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Difesa e sicurezza nell'alleanza tra Giappone e Stati Uniti

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali

TESI DI LAUREA

Difesa e sicurezza nell’alleanza tra Giappone e Stati Uniti

Relatore

Prof. Francesco Tamburini

Candidato

Marta Cotugno

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Indice

Introduzione ... 4

CAPITOLO I ... 5

1. Resa e ricostruzione del Giappone dopo il 1945 ... 5

1.1 Il secondo dopoguerra e l’occupazione del Giappone ... 5

1.2 Programma giapponese di smobilitazione, di disarmo e di rimpatrio ... 7

1.3 Il Giappone verso la democrazia di MacArthur ... 14

1.4 La riforma costituzionale e l’articolo 9 ... 16

1.5 Ricostruzione economica e riforma agraria ... 18

1.6 Riorganizzazione dell’istruzione e riforma linguistica ... 20

CAPITOLO II ... 25

2. L’origine del rapporto bilaterale nippo-statunitense e il problema di Okinawa ... 25

2.1 La Guerra di Corea: infinita e dimenticata ... 25

2.2 Il Trattato di Pace di San Francisco e il Trattato di Sicurezza ... 28

2.3 La conquista di Okinawa e la presenza militare statunitense ... 33

2.4 Ondate di protesta contro la presenza di basi statunitensi ... 37

2.5 La questione della ricollocazione di Futenma ... 41

CAPITOLO III ... 48

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo ... 48

3.1 Il pacifismo antimilitarista nella Costituzione giapponese ... 48

3.2 Istituzione delle Forze di autodifesa ... 50

3.3 Il Giappone prende parte alle operazioni di peacekeeping dopo l’11 settembre ... 54

3.4 La prima amministrazione Abe ... 57

3.5 La seconda amministrazione Abe e la strada verso il riarmo ... 59

3.6 Il riarmo del Giappone “pacifista” ... 62

3.7 L’ultima amministrazione Abe ... 66

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4. Il ruolo strategico dell’alleanza bilaterale e delle basi statunitensi in Giappone dopo la

Guerra fredda ... 70

4.1 Gli equilibri in Estremo Oriente dopo la Guerra fredda ... 70

4.2 L’alleanza bilaterale e la minaccia della Corea del Nord ... 72

4.3 La crisi e i tentativi di normalizzazione tra Corea del Nord e Giappone nel nuovo millennio ... 78

4.4 L’ascesa della Cina e le questioni territoriali ... 88

4.5 La crescita delle tensioni nelle Senkaku/Diaoyu: le crisi del nuovo millennio ... 92

4.6 La territorialità delle isole Senkaku/ Diaoyutai rivendicata da Taiwan ... 100

4.7 Le rivendicazioni territoriali della RPC nel Mar Cinese Meridionale ... 102

4.8 Il complicato rapporto tra Corea del Sud e Giappone ... 107

Conclusioni... 111

Appendici ... 118

1.COSTITUZIONE DELL’IMPERO DEL GIAPPONE ... 118

2. ELENCO DEI PRIMI MINISTRI DEL GIAPPONE (1945 – 2020) ... 128

3. SECURITY TREATY BETWEEN THE UNITED STATES AND JAPAN 1951... 129

4. TREATY OF MUTUAL COOPERATION AND SECURITY BETWEEN JAPAN AND THE UNITED STATES OF AMERICA ... 130

Bibliografia ... 132

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Introduzione

Il presente lavoro ha come intento quello di ripercorrere ed analizzare l’origine e le varie fasi dell’alleanza tra gli Stati Uniti e il Giappone nell’ambito della difesa e sicurezza. A partire dal secondo dopoguerra Washington e Tokyo hanno instaurato un’alleanza duratura che si è evoluta principalmente in questo senso. La stabilità dell’alleanza è stata possibile grazie ad accordi bilaterali quali il Trattato di Sicurezza, il Trattato di Mutua Sicurezza e Cooperazione, le Linee guida di cooperazione alla difesa e le successive revisioni.

Il Giappone all’interno di questo rapporto è riuscito ad avviare un processo che negli anni ha permesso alle Forze di Autodifesa di agire al fianco degli Stati Uniti in caso di conflitto, espandendo il raggio di azione a tutte le aree del mondo. Nonostante ciò, ha sempre dovuto competere con il principio di rinuncia alla guerra, espressamente dichiarato nella Costituzione del 1946 all’articolo 9. Fondamentali per il processo del riarmo sono state le amministrazioni del primo ministro Shinzo Abe, che si è battuto per raggiungere l’obiettivo, importante per rafforzare l’alleanza stessa. Gli Stati Uniti, sulla base di tale rapporto, mantengono tutt’oggi le loro basi militari sul territorio giapponese. Queste sono concentrate soprattutto sull’isola di Okinawa, che occupa una posizione strategica per il controllo del Pacifico. La presenza delle basi militari, tuttavia, rende la vita parecchio difficile a coloro che abitano in quest’area, provocando ondate di proteste da parte della popolazione dell’isola. A complicare la situazione è inoltre il progetto di ricollocazione della base militare di Futenma. Sebbene fosse nata con l’intento di contrastare l’espansione del comunismo sovietico nella regione asiatica, l’alleanza vede ancora oggi delle minacce presenti nell’area dell’Asia-Pacifico, che la spingono a riadattarsi. In questo contesto la tesi si propone inoltre di definire l’importanza dell’alleanza e il suo ruolo di equilibrio nella regione asiatica orientale, tenendo sotto controllo innanzitutto la minaccia della Corea del Nord e del suo programma nucleare. La stabilità dell’area è altresì minacciata dalla disputa per le rivendicazioni delle isole Senkaku tra Cina e Giappone nel Mar Cinese Orientale. A questo si aggiunge la rivendicazione delle stesse da parte di Taiwan, che continua ad essere considerata dalla Cina una regione ribelle. Nel Mar Cinese Meridionale la Cina rivendica gli arcipelaghi Spratly e Paracels, per questioni economiche, energetiche e strategiche, ma è costretta a contenderli con Malaysia, Brunei, Filippine, Vietnam e Taiwan. Infine, anche tra la Corea del Sud e il Giappone non mancano tensioni a causa di rivendicazioni territoriali, che in questo caso sono costituite dalle isole Dokdo. Queste ed altre questioni del passato causano ulteriori attriti tra i due stati, che si ripercuotono in tutta l’area.

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CAPITOLO I

1. Resa e ricostruzione del Giappone dopo il 1945

1.1 Il secondo dopoguerra e l’occupazione del Giappone

Prima della Seconda guerra mondiale, il Giappone era riuscito a raggiungere un posto politico ed economico di rilievo in tutta l’Asia, ma alla fine della stessa sembrò quasi scomparire dallo scenario internazionale1. Negli ultimi anni la guerra aveva chiesto alla popolazione un grande sforzo, ripagandola solo con città completamente distrutte, un numero considerevole, ma altrettanto indefinito di vittime, e circa 8 milioni di senzatetto2. Il

26 luglio 1945, con la pubblicazione della Dichiarazione di Potsdam, Gran Bretagna, Cina e Stati Uniti chiedevano la resa incondizionata del Giappone, a cui sarebbe seguita l’occupazione militare, la smilitarizzazione del paese e alcune perdite territoriali.

Il ministro della guerra giapponese, Anami Korechika, non aveva intenzione di fare passi avanti in favore della pace, così il Giappone continuò a combattere sperando di poter ribaltare la situazione. L’intento di proseguire la lotta però, ben presto trovò degli ostacoli, poiché il 6 agosto 1945 fu sganciata la prima bomba atomica su Hiroshima e il 9 agosto una seconda su Nagasaki, a sole ventiquattro ore dalla dichiarazione di guerra della Russia al Giappone. In seguito a questi avvenimenti, la resa fu considerata dalla maggioranza una priorità e una necessità immediata.

