno avere, sottolineando la necessità di creare entro il 2011 un Clearing House Mechanism, una camera di compensazione in cui le informazioni sui rischi dei cambiamenti climatici, i possibili impatti e le best practices possano es-sere scambiati tra governi, agenzie ed organizzazioni che operano in quest’ambito. Esso è accompagnato da tre documenti settoriali sull’agricoltura9, sulla salute10 e sul tema delle acque, delle coste e dell’ambiente marino11. Il documento sull’agricoltura sottoli-nea i possibili impatti sulla produzione, distinguendo le possibili conseguenze per i vari comparti produttivi e suggerisce azioni strategiche per contrastare gli effetti negativi del cambiamento, sia a livello di singola azienda agricola che dell’intero settore (azioni di resilienza e mitigazione). Se infatti da un lato resistere ai cambiamenti climatici rappre-senterà un costo in più per l’imprenditore agricolo, dall’altro la produzione di energia a partire da materia prima di origine agro-forestale, consentendo l’abbattimento dei costi e rendendo possibile la diversificazione del reddito, potrebbe migliorare la resilienza delle aziende agricole.

L’agroenergia rappresenta una possibile risposta del settore a patto di capire in primis “come” possa contribuire a questo processo di adattamento, per poi porsi l’inter-rogativo “in che misura”. Tale processo è da intendersi come un riequilibrio tra le fonti energetiche a vantaggio delle rinnovabili ed allo stesso tempo una loro più efficiente uti-lizzazione, associando il tutto ad una corretta gestione del territorio e dei relativi carichi nell’ambiente circostante.

L’avvio di una filiera agroenergetica, quale che sia la biomassa utilizzata, presenta sicuramente margini più ampi di successo nei casi in cui si riesca ad instaurare un forte

7 Da 0,31 milioni di ettari nel 2004 fino a 2,84 milioni di ettari incentivati del 2007.

8 COM(2009) 147/4, 01.04.2009. Il Libro Bianco sull’Adattamento ai Cambiamenti Climatici non costituisce un do-cumento vincolante dal punto di vista dell’ottemperanza agli obblighi legislativi, ma un dodo-cumento strategico aggiuntivo alle singole politiche nazionali e ad altri interventi obbligatori già decisi in ambito comunitario. 9 SEC(2009) 417.

10 SEC(2009) 416 11 SEC(2009) 386

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legame col territorio dovuto ad esempio, ad una elevata concentrazione di biomassa di-sponibile per la trasformazione12.

Una favorevole combinazione di fattori è data dalla contemporanea domanda di ener-gia elettrica in costante crescita associata ad un elevato fabbisogno di enerener-gia termica, si-tuazione che può presumibilmente verificarsi in aree ove siano concentrate trasformazioni agroindustriali o altro tipo di industria manifatturiera che necessita di energia termica per il proprio processo produttivo.

Perché vi sia uno sviluppo veramente efficiente le imprese agricole devono poter par-tecipare al valore aggiunto derivante dai meccanismi incentivanti messi a disposizione a livello nazionale e/o regionale per le energie rinnovabili. Ciò non perché potenziali produt-tori di energia pulita ma in quanto potenziali produtprodut-tori della materia prima energetica: la biomassa. Perché siano rispettati contemporaneamente i principi di sostenibilità ed econo-micità è necessario che si instauri un’interazione positiva tra impresa energetica e azienda agricola evitando innanzitutto un meccanismo competitivo che vedrebbe crescere una a di-scapito dell’altra e garantendo, al contempo, una migliore gestione degli aspetti ambientali.

Ad esempio, per gli impianti di piccole dimensioni che per proprie caratteristiche rispondono meglio al principio di sostenibilità, le possibilità di raggiungere un’adeguata efficienza economica sono legate alla capacità di radicarsi nel contesto produttivo locale e di creare un circolo virtuoso grazie all’abbattimento dei costi di produzione, recupero e trasporto della biomassa.

