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Istituzione delle Forze di autodifesa

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo

3.2 Istituzione delle Forze di autodifesa

Tutto ciò che caratterizzava il pacifismo antimilitarista giapponese ebbe solo valenza nella forma e non nei fatti. Questa fu la conseguenza scaturita da alcuni eventi susseguitisi già a partire dagli anni Cinquanta, come l’inizio della Guerra fredda e della Guerra di Corea. Di fatto, poiché le truppe di occupazione americana vennero trasferite in Corea per affrontare il conflitto, lo Scap autorizzò il governo giapponese all’istituzione della Riserva nazionale di polizia nel 1950, facendo così il primo passo verso il processo di riarmo del paese. Gli stessi eventi portarono anche alla firma del Trattato di Sicurezza nippo-americano entrato in vigore nel 1952 e alla creazione delle Forze di Autodifesa giapponesi (Jieitai) nel 1954. Queste, spesso chiamate in inglese Japan Self-Defence Forces (JSDF), sono l'insieme delle forze armate del Giappone, che sono state create nel secondo dopoguerra.

Da una parte era in evidente contraddizione con quanto espresso dalla Costituzione, poiché il Giappone dichiarandosi pacifista, non avrebbe potuto avere un esercito con capacità

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di prendere parte a conflitti internazionali. Dall'altra considerò il fatto che la stessa Costituzione era permissiva sulla capacità di poter possedere un minimo livello di forze difensive per poter fare fronte alle eventuali minacce esterne, per cui non rinunciò a tale diritto. Da quegli anni in poi, il paese fu costretto a convivere in parallelo con il Trattato di sicurezza nippo-americano, che istituì l’alleanza militare tra Giappone e Stati Uniti. Così la legge delle Forze di Autodifesa venne approvata nel 1954 dal Parlamento giapponese, dotando il Giappone di un vero e proprio esercito, seppur con dei limiti ben precisi.

La legge sulle Forze di Autodifesa, formate da forze di terra, di aria e di mare, stabilisce che l’obiettivo debba essere quello di preservare la pace, l’indipendenza della nazione e la sicurezza, conducendo le operazioni per difendere la nazione dalle aggressioni dirette ed indirette. Le SDF possono operare solo se si presentano tre condizioni: nel caso in cui il Giappone stia per ricevere illegittimamente un atto di aggressione; nel caso in cui l’unico modo per affrontare l’aggressione sia l’uso delle Forze di Autodifesa; limitare l’uso della forza armata al livello minimo necessario5. Secondo quest’ultima condizione, l’uso delle

forze armate non è necessariamente legato ai confini geografici della nazione, di contro però, secondo l’interpretazione della Costituzione, non possono essere inviate truppe armate fuori dal territorio nazionale, poiché verrebbe meno il concetto di livello minimo di forza necessario all’autodifesa. Ci fu un inasprimento del sentimento antimilitarista dell’opinione pubblica, dovuto alla percezione di sfida nei confronti dell’articolo 9 della Costituzione. Inoltre, per ovviare alla palese contraddizione con l’articolo 9, furono imposti dei limiti, tra cui il non riconoscimento del diritto alla guerra collettiva, l’assenza di forme di reclutamento e l’obbligo di essere sottoposte al controllo civile6.

Per limitare invece un eventuale ritorno al militarismo, i leader giapponesi posero un controllo civile sulle forze armate e si impegnarono ad usare una terminologia non militare, per cui il complesso dell’organizzazione fu chiamato “Agenzia di Difesa” e le forze armate assunsero il nome di Forze di Autodifesa Terrestre (GSDF), Forze di Autodifesa Marittima (MSDF), Forze di Autodifesa Aerea (ASDF), abolendo quindi i termini esercito, marina e aeronautica militare.

In seguito all’istituzione delle Forze di Autodifesa, si verificarono dei cambiamenti nella cooperazione militare e di difesa, poiché il Giappone, che aveva aderito all’ U.S.-Japan

5 C. Trentin, La questione della presenza delle basi militari americane a Okinawa nelle relazioni di sicurezza

nippo-statunitensi, op. cit., p. 29.

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Mutual Defense Assistance Agreement, contrasse impegni in base alla disponibilità di uomini

e di risorse economiche.

Tuttavia, la firma del Trattato nippo-americano di mutua cooperazione e di sicurezza del 1960, con la quale furono potenziate le Forze di Autodifesa, diede agli Stati Uniti l’occasione di spingere affinché il Giappone, in piena crescita economica, aumentasse la spesa per la difesa militare. La popolazione temeva di essere coinvolta in una guerra di difesa collettiva al fianco degli Stati Uniti7, per cui ci fu un periodo di disordine generale, terminato con le dimissioni del primo ministro Kishi Nobusuke.

Una ulteriore fase dello sviluppo e consolidamento dell’alleanza si può individuare negli anni Ottanta, quando anche le relazioni militari ebbero una nuova fase, come conseguenza dell’approvazione delle “Linee guida di cooperazione nippo-americana alla difesa” nel 1978. I punti trattati erano essenzialmente tre: la tesi della difesa delle mille miglia marine; la creazione di un sistema di cooperazione strategica tra i due paesi; la dotazione di armi nucleari e l’abbandono dei “tre principi non nucleari”8. Secondo la tesi della difesa delle

mille miglia marine, le Forze di Autodifesa estendevano la loro attività oltre le acque territoriali del Giappone, per impedire alle forze nemiche di trasportare risorse umane e materiali di cui avevano bisogno. In questo modo, il diritto di autodifesa diventò il diritto di difesa collettiva, rendendo il Giappone un partner importante delle forze americane nell’area del Pacifico. Anche i “tre principi non nucleari”, i quali sarebbero stati fondamentali per la politica giapponese, rimasero solo una questione di forma, poiché dal 1978 Tokyo aveva consentito alle navi americane, equipaggiate di armi nucleari, di stazionare nei porti dell’arcipelago.

