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L’ascesa della Cina e le questioni territoriali

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo

4.4 L’ascesa della Cina e le questioni territoriali

Come nel caso della Corea del Nord, l’alleanza nippo-statunitense si basa sull’affidabilità che i due partner ripongono l’uno nell’altro nel controllo di situazioni instabili e pericolose per i loro interessi. Una di queste è l’ascesa sempre più incalzante della Cina e le relative minacce nel Mar Orientale del Giappone. Infatti, nonostante Abe si sia impegnato per promuovere un Giappone aperto al dialogo internazionale, non può lasciare in disparte le dispute territoriali ancora in corso che causano tensione tra il Giappone, che ne detiene il controllo e la Cina. In questo paragrafo e in quelli successivi saranno prese in considerazione quelle riguardo alla rivendicazione delle isole Senkaku a sud di Okinawa e della questione di Taiwan.

La complessità della questione si può individuare a partire dal nome con cui i paesi che le contendono si riferiscono a queste isole. Per il Giappone sono le isole Senkaku, in Cina chiamate Diaoyu e a Taiwan indicate con il nome di isole Diaoyutai. Esse costituiscono un piccolo arcipelago disabitato di otto isole e altre formazioni rocciose nel Mar Cinese Orientale. Queste sono situate a 410 chilometri dall’isola di Okinawa, a 170 chilometri da Taiwan e a 330 chilometri dalla costa cinese. Fanno parte della prefettura di Okinawa e per

46 R. Hagiwara, I grandi corteggiano la Corea del Nord, op. cit., p. 212.

Fonte:

Carta di Federica Bianchi, L’Espresso, 20 Maggio 2015.

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questo sono sotto l’amministrazione giapponese. Insieme alle isole di Okinawa e di Sakishima compongono l’arcipelago delle Ryukyu. Territorialmente le isole appartenevano alla Cina prima del 1895 quando il Giappone durante la prima guerra sino-giapponese le conquistò, restando sotto il suo controllo fino alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale. Facendo parte dell’amministrazione di Okinawa, passarono così sotto il controllo degli Stati Uniti fino al 1972, quando fu firmato l’Okinawa Reversion Agreement. Tale accordo restituì i diritti amministrativi al Giappone sui territori che gli erano stati sottratti durante l’occupazione, compreso le isole Senkaku. Il Giappone da una parte nega che ci sia una disputa riguardo alla territorialità delle isole in quanto la Cina prima di allora non le aveva mai rivendicate, ma la Cina dall’altra insiste per riottenere la sovranità e quindi afferma che esiste una disputa anche senza avere intrapreso azioni militari per raggiungere tale obiettivo47.

La rivendicazione da parte della Cina è basata sul fatto che il paese aveva scoperto le isole e anche se disabitate costituivano il confine naturale tra la Cina e le isole del Giappone. In seguito furono poste sotto l’amministrazione del governo di Taiwan, ma il Giappone ne reclama la sovranità perché da quando furono acquisite sono rimaste effettivamente sempre sotto il controllo nipponico. Importanti nelle decisioni di sovranità territoriale sono i trattati, quindi la Cina fa riferimento alla Dichiarazione del Cairo del 1943, inclusa anche nell’ottavo punto della Dichiarazione di Potsdam nel 1945. Questa stabiliva che tutti i territori cinesi conquistati dal Giappone dovevano essere restituiti alla Repubblica di Cina, comprese le isole Pescadores, la Manciuria e Taiwan. Inoltre quando vennero ridefiniti i confini giapponesi dallo Scap, le isole non erano incluse nel territorio.

