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La crescita delle tensioni nelle Senkaku/Diaoyu: le crisi del nuovo millennio

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo

4.5 La crescita delle tensioni nelle Senkaku/Diaoyu: le crisi del nuovo millennio

A partire dagli anni Ottanta, gli attriti tra i contendenti per la sovranità delle isole iniziarono ad essere più evidenti e a ripetersi in maniera ciclica. Con la fine della Guerra fredda la disputa emerse come un importante problema di sicurezza regionale, mentre i contendenti si muovevano per rafforzare le loro pretese di sovranità56. Le tensioni sono

diventate sempre più importanti con gli anni, cresciute in parallelo con il cambiamento delle capacità di risorse. Questo si è intrecciato alla politica interna e all’identità nazionale di entrambi, che hanno modificato anche lo scenario internazionale. Mentre negli anni Settanta e Ottanta, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le due potenze erano disposte ad

54 R. Drifte, Japanese-Chinese territorial disputes in the East China Sea, p.13.

55 Shin Kawashima, The Origins of the Senkaku/Diaoyu Islands Issue, in Asia-Pacific Review, Vol. 20, n.2, 2013, p. 129.

56 Ian Storey, Japan's maritime security interests in Southeast Asia and the South China, in Political Science

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accantonare la questione della sovranità territoriale, privilegiando un rapporto più disteso per mettere in primo piano i rapporti diplomatici, dagli anni Novanta mettono da parte quel rapporto di amicizia a cui davano principale peso in precedenza57.

A questo punto è importante notare che il cambiamento che la fine della Guerra fredda aveva apportato all’assetto geopolitico internazionale, si era riflesso anche nella struttura e nelle azioni politiche del Giappone. Nel nuovo contesto internazionale, infatti, i politici giapponesi avevano avuto la possibilità e ne avevano colto l’occasione per espandere la potenza oltre quelle che erano le relazioni con gli Stati Uniti58. Fu inevitabile quindi la rivalità con la RPC per l’egemonia regionale, che intaccò sempre di più i loro rapporti diplomatici, raggiungendo momenti di crisi dall’inizio del nuovo secolo.

L’ascesa della Cina a potenza marittima, con la relativa crescita delle attività nelle aree circostanti le isole Senkaku ha avuto il suo peso nell’escalation della disputa, costituendo fonte di allarme per il Giappone. Quest’ultimo non perse tempo nella reazione, pensando bene di rafforzare gli accordi di sicurezza con gli Stati Uniti. La Cina ha interpretato le Linee Guida del 1997 come una strategia per contrastare la sua espansione59. In questo stato di sfiducia tra le due potenze quindi, la tensione che vedeva come terreno di scontro soprattutto le Senkaku non poteva che aumentare. A questo aspetto, ne va aggiunto un altro, ovvero il dubbio che questi attori hanno avuto sulla propria sicurezza nazionale, che è causato in parte della crescita di sfiducia reciproca, riflessa nella disputa territoriale60.

Gli incidenti che si sono susseguiti dall’inizio del XXI secolo, infatti, sono stati generati dal contesto appena delineato, creando un’escalation della tensione nel Mar Cinese Orientale. I più rilevanti sono stati tre, poiché hanno coinvolto anche la società civile e hanno continuato ad avere ripercussioni nei loro rapporti diplomatici fino ad oggi.

Il primo incidente è avvenuto nel marzo del 2004, quando un gruppo di sette attivisti cinesi riuscì asbarcare sull'isola di Uotsurishima, appartenente alle Senkaku. Gli attivisti facevano parte di un gruppo più ampio che già nei mesi precedenti aveva provato a raggiungere le coste delle isole, ma con scarso successo. Le imbarcazioni venivano espulse dalla Guardia Costiera giapponese impedendo loro il passaggio prima di raggiungere la costa. La risposta del Giappone all’accaduto fu di arrestare i cittadini cinesi e la reazione fu

57 Nakano Ryoko, The Sino–Japanese territorial dispute and threat perception in power transition, in

Political Science Journal, Vol. 29, 2016.

58 Hook et al., Japan’s international relations: politics, economics and security, op. cit., p. 96. 59 R. Drifte, Japanese-Chinese territorial disputes in the East China Sea, op. cit., p. 16.