Il ministro della Guerra e i due capi della maggioranza rifiutarono di arrendersi, convinti che prima dovevano riuscire a far accettare alcune condizioni agli Alleati. Condizioni che, una volta note, portarono ad ulteriori discussioni, e che, trovarono risoluzione solo attraverso l’imperatore Hirohito, con la decisione di firmare la resa del Giappone il 15 agosto 1945 e accettando così le condizioni degli Alleati. A partire da questa decisione, fu chiaro che l’era imperialistica del Giappone si sarebbe conclusa in breve tempo, quindi creò disordini in tutto il paese, poiché il popolo cercava di dissuadere l’imperatore, ma senza alcun risultato. Il 16 agosto, infatti, venne dato l’ordine di cessare il fuoco, il giorno seguente venne costituito un nuovo governo, al cui vertice c’era il principe imperiale e il 2 settembre alcuni membri firmarono la resa. Contemporaneamente nella baia di Tokyo erano arrivate già alcune navi

1 Valerio Castronovo, Un passato che ritorna. L’Europa e la sfida dell’Asia, Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 123.

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con le truppe americane d’occupazione3. Il Giappone passò infatti, sotto lo stretto controllo degli americani e l’occupazione si protrasse dal 1945 al 1952.

L’occupazione da parte degli Stati Uniti in territorio giapponese segnò un punto di svolta nella storia, poiché «per la prima volta un esercito nemico aveva calpestato il “sacro suolo dell’Impero”»4. Nel messaggio dell’imperatore Hirohito ai suoi sudditi, i giapponesi

avrebbero dovuto «sopportare l’insopportabile, tollerare l’intollerabile»5.

Quando Tokyo accettò la resa incondizionata, il presidente Harry Truman nominò il generale Douglas MacArthur a capo del Consiglio supremo delle potenze alleate (Scap). Egli attuò dei provvedimenti per ricostruire e ricostituire il paese, sia sul piano interno che internazionale. Il principale obiettivo affidato al generale fu quello di smilitarizzare e democratizzare il Giappone, che era compreso a sua volta tra principi enunciati durante la Conferenza di Potsdam.

Fu istituito un meccanismo di controllo a livello internazionale, come la Commissione per l’Estremo Oriente (Far Eastern Commission, Fec), in cui erano rappresentati tutti i paesi che avevano combattuto contro il Giappone, ma a tutti gli effetti avevano poteri limitati6. Il potere politico, ma anche sociale ed economico, rimase nelle mani di MacArthur, che era chiamato a rispettare tutti gli ordini provenienti da Washington, in quanto comandante americano supremo in carica nel territorio occupato e direttamente subordinato al presidente degli Stati Uniti. Inoltre, egli era autorizzato in caso di necessità ad intervenire senza attendere istruzioni degli organismi alleati. Questo sta a sottolineare, che le decisioni strategiche e le azioni quotidiane furono quasi sempre di esclusiva attribuzione americana.

Il Comandante Supremo a Tokyo era assistito da un apparato civile e militare, che poteva essere paragonato in quanto a complessità e a grandezza a quello del Giappone. Come conseguenza del fatto che la conoscenza delle istituzioni e degli organismi giapponesi era limitata tra la maggior parte dei membri, si ebbe a volte un calco di quelle americane. Infatti, anche se non erano adatte al caso, risultavano familiari. Questo però portò a delle difficoltà di gestione e di controllo sulle azioni del comandante, tanto da generare divergenze tra le intenzioni iniziali e gli obiettivi raggiunti. Tuttavia, nonostante il paradosso di instaurare una

3 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, II ed., Torino, Einaudi, 1969, pp. 339-341. 4 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 216.

5 Fabio Massi, L’ultimo divino, in Focus Storia, n. 43, Maggio 2010, p. 80. 6 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 218.

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democrazia attraverso un governo militare, si può asserire che l’occupazione abbia raggiunto dei risultati realmente significativi7.

1.2 Programma giapponese di smobilitazione, di disarmo e di rimpatrio

Si può asserire che gli Stati Uniti si fecero carico di tutti gli aspetti dell’occupazione del Giappone. Subito dopo la dichiarazione di resa del Giappone, le truppe di occupazione gestirono due aspetti principali e di immediata azione: la smobilitazione e il rimpatrio dei militari giapponesi e dei civili presenti sul territorio giapponese verso i paesi di appartenenza. Per disarmare e smobilitare le forze armate giapponesi in patria e all’estero, fu creato un sistema complesso e un programma per un rimpatrio ordinato e rapido. Il giorno della resa le Forze Imperiali giapponesi ammontavano a circa 7 milioni di soldati, compreso i reparti dell’esercito di terra e alcune unità navali. Le forze dell’esercito e della Marina presenti sulle isole invece erano circa 4 milioni, comprese le unità dell’aeronautica8.

Il programma di smobilitazione prevedeva l’immediata responsabilità del comando generale delle forze imperiali, dei ministeri dell’esercito e della Marina, proprio per ottimizzare al massimo le forze e sfruttare la loro capacità amministrativa. La supervisione e il coordinamento invece spettavano alle forze di occupazione, che in ogni caso si servivano di tutte le sezioni giapponesi e anche alcune sezioni civili furono inserite nell’operazione della smobilitazione. Questo processo fu inizialmente nelle mani delle fanterie e lo scioglimento dell’esercito e della Marina avvenne addirittura prima che arrivassero le forze americane, raggiungendo l’88% tra settembre e ottobre 1945. Inoltre, il completamento del programma consisteva nella trasformazione dei ministeri dell’esercito e della Marina, in quelli della Smobilitazione, fino a che il processo non sarebbe scemato e sarebbe stato completato. A questo punto sarebbero stati gestiti da gruppi su impronta degli altri ministeri giapponesi fino a ridursi a piccoli uffici entro il 1° aprile 1946.

Il piano della smobilitazione delle forze giapponesi si divideva in due categorie: quella delle forze nelle isole di origine e quella delle forze nelle isole d’oltremare. In relazione a quest’ultima, risulta evidente che andava di pari passo con il programma di rimpatrio e le due cose erano dipendenti l’una dall’altra. Infatti, i tempi di azione per la smobilitazione

7 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit., p. 344.

8 Reports of General MacArthur, The campaigns of MacArthur in the Pacific, Volume I, Chapter V,

Demobilitation and disarmament of the Japanese armed forces, Library of Congress Catalog, Facsimile

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d’oltremare furono ovviamente maggiori rispetto a quelli impiegati nelle isole giapponesi, soprattutto a causa del processo di rimpatrio.

Alla fine della guerra, secondo alcuni dati, il personale in servizio nelle isole d’oltremare ammontava a circa 3 milioni e mezzo e i civili arrivavano a 3 milioni9. Il rimpatrio iniziò subito dopo la resa e fu relativamente rapido in tutte le zone, tranne in quelle occupate dai sovietici. Lo Scap ordinò al governo giapponese di aprire dei centri di accoglienza, che prontamente furono realizzati e furono capaci di fornire i primi aiuti umanitari e il primo soccorso ai rimpatriati. Nei centri di accoglienza era prevista una procedura di presentazione e di dichiarazione personale, per permettere agli assistenti di capire la sorte delle persone scomparse, come venivano trattati gli effetti personali e le ceneri, e altre informazioni utili ai fini del programma.

Il personale impiegato nei centri assumeva lo status di civile. I due ministeri della Smobilitazione si riducevano velocemente, diventando nel 1946 Primo e Secondo Ufficio di smobilitazione ed erano direttamente dipendenti dal ministro di Stato. Nel 1948 questo processo andava alleggerendosi sempre più, fino a che non fu chiuso il Secondo ufficio e i porti di rimpatrio e i centri di smobilitazione non furono ridotti a tre: Hakodate, Maizuru e Sasebo. Nell’ultimo periodo del programma il governo giapponese decise di trasferire le funzioni delle agenzie indipendenti all’agenzia di soccorso per il rimpatrio, cioè al ministero del Welfare, programmando entro un mese l’ulteriore ridimensionamento e sostituendolo con un piccolo ufficio di liquidazione di rimpatrio, che a sua volta avrebbe dovuto operare per un solo anno.

L’intero processo di smobilitazione, poiché strettamente legato a quello del rimpatrio, non poteva ritenersi terminato, fino a quando anche gli ultimi militari giapponesi non sarebbero ritornati in patria.

Inoltre, due aspetti secondari del processo di smobilitazione, ma non per questo meno importanti, sono la consegna del materiale di guerra e il programma per lo smaltimento dello stesso. Anche questo aspetto fu lasciato alla forza fisica delle forze armate giapponesi sotto l’organizzazione e gli ordini delle truppe di occupazione. Il materiale bellico, tra cui munizioni ed esplosivi, doveva essere assemblato come ordinato dai comandanti degli Stati Uniti. Gli articoli che invece non potevano essere trasportati facilmente dovevano essere segnalati e trattati in un secondo momento. Il controllo del sistema prevedeva delle ispezioni

9 Endo Mieko, Douglas MacArthur's occupation of Japan| Building the foundation of U.S.-Japan relationship, Graduate Student Theses, Dissertations, & Professional Papers, University of Montana, 2006, pp. 10-16.

