il piano Forestale Generale 2009-2013
3.3 Biomassa residuale
La gamma dei prodotti classificabili come biomassa residuale49 è molto ampia ed
eterogenea specie se si considera che, oltre agli scarti delle attività agricole, possono essere presi in considerazione anche i residui derivanti dalle attività forestali e dalle trasforma- zioni agroalimentari.
Tra gli scarti recuperabili per la produzione di energia occupano un posto predomi- nante i reflui degli allevamenti costituiti dall’insieme dei liquami bovini, bufalini, suini, avicoli, che per contenuto idrico e rapporto carbonio/azoto risultano idonei alla produzio- ne di biogas mediante digestione anaerobica. Si tratta di una destinazione alternativa allo spandimento degli effluenti sul terreno, considerata interessante sia dal punto di vista della stabilizzazione che dello smaltimento degli stessi. Questa possibilità d’impiego è importan- te specie nei casi di allevamenti intensivi i cui i terreni abbiano un’estensione limitata con conseguenti criticità per la gestione dell’azoto, soprattutto in determinati periodi dell’anno. A vantaggio dell’uso energetico dei reflui si fa presente la disponibilità costante nel corso dell’anno con quantitativi consistenti, in particolare nelle aree ad elevata concentrazione degli allevamenti. A ciò si aggiunga la possibilità di integrare il potenziale di biogas pro- dotto, utilizzando gli scarti delle produzioni erbacee altrettanto diffuse nelle aree agricole vocate alle produzioni animali, dove è generalmente diffusa la coltivazione del foraggio.
A questo tipo di reflui possono essere associati con successo i residui derivanti dalla lavorazione del latte, il siero di scarto proveniente dalla produzione dei formaggi, i qua- li grazie alle proprie caratteristiche possono essere abbinati in codigestione ai reflui. In questo caso esiste anche il vantaggio della vicinanza dei siti di produzione che consente
49 La biomassa residuale è detta anche di seconda generazione. Questa terminologia è mutuata dal processo tecno- logico innovativo di produzione dei biocarburanti che rispetto al metodo tradizionale converte la biomassa ligneo cellulosica proveniente dai residui agricoli, utilizzando ad esempio gli stocchi di mais come materia prima per la produzione del biocarburante. Si distingue dalla prima generazione che invece è basata su colture alimentari quali mais, soia, canna da zucchero, in quanto fonti facilmente accessibili di zuccheri, amidi e olii. Negli ultimi anni è stata preferita la tecnologia di seconda generazione a partire da biomasse ligneo cellulosiche di recupero trattan- dosi dell’insieme dei sottoprodotti derivanti dalle coltivazioni alimentari, quali i residui di potatura delle specie arboree, dell’olivo, della vite, e dei residui colturali delle specie erbacee, spesso destinati ad impieghi alternativi del tutto marginali o alla distruzione.
di minimizzare i costi di recupero del residuo. I caseifici, infatti, sono collocati nelle im- mediate vicinanze degli allevamenti; nelle piccole realtà locali si tratta quasi sempre della stessa azienda che alleva e trasforma. In questi casi la possibilità di conferire all’impianto i quantitativi di siero in eccesso consentirebbe di risparmiare i costi della corretta gestione dello stesso in qualità di vero e proprio rifiuto speciale. In questo, come in molti altri casi, la realizzazione di una struttura organizzativa in grado di remunerare adeguatamente la raccolta ed il recupero dei residui dipende dalla capacità di una determinata area produtti- va, costituita da aziende accomunate da medesime esigenze e potenzialità, di fare sistema. A questa tipologia si affianca la biomassa ligneo cellulosica derivante dalla gestione forestale. Esiste, infatti, una certa quota di ramaglia non utilizzabile con finalità produttive che deriva dalle operazioni di manutenzione del patrimonio forestale pubblico e privato.
Con caratteristiche strutturali molto simili, anche se proveniente da specie arboree variegate e con finalità ornamentali è la biomassa derivante dalla gestione del verde pub- blico. In questo caso i quantitativi di biomassa destinabili ad energia sono piuttosto esigui e difficilmente quantificabili perché legati a molteplici fattori. Innanzi tutto ci troviamo in ambiente urbano e quindi la percentuale di verde pubblico rispetto agli spazi cittadini dipende dall’importanza data dalla pubblica amministrazione a questo tipo di bene che non rappresenta solo un valore estetico, potendo apportare alla collettività numerosi altri benefici. Una conseguenza dell’importanza attribuita alla presenza del verde è la gestione di questo patrimonio, i cui scarti potrebbero incrementare la quota di biomassa ligneo cellulosica conferita agli appositi impianti, fermo restando l’esistenza di un’efficiente orga- nizzazione del trasporto.