Una nuova fase inizia negli anni Novanta, subito dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del sistema bipolare, che ha condizionato in maniera notevole il sistema di alleanza stabilito dal Trattato di sicurezza nippo-statunitense e il ruolo delle Forze di Autodifesa giapponesi. La fine della Guerra fredda avrebbe dovuto rendere insensata la presenza delle SDF così come il Trattato di sicurezza stesso. Paradossalmente, proprio in questo periodo, il Giappone fu posto sotto pressione dagli Stati Uniti per finanziare le attività delle Forze multinazionali (MFO), mentre nel 1992, il governo giapponese promulgò una legge per la partecipazione alle operazioni di peacekeeping, che avrebbe consentito ai contingenti nipponici di operare fuori dal territorio nazionale. Questo nuovo sviluppo del bilateralismo

7 Oliviero Frattolillo, Il Giappone tra Est e Ovest. La ricerca di un ruolo internazionale nell'era bipolare, Franco Angeli, Milano, 2014, pp.115-116.

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fu la conseguenza della crisi del Golfo, quando l’alleanza tra Tokyo e Washington diventò fondamentale non solo per la sicurezza del Giappone, ma di tutta l’area asiatica9.

A proposito delle azioni di peacekeeping, rimase in sospeso la questione di quali forze giapponesi impiegare. Il Giappone quindi si pose la questione della legittimità di un intervento militare giapponese all’estero, e poiché l’articolo 9 sancisce la rinuncia a tutte le azioni belliche in territorio straniero, fu costretto a dare supporto solo mediante contributi finanziari e personale non militare. Ciò rendeva chiara l’importanza della norma antimilitarista nella politica del Paese, ma poco dopo fu persuaso a svolgere un ruolo più attivo nelle operazioni di peacekeeping.

Nel giugno del 1992, fu approvata dalla Dieta Nazionale una Legge di Cooperazione con le Nazioni Unite per il mantenimento della pace, secondo la quale le Forze di Autodifesa ebbero il permesso di partecipare alle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. Inizialmente le truppe inviate furono adibite a mansioni non militari, quindi alla costruzione e manutenzione di strade, o come in Ruanda, a seguito dello scoppio della guerra civile, un contingente giapponese fu inviato ai confini del paese a scopo umanitario. La Legge di Cooperazione vietava alle truppe giapponesi di stazionarsi nelle aree smilitarizzate, di controllare l’afflusso di armi e di raccogliere, immagazzinare o distruggere le armi abbandonate.

Dal settembre 1997 con la pubblicazione delle New US-Japan Defense Cooperation

Guidelines, l’obiettivo fu quello di cooperare con le forze militari americane per la sicurezza

e la pace non solo nelle zone prossime al paese, ma in un’area molto più estesa in caso di attacco nemico10. In altre parole, in questo tipo di cooperazione e nel caso in cui si ritenga necessario, il Giappone potrebbe partecipare a fianco delle forze militari americane. Come è successo in seguito all’emanazione dell’Anti-Terrorism Special Measures Law (2001) e dell’Iraq Special Measures Law, le Forze di Autodifesa giapponesi sono state inviate in Afghanistan e in Iraq, quindi oltre la regione dell’Asia orientale. Secondo gli Emergency

Powers Three Acts del giugno 2003 le SDF sono autorizzate a partecipare al fianco degli

Stati Uniti a supporto logistico, favorendo l’uso di tutte le infrastrutture necessarie alle esigenze militari americane. Nel gennaio 2007, l’Agenzia per la Difesa venne trasformata in Ministero della Difesa dal governo giapponese in seguito alla revisione di alcune leggi,

9 20 Years since the Enactment of the International Peace Cooperation Law, Cabinet Office, 2012. Consultabile al sito web: http://www.pko.go.jp/pko_e/info/20th_anniversary.html

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superando così gli stessi limiti posti dal Trattato di sicurezza, che le aveva dato origine, e spingendosi ben oltre a quanto stabilito dall’articolo 9.

Alcuni anni prima, tra il 2001 e il 2005, la Camera dei rappresentanti e la Camera dei consiglieri della Dieta giapponese istituirono due commissioni di ricerca sulla Costituzione, il cui risultato di entrambe mirò alla proposta di una riforma generale della carta costituzionale. Nell’ottobre del 2005 fu presentata la bozza di una nuova costituzione annunciata dal Partito Liberal Democratico, al potere in Giappone in quell’anno, in cui il primo paragrafo dell’articolo 9 sarebbe rimasto invariato, ma avrebbe proposto la creazione di un esercito per l’autodifesa, cambiando totalmente il secondo, che in questo caso avrebbe abolito l’unicità e il significato storico del pacifismo antimilitarista della Costituzione giapponese11. Nel terzo paragrafo si specificava la partecipazione del Giappone ad attività

di cooperazione internazionale finalizzate al mantenimento della pace e della sicurezza, ma l’espressione avrebbe avuto un significato ambiguo, per cui la proposta di rinnovo della carta costituzionale fu messa da parte.