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in tutto il Giappone entro il 1° ottobre 1945, che confermarono il buon esito del processo e il rispetto della consegna del materiale bellico da parte dell’esercito e della Marina giapponese.

Diversa fu, invece, la procedura attuata per la demolizione degli aerei giapponesi, dei quali non si ebbero cifre esatte di quelli che andarono distrutti. Come provvedimento immediato però, le autorità si assicurarono che questi non fossero presenti nelle quattro isole di origine: Hokkaidō, Honshū, Shikoku e Kyūshū.

Gli aerei furono abbandonati già dai primi giorni dell’occupazione con l’intenzione di non tornare a recuperare alcun tipo di materiale, ma successivamente questa procedura venne sostituita da un programma economico di demolizione, per cui gli oggetti recuperati tornarono utili alla ricostruzione dell’economia giapponese, che era stata completamente devastata dalla guerra.

Nonostante i piani stabiliti prima dell’occupazione per lo smantellamento e la demolizione del materiale bellico, questo programma procedette in maniera più lenta rispetto a quanto previsto. Questo a causa di alcune aree già smobilitate prima dell’arrivo delle truppe di occupazione e perché per questi processi c’era bisogno di personale qualificato e specializzato, di cui il Giappone disponeva in numero limitato, e di alcuni equipaggi specializzati delle forze statunitensi, che venivano utilizzate per eseguire la distruzione del materiale o per sorvegliare il carico e lo scarico. Nel novembre 1945 almeno dieci porti erano operativi e circa 4.500 tonnellate di munizioni venivano smaltite ogni giorno. Nel programma di disarmo, la fanteria assunse una principale importanza, come in quello della smobilitazione, poiché era incaricata di impadronirsi delle installazioni militari giapponesi e di disporre il materiale confiscato. In seguito, le pattuglie di ricognizione, facevano il giro dell’area per verificare che gli inventari riportati fossero corretti e per assicurarsi che non ci fossero installazioni o materiali non dichiarati10.

Sebbene non ci fu opposizione da parte dei militari giapponesi a questo processo, ogni mese l’occupazione trovava nuovi depositi di rifornimenti militari, poiché era facile nascondere armi piccole e munizioni.Tutte le attrezzature consegnate o ritrovate dovevano essere in grado di fornire determinate informazioni, per cui furono etichettate, indicando luogo e data, e protette. In seguito, con una dichiarazione si dimostrava che erano diventate di acquisizione delle forze armate degli Stati Uniti.

10 Reports of General MacArthur, The campaigns of MacArthur in the Pacific, op. cit., pp. 126-127, pp. 135-136.

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Se per la distruzione del materiale bellico fu adottato ogni metodo veloce e pratico per renderlo inutilizzabile, non fu altrettanto semplice il suo smaltimento. Infatti, inizialmente il metodo principale a cui si ricorse fu lo scarico in mare, ma nelle aree non accessibili ai porti il materiale veniva incendiato o detonato. Quello che ne rimaneva veniva consegnato al Ministero dell’Interno giapponese, che si occupò della negoziazione con alcune acciaierie e di raggiungere accordi affinché le attrezzature fossero trasportate in zone industriali.

La difficoltà in questo programma fu quella di avere a disposizione poco personale qualificato, quindi queste azioni vennero svolte da lavoratori giapponesi e americani non specializzati nella mansione, rendendo quest’ultima anche più pericolosa. A loro cautela vennero date istruzioni speciali per lo smaltimento di sostanze chimiche, di gas tossici e di esplosivi. La sicurezza, infatti, fu una delle condizioni che venne meno in questo processo, anche come conseguenza del fatto che i rifornimenti di armi e di esplosivi erano depositati in luoghi di difficile accesso come caverne, paludi e foreste, quindi il trasporto per uno smaltimento accurato e sicuro non era possibile, e l’unica soluzione agevole fu quella della detonazione sul posto.

Un altro aspetto da analizzare del processo di disarmo è la restituzione del materiale demilitarizzato per risollevare in parte l’economia giapponese che, a causa della guerra, era stata lacerata. Infatti, si può dire che il programma di distruzione prendeva in considerazione la condizione dei civili, così tutto il materiale e le attrezzature che potevano essere utili a questo fine, vennero restituite al governo giapponese dalle forze americane. Si trattava soprattutto di beni di prima necessità, come alimenti e vestiti, recuperati da riserve di cibo e divise di militari giapponesi. Non era da sottovalutare nemmeno la condizione degli sfollati, poiché a causa dei ripetuti bombardamenti avevano perso le proprie case e intere aree urbane erano state devastate. In questo caso, le forze occupanti, una volta recuperato il loro materiale di interesse restituirono e ridistribuirono materiale da costruzione per uso civile giapponese11. La maggior parte di questo materiale fu adoperato per le case destinate ai rimpatriati costruite con legno, cemento e chiodi.

Per quanto riguarda le navi della flotta giapponese, lo Scap ordinò di renderle subito non operative a scopo bellico e nel giro di un mese furono smilitarizzate. Successivamente vennero sottoposte ad ispezioni e furono adattate al trasporto di persone da utilizzare nel programma di rimpatrio. Alcune di queste furono chiamate anche “mezzi di suicidio” perché furono distrutti o affondati prima di essere restituiti. Le navi venivano assegnate alle potenze

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alleate, solo dopo che non erano più necessarie alle truppe di occupazione. I tipi di imbarcazione che rientravano nel programma di demolizione erano di diversa portata, tra cui anche portaerei, cacciatorpedinieri e sottomarini. Anche il materiale recuperato dalle navi fu restituito al governo giapponese e nel febbraio del 1948 la Commissione dell’Estremo Oriente ordinò il completamento del disarmo che riuscì a concludersi nella seconda metà dello stesso anno.

Difficoltà di diverso tipo vennero affrontate nel programma di rimpatrio da parte delle truppe occupanti e di militari giapponesi. Innanzitutto, le navi utilizzate per il trasporto di oltre 7 milioni e mezzo di persone erano originariamente adibite al trasporto militare e mercantile, quindi non erano adatte al trasporto di personale, se non dopo averle smilitarizzate completamente e aver fatto manutenzione. Inoltre, i porti avevano subito gravi danni a causa dei bombardamenti da parte delle forze americane e la navigazione diventava pericolosa. Il viaggio di rimpatrio durava molti giorni, poiché dipendeva dal luogo da cui il personale militare partiva, e le condizioni di igiene a bordo erano scarse, per cui c’era un alto rischio di epidemie. Lo Scap infatti, per evitare il contagio in tutto il paese aveva previsto delle rigide procedure di quarantena nei centri di accoglienza che erano stati aperti per controllare e gestire l’intero processo.

Tra le varie politiche di base di cui si servì lo Scap per gestire e regolare il programma di rimpatrio, le principali facevano riferimento allo “sfruttamento della spedizione giapponese navale e mercantile”, alla priorità di rimpatrio del personale militare e navale giapponese e subito dopo dei civili, al disarmo del personale giapponese prima del rientro in Giappone.

Le competenze e le responsabilità erano divise tra lo Scap, che in particolare rispondeva del controllo operativo della spedizione di rimpatrio, e il governo imperiale giapponese, che invece si occupava di eseguire le direttive delle forze di occupazione. In questo programma, la maggior responsabilità era quella di gestire secondo le istruzioni i centri di accoglienza.

I rimpatriati dovevano essere sottoposti ad esami fisici, a procedure di quarantena e a vaccini contro il colera e altre probabili malattie che avrebbero potuto causare gravi epidemie. Anche il trattamento dei loro effetti personali non era lasciato al caso, infatti venivano effettuate procedure di disinfestazione di bagagli, la cui ispezione era d’obbligo per prevenire ed impedire il commercio di merci illegali e di traffico non autorizzato di strumenti finanziari e metalli preziosi12.