La contesa per il controllo delle isole dal punto di vista giuridico è complesso. Il Giappone per difendere la sua pretesa si affida alle norme del diritto internazionale relative all’occupazione delle terrae nullius. Al fine dell’analisi giuridica il Giappone prende come punto di partenza per esaminare la questione il Trattato di Shimonoseki, che pose fine alla prima guerra sino-giapponese nel 1895. Da allora le isole sono sotto l’amministrazione del Giappone che, dopo aver seguito indagini storiche, aveva fatto emergere la teoria secondo la quale le isole non erano mai state sotto la sovranità cinese. Ad avvalorare la teoria fu il fatto che secondo il governo di Tokyo le isole non facevano parte dei territori ceduti dalla

47 Takashi Shiraishi, Nobel Selection, Noda Rejection, in Nippon.con, 20 Novembre 2012. Consultabile al sito web: https://www.nippon.com/en/column/f00014/nobel-selection-noda-rejection.html

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Cina imperiale con il trattato e che quindi probabilmente non erano mai state assoggettate al controllo cinese48.

Di contro il governo cinese contesta basandosi su documenti antecedenti al 1985 e rivelerebbero che le isole al momento dell’arrivo dei giapponesi non erano terrae nullius. Inoltre, confermavano che dal XVII secolo queste erano le basi per i pescatori cinesi. Successivamente, per la risoluzione della disputa sono stati presi in esame trattati multilaterali tra cui quello sul trasferimento delle Ryukyu del 1971 e il Trattato di San Francisco. L’ applicabilità e la legalità di quest’ultimo però restano un problema poiché la Cina fu esclusa dalla trattativa, quindi il trattato non risulta vincolante in questo caso specifico49. Negli anni Settanta, invece, con la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone, venne riconosciuta la sovranità del Giappone sulle isole, ma i due stati si sarebbero dovuti impegnare nel non compiere atti provocatori l’uno nel rispetto dell’altro. In altre parole, la questione venne accantonata a patto che non alterassero lo status quo. In particolare la Cina si impegnava a non inviare unità navali e il Giappone si asteneva dal costruire edifici e installazioni permanenti.

Tuttavia, tale accordo di mettere da parte la questione territoriale delle Senkaku non durò a lungo. Già alla fine degli anni Settanta dei pescherecci cinesi avevano iniziato ad attraversare la zona di mare che secondo Tokyo era sotto la sua amministrazione. In un solo mese, da aprile a maggio del 1978 entrarono illegalmente nell’area marittima delle Senkaku 357 pescherecci cinesi, di cui 123 avevano praticato illegalmente la pesca. Così prima un gruppo di nazionalisti giapponesi pose delle bandiere per delineare l’area e poi un altro gruppo costruì un faro su una delle isole, il tutto senza aver ricevuto il permesso delle autorità nazionali. L’aspetto rilevante che emerge da queste azioni, è che i contrasti relativi alla questione territoriale si stavano facendo sempre più considerevoli e il risentimento della popolazione stava crescendo. Nel 1978, anche durante le negoziazioni per il Trattato di Pace e di Amicizia tra la Repubblica Popolare di Cina e il Giappone, il Vice Premier Deng Xiaoping espresse di voler lasciare da parte la questione. In risposta il Ministro degli Esteri giapponese Sonoda Sunao fu d’accordo con la sua decisione, ma ricordando al Vice Premier che dovevano essere esclusi episodi che vedevano centinaia di pescherecci nelle acque

48 Rodolfo Bastianelli, Diaoyu/Senkaku, storia delle isole contese tra Cina e Giappone, in Limes, 10 Gennaio 2013. Consultabile al sito web:

https://www.limesonline.com/isole-senkaku-scenari-attuali-di-una-disputa-antica-tra-cina-e-giappone/41312 49 Dan Liu, Diaoyu Islands Dispute: A Chinese Perspective, The Diplomat, 8 Agosto 2018. Consultabile al sito web: https://thediplomat.com/2018/08/diaoyu-islands-dispute-a-chinese-perspective/

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intorno alle isole. Questa volta Deng Xiaoping promise che non sarebbe più successo50. Anche in questo caso i due paesi ritennero opportuno essere fermi sulla Shelving Formula e non sollevare questioni di questo genere51.