È da questa prospettiva che bisogna partire per meglio comprendere il generale orien-tamento localista, ormai fortemente radicato, circa la produzione di energia: attualmente in molti territori, a megacentrali di grande capacità, si preferiscono strutture di piccola taglia dall’impatto ambientale più modesto.

Le politiche energetiche ed ambientali, tra cui gli incentivi all’agroenergia, hanno suscitato negli ultimi anni un forte interesse da parte degli operatori del settore agricolo ai quali si presenta la nuova prospettiva di inserire l’energia “pulita e rinnovabile” tra i propri prodotti.

Sebbene la capacità produttiva sia nettamente inferiore rispetto agli impianti alimen-tati con fonte fossile generalmente di grandi dimensioni e, talvolta, anche insufficiente ad assicurare la copertura del fabbisogno energetico territoriale, le cornici programmatiche europee, nazionali e soprattutto regionali, incentivano tale processo, tendente alla realiz-zazione di una vera e propria autosufficienza energetica dei contesti rurali.

Se capillarmente prevista ed applicata, questa politica potrebbe dare luogo ad una rivalutazione economica del contesto locale (green economy), per pervenire alla realizza-zione finale di un sistema energetico distrettuale.

D’altro canto l’approccio dal punto di vista locale, può essere attuato solo con politi-che di tipo bottom-up al fine di evitare l’ostilità delle comunità residenti (effetto NiMBY) rispetto alla realizzazione di progetti indesiderati e di sfruttamento di risorse scarsamente presenti sul territorio con potenziale perdita di biodiversità. A tal fine, l’affiancamento di interventi mirati al monitoraggio e controllo tramite l’ausilio degli indicatori delle per-formances ambientali (carbon footprint) risultano senz’altro utili strumenti di verifica in termini di efficacia ed efficienza degli impianti.

12 Potrebbe essere il caso delle aree a forte concentrazione di allevamenti gravate dalla questione degli ingenti quan-titativi dei reflui da smaltire. In questo caso ai benefici derivanti dalla produzione di energia si associano quelli derivanti dalla migliore gestione dei reflui da smaltire, che in molti casi equivale anche ad una migliore gestione economica.

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Se colte nella loro accezione di complementarità e sostegno aggiuntivo, le agroener-gie costituiscono certamente un rimedio alla impellente esigenza, invocata a vari livelli, di ridurre le emissioni climalteranti: l’uso delle biomasse per scopi energetici può essere considerato neutro rispetto al problema dell’aumento della CO2 in atmosfera – giacché la CO2 emessa con la combustione e quella rimossa con la fotosintesi si equivalgono – consen-tendo così di annullare le emissioni rispetto a quelle prodotte dall’impiego di combustibili fossili. Inoltre tra i gas e le sostanze che alterano clima ed ambiente ci sono il metano ed i nitrati, prodotti in grande quantità dalle deiezioni zootecniche, che fanno dell’agricoltura uno dei settori a maggiore impatto, questa volta non a causa dell’energia consumata.

Appare quindi, chiaro, quali e quanti possano essere i vantaggi ambientali in termini di vivibilità e sostenibilità economica e sociale che l’implementazione di una efficace pro-grammazione agroenergetica locale può perseguire, partendo però da due presupposti: il primo è relativo alla complementarità delle fonti energetiche rinnovabili, mentre il secondo riguarda la valutazione delle condizioni territoriali e contestuali di ciascun luogo, giacché a territori diversi corrisponderanno necessariamente fonti energetiche e programmazioni energetiche locali differenti.

1.3 Evoluzione della normativa nazionale sul sistema energetico

Volendo proporre un quadro sintetico dei grandi cambiamenti occorsi in quegli anni nel sistema energetico nazionale, bisogna guardare al complesso di norme, anche comunitarie, che possono essere ricondotte a tre filoni principali: norme di attuazione della politica energetica, norme di riforma della Pubblica Amministrazione (federalismo fiscale, decentramento amministrativo, etc.), e norme di liberalizzazione del mercato dell’energia.