12Endo Mieko, Douglas MacArthur's occupation of Japan| Building the foundation of U.S.-Japan

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Il programma di rimpatrio era diviso in quattro fasi, con la previsione di concludersi nel dicembre del 1948. Durante la prima fase, iniziata nel settembre del 1945, furono evacuate velocemente le Filippine, la Corea e le isole Ryukyu, completando il rimpatrio nel gennaio successivo, escluso i prigionieri di guerra. Questi ultimi furono trattenuti, sempre sotto il controllo degli Stati Uniti, anche a causa della carenza di personale che si creò nelle regioni citate a seguito del rimpatrio. Per quanto riguardava invece la politica di rimpatrio dei Coreani, erano previsti dei privilegi per chi lo desiderasse e partirono appena fu possibile. Tra questi ci fu anche l’incentivo di poter spedire nei limiti concessi, beni per la casa e attrezzi artigianali. Poco dopo, a causa di trasporto illegale tra la Corea e il Giappone di passeggeri tramite navi non registrate, ci fu un’epidemia di colera che mise in pericolo tutto il processo. Così le navi e i passeggeri furono messi in quarantena e dal dicembre 1946, tutti i coreani che cercarono di arrivare illegalmente in Giappone furono arrestati e riportati in Corea. Per il rimpatrio dalle isole Ryukyu, nell’ottobre del 1945, fu istituito un servizio di traghetti per trasportare solo i militari giapponesi.

Il rimpatrio dalla Cina e dalle aree adiacenti di circa 3 milioni di Giapponesi fu uno degli obiettivi più difficili del programma, ma allo stesso tempo aveva carattere prioritario. Considerato che la politica degli Stati Uniti appoggiava la creazione di un governo solido in Cina, la presenza di truppe giapponesi sul territorio in questione avrebbe reso difficile il raggiungimento di tale obiettivo. Era importante dare priorità al rimpatrio perché in caso di contrasti avrebbero potuto essere coinvolte in dispute politiche anche le truppe giapponesi13. Con il governo cinese vennero stipulati degli accordi per cui i governi che evacuavano i cittadini giapponesi erano responsabili della consegna dei rimpatriati, del trattamento di malattie infettive e della quantità di oggetti che trasportavano.

Alla fine del 1945, esattamente il 12 ottobre, in vista della seconda fase del programma, fu istituita a Tokyo un’organizzazione navale statunitense, Scajap14, ovvero l’autorità di

controllo delle spedizioni della Marina mercantile giapponese15. Ormai la prima fase giungeva al termine e le politiche di base e procedure si erano affermate, quindi lo Scap si era proposto di accelerare il programma di rimpatrio e al fine di aumentare le spedizioni furono consegnate nel febbraio 1946 al governo imperiale, 100 navi da carico e navi ospedaliere degli Stati Uniti.

13 Reports of General MacArthur, The campaigns of MacArthur in the Pacific, op. cit., pp. 164-170. 14 Shipping Control Authority for the Japanese Merchant.

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Uno degli obiettivi all’inizio della seconda fase, iniziata nel marzo 1946, era quello di evacuare circa 1 milione e mezzo di giapponesi dalla Cina e da Formosa, e di altri 300.000 circa dalle aree britanniche del Pacifico. I Giapponesi erano responsabili per l’equipaggio, la fornitura e la riparazione. Si occuparono dell’adattamento, nonostante già smilitarizzate al loro arrivo, per il trasporto di passeggeri, cambiando anche tutte le istruzioni e traducendole in giapponese, poiché gli equipaggi sarebbero stati costituiti da giapponesi. Queste navi furono destinate alla navetta tra Cina e Giappone e furono incrementati gli standard di trasporto passeggeri, sempre per creare vantaggio al processo, anche se poco dopo fu rallentato da un’epidemia di colera, che si verificò tra i rimpatriati dall’Indonesia francese. Relative navi e passeggeri vennero messi in quarantena fino a quando i medici non dichiararono che la salute pubblica del Giappone non sarebbe stata messa in pericolo. Nelle due settimane successive, però per recuperare gli americani decisero di trasportare circa 200.000 persone a settimana.

Dopo l’evacuazione dalla Cina, il programma prevedeva il rimpatrio dal sud-est asiatico e dall’Australia, che furono liberati nell’agosto del 1946. Come per le altre zone, anche in Australia furono trattenuti i criminali di guerra e i lavoratori. Del programma di rimpatrio faceva parte anche un’eccezione, se si considera che era previsto il trasporto con le navi degli Stati Uniti, dalle aree controllate in Cina alla Corea. In questo periodo, dopo aver raggiunto l’apice di rimpatrio, si registrò una diminuzione di persone che desideravano ritornare in patria. Così fu deciso di registrare i Coreani, i cittadini di Formosa e Cinesi, per recuperare il numero esatto delle persone da rimpatriare. In questa fase, non tutti dimostravano il desiderio di voler ritornare nei paesi di origine, ma l’occupazione era in ogni caso a favore del rimpatrio, tanto che venivano concessi dei privilegi a chi decideva di rimpatriare. Coloro i quali decidevano di non ritornare nel proprio paese di origine, perdevano qualsiasi tipo di privilegio, compreso quello del rimpatrio stesso16. Le zone più difficili da liberare, però, furono quelle controllate dai sovietici, poiché non fu possibile trovare accordi per il rimpatrio immediato.

Durante la terza fase, che iniziò nel luglio del 1946 e durò fino a dicembre dello stesso anno, ci fu una revisione del programma. Alcune navi furono restituite agli Stati Uniti, furono trovati accordi per il rimpatrio di giapponesi dal sud-est asiatico controllato dagli inglesi e dalle zone controllate dai sovietici, anche se fu raggiunto un accordo completo solo nel dicembre 1946. In questa fase, il generale MacArthur si assunse la responsabilità per i

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rimpatriati dal momento dell’imbarco. Le politiche britanniche di rimpatrio prevedevano che, tutti i civili giapponesi entrati nelle regioni sotto il loro controllo prima della guerra non dovevano essere rimpatriati, al contrario di tutti coloro che invece, erano entrati dopo lo scoppio della guerra.

La quarta fase, iniziata nel gennaio del 1947 e terminata nel dicembre del 1948, fu caratterizzata all’inizio dal rimpatrio dei giapponesi dalle are sovietiche. Nonostante gli accordi, il programma subì rallentamenti a causa del gelido inverno e alle poche informazioni che i sovietici fornivano alle forze americane. Infatti, era difficile sapere il numero preciso dei prigionieri di guerra, dei civili e dei militari presenti nel territorio sotto il loro controllo. I sovietici non rispettarono i numeri di rimpatrio settimanale e a volte sospesero le spedizioni senza un’apparente giustificazione. Evidentemente la politica di rimpatrio da parte dei sovietici era vista in maniera opportunistica, perché intesa come un’occasione di sfruttamento di manodopera giapponese a basso costo e una possibile dimostrazione del loro significato pratico di comunismo. A prova di ciò, si conta un numero di circa 469.000 giapponesi detenuti nelle regioni sovietiche in condizione di schiavi anche dopo la fine del 1948. A questo punto, lo SCAP fu accusato di violazioni della Dichiarazioni di Potsdam, a cui il generale MacArthur rispose invece dicendo che era quanto previsto per gli Alleati nella clausola 9 della stessa dichiarazione, ovvero: «The Japanese military forces, after being completely disarmed, shall be permitted to return to their homes with the opportunity to lead peaceful and productive lives»17.

A conclusione della quarta fase, il programma si considerò un successo, poiché attraverso un’ottima e precisa organizzazione, il governo statunitense riuscì nell’intento di riportare a casa milioni di persone e a fornire soccorsi e aiuti di prima necessità ai giapponesi, oltretutto in tempi relativamente brevi.

1.3 Il Giappone verso la democrazia di MacArthur

Durante il periodo di occupazione, durato sei anni, si ebbe un cambiamento di politiche degli Stati Uniti in relazione al Giappone. Per riprendere le parole di Francesco Gatti18: «Tra

il 1946 e il 1947, infatti, si verificò la cosiddetta “inversione di rotta”, termine con il quale la storiografia indica che il Giappone, da nemico sconfitto, divenne il principale alleato degli

17 Reports of General MacArthur, The campaigns of MacArthur in the Pacific, p. 161.

18 Francesco Gatti era professore alla Ca’ Foscari di Venezia, eminente studioso del Giappone e grande orientalista.

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Stati Uniti in Asia»19. La ragione principale per cui l’occupazione del Giappone ebbe risvolti differenti rispetto a quella degli altri paesi sconfitti, fu il fatto di lasciare l’applicazione delle direttive e la responsabilità di questa allo stesso governo giapponese. A tal proposito, si può dire che, dopo i primi tre anni di occupazione, la vita giapponese risultò totalmente cambiata. In questo periodo infatti, sotto la gestione dello Scap con a capo MacArthur, si attuarono riforme, considerate i primi passi verso la democrazia, nelle amministrazioni locali, nell’ordinamento giudiziario, nella legislazione e Costituzione, nell’istruzione20.