Un altro fattore che rese più complicata la situazione fu la delimitazione del confine marittimo tra la Cina e il Giappone. Mentre la Cina insisteva sull’applicazione del principio di prolungamento naturale della piattaforma continentale, il Giappone riteneva opportuno considerare come confine una linea equidistante dalle isole Senkaku e dal territorio della Cina continentale. Ovviamente ognuno cercava di far valere il principio più vantaggioso per il proprio paese. Pechino rifiutò come confine la linea mediana, poiché rivendicava lo sfruttamento delle risorse e degli interessi economici della Zona Economica Esclusiva (ZEE) entro le 200 miglia nautiche dalla propria costa, secondo quanto stabilito dal diritto internazionale. Tuttavia, lo spazio tra la Cina continentale e le isole è inferiore alle 400 miglia nautiche per permettere ad entrambi gli stati di far valere i propri diritti, per cui si è venuta a creare una zona di sovrapposizione, che è causa di continue ostilità in mare52.

Oltre alla contesa delle isole è di primaria importanza per entrambi i governi ottenere il controllo delle acque che le circondano. A muovere il loro interesse verso questa direzione sono essenzialmente due fattori molto basici. Il primo è che il mare è un mezzo primario al mondo per il commercio e per i trasporti. Subito dopo c’è quello per cui il mare è anche fonte di risorse viventi e non, per cui anche una parte importante del mondo in cui esercitare la propria influenza politica e il proprio dominio militare53. Al secondo fattore è legato principalmente il motivo per cui la Cina ha iniziato a rivendicare le isole negli anni Settanta. Il Comitato per il coordinamento della prospezione congiunta delle risorse minerarie nelle aree offshore asiatiche (acronimo inglese CCOP) delle Nazioni Unite nel maggio 1969 aveva affermato in una relazione la possibile ed estrema ricchezza di petrolio della piattaforma continentale tra Taiwan e il Giappone. Ovviamente le riserve di idrocarburi hanno mosso l’interesse ad ottenere la sovranità territoriale. Tra l’altro quelle che sembravano essere solo probabili certezze del Comitato, furono confermate da ricerche di studiosi giapponesi e cinesi. Da una stima del 1994 è emerso che i depositi di petrolio e gas naturale sul lato

50 Reinhard Drifte, Japanese-Chinese territorial disputes in the East China Sea – between military

confrontation and economic cooperation, in Asia Research Centre, London School of Economics and Political Science, London, 2008, p. 7.

51 Le isole Senkaku, in Ministry of Foreign Affairs of Japan. Consultabile al sito web: https://www.it.emb-japan.go.jp/

52 Ivi, p. 9.

53 Alessio Patalano, Seapower and Sino-Japanese Relations in the East China Sea, in Asian Affairs, vol. 45, n.1, 2014, p. 35.

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giapponese del Mar Cinese Orientale ammontavano a 500 milioni di chilolitri di volume di greggio, mentre secondo stime cinesi le riserve di gas probabili erano di circa 17,5 trilioni di piedi cubi sul lato cinese, in gran parte nel canale di Xihu. Il consumo di petrolio e gas di questi paesi è aumentato in maniera esponenziale, tanto da raggiungere vetta della classifica dei primi importatori al mondo. Ottenere le risorse quindi della zona del Mar Cinese Orientale sarebbe servito a diminuire la propria percentuale di importazione54.

Infine, un ulteriore punto da prendere in considerazione, rispetto alla disputa territoriale delle Senkaku/Diaoyou, è la posizione degli Stati Uniti. Con l’annuncio dell’Okinawa

Reversion Agreement il governo statunitense aveva dichiarato che anche le isole Senkaku

sarebbero state restituite, affermando quindi la sovranità giapponese su di esse. Inoltre, facendo parte dei territori inseriti nel Trattato di San Francisco, rientrano quindi anche in quelli per cui secondo il Trattato di Mutua Cooperazione e Sicurezza, gli Stati Uniti avrebbero dovuto intervenire a fianco dell’alleato in caso di attacco. Successivamente, presero una posizione più neutrale, dichiarando di essere estranei alla disputa, avendo l’intenzione di non esprimersi sulla questione55. Il motivo di tale cambio di decisione va

cercato in un quadro più ampio, quello internazionale, in cui il presidente Nixon nei primi anni Settanta aveva dato inizio al processo di normalizzazione con la Cina, che non aveva intenzione di compromettere.