Il processo di decentramento delle attribuzioni nel campo dell’energia rinnovabile inizia con la legge 308/82 che introduce un primo inquadramento normativo per le fonti rinnovabili insieme alla definizione di risparmio energetico, conferendo alle Regioni la competenza su programmazione ed incentivazione di queste due tematiche.

Nel 1991 con le leggi n. 9 e n. 10, vengono rispettivamente introdotti i provvedi-menti per la liberalizzazione della produzione di energia ed i principi generali per l’uso razionale dell’energia.

In particolare la Legge n. 10 del 9 gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia” pone l’accento su obiettivi di riduzione dei consumi e di miglioramento della compatibilità ambientale. Tra l’altro, all’art. 5, sancisce l’obbligo per le Regioni di individuare bacini energetici predisponendo Piani regionali, i quali devono contenere provvedimenti finalizzati all’uso razionale dell’ener-gia, al risparmio energetico ed allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, con la formulazione di obiettivi definiti secondo priorità di intervento.

Sul secondo fronte, la riforma della Pubblica Amministrazione attuata attraverso il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti Locali (legge delega 59/97 e decreto legislativo 112/98), attribuisce agli Enti Locali le funzioni amministrative in materia di controllo sul risparmio energetico e l’uso razionale dell’energia conferendo, in particolare, alle Province, nell’ambito delle linee di indirizzo e di coordinamento

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previste dai Piani Energetici Regionali, le funzioni riguardanti la redazione e l’adozione dei programmi di intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico, l’autorizzazione alla installazione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica inferiore a 300 MWt, il controllo sul rendimento energetico degli im-pianti termici. Delega, infine, alle Regioni le funzioni amministrative non riservate allo Stato e non attribuite direttamente agli Enti locali, prevedendo che siano poi le stesse Regioni a determinare quali di queste funzioni amministrative debbano rimanere di competenza propria e quali debbano essere trasferite.

Lo Stato, oltre a conservare le funzioni e i compiti concernenti l’elaborazione e la definizione degli obiettivi e delle linee di politica energetica nazionale, nonché l’ado-zione degli atti di indirizzo e coordinamento sulla programmal’ado-zione energetica regiona-le, riserva a sé altre funzioni amministrative, tra cui quelle che riguardano: la ricerca scientifica in campo energetico e le determinazioni concernenti l’ambiente.

La legge costituzionale 3/2001, infine completa il processo di attribuzione ratione materiae in capo alle Regioni con la nuova formulazione del Titolo V - art. 117 - della Costituzione affidando alle stesse potestà legislativa concorrente in materia di produ-zione, trasporto e distribuzione nazionale di energia. In particolare spetta alle regioni, nell’ambito degli indirizzi della politica energetica nazionale e comunitaria:

• l’individuazione di “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”

• la formulazione degli obiettivi della politica energetica regionale

• la localizzazione e realizzazione degli impianti di teleriscaldamento

• lo sviluppo e valorizzazione delle risorse endogene e delle fonti rinnovabili

• il rilascio delle concessioni idroelettriche

• la certificazione energetica degli edifici

• la garanzia delle condizioni di sicurezza e compatibilità ambientale e territoriale

• la sicurezza, l’affidabilità e la continuità degli approvvigionamenti regionali. Sul terzo fronte, quello del mercato, i provvedimenti più importanti per il settore energetico e della produzione di energia da fonti rinnovabili sono rappresentati dalla direttiva 96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ed il Decreto legislativo na-zionale di attuazione n. 79 del 1999 (Decreto Bersani).