L’obiettivo principale dell’occupazione, infatti, fu quello di far rinascere e rafforzare la democrazia, abolendo tutto ciò che sarebbe stato un ostacolo a tal fine. Tra i vari esempi di misure immediate adottate ci fu quella di un’amnistia politica, a seguito della quale furono liberati coloro che erano stati arrestati perché oppostisi ai governi di guerra. Ci fu la cosiddetta “purga”, un processo di epurazione che fu attuato per tutti coloro che avevano sostenuto il vecchio regime, compreso personale scolastico e dell’amministrazione21. Inoltre, fu di nuovo possibile formare di nuovo partiti politici e sindacati. Come ricordato da Gatti, venne fondato il partito liberale giapponese (Nihon Jiyūtō) dai due ex parlamentari Hazoyama Ichirō e Ashida Hitoshi; il partito progressista giapponese (Nihon Shinpotō) da un gruppo di ex aderenti al Rikken Minseitō; il partito socialista (Nihon Shakaitō) da alcuni progressisti e il partito comunista (Nihon Kyōsantō) dai comunisti rimpatriati dalla Cina22.

Sorsero anche partiti politici minori che avevano tendenze diverse, ma parecchi erano conservatori, così risultò che questi riuscirono a controllare gran parte dell’elettorato. A seguito delle elezioni del 1946 fu costituito un governo con i membri del partito liberale e progressista, mentre in quelle del 1947, anche se a parità di voti, emersero i socialdemocratici. Nell’ottobre del 1948, invece, ritornarono i liberali con a capo l’ex diplomatico Yoshida Shigeru, poiché ottennero la maggioranza alle elezioni del 194923.

L’azione dello Scap fu importante anche in relazione alla vicenda della “giustizia dei vincitori”, legata all’azione del Tribunale di Tokyo, istituito il 3 maggio 1946, chiamato per giudicare i crimini contro la pace, i crimini di guerra commessi da militari e i crimini contro l’umanità24. Il Tribunale fu operativo dall’ottobre del 1945 all’aprile del 1951, giudicando

19 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 218. 20 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit., p. 347. 21 Ivi, p. 346.

22 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 219. 23 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit., p. 347.

24 Yuki Tanaka, Tim McCormack and Gerry Simpson, Beyond Victor’s Justice? The Tokyo War Crimes Trial

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oltre 5 mila giapponesi. Ci furono, in seguito alle sentenze relative, 984 condanne a morte, 475 ergastoli e circa 3 mila pene detentive, ma per volere degli Stati Uniti, alcuni crimini rimasero impuniti, come ad esempio il massacro di Nanchino nel 1938, la cui stima attuale è di 200-300.000 vittime, e gli esperimenti su cavie umane a scopo di ricerca per armi chimiche e biologiche in un campo di prigionia in Manciuria.

1.4 La riforma costituzionale e l’articolo 9

Tra le riforme fondamentali di cui si occupò lo Scap, sotto direttive del generale MacArthur, si trova quella costituzionale, forse considerata la più importante, poiché diede vita alla nuova struttura dell’intero Giappone. Nonostante la resa incondizionata, il governo statunitense con l’appoggio di quello britannico, decise di non perseguire l’Imperatore Hiroito. A spiegazione di ciò, si trovano due ragioni principali: la prima fu quella che, con l’abdicazione dell’imperatore si sarebbero sollevate le masse, poiché egli rappresentava anche una “discendenza della linea divina”, quindi avrebbe portato disordini e ulteriori crisi, peggiorando la situazione; la seconda fu quella per cui si sarebbero indeboliti anche i vertici burocratici, poiché nominati dall’imperatore25.

Nel febbraio del 1946, mentre l’imperatore era in viaggio nella provincia di Kanagawa, un gruppo di esperti giapponesi lavorarono alla revisione della Costituzione del 188926, presieduta da Matsumoto Jōji. Egli riteneva che bastasse inserire degli emendamenti correttivi nella Costituzione, apportando solo minimi cambiamenti. Appena presentata la prima bozza venne subito respinta dallo Scap il 22 aprile 1945, poiché risultava carente di garanzie democratiche. Ciò che era di fondamentale importanza, in una nuova Costituzione del Giappone, era appunto l’adozione dei principi fondamentali della democrazia parlamentare. Lo Scap la riscrisse totalmente e fu promulgata il 3 novembre 1946. Entrò in vigore il 3 maggio 194727. Per dirlo con parole di F. Gatti: «Le differenze tra la Costituzione del 1889 e quella del dopoguerra sono profonde. Mentre la prima è ispirata ad una concezione assolutista con al centro l’imperatore, la seconda introduce il principio della sovranità popolare»28. Concetto che si evince già dal Preambolo, in cui è espressamente scritto che il potere sovrano è del popolo e anche l’autorità del governo deriva da esso.

25 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit. p. 221.

26 Risalente all’Imperatore Meiji, la Costituzione fu considerata un dono ai sudditi. 27 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, cit., p. 221.

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Principale argomento di discussione fu il ruolo da attribuire all’imperatore, che, con la nuova legge costituzionale, rimaneva solo un “simbolo dello Stato e dell’unità del popolo”, come citato nell’art. 1, e non più il “capo dell’Impero” 29. La differenza consisteva nel

richiedere il parere e l’approvazione del Governo degli atti compiuti dall’Imperatore. Nel Titolo I si trovano gli articoli riguardanti i suoi poteri, tra cui la nomina del Primo Ministro e del Presidente della Corte Suprema, e i suoi limiti (Articoli 1-8).

Nella nuova Costituzione venne introdotta la divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario e il Parlamento sarebbe stato formato da due Camere, entrambe elettive, che in caso di discordanza, il voto della Camera bassa avrebbe avuto prevalenza su quella alta. Inoltre, il Primo ministro e i ministri sarebbero stati responsabili nei confronti del Parlamento30. Il sistema elettorale è quello attualmente in vigore, parzialmente

maggioritario. Della Camera bassa fanno parte 500 parlamentari, che avevano un numero minore originariamente, di cui 300 sono eletti con il sistema maggioritario nei collegi uninominali e 200, nei collegi interprovinciali, seguono quello proporzionale31.

Un altro concetto importante, che emerge già dalle prime righe del Preambolo, e ripreso successivamente nel Titolo II, fu quello della totale rinuncia alla guerra del Giappone, che dal secondo dopoguerra in poi diventerà uno Stato “pacifista”. Infatti, nella Costituzione si dichiara pronto a rinunciare alla guerra in caso di risoluzioni di crisi nazionali ed internazionali, compresa anche la possibilità di ricostituire le forze armate. In questo modo il governo statunitense si sarebbe assicurato di non renderli più né testimoni, né partecipi degli orrori della guerra.

L’articolo 9, infatti, sancì quanto segue:

Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione, o alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per regolare i conflitti internazionali. Per conseguire lo scopo fissato al paragrafo precedente, non saranno mai mantenute forze terrestri, navali e aeree, o altro potenziale bellico. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto32.

29 Art. 1- L’Imperatore è il simbolo dello stato e dell’unità del popolo; deve la sua posizione alla volontà del popolo nel quale risiede il potere sovrano. […]

30 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 223. 31 Ivi, p. 222.

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Sebbene nell’articolo 9 si rinunci alla guerra e alle forze armate, nel 1950, in concomitanza con l’inizio della guerra in Corea, fu istituita la Riserva nazionale di polizia, che sostituì le forze statunitensi nel mantenimento dell’ordine pubblico33.