60 Joo Cho Hyun; Choi Ajin, Why do territorial disputes escalate? A domestic political explanation for the

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tempestiva. Quei cittadini furono i primi ad essere sbarcati sulle isole contese e i primi ad essere arrestati. L’arresto inoltre aveva scatenato delle proteste in Cina, anche da parte del Ministro degli Affari Esteri, che riteneva l’arresto una violazione della sovranità cinese sulle isole. Il Giappone per prevenire ulteriori tensioni, dopo 48 ore dall’arresto decise di deportare gli attivisti. In questo caso la risoluzione fu silenziosa ed immediata rispetto a quelle del 2010 e del 2012, come vedremo più avanti.

Nonostante l’incidente abbia provocato una crescente tensione, va sottolineata la giudiziosa gestione, soprattutto da parte del governo giapponese, che ha avuto un ruolo fondamentale. Questa fu dovuta a diversi fattori, tra cui una relativa stabilità politica che il Giappone, con l’amministrazione Koizumi, stava vivendo. D’altra parte era dovuto anche alla efficace gestione delle autorità cinesi, che si sono prontamente attivate a contenere quelle che erano le manifestazioni di protesta da parte dei cittadini. Ultimo fattore da considerare è che in questo periodo era sempre in essere un minimo dialogo tra i due, che riuscì a contenere la crisi, senza intaccare troppo i rapporti diplomatici. La dimostrazione fu il fatto che gli eventi programmati per i giorni successivi all’accaduto, sebbene annullati, furono subito riprogrammati61. La risoluzione della crisi in questo caso è stata diplomatica, differentemente da quanto è successo nel 2010, ma questo è dovuto al fatto che mentre nel primo caso si trattava di attivisti che non avevano commesso un crimine, nel secondo aveva costituito un fattore che rese più complicata la gestione.

Il secondo momento in cui le ostilità in mare tra Cina e Giappone raggiunsero l’apice ebbe inizio il 7 settembre 2010, quando un peschereccio cinese si è scontrato volutamente contro due navi della Guardia Costiera giapponese. Le autorità giapponesi anche in questo caso hanno prontamente arrestato il capitano e l’equipaggio. La situazione però era completamente differente dalla precedente, in quanto nel 2004 si trattava di cittadini che erano illegalmente sul territorio di isole contese, nel 2010 invece avevano compiuto un’azione criminale. Prima di essere deportato in Cina, il capitano fu detenuto per 15 giorni anziché 48 ore, come successe nel 2004. Un’altra differenza che emerge dal confronto con la crisi precedente è che le trattative dei giorni seguenti all’incidente non furono riprogrammati, ma cancellati del tutto, quindi si creò attrito anche sul versante dei rapporti diplomatici.

61 Hafeez S. Y., The Senkaku/Diaoyu Islands Crises of 2004, 2010, and 2012: A Study of Japanese-Chinese

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Confrontando inoltre la portata delle proteste, si capisce la diversa intensità di questo incidente rispetto al precedente. Inizialmente il numero di attivisti anti-giapponesi era lo stesso del 2004, ma poco dopo ci fu una vera e propria ondata di proteste, tanto da generare atti di violenza, come un attacco ad una scuola internazionale giapponese. Il fattore che chiarisce le differenze è il contesto politico interno totalmente diverso da quello di Koizumi. Infatti dal 2006 era stato eletto un primo ministro diverso ogni anno, dando più instabilità politica al paese. C’era stato inoltre il cambio di leadership, poiché era al potere il partito storico dell’opposizione, il Partito Democratico del Giappone, che come appena confrontato aveva gestito la questione in maniera differente da Koizumi62.