Con questo decreto si liberalizza il mercato elettrico disciplinando il settore: la produzione, l’importazione, la vendita e l’acquisto di energia elettrica sono diventate attività libere e questo ha generato la graduale apertura alla concorrenza del mercato. A partire dal gennaio 2003, non è stato più possibile che un solo soggetto detenesse di-rettamente o indidi-rettamente più del 50% del mercato nazionale; mentre la trasmissione ed il dispacciamento, attività riservate allo Stato, sono state attribuite in concessione al GRTN (Gestore Della Rete di Trasmissione Nazionale) oggi Terna. L’art. 11 dedicato all’energia da fonti rinnovabili obbliga a partire dal 2001 i produttori e gli importatori di energia elettrica ad immettere, nel sistema elettrico, una quota stabilita di energia ‘pulita’, mentre la completa liberalizzazione della distribuzione si è avuta a partire dal luglio 2007, come stabilito dalla direttiva 2003/54/CE.

Accanto agli strumenti normativi che negli anni ’90 hanno determinato il cam-biamento radicale nel sistema energetico nazionale, il graduale passaggio a politiche mondiali maggiormente ambientaliste ha portato verso sistemi di definizione di quote per le emissioni e per la produzione di energia. L’articolo 3, comma 2, della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, relativa alla Promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel

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merca-to interno dell’elettricità, stabilisce che ogni cinque anni, gli Stati membri adottano e pubblicano una relazione che stabilisce per i dieci anni successivi gli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili in termini di percentuale del consumo di elettricità.

Come già accennato uno dei principali riferimenti politici a livello europeo nel settore della bioenergia e delle politiche energetiche è il pacchetto di azioni in materia energetica, adottato dalla Commissione europea il 23 gennaio 200813. Il documento che accompagna cinque proposte di direttive14, con lo scopo di predisporre gli strumenti per l’attuazione degli obiettivi generali approvati dal Consiglio europeo nel marzo 200715 - e prima ancora indicati dal Consiglio europeo del marzo 200616 - ovvero la riduzione del 20%, rispetto al 1990 delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020, una quota del 20% di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell’UE entro il 2020 ed il traguardo del 10% per l’utilizzo di biocarburanti.

Tali obiettivi sono stati ripresi e meglio specificati nella Direttiva 2009/28/CE17 Promozione dell’uso delle energie da fonti rinnovabili che ripartisce l’obiettivo gene-rale del 20% da fonte rinnovabile tra tutti gli Stati membri secondo il principio del bur-den sharing già utilizzato con il protocollo di Kyoto. La Commissione ha infatti fissato i singoli obiettivi nazionali, giuridicamente vincolanti, tenendo conto della situazione economica di ogni Stato. Con l’Italia è stata concordata una quota del 17% di energia da fonti energetiche rinnovabili (FER) da raggiungere entro il 2020. A sua volta la legge 13/09 prevede che gli obiettivi comunitari circa l’uso delle energie rinnovabili siano ripartiti, con modalità condivise, tra le regioni italiane attraverso una burden sharing regionale.

La direttiva europea introduce inoltre un meccanismo che mira a favorire il trasfe-rimento di energia rinnovabile tra gli Stati membri e la realizzazione di progetti comuni. Annualmente ogni Stato membro pubblica e notifica alla Commissione una stima della

13 COM(2008) 30

14 Il ‘pacchetto’ prevede l’approvazione dei seguenti provvedimenti:

- comunicazione della Commissione sulla dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili e il relativo finanziamento. COM(2008) 13;

- proposta di revisione della direttiva 2003/87/CE sul sistema per lo scambio di quote di emissioni.COM(2008) 16; - proposta di direttiva concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020. COM(2008) 17;

- proposta di direttiva relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio e recante modifica delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio e delle direttive 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006. COM(2008) 18;

- proposta di direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. COM(2008) 19; - disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente. GU C 82 del 1.04. 08.

15 Consiglio dell’Unione Europea 7224/1/07. I tre obiettivi principali della politica energetica per l’Europa (PEE) sono:

- aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento;

- garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili; - promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.