Per rendere completa la nuova Costituzione furono inseriti articoli atti a garantire tutte le prerogative democratiche. Si ritrovano infatti, articoli legati ai diritti fondamentali dell’uomo e alle sue libertà, senza alcuna discriminazione su base religiosa, di razza, di genere, sociale e culturale. L’art. 23 ad esempio garantisce la libertà di insegnamento, un ambito in cui le forze di occupazione si impegnarono ad apportare ampi cambiamenti strutturali. Inoltre viene regolato anche il rapporto di matrimonio, che all’art. 24, afferma la parità dei coniugi sia in relazione al consenso che al mantenimento dello stesso, garantendo gli stessi diritti e le stesse responsabilità34. Infine, dal Titolo V al Titolo X, vengono delineate le caratteristiche

e le funzioni delle istituzioni statali, quali il Parlamento, il Governo, e di quelle attribuite al potere giudiziario, alle autonomie locali e all’amministrazione, per poi concludersi con l’ulteriore riferimento alla Costituzione come legge suprema, la quale deve essere rispettata e difesa da tutti.

1.5 Ricostruzione economica e riforma agraria

Gli anni dell’occupazione furono fondamentali anche in ambito di ricostruzione economica, in quanto, uno dei principali obiettivi dello SCAP, fu quello di mettere in atto alcuni provvedimenti per risollevare il paese dai danni della guerra. Il programma ebbe risultati solo dopo il 1950, anche se lo sforzo della ripresa durò fino alla metà degli anni Sessanta. Innanzitutto, il Giappone cercò di trarre vantaggio dal processo di smilitarizzazione. Infatti, con la cessazione del mantenimento e della ricostruzione di basi militari, con la proibizione della produzione di merci destinate all’equipaggiamento e all’uso di installazione militare, come anche del ripristino di navi e aerei da guerra, il governo giapponese si sollevò dal peso di qualsiasi tipo di spesa in ambito militare e di difesa. Tutti gli impianti utilizzabili e adattabili alla produzione civile e a scopi pacifici non furono distrutti. Inoltre furono incoraggiati i principi della democrazia, favorendo le organizzazioni del lavoro e dell’agricoltura a carattere democratico, in più fu ribadita l’inclinazione pacifica del popolo giapponese, vietando tutte le altre attività e impedendo a personalità che non

33 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 223.

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intendevano seguire questa direzione di controllare e dirigere l’azione economica del Giappone.

Del programma di sviluppo economico, erano direttamente responsabili, come per la smobilitazione e il disarmo, le autorità giapponesi, le quali dovevano provvedere alla gestione di alcune attività, sotto le direttive delle forze di occupazione35. Il Giappone era tenuto a produrre per fornire loro merci e servizi secondo le varie necessità. Queste potevano essere di ridistribuzione delle scorte disponibili, di soddisfare le richieste di riparazioni di guerra in base alle necessità dei governi alleati e di agire per favorire la ripresa economica in generale, per migliorare la qualità di vita della popolazione.

Parte integrante del programma erano le attività di riparazione per danni causati dalle aggressioni giapponesi. Ad esempio, le proprietà giapponesi presenti al di fuori dei territori del Giappone, le merci e gli impianti industriali, che non erano più necessari all’economia del paese e alle forze occupanti, vennero trasferite secondo le modalità decise dalle Autorità Alleate36. Inoltre fu stabilita la parità di opportunità tra le aziende nazionali e quelle straniere

in Giappone, secondo la quale non potevano essere concessi privilegi a queste ultime e non potevano controllare alcun ramo dell’economia. Per raggiungere gli obiettivi, fu attuato anche un controllo per il commercio, attraverso alcuni principi, tra cui la ripresa delle relazioni commerciali internazionali, con la possibilità di importare solo materie prime, compreso fonti energetiche e beni necessari alle forze di occupazione. Un alto principio fu quello di rafforzare l’esportazione di prodotti nazionali, per compensare le importazioni, ma quello fondamentale fu la trasformazione dell’attività produttiva per essere un valido concorrente nell’economia mondiale37. La caratteristica più importante del programma fu

che il generale MacArthur era il responsabile operativo di tutte le importazioni e le esportazioni. Il Giappone in questo periodo di transizione, a causa della sua poca stabilità economica non poteva instaurare rapporti commerciali diretti tra operatori privati e giapponesi. Tutto ciò che riguardava le esportazioni era controllato al massimo, al fine di poter incrementare questo processo e riportare il paese verso una stabilità economica, che si raggiunse con molti sforzi solo qualche anno dopo. Soprattutto, si cercava di ricavare i fondi per le importazioni necessarie, anche per prevenire malattie e carestie e per garantire un certo livello di vita.

35 Kawagoe Toshihiko, Agricultural land reform in postwar Japan: experiences and issues, in World Bank Policy Research Working Paper 2111, May 1999, pp. 3-4.

36 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., pp. 166-167. 37 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., p. 227-228.

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Attraverso il piano di controllo sugli scambi con l’estero, gli Stati Uniti riuscirono ad avere il controllo anche delle relazioni internazionali del Giappone. Infatti, nel periodo dell’occupazione, quest’ultimo era aperto solo a scambi con i paesi graditi agli Stati Uniti. La funzione di regolare le esportazioni fu data alla United States Commercial Company, mentre le importazioni erano gestite dal Ministero della Guerra.

Il programma avrebbe previsto l’istituzione di una commissione interalleata per il commercio, la quale avrebbe dato la possibilità al governo statunitense di intervenire ed essere informato di tutti gli scambi con l’estero. Inoltre, a proposito delle esportazioni, si pensò a delle merci che avrebbero potuto fruttare di più a questo scopo, quindi il campo si restrinse a seta greggia e cotone, ma successivamente fu esteso anche alle ceramiche, al tè e all’artigianato38. In questo modo, si avviò il processo ascendente dell’economia giapponese,

che trasse vantaggio anche dal tasso di cambio dello yen rispetto al dollaro, che rimase fisso fino al 1971 e sottostimato, pari a 360/1, portando una crescita in attivo dal 1965 in poi39.

Infine, un ulteriore successo della politica economica attuata dallo Scap, dal 1947 al 1950, fu la riforma agraria, che riguardava la riduzione del contratto di affitto dal 40 per cento al 10 per cento, mentre i grandi proprietari terrieri furono penalizzati, poiché quello di proprietà aumentò del 90 per cento. Parte delle loro terre furono confiscate, così da subire gravi perdite, fino a che con il ripristino della produzione industriale, il numero di popolazione dedicata all’agricoltura si ridusse drasticamente. Il 1950 fu un anno indicativo e di importanza per la storia dell’economia giapponese, perché le richieste provenienti dalle forze dell’occupazione, dovute all’inizio della guerra di Corea (1950-1953), fecero aumentare la produzione e portarono il PIL quasi ai livelli degli anni antecedenti al conflitto mondiale40.

1.6 Riorganizzazione dell’istruzione e riforma linguistica

Al fine di raggiungere una piena democrazia, nei principali mutamenti del Giappone va catalogata la riforma dell’istruzione pubblica e privata. Il piano prevedeva innanzitutto un sistema decentrato, in cui gli insegnanti non erano tenuti a seguire rigidamente uno sviluppo professionale guidato, ma potevano contribuire attivamente alla formazione dei cittadini giapponesi. Le scuole private avevano piena autonomia, ma dovevano garantire lo stesso

38 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., pp. 199-201. 39 R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, op. cit., pp. 227-228.

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livello di preparazione delle scuole pubbliche in caso di trasferimento di studenti41. Tuttavia, per mettere in pratica questa teoria, c’è stato bisogno di un percorso di studi diverso, basato su una conoscenza più ampia. Al concetto di “corso di studi” fu associata l’idea di “sviluppo di attività fisiche e mentali dell’alunno”, per cui l’insegnamento non consisteva più nella sola trasmissione di conoscenze. Sotto direttive delle forze statunitensi furono ritirati i libri di storia e di geografia per riscriverli, in quanto privi di punti di vista obiettivi. Durante la guerra, in effetti, i testi infondevano il senso nazionalistico, portando ad un aumento della propaganda e dell’addestramento militare42. Sulla base di questi pretesti, fu avviata la

riforma scolastica, che come priorità ebbe quella di ritirare libri considerati dannosi e poco obiettivi e di sospendere corsi che in qualche modo avrebbero potuto interferire con i cambiamenti, appoggiando il vecchio regime.