Le acque non furono più calme dopo l’incidente del 2010. Dopo soli due anni si verificò il terzo episodio del XXI secolo, che ha portato ad una crisi duratura. Nell’aprile del 2012 il Mar Cinese Orientale è tornato al centro della contesa tra Tokyo e Pechino, quando il governatore conservatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, aveva annunciato l’acquisto di tre delle isole Senkaku di proprietà di un cittadino giapponese privato. Egli le aveva acquistate nel 1932 e le aveva rimesse in vendita 80 anni dopo. Shintaro inoltre aveva affermato che il governo giapponese non si stava impegnando abbastanza per difendere le isole, così quando il cittadino privato le mise in vendita per un miliardo di yen, il Primo Ministro Yoshihiko Noda acquistò le isole, piuttosto che lasciarle nelle mani di un politico imprevedibile e nazionalista63. La decisione di acquistare le isole era stata annunciata il 7 luglio, il giorno dell’anniversario dell’incidente del Marco Polo Bridge. In quella stessa data del 1937, i Giapponesi tentarono di conquistare la Cina. Pechino, infatti, non ha accettato la mossa di Tokyo per una ragione ben precisa. Oltre al fatto di voler ribadire la sovranità sulle isole, la Cina ha percepito la decisione più come una chiara sfida nei suoi confronti. Inoltre la decisione era vista come un rafforzamento della pretesa del Giappone di avere più isole sotto il suo diretto controllo.

La nazionalizzazione e la riacquisizione delle isole da parte del Giappone, è stata contrariata dalla Cina, in quanto non poteva accettare il fatto che un privato possedesse dei territori che erano al centro di una disputa. Inoltre, riteneva che era avvenuta un’alterazione dello status quo. Molto significativa fu la risposta della Cina, che aveva aumentato in numero e durata le operazioni di sorveglianza della zona marittima oggetto di contesa, con la dichiarazione delle linee di base territoriali. La risposta forte della Cina fu quella di attuare

62 Ivi, pp. 76-77.

63 Fravel Taylor M., Explaining China’s Escalation over the Senkaku (Diaoyu) Islands, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, 2016, p. 30.

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la strategia dell’assertività reattiva, che le permetteva di sfruttare le azioni dei rivali nelle acque contese, cambiando le condizioni iniziali e traendo vantaggio da esse. In questo modo riuscì a formalizzare già quanto accadeva nelle acque contese circostanti le isole dall’incidente del 2010. Questa risposta ha creato una situazione pericolosa e di precaria stabilità con effetti a lungo termine, superando quelli della crisi del 2004 e del 2010. La risposta rapida e decisa della Cina serviva a non dimostrare debolezza al rivale, ma anche a non aumentare il malcontento dei cittadini, che non avrebbero accettato senza conseguenze un’ulteriore sconfitta, soprattutto da parte del Giappone64.

Come già accennato, la crisi della nazionalizzazione sfociò in una serie di proteste in molte città della Cina coinvolgendo migliaia di cittadini, più di quanto si era verificato precedentemente. Come nel 2010, le proteste si tramutarono velocemente in azioni violente, tanto che furono stimati centinaia di milioni di dollari di danni a negozi e a fabbriche giapponesi. Alcune di queste ultime sospesero la produzione, provocando danno all’economia del paese e inevitabilmente ai rapporti diplomatici dei due paesi. Confrontando ulteriormente gli incidenti del 2004 e del 2010 si nota che la crisi di nazionalizzazione si è mossa in maniera più lenta, poiché erano passati dei mesi dalla dichiarazione di acquistare le tre isole all’effettivo acquisto nel settembre 2012. Inoltre le implicazioni hanno coinvolto uno spazio maggiore. In considerazione di questi fattori si può capire come mai la gestione di Pechino sia stata diversa a quella degli altri incidenti.

Anche la gestione della crisi da parte di Tokyo non mancava. Questa però si può dividere in due fasi: la prima riguarda la decisione di impedire a Shintaro di finalizzare l’acquisto delle isole e la risposta all’atterraggio del 15 agosto da parte di attivisti di Hong Kong, la seconda riguarda la gestione della questione dopo la nazionalizzazione. Nella prima fase, si può sottolineare la pronta reazione del Giappone, simile a quella degli altri incidenti. Infatti, la questione degli attivisti di Hong Kong ha rispecchiato quella già avvenuta nel 2004 e ha saputo gestirla in maniera reattiva con l’arresto e poi con la deportazione. Per la seconda fase invece il Giappone ha avuto un’importanza di rilievo maggiore sin dall’inizio a causa del ruolo del governo metropolitano di Tokyo. C’è stata una risposta meno reattiva proprio perché c’era una questione interna da tener presente, ma ha dato più importanza al ruolo strategico rispetto a quelle del 2004 e del 201065.