16 Documento del Consiglio 7775/1/06 in conseguenza del quale la Commissione ha elaborato nel gennaio 2007 la Road map per le energie rinnovabili [COM(2006) 848] in cui delinea una visione a lungo termine delle politiche per le fonti energetiche rinnovabili nell’UE.

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produzione eccedentaria di energia da fonti rinnovabili rispetto alla traiettoria indicati-va in modo che si possa prevedere un trasferimento agli altri Stati. Allo stesso modo gli Stati che pensano di non poter raggiungere la quantità stabilita, dovranno pubblicare una stima della richiesta di energia da fonti rinnovabili per compensare il divario.

Per quanto riguarda il settore dei trasporti ciascun Paese dell’UE deve assicurare che in tutte le forme di trasporto la propria quota di carburanti da fonti rinnovabili sia almeno pari al 10%. A quest’obiettivo non si applica il meccanismo di ripartizione tra Stati membri, quindi anche per l’Italia vale questo principio. La direttiva dispone che per i biocarburanti prodotti da residui, materie cellulosiche di origine non alimentare, ovvero per i biocarburanti di “seconda generazione”, si conteggi un contributo doppio rispetto a quello fornito da altri biocarburanti. Inoltre allo scopo di salvaguardare al massimo la sostenibilità18, per il raggiungimento dell’obiettivo del 10% precisa che non saranno contabilizzati i biocarburanti derivanti da materie prime prodotte su terreni che hanno un elevato valore di biodiversità.

Si impone inoltre ad ogni Stato di adottare un Piano di azione nazionale (PAN) per l’energia da fonti rinnovabili. Obiettivo primario del PAN per l’Italia19 è, quello di incre-mentare l’efficienza energetica e ridurre i consumi di energia. Oltre al Piano straordi-nario per l’efficienza e il risparmio energetico previsto dalla legge 99/2009, gli obiettivi operativi previsti nel piano sono: promozione della cogenerazione diffusa, misure volte a favorire l’autoproduzione di energia per le piccole e medie imprese, rafforzamento del meccanismo dei titoli di efficienza energetica, promozione di nuova edilizia a rilevante risparmio energetico e riqualificazione energetica degli edifici esistenti, incentivi per l’offerta di servizi energetici, promozione di prodotti nuovi altamente efficienti. In parti-colare per quel che riguarda le biomasse sono proposti i seguenti interventi:

• revisione periodica dei fattori moltiplicativi, delle tariffe omnicomprensive;

• eventuali strumenti di stabilizzazione della quotazione dei certificati verdi, come l’introduzione di una “banda di oscillazione” del prezzo, che possano dare più certezza agli investitori e consentire una migliore programmabilità delle risorse e degli impatti sul sistema di prezzi e tariffe;

• modulazione degli incentivi in modo coerente all’esigenza di migliorare alcune opzioni dei produttori (ad esempio, il tipo di localizzazione) e ridurre costi extra costi d’impianto o di sistema;

• per le biomasse e i bioliquidi: possibile introduzione di priorità di destinazione a scopi diversi da quello energetico e, qualora destinabili a scopo energetico, discri-minazione tra quelli destinabili a produzione di calore o all’impiego nei trasporti da quelli destinabili a scopi elettrici;

• sempre per le biomasse: particolare attenzione sarà dedicata alle dinamiche del costo della materia prima e del costo di esercizio, perseguendo una convergenza dell’intensità del sostegno con quanto si registra in ambito europeo.

Tutti questi obiettivi e misure potranno confluire nella Strategia energetica nazio-nale, per la cui definizione è prevista una Conferenza nazionale sull’energia e l’ambiente.

