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il piano Forestale Generale 2009-2013

3.2 Colture energetiche dedicate

Le colture dedicate si distinguono in relazione alla specializzazione produttiva, ov- vero alle caratteristiche chimico fisiche delle specie coltivate alla quali è inevitabilmente legato anche il processo di trasformazione. Le colture dedicate, infatti, possono essere raggruppate in tre categorie principali, colture da biomassa lignocellulosica, colture olea- ginose e colture alcoligene.

In relazione al tipo di destinazione, possono essere applicate specifiche tecniche agronomiche per ottimizzarne la produttività, potenziando le caratteristiche che massi- mizzano il potere calorifico e/o il rendimento energetico. Ad esempio mirando ad ottenere biomassa con un basso tenore di umidità se destinata alla combustione o un più alto con- tenuto in olio se destinata alla produzione di biocarburanti.

La biomassa lignocellulosica, costituita da sostanze solide tra cui prevale la lignina e la cellulosa, può essere ottenuta sia tramite impianti di specie arboree, sia grazie a coltiva- zioni di specie erbacee, queste ultime distinguibili in annuali e poliannuali. Si tratta di dif- ferenze significative in termini di tecniche produttive che differiscono per gli investimenti iniziali, per la gestione della forza lavoro, per i rischi sostenuti dall’imprenditore.

Tra le colture arboree le più diffuse per la produzione di energia sono quelle a rapido accrescimento che consentono un più veloce ritorno economico, meglio conosciute appun- to come Short Rotation Forestry (SRF).

Le SRF sono coltivazioni energetiche legnose costituite da specie selezionate per

48 «Bioliquidi»: combustibili liquidi per scopi energetici diversi dal trasporto, compresi l’elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento, prodotti a partire dalla biomassa;

l’elevata resa in biomassa e per la capacità di rapida ricrescita in seguito al taglio, con turni di ceduazione brevi ed un’elevata densità d’impianto.

Tra le specie erbacee caratterizzate da un ciclo di vita annuale, le più interessanti sperimentazioni a livello nazionale sono state effettuate con vati tipo di i sorgo, oltre a mais, canapa e kenaf.

Queste colture offrono il vantaggio di non occupare il terreno agricolo in modo per- manente, potendosi pertanto ben inserire nei cicli tradizionali di rotazione colturale e con- sentendo la coltivazione anche su terreni tenuti a set-aside rotazionale. Tale flessibilità è un fattore importante per quanto riguarda l’impatto che può avere la coltivazione di specie a destinazione energetica sugli agricoltori: il fatto che il terreno non sia vincolato in modo duraturo li rende infatti più propensi ad impiantare specie per loro inusuali.

Diverse specie erbacee poliennali sono sfruttabili per la produzione di biomasse lignocellulosiche anche in relazione alle variabili condizioni pedoclimatiche. Numerose sperimentazioni sono state condotte con la canna comune, il miscanto e il panìco (Pani- cum italicum L.). Queste specie però presentano un maggior impatto sull’organizzazione dell’azienda agricola in quanto occupano il suolo per diversi anni (10-15 anni) e presen- tano inoltre un elevato costo d’impianto. A loro vantaggio invece, la notevole quantità di biomassa prodotta per più anni e con bassi costi aggiuntivi una volta entrate in produzione (rispetto alle specie annuali). Si tratta inoltre di specie generalmente poco esigenti: richie- dono modesti quantitativi di acqua, di fertilizzanti e antiparassitari, ed esigue lavorazioni del terreno.

Le colture oleaginose e le colture alcoligene si differenziano dalle colture finora trat- tate poiché non forniscono direttamente il biocombustibile, bensì la materia prima da cui ricavare i biocarburanti attraverso trasformazioni chimiche e biochimiche. Molte specie tra le colture oleaginose sono diffuse su scala mondiale, si tratta sia di colture erbacee (il girasole, il colza e la soia) , sia arboree (la palma da cocco). In linea generale le oleaginose producono semi caratterizzati da un elevato contenuto in oli: nel girasole il contenuto in oli è in media del 48% con punte del 55% mentre nel colza è in media del 41% con picchi del 50%. I semi di soia, invece sono quelli che presentano le concentrazioni minori comprese, in media, tra il 18 e il 21%; per tale motivo, ai fini della destinazione energetica, risultando pertanto sfavoriti.

Gli oli grezzi ottenuti dalle colture oleaginose sono caratterizzati da un elevato po- tere calorifico inferiore (in media di 9.400 kcal/kg), per cui possono essere utilizzati come biocarburanti, in sostituzione del gasolio, per la produzione di energia termica ed elettrica e in cogenerazione. La loro conversione in biodiesel ne consente l’impiego anche per l’au- totrazione.

Le colture alcoligene assicurano invece un tipo di biomassa dagli elevati contenuti in carboidrati fermentescibili destinabili, grazie ad un processo di fermentazione, alla pro- duzione di bioetanolo, biocarburante sostituto della benzina o dei composti antidetonanti (ad esempio MTBE).

La materia prima da avviare alla filiera di produzione del bioetanolo può essere costi- tuita da zuccheri semplici (in primis saccarosio e glucosio) o da zuccheri complessi (ami- do) ed è ottenuta, rispettivamente, dalle colture dedicate saccarifere o da quelle amilacee. Tra le colture saccarifere, quelle ritenute adatte alle condizioni del terreno e del clima in Italia, sono la barbabietola da zucchero e il sorgo zuccherino, tra le colture amilacee il frumento tenero, soprattutto nell’Italia meridionale, e il mais, in particolare nell’Italia set-

tentrionale. Le colture saccarifere presentano un elevato contenuto in zuccheri semplici: l’estratto zuccherino fermentescibile nella barbabietola costituisce in media il 20% della biomassa secca raccolta, nel sorgo il 18%. Le colture amilacee contengono l’amido in forma di granuli e i residui di glucosio che lo compongono possono essere idrolizzati e, succes- sivamente, fermentati a bioetanolo: il frumento tenero presenta un contenuto in amido corrispondente al 70%, il mais pari al 78%.

Le colture oleaginose, per esempio dato il loro elevato contenuto in oli, sono desti- nate alla trasformazione in biocarburanti. Nel caso di prodotti ad alto contenuto di ligno- cellulosa la destinazione più comune è, invece, la conversione in prodotti intermedi da utilizzare sia a livello di grandi impianti che per uso domestico o in enti pubblici per il riscaldamento, come nel caso di cippato, pellet, bricchette.

Diverse tecnologie che possono essere applicate con risultati diversi alla stessa tipo- logia di biomassa, preferibilmente con dei pretrattamenti diversificati che ne ottimizzano i rendimenti finali.