64 Ivi, p.31.

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È interessante notare che, oltre a proteste sfociate in azioni violente, ci sono state anche proteste di intellettuali attraverso dichiarazioni firmate da parte dei cittadini. Un esempio ne è la dichiarazione congiunta firmata da 1.270 intellettuali con l’intento di porre fine all’isteria del nazionalismo cinese e giapponese che ruota intorno alla questione delle Senkaku/Diaoyu. Questo è avvenuto dopo due settimane dall’inizio della crisi, in seguito alla decisione del governo cinese di ritirare o di posticipare la pubblicazione di testi giapponesi e di interrompere la riproduzione su piattaforme online di cartoni animati e show televisivi giapponesi. Serve a sottolineare la disapprovazione e la delusione dei cittadini di fronte alle decisioni dei governi riguardanti la questione territoriale, i quali hanno paragonato il nazionalismo ad un “liquore scadente” che ubriaca dopo pochi bicchieri e rende isterico chi lo ha bevuto66.

Le tensioni sono cresciute dopo l’incidente del 2012. A causarle sono stati diversi fattori, tra cui le misure adottate da Pechino, come la dichiarazione delle linee di base territoriali nel settembre 2012 e una zona di identificazione della difesa aerea (ADIZ) sull'area controversa nel novembre 2013, per sfidare il controllo giapponese delle isole. Il Giappone e gli Stati Uniti a quest’ultima dichiarazione hanno reagito quasi subito opponendo resistenza, poiché con le nuove linee le zone operative di Cina, Giappone e Stati Uniti si sarebbero sovrapposte. Inoltre la carenza dei canali di comunicazione sino-giapponesi affidabili, ha fatto aumentare le probabilità di un possibile scontro in mare, sebbene i due paesi abbiano espresso esplicitamente di voler evitare un conflitto sulle isole. Questo però potrebbe creare, come pericolo maggiore, una situazione di escalation non intenzionale67.

Una parentesi a questo punto va dedicata all’analisi della posizione di Washington rispetto alle tre crisi tra Cina e Giappone, che hanno avuto come oggetto la sovranità delle isole Senkaku/Diaoyu. L’intenzione di rimanere neutrale alla questione, come già dichiarato negli anni Settanta, era ancora valida, come del resto anche l’obbligo di dover difendere le isole in caso di attacco, secondo il trattato bilaterale del 1960. È stata quindi ripetuta nel 2004, nel 2010 e nel 2012. Tuttavia, la posizione nuovamente è diventata ambigua, perché nei primi due incidenti erano più fermi nel rimanere al di fuori della questione, rispetto a quella del 2012. Nel dicembre di quell’anno infatti, il Senato degli Stati Uniti ha approvato all'unanimità un emendamento alla National Defense Authorization Act per l'anno fiscale

66 Marta Fulcheri (trad.), Disputa Cina-Giappone: intellettuali contro l'isteria nazionalista, in Stampa.it, 6 Ottobre 2012. Consultabile al sito web:

https://web.archive.org/web/20130922073322/http://www.lastampa.it/Page/Id/1.0.321172203 67 S. Y. Hafeez, The Senkaku/Diaoyu Islands Crises of 2004, 2010, and 2012, p. 87.

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2013, ribadendo ulteriormente l'impegno per la difesa delle isole. Gli Stati Uniti quindi hanno dimostrato la rilevanza dell’alleanza nippo-statunitense. A confermare ciò ci sono gli esercizi congiunti, tra cui operazioni marittime e aeree per la difesa delle isole offshore giapponesi, e nel luglio 2013 il primo esercizio anfibio su larga scala68.

Dopo le crescenti ostilità degli anni successivi alla crisi del 2012, nel 2015 il Giappone ha annunciato la creazione di un corpo militare giapponese per rafforzare la capacità di difesa nei mari attorno alle isole Senkaku tra Okinawa e Taiwan. Era una chiara risposta di deterrenza all’assertività della Cina. La cerimonia inaugurale del corpo chiamato Suiriku

kido-dan o in inglese Amphibious rapid deployment brigade, si è tenuta nell’aprile del 2018