18 Artt 17.3-17.5

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1.4 Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili

La promozione delle fonti rinnovabili in Italia è incentrata su programmi di incenti-vazione che possono essere raggruppati nelle seguente tre tipologie:

a) assegnazione di certificati verdi alla produzione;

b) assegnazione di un incentivo amministrato alla produzione;

c) remunerazione amministrata dell’energia elettrica immessa (tariffa fissa onnicom-prensiva)

Le modalità di accesso alla rete, di distribuzione e di cessione dell’energia sono di-versificate ed alternative per tipologia di fonte e potenza dell’impianto: ad esempio il de-creto ministeriale 18 dicembre 2008 consente agli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza nominale media annua non superiore a 200 kW, di accedere allo “scambio sul posto”, meccanismo che consente di immettere in rete l’energia elettrica prodotta ma non immediatamente autoconsumata, per poi prelevarla in un momento successivo per soddi-sfare i propri consumi.

La tabella 1.7 sintetizza le modalità di accesso alla rete, di cessione dell’energia elet-trica prodotta da fonti rinnovabili e gli incentivi previsti20.

La possibilità di produrre energia da parte del settore agricolo deriva dalla recente normativa che ha profondamente modificato il mercato dell’energia liberalizzandolo.

Oggi la produzione, l’importazione, la distribuzione e quindi l’erogazione al consu-matore finale di energia elettrica sono attività aperte alla concorrenza. Il mercato della produzione di energia, quindi, è caratterizzato ad esclusione di ENEL, ex monopolista, da imprese pubbliche locali, piccoli produttori e autoproduttori. La trasmissione dell’energia, consistente nel trasferimento sulla rete nazionale ad alta e altissima tensione è un’attività riservata allo Stato ed attribuita in concessione alla società per azioni Terna.

Le fonti rinnovabili godono però della priorità di dispacciamento cioè, a parità di prezzo proposto, nell’ordine di merito economico con cui vengono ordinate le offerte ai fini della risoluzione del mercato, le offerte riferite ad unità alimentate da fonti rinnovabili non programmabili e programmabili hanno la priorità rispetto alle fonti tradizionali.

Il decreto Bersani ha inoltre previsto la semplificazione delle procedure attraverso l’adozione di una autorizzazione unica e la possibilità di ubicazione degli impianti anche in zone classificate come agricole dai vigenti piani urbanistici.

Lo stesso decreto ha consentito lo sviluppo dell’attuale regime di incentivazione delle FER basato su criteri di mercato: lo scambio dei certificati verdi (CV). Tale meccanismo deriva dall’obbligo, a partire dal 2002, per i soggetti produttori o importatori di energia elettrica, di immettere nella rete nazionale una certa percentuale di energia da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Di contro i produttori di energia da FER possono scambiare tramite i CV la loro quota di energia ‘verde’ con i produttori da fonti tradizionali in modo che quest’ultimi possano ottemperare all’obbligo. Un certificato verde, oggi corrisponden-te alla produzione di 1 MWh di energia da foncorrisponden-te rinnovabile, è in realtà un vero e proprio titolo scambiabile su un apposito mercato. Il prezzo dei CV si forma attraverso la libera contrattazione tra gli operatori, la quale può avvenire bilateralmente o nel mercato orga-nizzato dal Gestore dei mercati energetici (GME) .

Il prezzo al quale il Gestore dei servizi energetici (GSE) emette i CV è detto prezzo di riferimento il quale, come stabilito dalla finanziaria 2008, è pari alla differenza tra un

Figura

Tabella n. 1.1 – Fonti energetiche e orientamento storico-economico
Tabella 1.2 – Riduzione emissioni CO 2  in Mt eq. Dettaglio per misura/settore di riferimen- riferimen-to
Tabella 1.8 – Valori incrementali per anno di energia prodotta da FER in Italia. Periodo  2007-2012
Tabella n. 2.2 - Consistenza del parco elettrico e bilancio dell’energia elettrica nella regio- regio-ne Campania per l’anno 2008
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Riferimenti

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