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Gli equilibri in Estremo Oriente dopo la Guerra fredda

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo

4.1 Gli equilibri in Estremo Oriente dopo la Guerra fredda

Durante il secondo dopoguerra e durante la Guerra fredda fino al collasso dell’Unione Sovietica nel 1989, sia il Giappone che gli Stati Uniti hanno ottenuto dei vantaggi dall’alleanza bilaterale iniziata con la firma del Trattato di San Francisco nel 1951. Già a partire da quel momento, in cui gli scenari geopolitici furono completamente rivoluzionati, gli Stati Uniti capirono che avere il controllo del Giappone con le proprie basi militari sul territorio avrebbe avuto più di un risvolto positivo. Innanzitutto, gli Stati Uniti avrebbero avuto il Giappone, con il ruolo di fornitore di basi ed impianti militari, come primo alleato alla lotta contro il comunismo dell’Unione Sovietica, della Cina e di tutta la regione, secondo la strategia del contenimento. Inoltre, potersi servire delle basi presenti nella prefettura di Okinawa, come abbiamo visto nel capitolo 2, avrebbe dato loro migliore capacità di controllo su tutta l’area dell’Estremo Oriente e tempi di reazione più immediati in caso di minacce, data la vicinanza dell’isola ai focolai dell’area. Dall’altra parte, per il Giappone l’alleanza costituiva il modo più efficace e più veloce per potersi concentrare sulla ripresa economica del paese, dopo la disfatta della guerra. Infatti, questa era la conseguenza di essere sotto la protezione statunitense e di non doversi preoccupare della sicurezza del territorio. In questo modo però divenne dipendente dall’alleanza sia sul piano economico che su quello della sicurezza per lungo tempo.

Negli anni Settanta ci fu una nuova fase dell’alleanza in seguito alla visita del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, che nel 1972 fece visita alla Cina puntando ad una normalizzazione dei rapporti. La Cina durante la Guerra fredda sarebbe servita a contenere l’Unione Sovietica. Il Giappone quindi temeva di essere messo in disparte rispetto ad una relazione tra Washington e Pechino. Inoltre, considerata la crescita economica del Giappone, gli Stati Uniti fecero pressione affinché Tokyo aumentasse la spesa nella difesa del paese1. Il Giappone d’altra parte riteneva fondamentale mantenere il rapporto bilaterale perché

1 C. Trentin, La questione della presenza delle basi militari americane a Okinawa nelle relazioni di sicurezza

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potesse continuare a dipendere dall’ombrello statunitense. Agli inizi degli anni Novanta, con la fine del sistema bipolare, l’opinione pubblica si chiedeva se fosse ancora utile un’alleanza nippo-americana, considerato che i due Stati non avessero più un nemico comune. Questa alleanza non solo fu mantenuta, ma fu ritenuto necessario apportarle un adeguamento in seguito al cambiamento degli equilibri geopolitici dell’area.

Washington, infatti, nonostante la difficoltà dell’opinione pubblica di capire le motivazioni per cui mantenere tale rapporto, era fermamente convinto che la presenza statunitense per questioni politiche e di sicurezza fosse importante quanto prima della caduta del blocco sovietico2. Le ragioni di questa scelta furono essenzialmente due per gli Stati

Uniti: la prima è che l’alleanza nippo-statunitense rappresenta il fulcro della politica di sicurezza in Asia, dove sono presenti varie minacce alla pace e all’equilibrio nella regione; la seconda è che la presenza statunitense in Asia è necessaria per questioni economiche. Per il Giappone invece, il rapporto bilaterale aveva risolto i problemi della sicurezza del Paese, che essendo sotto l’ombrello statunitense non aveva bisogno di sviluppare le sue capacità militari. In questo modo il Giappone risultava essere minaccioso anche per i suoi vicini e come risultato avrebbe apportato ad un equilibrio più ampio nell’area3.

A provare ciò fu una nuova strategia istituita dal Dipartimento di difesa degli Stati Uniti nel 1995, intitolata United States Security Strategy for the East Asia-Pacific Region, che confermava l’impegno statunitense nel Trattato di sicurezza di mantenere per i successivi venti anni circa 100.000 soldati in Asia orientale. Il ruolo di fondamentale alleato del Giappone nella strategia di sicurezza degli Stati Uniti fu messo in evidenza4. Nella regione l’alleanza durante la Guerra fredda trovava un appoggio anche dalla Cina, che condivideva l’obiettivo di contenere il comunismo dell’Unione Sovietica. Anche agli inizi del XXI secolo la Cina non disapprovava la presenza degli Stati Uniti in Asia, a patto che non si intromettessero nei suoi obiettivi regionali, come ad esempio la questione della riunificazione di Taiwan5, senza contare il fatto che in questo modo sarebbero riusciti a contenere per maggior tempo possibile una crescita e uno sviluppo della capacità militare giapponese.

2 Ivi, pp. 97-98.

3 E. S. Krauss and T. J. Pempel, Beyond Bilateralism, op. cit., p. 39.

4 C. Trentin, La questione della presenza delle basi militari americane a Okinawa nelle relazioni di sicurezza

nippo-statunitensi, op. cit., p. 99.

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Dunque la perdita di importanza dell’alleanza bilaterale all’inizio degli anni Novanta secondo quanto analizzato, era solo apparente, poiché erano sempre evidenti alcune fratture del passato nella regione, per cui la presenza degli Stati Uniti era ancora fondamentale.

Come vedremo nel corso dei prossimi paragrafi, ci sono delle questioni lasciate in sospeso anche dopo la fine della Guerra fredda. Tra queste sono da considerare quelle che riguardano la minaccia di attacchi mediante armi nucleari da parte di paesi vicini, come la Corea del Nord, e soprattutto quelle che riguardano la territorialità, ad esempio la rivendicazione di Taiwan da parte della Cina, le varie dispute fra Giappone, Cina e Corea del Sud sulla sovranità di alcune isole6. Di riflesso alle questioni appena citate, la sicurezza della regione

è sempre più precaria, motivo per cui Abe aveva giustificato di voler intraprendere un pacifismo attivo, continuando a mantenere una solida alleanza con gli Stati Uniti7.