a Sasebo, nel sudovest del paese. La creazione della brigata anfibia contava circa 2100 uomini e aveva come obiettivo quello di rafforzare il comparto militare nipponico. Inoltre la nascita di questo corpo era venuto in seguito all’unificazione del comando, non più divisi in cinque eserciti regionali in atto da quando sono state fondate le forze armate giapponesi postbelliche. Questo garantirà alle Forze di Autodifesa di avere una migliore capacità di reazione in caso di attacco e un coordinamento migliore con le forze statunitensi presenti nel territorio. La creazione del corpo derivava anche dalla richiesta dell’amministrazione Trump di rafforzare la difesa. Il governo Abe nel 2017 aveva previsto un budget di 46 miliardi di dollari per ampliare anche l’arsenale missilistico e per far fronte alle minacce come Cina e Corea del Nord69. Il tutto ancora una volta contraddirebbe quanto previsto dalla Costituzione giapponese, ma abbiamo già visto quanto Abe si sia battuto negli ultimi anni per far riconoscere costituzionalmente le Forze di Autodifesa e per modificare in particolare l’articolo 9.

Un altro aspetto da prendere in considerazione a proposito dell’assertività della Cina è quello delle operazioni nella grey zone dei mari dell’Asia di cui la Cina è il principale fornitore di tattiche strategiche. Le recenti attività in aumento nell’area indicano un uso maggiore della guerra ibrida. La grey zone infatti si riferisce ad uno stato metaforico tra guerra e pace, nelle cui operazioni non si utilizzano armi e strategie convenzionali e per questo considerate molto difficili da contrastare. In questi casi un aggressore mira a raccogliere guadagni politici o territoriali associando delle aggressioni militari, ma stando

68 A. Patalano, Seapower and Sino-Japanese Relations in the East China Sea, p. 38.

69 Dopo 70 anni tornano i marine del Giappone per fermare l’invasore cinese, in China Files, Reports from

China, 11 Aprile 2018. Consultabile al sito web:

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attento a non varcare la soglia della guerra aperta con l’avversario. Questi opera quindi nell’ambiguità per raggiungere obiettivi strategici evitando l’intervento da parte di altri stati. Le imbarcazioni civili cinesi sono tra le più presenti nel Mar Cinese Meridionale e Orientale e svolgono una notevole quantità di attività. Queste comprendono centinaia di pescatori nelle loro barche a motore e le forze paramilitari cinesi, che ultimamente sono state intercettate dalle navi della Marina militare statunitense e dalle navi degli altri stati rivali che contendono quei territori. L’idea alla base di queste operazioni sta nel fatto di esercitare l’autorità su uno spazio marittimo mediante l’uso di imbarcazioni e personale civile, con modi intenti ad evitare un aperto conflitto militare70. Le navi da pesca cinesi anche se

agiscono in vicinanza di forze marittime di altri stati, si assicurano di mantenere le attività al di sotto del limite del conflitto, ma allo stesso tempo si garantiscono il dominio nelle aree circostanti alle zone controverse.

Le attività cinesi nel Mar Cinese Meridionale hanno avuto come scopo dal 2012 anche quella di scoraggiare le operazioni navali statunitensi. L’insieme di queste imbarcazioni nel corso degli anni sta diventando sempre più professionalizzata, ma presenta ufficialmente ancora il carattere civile e questo ha permesso a Pechino di negare le attività della grey zone. La Cina ha anche bonificato illegalmente alcune isole militarizzandole e cercando di stabilire il controllo sulle acque circostanti. In questo modo la Cina ha minato il diritto internazionale e ha creato dei precedenti a suo favore.

Infine vanno presi in considerazione altri elementi per cui la Cina continua ad essere una minaccia per il Giappone, anche dopo i momenti di picco delle crisi analizzate. Innanzitutto, la Cina per raggiungere l’obiettivo di controllo dell’area negli ultimi anni ha accresciuto il budget destinato alle spese militari, dando la priorità ai settori dell’informatizzazione e della meccanizzazione. In secondo luogo, sta rafforzando la Marina per avere capacità dissuasive nell’Oceano Pacifico e Indiano. Tuttavia, non mira ad un ruolo di controllo per non entrare in competizione con gli Stati Uniti71. Emerge in questo caso la consapevolezza della Cina di non potersi dotare di una flotta potente come quella statunitense. In aggiunta, se sviluppasse una potenza marittima in grado di contrastare il controllo degli Stati Uniti, porterebbe questi ultimi a concorrere per colmare il gap, aumentando le tensioni nella regione. La leadership