Lo stesso ragionamento relativo all’economicità delle attività di recupero fatto per i reflui degli allevamenti vale per i residui delle lavorazioni agroindustriali, dalle quali possono essere recuperati numerosi altri residui destinabili alla produzione di energia, sempre che si verifichino le condizioni necessarie. Spesso quantitativi modesti e carenze organizzative rendono le operazioni di gestione di questi scarti troppo costose rispetto ai benefici ottenibili. Alcune aree con una certa specializzazione produttiva, presentano però un’elevata concentrazione di residui agroindustriali, specie se si pensa alle lavorazioni tipi- camente stagionali per le quali il prodotto e quindi lo scarto dell’intera annata si ottiene in un breve arco di tempo, in genere di uno o due mesi. È il caso ad esempio, della trasforma- zione del pomodoro, della produzione dell’olio di oliva e di altre conserve alimentari stagio- nali. In queste circostanze, focalizzando l’attenzione sulle esigenze della trasformazione, allo svantaggio legato alla stagionalità della produzione e quindi alla disponibilità limitata ad un certo periodo dell’anno si contrappongono i vantaggi della gestione. Chi si occupa del recupero può ottimizzare i costi del trasporto ed allo stesso tempo alleviare il compi- to dei trasformatori che per motivi igienici sono tenuti a rispettare i tempi rapidissimi di gestione dello scarto. Il management combinato di smaltimento e recupero può risolvere agevolmente le criticità delle produzioni stagionali con gli ingenti quantitativi di scarto che devono essere repentinamente allontanare dagli impianti di trasformazione; ciò vale sia per le sanse residue della lavorazione delle olive sia per gli scarti di pomodoro etc.
Infine, tra la biomassa di recupero, troviamo i residui delle produzioni agricole idonei alla trasformazione energetica e raggruppabili in relazione al maggiore o minore contenu- to di lignina. Questa sostanza, che predomina nelle piante di alto fusto a differenza delle colture erbacee nelle quali prevale la cellulosa, determina significative differenze sia per quanto riguarda i processi di trasformazione applicabili che la resa energetica. Tra i residui delle colture erbacee prevalgono le paglie dei cereali autunno-vernini e del riso, stocchi,
tutoli e brattee di mais etc, mentre al secondo gruppo appartengono la ramaglia di potatura dei fruttiferi, compresi i sarmenti della vite ed i residui di potatura dell’olivo ed i residui. Tra i principali sottoprodotti dei cereali autunno-vernini coltivati per la produzione di gra- nella vi sono le paglie residue sul campo dopo la trebbiatura. Si tratta di un materiale che può essere utilmente impiegato a fini energetici sebbene frequentemente venga lasciato sul campo per essere interrato oppure venga raccolto e utilizzato come lettiera o, più raramen- te, come alimento per gli animali. La quantità disponibile per ettaro di superficie varia in proporzione alla quantità di granella raccolta, ma generalmente è piuttosto bassa.
I sottoprodotti del mais da granella sono gli stocchi, i tutoli e le brattee, il cui quan- titativo complessivamente raggiungibile può variare in base alle condizioni della coltura al momento della trebbiatura e alle caratteristiche costruttive della barra di raccolta della mietitrebbiatrice.
La raccolta tardo-autunnale generalmente comporta maggiori criticità dovute all’ele- vato tasso di piovosità media tipico di questo periodo che aumenta l’umidità del prodotto e quindi ne riduce la qualità (sviluppo con muffe, perdite di sostanza secca sia in pre che in post raccolta, imbrattamento con fango), oltre a generare difficoltà nella transitabilità del terreno. La raccolta meccanica degli stocchi non presenta particolari difficoltà tecnico- operative: i cantieri di lavoro attualmente adottati prevedono la trinciatura (riduzione del materiale in piccole scaglie) e l’andanatura (disposizione del materiale in campo lungo file lineari) prima del confezionamento in balle cilindriche. In taluni casi alla trinciatura segue il trasporto diretto allo stoccaggio.
La paglia di riso invece è un residuo agricolo che presenta un recupero relativamente problematico. La raccolta, che deve avvenire dopo quella del prodotto principale, si effet- tua, infatti, nel periodo autunnale, caratterizzato da un’elevata piovosità, e su terreni con difficoltà di sgrondo delle acque. In alcune realtà la paglia di riso viene utilizzata come lettiera per animali. Il suo impiego come combustibile avviene generalmente nell’ambito dello stesso ciclo produttivo del prodotto principale e, in particolare, in fase di essiccazione dello stesso.
I sottoprodotti delle colture arboree da frutto derivano dalle operazioni di potatura dei frutteti che si eseguono in epoche e con cadenze variabili in relazione alle esigenze fisiologiche delle specie coltivate, in corrispondenza del periodo di riposo vegetativo. In determinate circostanze per evitare lo sviluppo di possibili patologie, diventa necessario l’allontanamento del materiale dall’appezzamento. La possibilità di procedere alla raccolta del materiale ed il quantitativo di materiale recuperabile dipende da molti fattori. La dispo- sizione e la pendenza del terreno, la densità d’impianto, la forma di allevamento, nonché le modalità di potatura incidono notevolmente sulla possibilità di recuperare i residui di potatura (sarmenti di vite, frasche di olivo, ramaglie di frutteti) pertanto la possibilità di riutilizzo di questi materiali a fini energetici è concretamente realizzabile solo a determi- nate condizioni.