Anche l’etica, che nel sistema scolastico giapponese era di rilevante importanza, venne interpretata in maniera differente, in quanto non sarebbe più stata legata alla sola ubbidienza, ma applicata ad ambiti diversi della vita del popolo, tra cui l’eguaglianza e le concessioni di governo democratico43. L’educazione etica, infatti, fu sostituita dell’educazione civica, apportando uno dei cambiamenti d’impatto più significativi: non iniziare le lezioni quotidiane con l’omaggio al ritratto dell’imperatore. L’istruzione sanitaria e l’educazione fisica erano alla base dei programmi scolastici, così come esami di medicina e di educazione alla salute. Inoltre era consigliato l’utilizzo di attrezzature più moderne.

L’obiettivo degli Stati Uniti nel 1946 a questo proposito fu di riorganizzare totalmente la scuola giapponese riproponendo i modelli americani, decentrando l’amministrazione alle prefetture e ai comuni. Il percorso di studi obbligatorio aveva durata di nove anni, dopo si poteva decidere di frequentare il liceo per tre anni, che permetteva di accedere all’università. Furono riscontrati molteplici problemi, primo fra tutti la carenza di edifici disponibili ad una popolazione vasta e in crescita, di conseguenza gli insegnanti si ritrovarono ad avere delle classi con un elevato numero di studenti. Anche a livello universitario i contrasti non mancarono, in quanto le scuole specializzate e i politecnici si contendevano la posizione di università, in seguito alla decisione di averne almeno una in ogni prefettura44.

A garanzia di un sistema scolastico che avesse caratteristiche più democratiche, si sostituì il metodo di insegnamento tradizionale, basato sulla memorizzazione e sul conformismo,

41 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., p.178. 42 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit., p.352.

43 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., pp. 175-176. 44 W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit., pp. 353-354.

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con altri che avrebbero permesso uno sviluppo della personalità e stimolato la libera riflessione. In questo modo gli insegnanti potevano decidere liberamente, adattando il metodo migliore all’apprendimento delle materie, in relazione agli studenti a cui si rivolgevano. Agli insegnanti era riservato un vero e proprio codice etico, con delle norme da rispettare che rispecchiavano il programma più ampio di democratizzazione. Questi erano tenuti alla lotta per raggiungere uguali opportunità di studio, dovevano difendere la pace e lottare a fianco dei genitori per contrastare la corruzione e dare vita ad una nuova cultura. Anche nella scienza ricoprivano un ruolo rilevante, perché erano tenuti a indagini scientifiche volte al progresso dell’uomo, che in nessun modo doveva essere ostacolato45.

Nella revisione del programma educativo, non era prevista la totale esclusione di argomenti a carattere militare o nazionale, anzi si consideravano parte integrante da apprendere in maniera diversa, affinché potessero essere fonte di maggiore cultura e spunto per nuove riflessioni. A questo proposito è opportuno citare quanto presente in Report of The

United States Education Mission to Japan, in cui si evidenzia: «For example, in such

subjects as history, ethics, geography, literature, art and music, consideration must be given to what can be retained that will increase cooperation Japan and other nations»46.

Così fu ripresa in considerazione anche la preparazione degli insegnanti, che da quel momento in poi avrebbe dovuto adattarsi al nuovo modello di insegnamento. Per un’adeguata formazione degli insegnanti erano previste le scuole magistrali, della durata di quattro anni. Anche altre scuole avrebbero dovuto garantire lo stesso livello di istruzione, in caso di preparazione all’insegnamento. Per coloro i quali, invece, avrebbero ricoperto il ruolo di ispettori o di amministratori scolastici, fu prevista una preparazione equivalente a quella degli insegnanti, oltre ad avere una preparazione consona al lavoro assegnato. L’istruzione superiore prevedeva tra gli obiettivi la libertà di pensiero, un’azione di fiducia nel popolo e la ricerca.

Per poter indirizzare il paese verso la strada appena delineata, era necessario liberalizzare i corsi di studio delle scuole preparatorie all’università e agli istituti di specializzazione, per rendere questo grado di istruzione accessibile ad un gruppo di cittadini più numeroso rispetto a quello del passato. La libertà accademica era considerata fondamentale, poiché si voleva garantire la libertà di accesso agli studenti, così come fu concessa la libertà di accesso a tutte le donne, con il presupposto di riguardare e rinnovare anche la loro antica preparazione. A

45 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., pp.194-195.

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questo scopo furono previsti degli aiuti economici alle università e alle istituzioni di istruzione superiore in generale per dare la possibilità di raggiungere livelli di studio superiore e si gettarono le basi per istituire delle università secondo programmi stabiliti, in cui un organo governativo sarebbe stato responsabile dall’istituzione al mantenimento dei requisiti delle stesse47. A stabilire ciò, fu quella che venne chiamata “Legge fondamentale dell’istruzione”48, basata sui principi della nuova Costituzione. In questo documento fu

raccolto l’intero programma di azione per la riforma scolastica, partendo dai fini dell’istruzione, esplicando i principi educativi e rafforzando il concetto delle pari opportunità senza alcun tipo di discriminazione, per poi concludersi con le direttive date in ambito di educazione scolastica in generale, sociale, politica e religiosa49.

Le generazioni che frequentavano la scuola nel periodo di transizione o che durante gli anni dell’occupazione iniziavano il percorso di studi erano agevolate nell’apprendimento dei metodi delle riforme, che apportavano continuo cambiamento in ogni sfaccettatura della vita privata e sociale. Tuttavia, i metodi adottati non furono immediatamente capaci di apportare notevole cambiamento al programma educativo, ma cominciarono ad avere effetto qualche anno più tardi, quando più generazioni erano accomunate da quegli stessi metodi50.

Nonostante le difficoltà, non fu lasciata al caso, però l’educazione degli adulti, a cui fu dedicata la stessa attenzione degli altri ambiti. Si delineò un programma anche per la loro educazione, poiché per uno stato democratico, bisognava rendere responsabile ogni cittadino. Attraverso la collaborazione con gli insegnanti per la formazione dei bambini e dei giovani in età scolastica, i genitori si sarebbero avvicinati alla nuova istruzione ed educazione, dando loro un incentivo. Per facilitare questo processo, le forze di occupazione raccomandarono di istituire delle biblioteche pubbliche principalmente nelle grandi città, ma consigliavano di trovare delle soluzioni adeguate a fornire il servizio in tutte le province. Adatti allo stesso fine erano ritenuti i musei delle scienze, delle arti e dell’industria, mentre decisero di intervenire a favore di organizzazioni e associazioni professionali e comunitarie, aiutandole ad applicare le reali tecniche di discussione e di assemblea51.

47 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., p. 180.

48 Benkamin C. Duke, The Fundamental Law of Education, in Japan’s Militant Teachers, March 31, 1947, pp. 98-99.

49 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., p. 182. 50W.G. Beasley, Storia del Giappone moderno, op. cit., p. 353.

51 Department of State USA, Occupation of Japan, policy and progress, Publication 267, Far Eastern Series 17, Washington, D.C.: Govt. Print. Office, 1946, pp. 35-36.

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Parte integrante della riorganizzazione del sistema scolastico e dei cambiamenti apportati in merito all’istruzione e all’educazione fu l’introduzione di una riforma linguistica. L’obiettivo principale della riforma non si sarebbe limitato al sistema scolastico, ma avrebbe rappresentato un punto di partenza per lo sviluppo delle future generazioni giapponesi52. A tal fine, le forze statunitensi proposero l’istituzione di una commissione per la lingua, pronta ad elaborare un programma, servendosi di persone con un certo livello di istruzione, tra cui uomini di stato e responsabili della scuola. Inoltre, la popolazione fu esortata ad usare delle forme di romaji53 nell’uso comune. La commissione avrebbe dovuto avere tre funzioni specifiche, prima tra queste era la responsabilità della coordinazione del programma nei periodi di transizione, come anche quella di trovare un modo per introdurre il romaji nelle scuole, ma anche nei libri e giornali e in altre pubblicazioni che avessero impatto sulla comunità. Infine, aveva il compito di ricercare una forma di lingua parlata adatta a tutto il popolo e quindi più democratica. A questo proposito si afferma: «La lingua dovrebbe essere un veicolo e non una barriera. Nel Giappone stesso e all’interno dei suoi confini questo veicolo dovrebbe essere disponibile alla trasmissione della conoscenza e delle idee nell’interesse di una più ampia comprensione»54.

52 F. Gatti, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, op. cit., p. 176.

53 I romaji sono i caratteri dell’alfabeto latino adattati alla lingua giapponese. Per oltre due secoli, sotto lo shogunato Togukawa (1603-1867), il Giappone non ebbe interesse di creare un alfabeto comprensibile agli occidentali, poiché si era chiuso al mondo intero e gli scambi commerciali e culturali erano limitati solo ad alcune zone e ad alcuni Paesi.

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CAPITOLO II

2. L’origine del rapporto bilaterale nippo-statunitense e il problema di

Okinawa

2.1 La Guerra di Corea: infinita e dimenticata

Alla fine della Seconda guerra mondiale la situazione in Estremo Oriente era rimasta piuttosto critica a causa di alcuni avvenimenti fondamentali che di lì a poco avrebbero cambiato per sempre lo scenario geopolitico internazionale. Il primo tra tutti, già analizzato nel capitolo precedente, fu la sconfitta del Giappone e l’occupazione da parte statunitense. In questo modo lo stato occidentale per eccellenza avrebbe avuto la possibilità di interessarsi e di partecipare più da vicino alle questioni orientali. In secondo luogo, la Corea, così come la Germania, rimase divisa in due parti, dopo che fu liberata dalle truppe giapponesi. Nella parte settentrionale occupata dall’Urss fino al 38° parallelo, dopo che aveva dichiarato guerra al Giappone, si stava formando un regime comunista con Kim Il-Sung. Nella parte meridionale, dove erano situate le truppe statunitensi prevaleva un regime filoccidentale con il presidente ultra nazionalista Syngman Rhee. Inoltre, la Cina nel 1949 divenne comunista, dopo una sanguinosa guerra civile tra le forze nazionaliste guidate dal governo di Chang Kai-Shek e quelle comuniste guidate da Mao Tse-Tung1.

Il destino della penisola coreana però inizialmente era ben diverso. Gli Stati Uniti, la Cina e la Gran Bretagna avevano previsto durante la Conferenza del Cairo nel 1943 che la sua indipendenza da Giappone dopo la guerra, ma ritenevano che ci fossero questioni molto più importanti di quella. Infatti, la situazione non sembrava preoccupante e gli Stati Uniti in tutta fretta erano riusciti ad occupare la parte meridionale, motivo per cui le truppe dell’Urss si bloccarono sul 38° parallelo, anziché procedere con l’occupazione di tutta la penisola. Quello che però nessuno si sarebbe aspettato è che quella linea accettata malvolentieri

1 Felician Stefano, A sessant’anni dalla guerra di Corea, in Limes, 20 Luglio 2010. Consultabile al sito web: https://www.limesonline.com/a-sessantanni-dalla-guerra-di-corea/13890

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dall’Urss, sarebbe stata una vera linea di frattura in grado di condizionare la politica mondiale fino ad oggi2.

Le ostilità iniziarono il 25 giugno 1950, quando l’esercito di Kim Il-Sung invase il sud della penisola, scatenando il primo conflitto dopo la guerra mondiale. Questo non fu altro che la conseguenza di un’alleanza già avviata, anche se non ancora definita. Sebbene, ancora oggi non sia chiaro se la decisione dell’invasione sia stata presa autonomamente da Kim Il-Sung, possiamo sapere che è il risultato di un consenso ottenuto congiuntamente anche dalle due potenze comuniste vicine. Infatti i sovietici fornirono alle truppe del Nord mezzi e armi militari, mentre i Cinesi, come vedremo, inviarono le proprie truppe a supporto di Kim Il-Sung.

Gli Stati Uniti erano stati colti quasi di sorpresa in quest’invasione, non perché non si aspettassero un attacco da parte dei sovietici, ma perché non credevano che avrebbero attaccato in una zona sconfinata come quella della penisola coreana3. Nessuno avrebbe pensato che Kim Il-Sung avesse voluto riunificare con la forza, infatti mentre il Nord era equipaggiato dai sovietici, il Sud era stato armato al minimo dagli statunitensi. In quel momento quindi non c’era nessuno in grado di fermare l’esercito di Kim e la situazione andò peggiorando nel giro di pochi giorni. Erano stati mandati soldati per una missione di polizia, quando invece si ritrovarono ad essere addestrati e a combattere e anche le truppe che erano in Giappone furono inviate nella penisola coreana. In breve tempo le truppe del sud e quel che rimaneva dell’esercito statunitense si trovarono a controllare solo il quadrilatero del porto di Pusan nel sud del paese.

In questa fase gli Stati Uniti si rivolsero al Consiglio di Sicurezza che condannò all’unanimità l’attacco nordista e per questo passò alla storia, poiché era il primo intervento delle Nazioni Unite in un conflitto4, gestito quindi con una struttura complessa rispetto al passato. Il risultato però fu dovuto ad alcuni fattori, primo fra tutti è che era assente il delegato dell’Unione Sovietica in Consiglio di Sicurezza Onu. Secondariamente, mancava anche quello della Repubblica Popolare Cinese, poiché veniva preferito ancora quello della Cina nazionalista.

2 Matteo Sacchi, Errori e ferocia: è nata l’infinita Guerra di Corea, in Il Giornale.it, 26 Febbraio 2019. Consultabile al sito web: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/errori-e-ferocia-cos-nata-linfinita-guerra-corea-1652195.html

3 Giuseppe Casella, La Corea del Nord nel contesto globale: negoziati, isolamento, prospettive future, 2010/2011, pp. 37-38.

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A capo delle truppe delle Nazioni Unite c’era il generale MacArthur, che era già stimato per le sue vicende nella Seconda guerra mondiale e per l’occupazione giapponese. Egli con l’appoggio anche del presidente Harry Truman diede inizio all’operazione Chromite che cambiò la situazione, ma che alla fine non ebbe esito positivo. Così le truppe Onu con il generale sbarcarono nel porto di Incheon, prendendo alle spalle le truppe del nord che ormai erano avanzate troppo oltre il 38° parallelo, costringendole a ritirarsi.

Purtroppo MacArthur non aveva seguito le istruzioni di Washington, che continuava a ribadire di non minacciare troppo i territori cinesi, ma quando la linea del fiume Yalu fu oltrepassata, i Cinesi attaccarono con molti uomini e fu un disastro. I Cinesi fecero ritirare le truppe ONU al di là del 38° parallelo, che rimane ancora oggi il confine tra le due Coree. In quel momento nessuno poteva vincere e l’unica soluzione fu firmare una pace necessaria e l’armistizio fu firmato il 27 luglio 19535.

La Guerra di Corea quindi non è mai ufficialmente finita, anche ora a quasi settant’anni dal tragico giorno in cui il nord decise di attaccare il sud della penisola. Le conseguenze geopolitiche furono rilevanti anche se questa guerra è stata per gran parte rimossa dal mondo occidentale, forse perché schiacciata tra il conflitto mondiale e la tragedia in Indocina, che era stata seguita molto di più anche dai media. Inoltre, l’importanza della guerra di Corea è riconosciuta dal punto di svolta che ha segnato nelle relazioni tra Usa e Urss. A partire da quel momento infatti, le divisioni della Guerra fredda si inasprirono, cristallizzando quelle che erano le alleanze diplomatiche e militari della Cortina di ferro. Tuttavia, questo ha permesso agli Stati Uniti di affermare la loro egemonia globale e di consolidare basi militari in Giappone6.

Inoltre, si definisce una guerra dimenticata, ma a questo riguardo spiega il professor Gastone Breccia7, che bisogna specificare che lo è solo per gli occidentali, mentre rimane indelebile nella memoria di Cinesi e Coreani. La ragione starebbe nel fatto che gli Stati Uniti hanno perso questa guerra, quindi non c’è motivo di ricordarla a loro stessi e agli altri, soprattutto perché la ritenevano una guerra sbagliata al momento sbagliato. Dal loro punto di vista l’Occidente ha dovuto subire la guerra di Corea, affrontandola come un “un dovere

5 M. Sacchi, Errori e ferocia: è nata l’infinita Guerra di Corea, op. cit.

6 Felice Laudadio, La guerra di Corea di Steven Hugh Lee, 24 Marzo 2017. Consultabile al sito web: https://www.sololibri.net/La-guerra-di-Corea-Lee.html

7 Docente di Storia bizantina presso la Facoltà di Musicologia di Cremona, sede staccata dell’Università di Pavia ed esperto di storia militare. Autore del libro Corea-La guerra dimenticata (Il Mulino, 2019).

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